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Anno 501 la conquista continua (indice)


PARTE QUARTA.
AMNESIE OCCIDENTALI.


Capitolo 11.
IL TERZO MONDO.

2. DUELLO ALL'ULTIMO SANGUE CON I SINDACATI.

La vittoria conseguita dai lavoratori e dalla democrazia nel 1935 fece rabbrividire la comunità degli affari. La "National Association of Manufacturers" (Associazione Nazionale degli Imprenditori Manifatturieri) avvertiva nel 1938 dei "pericoli di fronte ai quali si trovavano gli industriali" a causa del "potere politico delle masse da poco riconosciuto": "Se il loro modo di pensare non verrà opportunamente indirizzato ci aspetteranno tempi difficili". Il padronato lanciò poi rapidamente una massiccia controffensiva, ricorrendo anche all'omicida violenza di stato. Riconoscendo però l'insufficienza di tali mezzi, gli industriali americani ricorsero anche a "metodi scientifici per bloccare gli scioperi", "relazioni umane", enormi campagne di pubbliche relazioni per mobilitare le comunità contro gli "estranei" che predicano "il comunismo e l'anarchia" e che cercano di distruggerle, e così via. L'uso di questi metodi, basati sui progetti padronali degli anni precedenti, fu sospeso temporaneamente durante la guerra ma riprese poi, immediatamente dopo, mentre la legislazione e la propaganda distruggevano pian piano le vittorie operaie, con non poco aiuto da parte della dirigenza sindacale, portando al fine alla situazione attuale (14).

Lo shock per le vittorie operaie del periodo del 'New Deal' fu particolarmente forte perché la comunità imprenditoriale presumeva che l'organizzazione operaia e la democrazia popolare fossero state sepolte per sempre. Il primo avvertimento fu nel 1932, quando il "Norris-LaGuardia Act" dispensò i sindacati dalle norme antitrust, concedendo diritti del lavoro che in Inghilterra esistevano già da sessant'anni. Successivamente, come abbiamo visto, gli industriali respinsero come inaccettabile il "Wagner Act", che solo in questi anni è stato effettivamente rimesso in discussione dall'alleanza tra capitale, stato e media.
Facendo un passo indietro vediamo come, alla fine dell'800, i lavoratori americani avevano realizzato significativi progressi nonostante un clima generale estremamente ostile. Nell'industria dell'acciaio, il cuore dell'economia in via di sviluppo, la sindacalizzazione verso il 1880 raggiunse più o meno il livello della Gran Bretagna. Ma la situazione sarebbe presto cambiata. Un'offensiva statale-imprenditoriale estremamente violenta distrusse i sindacati di questo come di altri settori. Nell'euforia degli anni '20, si supponeva che la bestia fosse stata uccisa.

La storia dei rapporti sindacali negli Usa è sempre stata assai più violenta che nelle altre società industrializzate. Sottolineando che non esistono approfonditi studi in merito, Patricia Sexton notò che, tra il 1877 ed il 1968, 700 operai furono uccisi e migliaia feriti, una cifra che forse "è di molto inferiore al numero reale delle vittime"; a confronto, dal 1911 era stato ucciso un solo scioperante inglese (15).

Un grosso colpo contro i lavoratori fu sferrato nel 1892, quando Andrew Carnegie, ingaggiando dei crumiri, distrusse l'"Amalgamated Association of Iron and Steel Workers" - A.A.I.S.W. (Sindacato dei lavoratori dell'acciaio) che aveva 60 mila membri - ancora un altro anniversario che si sarebbe potuto commemorare nel 1992, quando la U.A.W. fu sconfitta con gli stessi metodi, riutilizzati dopo una pausa di sessant'anni. L'eminente storico sociale Herbert Gutman descrive il 1892 come "l'anno della svolta" che "formò e riformò la coscienza dei leader operai e radicali, e dei sindacalisti". L'uso del potere dello stato a favore delle industrie "fu sbalorditivo" e portò ad una "maggiore consapevolezza tra i lavoratori che le istituzioni si erano andate sempre più chiudendo nei loro confronti, ed in particolare alle loro esigenze politiche ed economiche". Così sarebbe stato fino alla 'grande depressione'.

Il conflitto del 1892 ad Homestead, conosciuto generalmente come 'the Homestead strike', in realtà non fu altro che una serrata di Carnegie e del suo rappresentante locale, il teppista Henry Clay Frick; Carnegie, infatti, durante lo scontro preferì andare in vacanza in Scozia, dove inaugurò alcune biblioteche che aveva donato alla popolazione di quelle regioni. Il primo luglio l'appena fondata "Carnegie Steel Corporation" annunciò che "d'ora in poi nessun sindacato sarà mai riconosciuto presso gli impianti "Homestead Steel Works"". Gli operai, praticamente cacciati, potevano fare domanda di riassunzione individualmente, niente di più. Si trattava dello "scontro finale contro il sindacato", come proclamava la stampa di Pittsburgh, di un "duello all'ultimo sangue tra la "Carnegie Steel Company", con il suo capitale di 25 milioni di dollari, e gli operai di Homestead", scrisse il "New York Times".

Carnegie e Frick sconfissero gli operai di Homestead con la violenza, facendo prima intervenire le guardie di Pinkerton e poi, quando queste furono sconfitte e scacciate dalla popolazione locale, chiamarono la Guardia Nazionale della Pennsylvania. "La serrata ha schiacciato il più grande sindacato dell'America, il A.A.I.S.W., e ha demolito le vite dei suoi membri più devoti", scrive Paul Krause nella sua autorevole storia. Ad Homestead non si sarebbe più sentito parlare di sindacato per 45 anni. Ma le conseguenze di quegli avvenimenti si fecero sentire in tutto il paese.
La distruzione dei sindacati era solo uno degli aspetti del più generale progetto di subordinazione della forza-lavoro. Gli operai dovevano essere dequalificati, trasformati in strumenti arrendevoli sotto il controllo della 'gestione scientifica' del lavoro. La direzione, disse in seguito un funzionario, era particolarmente stizzita perché ad Homestead "sono gli operai a dirigere la fabbrica mentre i capi-reparto hanno poca autorità". Come abbiamo già visto, alcuni hanno giustamente sostenuto che il malessere diffuso nell'industria Usa può essere in parte fatto risalire proprio ai successi della politica che punta a rendere i lavoratori "così stupidi ed ignoranti quanto è possibile esserlo per un essere umano", sfidando l'avvertimento di Adam Smith secondo il quale il governo "dovrebbe sforzarsi per impedire" che tutto ciò avvenga al 'povero lavoratore' quando la 'mano invisibile ' del mercato compie il suo sinistro lavoro. Al contrario, il settore imprenditoriale non ascoltò affatto i consigli del noto economista ed anzi lanciò un appello allo stato perché intervenisse ad accelerare il processo. L'eliminazione di meccanismi come quello di 'consultarci con i nostri vicini' è un processo che si accompagna al soggiogamento del branco.

Homestead era un obiettivo particolarmente allettante perché i lavoratori erano 'completamente sindacalizzati', e controllavano anche la politica locale. Inoltre la città aveva resistito durante il penultimo decennio dell'800 mentre a poche miglia di distanza, a Pittsburgh, gli operai erano stati duramente sconfitti. Le maestranze multietniche di Homestead reclamavano i loro "diritti in quanto cittadini americani nati liberi", ispirandosi a quella che Krause descrive come "la versione operaia di una repubblica americana moderna" nella quale i lavoratori possano godere di piena libertà e dignità. Homestead, come "principale città operaia della nazione", scrive ancora Krause, era quindi inevitabilmente il successivo obiettivo di Carnegie nel suo costante tentativo di distruggere il diritto dei lavoratori ad organizzarsi (16).

In seguito alla sua vittoria ad Homestead, Carnegie fu in grado di tagliare i salari, imporre giornate lavorative di dodici ore, eliminare posti di lavoro, e guadagnare enormi profitti. Questo "magnifico passato fu possibile in gran parte grazie alla vittoria dell'azienda ad Homestead", scrisse uno storico della compagnia nel 1903. I trionfi della 'libera impresa' di Carnegie avevano dietro di sé qualcosa di più della semplice violenza di stato per distruggere il sindacato. Come nel caso di altre industrie, da quella tessile all'elettronica, la politica protezionistica dello stato ed i sussidi pubblici furono determinanti anche per il successo di Carnegie. "Grazie al sistema protezionistico di tariffe, gli interessi manifatturieri del paese stanno attraversando una prosperità senza precedenti", scrisse il "Pittsburgh Post" alla vigilia della serrata, mentre l'industriale filantropo ed altri suoi compari si preparavano "a ridurre drasticamente i salari dei loro dipendenti". Inoltre lo stesso Carnegie era anche un esperto truffatore e defraudò non poco la città di Pittsburgh, d'accordo con i leader della locale comunità. Mentre veniva incensato come pacifista, oltre che filantropo, Carnegie sperava di ricavare "milioni dalle corazze" per la costruzione di navi da guerra - unicamente per motivi di difesa, spiegava, quindi in armonia con i suoi principi pacifisti. E così, nel 1890, riuscì ad ottenere un grosso contratto dalla Marina per i suoi nuovi impianti di Homestead. "Fu con l'aiuto di... potenti politici ed astuti finanzieri che si muovevano nelle grandi arene del potere nazionale e internazionale - come nei corridoi delle imprese e del municipio di Pittsburgh - che Carnegie fu in grado di costruire il suo immenso impero industriale", scrive Krause: la "U.S. Steel", la prima grande impresa da miliardi di dollari del mondo. Intanto, la nuova marina imperiale 'difendeva' gli Usa a largo delle coste del Brasile, del Cile e nell'area del Pacifico (17).

La stampa americana, come al solito, sostenne massicciamente la "U.S. Steel". Quella britannica ne presentò invece un'immagine diversa. Il "London Times" derise "questo plutocrate scozzese-yankee che vaga in carrozza per la Scozia inaugurando biblioteche pubbliche, mentre i disgraziati lavoratori che gli forniscono i mezzi per autoglorificarsi muoiono di fame a Pittsburgh". La stampa britannica, di estrema destra, irrise le prediche di Carnegie sui "diritti e doveri dei ricchi", descrivendo il suo libro "Triumphant Democracy" come un "vero pezzo satirico", soprattutto se messo a confronto - aggiunse il "London Times" - con i suoi brutali metodi repressivi antisindacali, che non dovrebbero essere né "permessi né invocati in una società civile".

Negli Usa, gli scioperanti erano descritti come "briganti", "ricattatori odiati da tutto il mondo" ("Harper's Weekly"), una "plebaglia decisa alla distruzione" del paese ("Chicago Tribune"), "anarchici e socialisti... pronti a far esplodere... il palazzo della "Federal Reserve" e ad impossessarsi" del denaro nei sotterranei del Tesoro ("Washington Post"). Eugene Debs era un "criminale in libertà, un nemico della razza umana", che dovrebbe essere incarcerato (come presto lo fu), "ed il disordine fomentato dai suoi insegnamenti deve essere represso" ("New York Times"). Quando il governatore dell'Illinois John Altgeld telegrafò al presidente Cleveland che i resoconti sulle presunte violenze da parte degli scioperanti apparsi sulla stampa erano spesso "pure menzogne" o "grossolane esagerazioni", il giornale "The Nation" lo condannò come "rozzo, sfacciato e ignorante" ed invitò il presidente a metterlo subito a posto per le sue "cattive maniere" ed il "cattivo odore dei suoi principi". Gli scioperanti sono "uomini poco istruiti" della "classe più infima", continuava "The Nation": devono imparare che la società è "inespugnabile" e non può permettere loro di "bloccare, neanche per un giorno, il traffico e l'industria di una grande nazione, solo per estorcere dieci o venti centesimi in più al giorno ai loro datori di lavoro".

La stampa non era la sola a 'difendere a spada tratta' i padroni in difficoltà. Il rispettabilissimo reverendo Henry Ward Beecher denunciò come "l'abominevole importazione di idee europee più o meno comunisteggianti. Le loro teorie che il governo debba essere paterno e prendersi cura del benessere dei suoi soggetti [sic] fornendo loro posti di lavoro, sono antiamericane... Dio ha voluto che i grandi siano grandi ed i piccoli siano piccoli". Quante cose non sono cambiate in un secolo (18).
Dopo la sua vittoria ad Homestead, la "U.S. Steel" iniziò a distruggere quel che era rimasto dell'autonomia dei lavoratori. I dirigenti dello sciopero furono messi sulla lista nera e molti di loro incarcerati per lunghi periodi. Un cittadino europeo che visitò Homestead nel 1900 descrisse la 'democrazia trionfante' di Carnegie come il "ritorno del feudalesimo". In un'atmosfera "piena di delusione e disperazione", con gli uomini che "avevano anche paura di parlare". Dieci anni dopo, John Fitch, collaborando alla ricerca fatta da un gruppo di sociologi urbani su Homestead, scrisse che i dipendenti della compagnia si rifiutavano di parlare con gli estranei, persino in privato; "sospettano gli uni degli altri, dei loro vicini e dei loro amici"; "non osano esprimere apertamente le loro idee", oppure "riunirsi per discutere degli affari che riguardano il miglioramento della loro condizione di lavoro". Del resto molti furono licenziati "per aver osato partecipare ad un'assemblea pubblica". Un periodico sindacale nazionale nel 1919, quando la ottantanovenne Mother Jones fu trascinata "nel loro sudicio carcere per aver osato difendere gli schiavizzati operai dell'acciaio", descrisse Homestead come uno dei più "dispotici principati" anche se poi, come ricorda la stessa Mother Jones, "per la prima volta in 28 anni venne permesso" ad alcuni di loro "di parlare [ad Homestead]". La situazione rimase tale fino a quando i movimenti degli anni '30 ruppero gli argini. Queste vicende storiche illustrano con chiarezza quanto siano in realtà legate tra loro l'esistenza di organizzazioni popolari e la democrazia (19).

Non possiamo certo dire che l'attuale offensiva padronale abbia riportato le strutture e la cultura della classe operaia ai livelli di un secolo fa, ma nel senso che allora i lavoratori ed i poveri non erano così isolati, né soggetti al monopolio ideologico dei media privati, come invece lo sono oggi. "All'inizio del secolo", scrive Joe Bekken, "il movimento operaio Usa pubblicava centinaia di giornali", che andavano da quelli locali e regionali ai settimanali e mensili nazionali. Questi erano "parte integrante della vita delle comunità operaie, non solo perché riportavano le cronache del giorno o della settimana, ma perché offrivano una sede per i dibattiti su questioni politiche, economiche e culturali". Alcuni erano "altrettanto grandi e professionali di molti giornali capitalistici loro contemporanei". "Come lo stesso movimento operaio, questa stampa spaziava dal prestare attenzione alle condizioni nei posti di lavoro al propugnare la rivoluzione sociale". Negli anni precedenti la Prima guerra mondiale la stampa socialista da sola aveva una tiratura di oltre 2 milioni di copie; il suo periodico principale, il settimanale "Appeal To Reason", raggiungeva oltre 760 mila abbonati. I lavoratori avevano anche "costruito una ricca serie di organizzazioni su base politica, etnica, locale e di luoghi di lavoro", protagoniste delle "dinamiche culture della classe operaia" che si erano diffuse in ogni settore e che mantennero la loro vitalità fino alla Seconda guerra mondiale malgrado la dura repressione governativa, particolarmente aspra sotto l'amministrazione Wilson. Repressione a parte, la stampa operaia alla fine scomparve per gli effetti naturali della concentrazione della ricchezza: numerosi furono i fattori del mercato (ad esempio gli inserzionisti passarono alla concorrenza capitalistica che poteva offrire prezzi migliori) che contribuirono alla chiusura di quei giornali popolari. Un po' come sarebbe successo poi, negli anni '60, in Inghilterra alla stampa operaia a larga diffusione. E furono sempre fattori di questo tipo che negli anni '30, insieme alla politica del governo federale, minarono gli sforzi per impedire che la radio diventasse in pratica un monopolio delle grandi imprese (20).

Gli intellettuali di sinistra allora presero parte attiva allo sviluppo di una dinamica cultura della classe operaia. Alcuni tentarono di compensare il carattere di classe delle istituzioni culturali ufficiali con programmi di istruzione per i lavoratori, oppure decisero di scrivere opere divulgative di matematica, di scienze e di altri importanti argomenti. E' interessante notare come oggi invece siano proprio i loro omologhi contemporanei a dare un contributo a processi che privano i lavoratori di questi strumenti di emancipazione, sostenendo che il 'progetto illuministico' è morto, che bisogna abbandonare le 'illusioni' della scienza e della razionalità - un messaggio che rallegra i cuori dei potenti, felici di monopolizzare tali strumenti a loro esclusivo vantaggio. Basti ricordare l'epoca in cui la Chiesa Evangelica impartiva lezioni non dissimili alle masse ribelli, come fanno oggi i suoi eredi nelle società contadine del Centroamerica.

Colpisce il fatto che queste tendenze autodistruttive appaiano in un periodo in cui la stragrande maggioranza della popolazione vuole cambiare un sistema economico che considera 'profondamente iniquo', e nel quale la fede nei principi morali di fondo del socialismo tradizionale è più diffusa di quel che si possa pensare. Inoltre, con la sconfitta della tirannia del socialismo reale, è scomparso ora un ostacolo che a lungo ha contribuito ad allontanare la realizzazione di questi ideali. Per quanto lodevoli possano essere le motivazioni addotte, a mio parere, il manifestarsi di tali fenomeni negli ambienti intellettuali di sinistra riflette un'altra vittoria dell'ideologia del privilegio alla quale del resto, contribuisce in misura rilevante. Tendenze queste che tra l'altro danno anche un forte aiuto al ricorrente progetto di 'uccidere la storia'. Nei periodi in cui c'è una certa attività di base, è spesso possibile salvare alcuni elementi di verità dai miasmi 'dell'informazione' disseminata dai servitori del potere, e molta gente non solo 'si consulta con i propri vicini' ma impara anche molto sul resto del mondo; l'Indocina e l'America Centrale sono due esempi significativi. Quando la militanza è in declino, la classe dei 'commissari politici' del sistema, sempre molto determinata, riprende subito il comando. Mentre gli intellettuali di sinistra discorrono tra di loro a polisillabi, verità che una volta erano largamente note ora vengono cancellate, la storia è ridotta a puro strumento di potere ed il terreno è pronto per nuove future conquiste.


Note:

N. 14. Vedi Alex Carey, 'Managing Public Opinion: The Corporate Offensive', m.s., U. of New South Wales, 1986. Milton, Moody, op. cit.. Sexton, "War". Anche Ginver e Christiano, "Cold War".
N. 15. Sexton, "War", p. 76, 55.
N. 16. Demarest, "River", p. 44, 55, 216. Krause, "Battle", p. 287, 13, 294, 205n.n. 152, 178, 253, 486 (citando intervista con Gutman).
N. 17. Demarest, "River", p. 32. Krause, "Battle", p. 361, 274nn. Hagan, "People's Navy".
N. 18. Demarest, "River", p. 159. Sexton, "War", p. 83, 106n.n.
N. 19. Demarest, "River", p. 199, 210n. Krause, cap. 22.
N. 20. Bekken, in Solomon e McChesney, "New Perspectives". McChesney, "Labor". Sull'Inghilterra, vedi Chomsky, "Manifacturing Consent", cap. 1.1-2.


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