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MIGRAZIONE, PROSTITUZIONE E TRAFFICO DI PERSONE
di Penelope Saunders
ricercatrice alla Columbia University School of Public Health di New York e Direttore esecutivo dell’organizzazione HIPS – Helping Individual Prostitutes Survive.

traduzione a cura di Border=0 da: http://www.walnet.org/csis/papers/saunders-migration.html

La prevenzione del “traffico di donne e bambini” è diventata una priorità per le agenzie e gli enti di servizio e per i governanti di tutto il mondo. L’argomento del traffico è entrato nei documenti ufficiali sui diritti delle donne, come il resoconto sulla Piattaforma Bejing per l’Azione (“Bejing Plus Five”) ed è stata prodotta una nuova bozza di protocollo sul traffico di persone dalla Commissione del Crimine ONU a Vienna. Comunque, nonostante milioni di dollari di finanziamenti siano stati investiti in iniziative atte alla ricerca, lo studio e la prevenzione del fenomeno conosciuto come traffico, questo contesto rimane legato a paure sulla sessualità, la schiavitù sessuale e il “traffico di schiave bianche” che esistono sin dal diciannovesimo secolo. Anche se alcuni sostenitori progressisti dei diritti delle donne hanno riconosciuto che il “traffico di donne e bambini” non necessariamente sinonimo di prostituzione e viceversa, questo concetto deve ancora essere assimilato dai sostenitori dei diritti dei/lle sex workers che mostrano nuovo interesse internazionale nei confronti del problema.

Gli/le attivist* per i diritti dei/lle sex workers hanno contrastato – motivando le proprie azioni - iniziative per porre fine al “traffico di donne e bambini”. Gli attivisti sono naturalmente contro il sopruso sulle donne immigrate, ma esistono prove concrete che dimostrano come le iniziative contro il traffico di persone siano più concentrate sulla necessità di eliminare la prostituzione e porre fine all’immigrazione piuttosto che sulla difesa dei diritti umani. La Convenzione per la Soppressione del Traffico di Persone e lo Sfruttamento della Prostituzione di Altri (Convenzione del 1949) mette sullo stesso piano prostituzione e traffico di persone, ed esorta gli stati a punire ogni persona che “obbliga, persuade o sequestra, per scopi di prostituzione, un’altra persona, anche con il consenso di quest’ultima”. Fortunatamente la Convenzione del 1949 ebbe un impatto limitato, perché venne ratificata soltanto da pochi stati membri dell’ONU; tuttavia ancora oggi questa legge influenza il lavoro degli attivisti per i diritti dei/lle sex workers, in quanto i conservatori esortano alla sua approvazione come provvedimento ideale per combattere il traffico. Recentemente l’attenzione dei media nei confronti del traffico di donne ha fornito alle autorità una scusa per attaccare l’industria del sesso, che oltretutto minaccerebbe le condizioni di lavoro dei/lle sex workers. Ad esempio nel 1998 la polizia di San Francisco usò la scusa della “prevenzione del traffico” per arrestare numeri sempre maggiori di sex workers immigrat*, inclusi molti/e massaggiatori/trici provenienti dall’Asia, che chiaramente non lavoravano in condizioni forzate.

Il fatto che i difensori dei/lle sex worker mettano in dubbio questa retorica anti-traffico è positivo, e ci permette di pensare al di fuori di questo contesto erroneo. Tuttavia facendo ciò questi attivisti si alleano con molte ONG che potenzialmente potrebbero essere di supporto, ma che accettano passivamente il contesto di cui sopra senza metterlo in discussione, e sono confuse sugli obiettivi del movimento per i diritti dei/lle sex workers. Di conseguenza i gruppi abolizionisti [cioè quelli che identificano traffico e prostituzione come prodotti dell’immigrazione, mirando all’eliminazione di ognuno di questi fenomeni – ndt] hanno accusato organizzazioni per i diritti dei/lle sex workers di ignorare il complesso problema del traffico di donne, addirittura promuovendo la prostituzione e discreditando il loro lavoro. Questo è chiaramente controproducente per gli sforzi mirati a stringere alleanze nella rete internazionale, che spesso è ostile al concetto di diritti dei/lle sex workers. Di recente, guidati dall’impulso di stringere alleanze produttive con organizzazioni per i diritti umani, molti attivisti per i diritti dei/lle sex workers hanno mitigato il loro atteggiamento in proposito, collaborando e anche cercando di persuadere membri di gruppi anti-traffico.

Il mio coinvolgimento in questa situazione può essere visto come un esempio di questo tipo di impegno. All’inizio lavoravo su questioni internazionali dal punto di vista della protezione medica, ma poi ho sentito la necessità di lavorare per i diritti umani nel 1998, quando molte organizzazioni statunitensi per i diritti dell’uomo tentavano di convincere il Congresso ad occuparsi maggiormente del “traffico di donne”. Ma queste organizzazioni non avevano grande esperienza in merito all’impatto delle leggi anti-traffico sui/lle sex workers; quando si costituì una ONG contro il traffico alcuni membri del NSWP, Network of Sex Work Projects (rete di progetti sulla prostituzione) si unirono a questa diversa coalizione. Sin dall’inizio fu chiarito che il NSWP non mirava ad ottenere una nuova legislazione per prevenire il traffico, in quanto le nuove leggi erano sempre strumenti usati per arrestare i/le sex workers, le loro famiglie, per deportare lavoratori/lavoratrici immigrat* e per minacciare gli sforzi per promuovere l’assistenza sanitaria e la sicurezza per i/le sex workers. D’altro canto ci rendemmo conto che se non avessimo attivamente coinvolto ONG per i diritti umani in questo processo, allora esse avrebbero lavorato senza alcun imput da parte nostra, con possibilità di errori che avrebbero potuto danneggiarci in futuro.

Nel maggio 1998 la prima bozza di risoluzione sul “traffico internazionale di donne e bambini” sembrava gettare le basi per le attuali discussioni sul protocollo ONU. Il lavoro dei sostenitori dei diritti umani aveva centrato l’obiettivo, perché la delegazione statunitense era una dei promotori della bozza di protocollo sul traffico. I difensori dei/lle sex workers riconobbero che la costituzione di un nuovo accordo internazionale su base legale sul traffico avrebbe diretto il processo di riforma delle leggi degli stati firmatari per anni, e forse in direzioni che avrebbero potuto essere contro i nostri interessi. Le nostre preoccupazioni erano alimentate dalla consapevolezza che il protocollo non era inizialmente concepito come un documento di difesa dei diritti umani, ma come uno strumento per combattere il crimine. Esso fa parte di una serie di quattro protocolli opzionali sull’immigrazione clandestina, il traffico di droga e di armi relativi ad una convenzione “a ombrello” mirata alla prevenzione della criminalità organizzata internazionale.

La creazione di nuovi protocolli e nuove convenzioni nel sistema ONU è una questione che richiede molto tempo, a volte anni prima di arrivare alla completezza. Il processo richiede così tanto tempo perché l’elaborazione di una bozza di documento avviene mediante discussione tra i membri dell’ONU, e il consenso viene calcolato tramite un sistema di punti degli stati membri piuttosto che con votazioni. Le discussioni subiscono poi ulteriori variazioni quando conflitti internazionali non inerenti alle discussioni, come ad esempio l’embargo di Cuba da parte degli USA, vengono portati all’interno dell’assemblea dalle delegazioni governative. La proposta di protocollo matura nel corso degli anni in cui si lavora alla bozza, e l’area non-istituzionale può influenzare questo processo in diversi modi: partecipando ai vertici ONU; influenzando delegazioni governative in maniera congiunta; fornendo informazione alle agenzie multilaterali, come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organisation); e partecipando alle ricerche portate avanti dai ricercatori speciali ONU sui diritti umani e dai membri dell’Alta Commissione dei Diritti Umani (High Commission of Human Rights).

Alcune ONG per i diritti umani di USA, Europa, America Latina e Asia si sono unite nell’Human Rights Caucus per partecipare ai vertici ONU e cercare di portare un loro contributo promuovendo il rispetto dei diritti umani nei provvedimenti contro il traffico di persone. [1] I difensori dei/lle sex workers hanno deciso di partecipare, nel tentativo influenzare l’elaborazione dei protocolli, mantenendo un atteggiamento critico verso il contesto del traffico più in generale. Di conseguenza il NSWP sottolineò ancora gli errori dell’atteggiamento nei confronti del traffico di persone, mentre molti attivisti congiuntamente si unirono nell’intento di persuasione. [2] La nostra ambiguità nei confronti della bozza del protocollo sul traffico può aver confuso sia alcune ONG per i diritti umani, sia gli altri attivisti per i diritti dei/lle sex workers non direttamente coinvolti nel processo; tuttavia è importante affermare il nostro atteggiamento in proposito, promuovendo un nuovo modo di pensare l’immigrazione e i diritti dei/lle sex workers, facendo in modo che la nuova legislazione internazionale sia il meno dannosa possibile.

L’Human Rights Caucus ha avuto un successo significativo nel contribuire all’elaborazione del nuovo protocollo sul traffico. Alcuni attivisti hanno lavorato insieme a delegazioni di governo per trasformare il protocollo in un documento che riconoscesse i bisogni particolari delle persone vittime di traffico. La pubblicazione degli Standard dei diritti umani per le vittime di traffico di esseri umani promossa dal GAATW, Global Alliance for Trafficking in Women (=alleanza globale contro il traffico di donne) e l’IHRLG, International Human Rights Law Group (=gruppo legale internazionale per i diritti umani) è stata essenziale per questo successo; significativamente gli autori hanno cercato imput dalle organizzazioni di sex workers per garantire l’appropriatezza degli standard [3].

L’Human Rights Caucus ha lavorato sul linguaggio del protocollo perché riflettesse più accuratamente le condizioni attuali dei/lle migranti, e perché considerasse contemporaneamente una prospettiva di genere. Un approccio non critico al “traffico di donne e bambini” rischia di infantilizzare le donne, descrivendole come parte - insieme ai bambini - di un gruppo vulnerabile, ed è una minaccia per il concetto di diritti delle donne, che non viene considerato al pari dei diritti umani. Inoltre, come dimostra la recente tragica morte di 58 cinesi che tentavano di entrare in Gran Bretagna, ingenti cifre di esseri umani pagano personalmente le azioni di agenti e trafficanti di immigrati. [4] Anche grazie al lavoro dell’Human Rights Caucus la bozza di protocollo è stata rinominata Bozza di protocollo per la prevenzione, l’eliminazione e la condanna del traffico di esseri umani, in particolare di donne e bambini per riflettere queste considerazioni.

Un'altra preoccupazione molto importante per i difensori dei diritti dei/le sex workers è il fatto che lo stato di emergenza dei lavori alla bozza di protocollo sul traffico avrebbero incitato gli abolizionisti ad insistere sul loro lavoro anti-prostituzione a livello internazionale. Come ho già detto, nel corso del tempo le iniziative contro il traffico di persone sono sempre state un cavallo di troia per minare i diritti dei/lle sex workers. Nel 1999 gli abolizionisti ebbero un impatto relativamente limitato sulla direzione presa dalla bozza di protocollo, e l’Human Rights Caucus convinse le delegazioni di governo ad evitare un dibattito troppo lungo sulla de-criminalizzazione (o criminalizzazione) della prostituzione. Inoltre l’HRC lavorò molto sulla definizione di “traffico di persone”, che deve basarsi su tre elementi comprensibili dalla comunità internazionale e legalmente significativi - ovvero il lavoro forzato, lo stato di schiavitù ed il servilismo – piuttosto che sul tipo di lavoro che i/le migranti svolgono. Questo permise alle delegazioni di evitare le discussioni in merito alla legittimità di qualsiasi tipo d’industria, sia essa agricola, domestica, tessile o sessuale, in modo da concentrarsi sui diritti fondamentali dei/lle lavoratori/trici e sulla lotta agli abusi sui diritti umani.

Purtroppo nonostante tutti questi successi i pericoli legati al contesto del traffico di esseri umani rimangono. Nel corso dei più recenti meeting ONU nel giugno 2000 attivisti abolizionisti hanno dimostrato quanto sia facile cancellare in pochi giorni il lavoro di persuasione di mesi quando si tratta di argomenti come prostituzione e sessualità. Hanno rinnovato il dibattito sulla prostituzione spingendo affinché venga proibito “lo sfruttamento, inclusa la prostituzione e altre forme di sfruttamento sessuale” e mettendo in discussione il supporto ai/lle sex workers.

Purtroppo il fantasma della convenzione del 1949 continua ad influenzare l’ONU. Questa serie di fatti potrebbe significare che la bozza di protocollo non sarà mai completata se le discussioni delle delegazioni si bloccano in un dibattito senza fine sulla legalità o meno della prostituzione. Se il protocollo non verrà mai completato, questo presenterà sia vantaggi che svantaggi. I difensori dei/lle sex workers non dovranno avere a che fare con un maggior numero di cattive leggi sul campo internazionale, ma potremmo aspettarci che ci sarà da combattere la stessa battaglia, forse in altri paesi dell’ONU. Se dovessi valutare la miglior ipotesi, direi che sarebbe meglio continuare a lavorare con le organizzazioni per i diritti umani per assicurare un completamento della bozza in tempo utile, in modo da poter difendere, o perlomeno non far regredire, i diritti dei/lle sex workers.

La partecipazione alle discussioni sul protocollo ha aperto molte porte sia a me che ad altri attivisti per i diritti dei/lle sex workers. Abbiamo imparato molto sul sistema dell’ONU e su come lavorare al suo interno, e possiamo spiegarlo ad altri. Abbiamo fatto nascere legami e rapporti professionali con numeros* attivist* nel campo dei diritti umani, che ora sono disponibili ad ascoltare le nostre preoccupazioni e a valutare il nostro punto di vista riguardo ad argomenti anche al di là della prostituzione. Soprattutto abbiamo imparato che dobbiamo aprirci e creare alleanze con i gruppi per i diritti dei/lle migranti, con gli/le operai/e dell’industria tessile, con i gruppi che combattono lo sfruttamento sul lavoro e coi lavoratori domestici, per creare una valida alternativa al contesto del traffico clandestino. Gli attivisti per i diritti degli immigrati hanno spesso provato a lavorare da soli per quanto riguarda l’immigrazione, ma ora sappiamo che questa non è una strategia né saggia né sostenibile.

Riferimenti:
1. L’Human Rights Caucus è un gruppo informale che include la Global Alliance Against Trafficking in Women (alleanza globale contro il traffico di donne), l’International Human Rights Law Group (gruppo legale internazionale per i diritti umani), Fundaciòn Esperanza, KOK – rete ONG contro il traffico di donne, Foundation Against Trafficking in Women e altre diverse ONG per I diritti umani.
2. Il testo integrale dello statuto del NSWP si trova su: www.walnet.org/csis/groups/nswp
3. Copie degli accordi sui diritti umani sono rintracciabili in francese, spagnolo, inglese e tailandese alla pagina web del GAATW: www.inet.co.th/org/gaatw
4. “The new people trade” (Il nuovo commercio di persone), Newsweek, 3 luglio 2003, pag.32: il dibattito sulla differenza tra sfruttamento dell’immigrazione clandestina e traffico di persone è complesso e lungo da trattare in questa sede…

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