1.1.3. VISITA AD ALTRE COMUNITA’ RIFUGIATE


Al fine di intervistarsi con i “desplazados”, la Commissione si e’ divisa in vari gruppi che sono entrati in contatto con gli accampamenti di Polho’, n-3, 4, 5, 6, Cocal-2, la comunita’ Casa de la Luna e il Municipio Autonomo di Poconichim.
I desplazados di questi accampamenti commentano ai membri della Commissione di non potersi azzardare ad allontanarsi dagli stessi, per timore di venire attaccati, quindi dipendono dall’aiuto esterno per tutto il necessario alla loro sussistenza . Si osserva che vivono all’aria aperta e che per proteggersi dalla pioggia e dal freddo intenso contano solamente con delle rudimentali tettoie fabbricate con plastica, cartone, e sostenute da rami. In ognuna di esse vivono da 6 a 15 persone.
Le condizioni igienico sanitarie sono praticamente nulle. Le malattie piu’ frequenti sono quelle relative alle vie respiratorie, alle afflizioni intestinali, parassitosi capillari e denutrizione, essendosi prodotti casi di morti di bambini piccoli per polmoniti e broncopolmoniti.
Si visita l’accampamento della Croce Rossa messicana di Poconichim e si intervista Cipriano Villega Apocada, Delegato Statale in Chiapas, il quale commenta che nella zona contano con 8 medici distribuiti tra Poconichim, Acteal, Xo’yep e Polho’ che si incaricano della distribuzione dei medicinali e degli alimenti cosi’ come delle vaccinazioni nella zona. Sulla questione della salubrita’ dell’acqua commenta che “la Croce Rossa Messicana potrebbe portare acqua depurata ma i desplazados non la vogliono e preferiscono bere un acqua che sembra un mattone”. Afferma che si tratta di un problema culturale e che “non hanno igiene ne’ personale ne’ nella casa”. Riferisce inoltre che si stanno realizzando consulte mediche e trasferimenti all’ospedale. Quando si domanda sul ritorno dei rifugiati alle loro comunita’ dice che “la Croce Rossa si e’ offerta per aiutarli a ritornare, ma loro hanno rifiutato l’aiuto”.
Nelle comunita’ dei rifugiati non esistono scuole e la maggioranza delle persone non comprende la lingua spagnola.
Al rientro della commissione a San Cristobal de Las Casas, si osservo’ un posto di blocco militare all’uscita di Polho’.

TESTIMONIANZE E DENUNCE


Il Consiglio Municipale Autonomo di Chenalhó informa che "molti sono i morti e le case bruciate e migliaia i rifugiati, da quando gli indigeni della regione hanno dato vita ai "Municipi autonomi" ed hanno cominciato a lottare per le loro giuste rivendicazioni". Aggiungono che "l'autonomia non mira alla separazione dallo stato, ma a incentivare la partecipazione dei cittadini indigeni. La Costituzione dice che i cittadini hanno diritto alla terra e all'uso dei boschi; l'autonomia non distrugge la nazione, ma riunisce indigeni e non indigeni in una sola voce".

Nelle varie zone visitate ci spiegano i motivi per i quali ci sono così tanti rifugiati. Nelle comunità di origine, gli aerei militari fanno voli radenti in continuazione e le incursioni senza autorizzazione di militari e polizia sono frequenti. Essi intimidiscono chi osa interrogarli sul perchè della loro presenza. Gli intervistati aggiungono che l'insediamento di un accampamento militare ha provocato il disboscamento nei terreni comunitari.

Denunciano attacchi alle comunità da parte di bande armate paramilitari che rapinano e/o distruggono proprietà, macchine e attrezzi di lavoro. Inoltre sparano facendo morti e feriti. Vogliono che gli abitanti se ne vadano per poi distruggere le loro case e i villaggi. I rifugiati identificano con nome e cognome gli appartenenti alle bande armate e denunciano l'acquisto da parte delle autorità municipali priiste di armi che, caricate su ambulanze, vengono successivamente distribuite ai paramilitari.

RELAZIONE DI PRESUNTI ASSASSINI PARAMILITARI CONSEGNATA DALLE COMUNITA’ ALLA COMMISSIONE:


Chenalho’:

Antonio Pérez Pérez, Mariano Pérez Gómez, Antonio Pérez Gómez, Bernabé Gómez Giménez, Javier Pérez Gómez, Antonio Pérez Pérez, Pedro Pérez Hernández, Pablo Pérez Moreno, Juan Jiménez Pérez, Mariano Pérez Pérez.
Totale: 10 aggressori.

Tzajalhucum:

Pablo Hernández Pérez, Juan Hernández Pérez, Nicolás Hernández Pérez, Mariano Pérez Pérez, Mateo Pérez Paciencia, Manuel Gómez Pérez, Andrés Gómez Pérez, Juan Gómez Ruiz, Miguel Gómez Ruiz, Juan Oyalte Pérez, Mariano Luna Pérez, Mariano Luna Pérez, Pedro Luna Gómez, Mateo Pérez Oyalte, Antonio Pérez Pérez, Victorio Pérez Oyalte, Juan Pérez Paciencia, Pablo Luna Ruiz, Antonio Pérez Luna, Manuel Pérez Luna, Sebastián Luna Pérez, Samuel Luna Pérez, Mariano Jiménez Pérez, Juan Jiménez Pérez, José Pérez Luna, Mariano Hernández Pérez
Totale: 26 agressori.

Jibeljoj:

Victorio Jiménez Santís, Bartolo Pérez Jiménez, Bartolo Santís Vázquez, Marino Gómez Pérez, José Gómez Pérez, Benjamín Gómez Pérez, Roberto Pérez Arias, Antonio Vázquez Gómez, Francisco Gómez Pérez, Victorio Ruiz Pérez, Faudino Gómez Pérez, Mariano Jiménez Pérez, Cristóbal Pérez Tus, Juan Gutiérrez Pérez, Tomás Pérez Ruiz, Agustín Montes Jiménez, Mateo Pérez Pérez, Mariano Gutiérrez Pérez, Manuel Pérez Pérez, Javier Gómez Pérez, Manuel Gómez Pérez, José Ruiz Pérez, Miguel Pérez Pérez, Juan Gutiérrez Guzmán.
Totale: 24 agressori

Tzanembolom:

Emilio Rodríguez Méndez, Diego Rodríguez Méndez, Mariano Hernández Gutiérrez, Manuel Gómez Vázquez, Agustín Arias Hernández, José Gómez Pérez, Antonio Gómez Pérez, Mariano Gómez Pérez, Ovidio Gómez Guillén, Manuel Jiménez Méndez, Fernando Gutiérrez Guzmán, Manuel Pérez Pérez, Gilberto Arias Pérez, José Gutiérez Vázquez.
Totale: 14 agressori.

Los Chorros:

Antonio Santiz López, Pedro Menéndez López, Diego Hernández Gutiérrez, Alonso Entzin Jiménez, Juan Santiz Entzin, Ernesto Luna Guzmán, Bartolo Pérez Vázquez, Victorio Tuiz Pérez, Roberto Méndez Gutiérrez, Sebastián Méndez Arias, Agustín Méndez Pérez, Antonio Méndez Jiménez, Domingo Entzin López, Martín Entzin López, Pedro Entzin López, Agustín Santiz Gómez,Juan José Santiz Entzin, Pedro Santiz Entzin, Enrique Girón Luna, Vicente Ortíz Vázquez, José Ortíz Vázquez, Lorenzo Ruíz Gómez, Alfonso López Luna, Antonio López Hernández, Mariano Jiménez Pérez, Alonso Girón Hernández, Alonso Méndez Pérez, Bartolo Vázquez Pérez, Vicente Gómez Giménez, Manuel Pérez Méndez, Cristóbal Pérez Méndez, Mariano Pérez Méndez, Lorenzo Pérez Méndez, Pedro Luna Pérez, Mariano Girón Hernández, Miguel Vázquez Pérez, Lorenzo Gómez Hernández, Antonio López Ruiz, Felipe Gómez Santiz, Agustín López Pérez, Diego Luna Entzin.
Totale: 41 agressori.

Denunciano inoltre che in alcune comunita’ le bande paramilitari chiedevano quote alle famiglie indigene, queste oscillavano tra i 10.000 e i 15.000 pesos, se non le pagavano “venivano torturati e assassinati”. Alcuni priisti che non avevano risorse economiche sufficienti sono stati costretti ad andarsene dalle loro comunita’ insieme ad altri indigeni basi d’appoggio zapatiste.

1.1.4. VISITA ALLA COMUNITA’ DI LAS ABEJAS AD ACTEAL.
18 FEBBRAIO 1998


Situazione della comunità

All’uscita dal Municipio di Polhó, uno degli autobus della Commissione si è diretto alla comunità di sfollati di Acteal, teatro del massacro del 22 dicembre 1997. La comitiva è stata trattenuta circa un’ora e mezzo da agenti dell’Immigrazione. Non vi sono stati altri contrattempi. Sulla via, sono stati notati due accampamenti dell’esercito abbondantemente equipaggiati: autocarri, carri armati ed artiglieria leggera.

Acteal sorge di fianco alla strada che viene da Polhó e vi abitano circa 400 persone, in gran parte sfollati provenienti da vari luoghi e in fuga dai paramilitari. La Commissione è ricevuta da tutta la comunità sotto un improvvisato telo di plastica, nei pressi della cappella dove c’è stato il massacro.
La Commissione osserva:

1) Come abitazione e per proteggersi dal freddo, vi è solo la cappella, il telo e un paio di costruzioni precarie, una delle quali serve da cucina comunitaria.
2) La straordinaria quantità di persone concentrate in così poco spazio. Dicono di non poter andare via perchè se lo impediscono i posti di blocco militari. Vivono come in una prigione all’aria aperta.
3) La grande coesione tra gli abitanti della comunità. É evidente d’altra parte che essi si trovano ancora sotto shock. Per dare degna sepoltura alle vittime essi stanno costruendo un cimitero nel centro stesso della comunità. 45 candele sempre accese e vi è anche un quadro in onore della Vergine della Guadalupe (patrona dei messicani, ndt), fiori, ecc.
4) Uno dopo l’altro e in maniera ordinata, hanno preso la parola il presidente della Associazione Las Abejas, il catechista responsabile della comunità cristiana e i parenti dei sopravvissuti le cui testimonianze riproduciamo qui di seguito.
5) La Commissione osserva anche i fori prodotti dalle pallottole nelle travi della cappella e le ferite alle gambe e al petto di tre bambini e una bambina.

Testimonianze

Il rappresentante della “Società Civile Las Abejas”, dice che essa è nata nel 1992 dopo la falsa accusa di omicidio mossa dalle autorità del municipio contro cinque persone della comunità. In seguito a ciò, esse sono state condannate a 20 anni di carcere. Spiega che accuse simili vengono mosse a coloro che non appartengono al PRI. Pertanto il loro gruppo nasce per evitare di essere del PRI. Il massacro - dicono - c’è stato perchè loro non sono del PRI.

Dice anche che la determinazione più importante de Las Abejas è di non utilizzare armi per difendersi. La ricerca della pace è portata fino alle estreme conseguenze. Non solo vogliono la pace, ma si proclamano pacifisti. L’attacco è stato particolarmente codardo perchè i paramilitari sapevano benissimo che loro non avrebbero reagito. Las Abejas è d’accordo con le richieste degli zapatisti contro l’oppressione, la povertà, per il diritto alla terra, alla dignità, ecc.. Tuttavia, ribadisce che loro cono assolutamente contrari all’uso delle armi.

Spiega anche che da tre anni l’esercito federale e la ‘Seguridad Pública’ (polizia locale, ndt) rubano le loro terre, bruciano le loro case i raccolti provocando la decomposizione del tessuto sociale. Aggiunge che una situazione simile non si era mai presentata prima.

Spiega che la cosa più importante in questo momento è la ritirata delle truppe federali. É l’esercito che ha ucciso, che ha bruciato case e portato la prostituzione. Per questo motivo, gli abitanti di Acteal rifiutano l’aiuto dell’esercito. Dopo il massacro, i militari fanno ‘azione sociale’ (labor social): distribuiscono un po’ di cibo, cavano i denti, fanno i barbieri... Ma loro non vogliono questo genere di aiuto. Preferiscono morire di fame, che accettare il cibo dalle mani degli assassini dei loro genitori o dei loro figli. Ciò che vogliono è che i soldati se ne vadano, La comunità crede l’esercito stia inventando nuove tattiche per ingannarli, perciò dicono che continueranno a non accettare nulla.

Dopo queste parole, legge gli statuti dell’Associazione e il comunicato emesso dopo il massacro e ci li consegna.

Il rappresentante della comunità cristiana spiega che la comunità è cattolica e che la scelta di pace è il risultato della fede in Dio. Ecco le sue parole: “la nostra non-violenza è un’esigenza evangelica. Noi sapevamo che i paramilitari potevano attaccarci perchè il giorno prima avevano attaccato un villaggio vicino. A quel punto, uno di noi che era “delegato della parola’ (una specie di catechista laico, ndt) ci ha riunito nella cappella per pregare, visto che la preghiera è la nostra arma principale. Egli parlò così pochi minuti prima che arrivassero i paramilitari: “Fratelli, preghiamo Dio che non ci uccidano, preghiamo che ci dia la pace per il Chiapas affinchè possiamo lavorare insieme. Se ci uccidono, sappiamo che la cosa più importante è donare la vita. Speriamo che Dio non lo voglia”. Così disse. Si chiamava Alonso e pochi minuti dopo era morto. I paramilitari arrivarono sparando e la gente si mise a correre in tutte le direzioni. Erano le 10.30 del mattino. La sparatoria continuò fino alle 5.00 del pomeriggio; i soldati erano qui vicino, potevano ascoltare, ma non si avvicinarono fino a quando cessarono gli spari. A quel punto, arrivarono a dirci che erano lì per proteggerci.

Concluso l’intervento, parlano altre 15 persone tra parenti e sopravvissuti. Tutti concordano nella descrizione del massacro: la preghiera, il discorso del ‘delegato della parola’, l’incendio delle case, l’arrivo dei soldati quando tutto è finito. Si salvano solo quelli che riescono a trovare un nascondiglio...

Sono d’accordo anche sulle cause del massacro: è perchè non appartengono al PRI e sono un obiettivo facile in quanto disarmati. La valutazione del momento è la stessa: vivono ‘assediati’ dai soldati federali con una media di 80 ronde al giorno, sentinelle appostate ovunque, voli radenti, intimidazioni...

Non sono riusciti a fare il raccolto del caffè, perchè non possono uscire dal recinto e credono che non potranno neanche seminare il mais del prossimo ciclo. Vivono di riso e fagioli grazie agli aiuti internazionali. Ma l’esercito crea problemi anche per questo e poi la carità non può durare per sempre.
Dicono che vi sono rifugiati anche in altri accampamenti e che anche loro sono assediati. I priisti invece sono liberi, ricevono aiuti ed armi. Gli assassini sono in libertà, tutti li conoscono. All’inizio li hanno arrestati ma, immediatamente, sono stati liberati. Adesso circolano senza problemi.

Tutti sono d’accordo nel dire che non vi è giustizia. Condividono un sentimento di terrore e di essere abbandonati. Sono riconoscenti alla Commissione Civile di voler spiegare “la nostra verità al mondo”. Tutti rifiutano l’ “azione sociale” dell’esercito.

Dopo di ciò, gli abitanti mostrano alla Commissione i buchi delle pallottole nella cappella e nel resto della comunità, il che dimostra le persecuzioni di cui sono stati oggetto i sopravvissuti durante le lunghe ore del giorno 22. Dopo la visita al cimitero - al centro del quale si trova un piccolo altare dedicato alla Vergine della Guadalupe che rimarrà come ricordo e luogo di preghiera - la comunità offre alla Commissione il proprio povero pasto composto da riso e fagioli.

CONSTATAZIONI


1. Sebbene la funzione della Commissione Civile Internazionale in Acteal non sia evidentemente quella di fare indagini sul massacro (per questo esistono già altre commissioni e vi è documentazione sufficiente), ciò che abbiamo visto e la concordanza di tutte le testimonianze dei sopravvissuti apportano elementi di indubbio interesse.

2. La situazione attuale è di assedio militare, di carcere all’aria aperta. Certamente non abbiamo visto ronde, sentinelle, voli radenti o intimidazione da parte dei soldati, tuttavia l’unanime corrispondenza delle testimonianze non lascia spazio ai dubbi: le persone che abitano qui non hanno potuto fare il raccolto, nè seminare. Sono prese per fame.

3. La mancanza di tutto: igiene, sanità, alimentazione, strutture educative, l’alta concentrazione di persone, la vita alle intemperie con il freddo intenso della regione è la misura delle condizioni infraumane in cui questa gente è ridotta a vivere dopo il massacro di 45 innocenti. Ciò è di una violenza incredibile. Si tratta di una violenza strutturale, volta a spingere la collettività alla disperazione. In questo senso, il rifiuto dell’aiuto offerto dai soldati appare come l’ultima risorsa della collettiva per non perdere la dignità di fronte agli assassini.

DOCUMENTI


1. Atto di costituzione de Las Abejas.

L’organizzazione Las Abejas di Chenaló si è formata il giorno 10 dicembre 1992. L’organizzazione ha come logotipo una ape-regina. L’ape-regina sta nell’alveare, lavora con le altre api. L’alveare non si divide. L’ape-regina è il regno di Dio, le api sono gli esseri umani. L’ape-regina non vuole ingiustizie, violenza, nè carcerazioni. Vuole la libertà per tutti gli esseri umani.

L’Associazione è nata per via delle violazione ai diritti umani di cinque nostri compagni che sono stati incolpati ingiustamente come colpevoli di omicidio, furto, violazioni. Ma erano innocenti. Nessuna autorità si è degnata di venire a indagare sul posto, non le autorità municipali, non la polizia giudiziaria. Le accuse si fondano su dichiarazioni false. Tuttavia, l’ex governatore, Patrocinio González Garrido, ordinò di condannare i nostri compagni innocenti a vent’anni di galera.

I veri colpevoli erano in libertà fino a quando ci siamo organizzati nell’Associazione Las Abejas ed il governo del Chiapas ha liberato i nostri compagni che sono rimasti 27 giorni nella prigione di San Cristobal de Las Casas.

Abbiamo fondato Las Abejas per esigere che il governo conduca indagini serie prima di arrestare una persona innocente. É per questo che ci siamo organizzati e continuiamo ad esserlo.

2. Denunce

Organizzazione della società civile per la pace “Terra sacra dei martiri di Acteal”, municipio di Chenalhó, Chiapas, Messico, 18 febbraio 1988.

Alla Organizzazione delle Nazioni Unite
Al Parlamento Europeo
Al Governo Federale della Repubblica Messicana
A tutti i Governi del Mondo,
Ai popoli solidali con i diritti degli indigeni
All’opinione pubblica
Ai mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali

Soffriamo da secoli perchè non conosciamo i nostri diritti umani e le garanzie individuali che ci da la Costituzione. I governi federali e statali ci hanno proibito di godere dei nostri diritti. Non abbiamo il diritto di vivere della terra.

Da quando, tre anni fa, sono arrivati l’Esercito Messicano e la Seguridad Pública, essi si sono impossessati delle nostre comunità nelle differenti regioni dello stato del Chiapas dove ci sono problemi. Ciò ha provocato un’enorme decomposizione sociale. Noi non avevamo mai visto niente di simile.

Essi hanno costruito 18 caserme, oltre a vari distaccamenti militari. Inoltre hanno piazzato innumerevoli posti di blocco dell’esercito e della polizia di frontiera.

Per quanto riguarda il massacro di Acteal, avvenuto il 22 dicembre 1997, dichiariamo che le autorità non hanno fatto nulla per fermarlo. Anzi dopo di allora, la guerra di bassa intensità è cresciuta e i suoi effetti sono evidenti. Pertanto esigiamo:

Processare secondo la legge vigente i presunti responsabili, gli autori intellettuali del crimine così come quelli materiali e le bande dell’ex governatore César Ruiz Ferro, Homero Tobilla Cristiani, Antonio Besares Escobar, Jorge Enrique Hernández Aguilar, Antonio Pérez Hernández, Uriel Jarquín Gálvez, David Gómez Hernández, Jorge Gamboa Solís, Manuel Ansaldo Meneses, José Luis Rodríguez Orozco, Roberto García Rivas, Julio César Santiago Díaz, Antonio del Carmen López e Roberto Marín Méndez Gómez.

Con angoscia e terrore, noi sopravvissuti del massacro, bambini, donne, anziane e anziani, da 59 giorni o 1416 ore patiamo la fame, il freddo, la pioggia e il dolore. Siamo molto vulnerabili in questi accampamenti civili per la pace.

I. Esigiamo l’immediato chiarimento del massacro di Acteal avvenuto il 22 dicembre dell’anno scorso e la detenzione di tutti i responsabili intellettuali, i responsabili materiali, nonché le bande.
II. Esigiamo il disarmo di tutti i paramilitari e delle bande nelle differenti regioni del paese.
III. Esigiamo la demilitarizzazione di tutte le regioni e stati del paese.
IV. Esigiamo rispetto degli Accordi su Diritti e Cultura degli Indigeni firmati a San Andrés Larráinzar.
V. Esigiamo che si faccia uno studio per quantificare le perdite dei raccolti e delle proprietà.
VI. Esigiamo il risarcimento dei danni e delle case distrutte.

Fraternamente
seguono le firme di 6 rappresentanti de Las Abejas di Chenaló, Chiapas e di rappresentanti di altre 24 comunità Abejas di Chenaló.

. .
Richieste degli abitanti e dei rifugiati di Polhó


Dal governo esigono: "giustizia, che si carcerino gli aggressori, gli assassini e i mandanti delle bande paramilitari. Che l'esercito federale si ritiri, cosicché essi possano tornare alle comunità e riorganizzarsi la vita”
Vogliono che il governo "paghi un indennizzo ai familiari delle vittime di Acteal". Richiedono "aiuto diretto alla società civile: cibo, alloggio, vestiti, attrezzi e tubature per l'acqua.
Sollecitano "la presenza di osservatori internazionali affinché si rispettino gli Accordi di San Andrés e i diritti umani".
Fanno pervenire alla commissione la richiesta di costruire 250 case per i rifugiati.

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