guerriero
INCONTRO DEI POPOLI INDIGENI
D'AMERICA

Vicam, Sonora - Mexico. 11/14 Ottobre 2007

I mille colori del Messico,
Sabato 13 ottobre

pubblicoTra la sera del venerdì e metà della giornata del sabato, sul palco sono intervenute venticinque delegazioni delle numerose etnie indigene che popolano il Messico. Il rischio di questo rendiconto è quello di minimizzare o perdersi eccessivamente nelle vastità dei popoli, delle culture, dei costumi, delle sopraffazioni, delle violenze subite e denunciate. Ad ascoltarli, invece di provare stanchezza o noia, ci si rende conto dell'arcobaleno meraviglioso della ricchezza dei popoli e della vita, quelle sfumature e quei colori che in occidente sono stati già compressi e standardizzati nel formato del consumatore neoliberista.

Proviamo quindi a citare alcune delle testimonianze a nostro avviso più rilevanti o indicative, con la speranza di non equivocarci eccessivamente nella scrittura dei nomi delle distinte popolazioni. In caso di inesattezze nella dicitura, invitiamo il lettore a segnarlacele e provvederemo a corregerle, dato che per l'alto numero di testimonianze non è stato possibile verificare ogni citazione.

Gran parte delle testimonianze e delle storie dei popoli nativi del Messico sono state fatte in tre lingue, quella originaria, poi in spagnolo e infine tradotte in inglese per i delegati nordamericani.

Apre i battenti la tribù ospitante, quella degli Yaqui. Gli Otto Popoli di questa terra arida e calda rendono omaggio a tutti quei caduti nelle numerose battaglie che hanno reso possibile l'esistenza, oggi, di un territorio Yaqui e la perseveranza di una cultura autoctona. Gli yaquis sono un popolo particolarmente combattivo e fiero e spendono poche parole per il pubblico, lo sforzo di questo evento parla da sè. Sottolineano particolarmente l'assedio mediatico a cui sono da sempre sottoposti, dipinti come eterni cattivi, da usanze irriducibili; però chiosano: "Siamo forti. Non vinceranno mai i capitalisti."

Un lungo applauso accoglie la delegazione del popolo Zapoteco di Oaxaca, del CIPO-RFM (Consiglio Indigeno Popolare Oaxachegno - Ricardo Flores Magon). Questo gruppo ha fatto parte della celebratissima APPO, è attualmente membro del VOCAL (Voci di Oaxaca Costruendo Autonomia e Libertà) ed è aderente all'Altra Campagna. Della lunga lista di detenenuti e delle tormentate vicende della lotta nella comune di Oaxaca, vale la pena citare i 6 prigionieri della comunità di San Isidro, arrestati per la difesa del proprio bosco e David Venegas, consigliere delle barricate nella APPO, ancora imprigionato. Questo consigliere e il CIPO, dicono, si sono battuti perché la APPO non diventasse una piattaforma elettorale e ammettono di leggere con piacere la grande astensione popolare che c'è stata nelle elezioni regionali dell'agosto 2007. Un ultimo accenno alla devastazione del Piano Puebla Panama, un corridoio di infrastrutture logistiche per aprire le rotte commerciali alle multinazionali e che minaccia seriamente tutte le comunità indigene di Oaxaca e, in generale, del centroamerica.

Ci sono alcuni delegati che, col loro spagnolo semplice, umilmente rappresentano la gente del campo e, alieni alla palestra della retorica politica, portano sul palco le proprie disgrazie, le loro piccole ma significative storie di repressione e resistenza.

Soques di ChimalapaE' l'esempio di una signora Chichimeca (stato di Guanajuato), madre di dodici figli, che racconta dello sgombero subito dalla sua comunità all'apparire di un fantomatico latifondista: "Abbiamo i nostri anziani, di 70, 80 anni e nessuno di loro si ricorda di aver mai visto un padrone di queste terre".
O è il caso degli ñañhú di San Pedro Acapulco che resistono alle imprese immobiliari che vogliono cementificare il loro bosco.
O una vicenda emblematica che ci raccontano alcuni Zoques di Benito Juarez di Chimalapa, al confine col Chiapas che da 30 anni subiscono invasioni e intimidazioni da parte dei latifondisti e dei ricchi bovari dello stato confinante.
O ancora un delegato dei Mazahauas che si dilunga nell'estenuante trafila burocratica che ha portato avanti come portavoce del villaggio, affinché le loro terre ejidali (comunitarie, per assegnazione di decreto rivoluzionario) non fossero lottizzate con l'accorpamento a un altro municipio. Trafila ancora pendente e si chiede e ci chiede con un volto sofferto: "Fin dove giungeranno i loro abusi? Qual'è la soluzione? Che facciamo? Come lo facciamo, compagni?".
O anche gli Huicatecos che ci informano che il governo gli ha sottratto 3500 ettari di terra per consegnarla in usufrutto fino al 2050 alle compagnie estrattive, "dimenticandosi" di consultarli.
Oppure i Mixtecos, il cui nome significa "uomini della pioggia e delle nubi" e sta indicarli come abitanti delle zone alte e montagnose dello stato di Oaxaca. Raccontano di una comunità svuotata dalla migrazione e dilaniata dal conflitto agragrio imposto, anche a loro, dall lottizzazione dei terreni collettivi, che ha portato a una faida omicida nella comunità stessa.

Il popolo Coca, presente nello stato di Jalisco, è rappresentato invece da una delegazione inviata dalla autorità tradizionali delle loro comunità. Il messaggio che portano, come tutti, è un messaggio di spoliazione forzata e resistenza. Loro sono i custodi di 3600 ettari di boschi e fiumi, conservati respigendo meticolasamente, da secoli, ogni estraneo. La loro terra è formalmente difesa da due titoli, uno datato addirittura 1534 e l'altro del 1971, ma questo non ha impedito a un ricco possidente di invadere e rubare 10 ettari di terra. Per ora si stanno muovendo, da 8 anni, per vie legali anche perché il problema più grosso resta il governo stesso. Rivuole le terre dei cocas per impossessarsi di un'isola nel mezzo di un lago da sfruttare turisticamente. L'isola per gli indigeni ha un valore storico particolare, perché lì resistettero agli spagnoli e si nascosero quegli insorti che poi custodirono la terra ereditata dagli attuali cocas.

Parlano i Choles del Chiapas. Sono due delegati di quei 2600 indigeni che dopo aver recuperato nel 1994 alcune terre con l'insurrezione dell'EZLN, furono "desplazados" dalla guerra sporca dei paramilitari degli anni '95-'98, che ha mietuto 254 morti. La strategia controinsurrezionale paramilitare, dicono, è uno strumento per imporre un conflitto fratricida e permettere al governo o di lavarsene le mani o di intervenire militarmente, dipendendo ciò che più le conviene per continuare a rubare terre e dare vita ai progetti di privatizzazione. Parlano dello sgombero, avvenuto ad agosto 2007, delle tre comunità nei Montes Azules, quella zona che il governo ha voluto trasformare in Riserva Protetta al fine di cacciare come coloni invasori tutte quelle comunità, essenzialmente zapatiste, che vi si sono insediate negli anni. Parlano inoltre della divisione delle comunità attraverso la riduzione delle terre lavorate collettivamente in piccole proprietà private che a loro volta posso essere fagocitate più facilmente dall'espansionismo latifondista delle multi. Dicono che sono contenti, che oggi siamo tanti e domani saremo il doppio e che, dopo l'esperienza terribile della migrazione forzata per mano della guerra sporca, non hanno più paura dell'esercito e della polizia.

Nahaus di AtencoLa parola passa ad un altro popolo "famoso", quello Nahua, i contandini di Atenco, di Xochimilco e dello Stato del Messico e di quello del Michiocan. Una veneranda signora, addobata con collane, bastone del comando, ghirlanda infiorata da curandera, grida la sua indignazione: "Dobbiamo parlare la nostra lingua, dobbiamo difenderla! E mi riferisco alla tradizione orale, a quella parlata, non quella che alcuni studiosi dicono di scrivere. Sappiamo la carta che valore ha, soggiace ai capricci dei potenti..."
La compagna d'Atenco, col machete in pugno, ricorda che solo la lotta paga e che l'aereoporto di Fox, alla fine, è rimasto solo un sogno nella scrivania degli ingegneri del Capitale. Lascia un omaggio all'EZLN che hanno saputo ribaltare la storia già scritta dai potenti, permettendo un orizzonte più ampio in cui ognuno/a può disegnare il proprio futuro.
I nahuas del Michiocan respingono costantemente tutte le proposte del governo e delle sue segreterie per regolarizzare i territori e le spiaggie; sanno già, dicono, che sono tutte trappole per fregarci domani legalmente. Infine ricordano che un popolo nauha già è stato sterminato, quello azteca e che questo non dovrà più ripetersi. Conclude uno di loro: "S'imposero e rubarono le nostre terre e le nostre anime con la spada e la croce. Prima con la religione cattolica, mentre ora si insinua quella evangelica. Mi permetto di dire, allora, che la religione cattolica è funzionale al capitalismo e che dunque, compagni, al YA BASTA politico dobbiamo accompagnare il YA BASTA religioso ed essere liberi di amare i boschi, le montagne, i fiumi, gli animali e i nostri simili".

Anche i Purepechas, del Michiocan, parlano di terra rubate che iniziarono a recuperare dal 1979. Si dicono particolarmente preoccupati che le proprie tradizioni siano state convertite in mercanzia per turisti e, parlando della loro terra di laghi e vulcani, chiariscono i simboli della loro bandiera: azzurro per i laghi, verde per le montagne, il giallo degli undici popoli che sono, il viola che è la culla e il germoglio del mais; al centro dei quattro quadrati colorati, un pugno rappresenta l'unione, le 4 frecce i punti cardinali e la difesa del territorio e, infine, il fuoco che divampa nella lotta.

Donne CucapàParlano tre signore del popolo Cucapà, ridotto a 319 individui e anche con forti divisioni interne. Questo popolo è quasi arrivato al capolinea dell'estinzione, vivendo di caccia e pesca a ridosso del Rio Colorado in Bassa California. Si stanno estinguendo, oltre che per lo sterminio manu militari subito come ogni popolo, dall'emissione di un decreto governativo del '93 che ha trasformato le loro acque in zona protetta, impededogli accanitamente di pescare. Lo stesso decreto che tranquillamente calpesta l'incomparabile concorrenza dei peschieri delle multinazionali. Il governo ha proposto al popolo Cucapà di cambiare attività produttiva, con l'intento di cancellare la loro cultura tradizionale e allontanarli dalle coste dove è prevista l'Escalera Nautica, cioè una serie di attracchi per imbarcazione da diporto nel mar di Cortes. Ringraziano l'EZLN per aver dato vita a un accampamento solidale nella stagione di pesca del 2007, allentando la pressione delle forze nemiche e permettendo l'approviggionamento della comunità e la diffusione del loro caso.

Un caso altrettento drammatico, di un popolo tanto antico quanto dimenticato, è quello dei Kiliwa, sempre della Bassa California. Sono sopravvissute soltanto 190 famiglie, che vivono della raccolta e della lavorazione di una palma, la stessa che fa gola a un'impresa nordamericana che ne ricava uno spumeggiante che vende alla Coca Cola. Di questa tribù, rimangono in vita solo cinque persone che parlano la lingua nativa e il delegato, con una certa mestizia, ci confida che sono coscienti che se loro spariscono per il governo è nient'altro che un problema in meno.

Parole speciali merita il momento dedicato al popolo Triqui. Nei minuti concessi ai vari rappresentanti si condensano emozioni forti, quelle che per decenni hanno dilaniato con diaspore, assassinii, sequestri, faide politiche, questo nutrito e combattivo popolo. I delegati vengono dai quattro angoli del Messico (Sonora, Città del Messico, Bassa California e Oaxaca), dove si sono rifugiati i triqui per sfuggire al conflitto sanguinoso di Oaxaca o dove sono andati in cerca di fortuna per l'estrema povertà della loro terra natale. Parla dunque un rappresentante triqui della Bassa California, perseguitato politico, che lancia un appello per ricevere assistenza legale contro i reati che il governo architetta a danni degli indigeni e, inoltre, fa un'esortazione all'unità.

Prende la parola un delegato dell'organizzazione MULTI (Movimento Unitario di Liberazione Triqui Indipendente), fondatrice del Municipio Autonomo di San Juan Copala. Le parole d'ordine del suo intervento sono: libera autodeterminazione dei popoli; autonomia amministrativa, legislativa, esecutiva; mantenimento degli usi e costumi tradizionali; e, dunque, sostiene: "Crediamo che i nostri problemi debbano essere risolti da noi stessi, contando sulle nostre forze. Per questo non riconosciamo il governo e abbiamo fondato il nostro municipio autonomo". Fa un invito a partecipare all'Incontro Nazionale dei Municipi Autonomi dal 19 al 21 gennaio 2008, nella loro comunità. Importante sottolineare che a chiusura dell'intervento, rivolgendosi al "rivale" del MULT (Movimento Unitario di Liberazione Triqui) e al pubblico, quindi di fronte a speciali testimoni, afferma l'estraneità della sua organizzazione nel sequestro di due donne militanti del MULT e ne richiede ufficialmente l'apparizione in vita, accusando il governo di strumentalizzare queste drammatiche vicende al fine di fomentare le faide interne al movimento di lotta triqui.

Risponde, dopo i triqui di Sonora del FULT (Fronte di Unificazione della Lotta Triqui per la Libertà dei Popoli Indigeni), il rappresentante del MULT, la parte dei Triqui in acceso conflitto con gli "autonomisti" nella stessa San Juan Copala. Ammettono che le divergenze sono frutto di una strategia del governo che propizia di questa divisione per saccheggiare il territorio oaxachegno e si augura, con evidente commozione di tutti i rappresentanti, che questo incontro, che accomuna i triqui quanto l'essere membri del Congresso Nazionale Indigeno e dell'Altra Campagna, sia un primo passo per la riappacificazione e la costruzione dell'unita politica.

A proposito di autonomia, intervengono due delegati del popolo Tlapaneco, dello stato di Guerrero, che traggono in questo senso una lunga esperienza di difesa della propria indipendenza politica e culturale. "A nome di quei guerrieri che diedero la vita per la nostra terra, di coloro i quali portiamo il sangue nelle vene, facciamo appello a un fronte comune, perché qui, compagni indigeni, nanetti o spilungoni, del nord o del sud, con soldi o senza soldi, siamo tutti fratelli, siamo tutti essere umani con diritto di vita". E citano due diritti: il diritto legale, sancito dal potere e scritto sulla carta e il diritto consetudinario, sancito da prima di Cristo dai popoli e scritto sulle montagne, sui fiumi, nelle valli. I governi, dunque, non sono governi, perché l'unico mandatario è il popolo; in questa logica è impensabile riconoscere un governo armato che, autonominatosi rappresentante di tutti, non fa altro che difendere violentemente gli interessi del capitalismo e delle multinazionali.

Nello Costa Chica di Guerrero più di 50 comunità, attraverso le proprie assemblee comunitarie, hanno deciso di gestire da sè la sicurezza, ripudiando la polizia federale e statale, e impiantando un'organizzazione dal basso di vigilanza civica: la polizia comunitaria. Questa esperienza meriterebbe di essere trattata a parte, per i significativi risvolti sociali che ha avuto e le prospettive politiche che apre nella strutturazione di una società alternativa, però ci limitiamo a segnalare che la zona sorvegliata da queste "guardie del popolo", in 12 anni di attività, è passata da essere una delle più pericolose del Messico a una delle più sicure. Quasi 700 agenti, scelti e armati dalle comunità (sempre destituibili e costantemente vigilati dalle assemblee), impartiscono la giustizia secondo gli usi e i costumi indigeni, evitando la punizione carceraria. Dice il commissario sul palco, citando fra le righe il guerrigliero Lucio Cabaña: "La polizia comunitaria, come nessuna polizia al mondo, è fatta dal popolo, per il popolo".

Delegazione tzetzal e tzotzilPer gli tzeltales, o meglio per le tzeltales chiapaneche, parla una delegata che esordisce con una preghiera e un pensiero particolare alle donne violentate, abusate, ignorate in quanto povere, in quanto indigene, in quanto donne. Con fatica, per le difficoltà politiche, culturali ed economiche che incontrano, si stanno aprendo un cammino affinché siano visibili e presenti in ogni evento, perché si ascolti la loro voce: "Non permetteremo di essere escluse dalla difesa della terra, perché siamo noi le guardiane della vita, delle tradizioni e siamo noi che mettiamo alla luce i guerrieri che combatteranno per lei. Nessuno ci leverà il diritto di difendere i nostri figli e la nostra Madre". La guerra che combattono, in Chiapas, è la guerra sporca che il governo impone in ogni momento attraverso la paramilitarizzazione del territorio e l'assedio mediatico, che fabbrica menzogne ad hoc per lo stato di permanente allerta.

Accompagno gli tzeltales, sul palco come nella storia, il popolo Tzotzil del Chiapas, per i quali testimonia un rappresentante dell'associazione civile e pacifista Las Abejas. Il delegato è della comunità di Acteal, dove il 22 dicembre del '97 furono massacrati, mentre pregavano nella chiesa del villaggio, 45 donne, anziani e bambini, accusati di essere zapatisti. Dopo 10 anni, sono stati consegnati alla giustizia solo gli esecutori materiali, indigeni paramilitari, ma mancano i responsabili politici del massacro, quelli che ancora siedono nelle poltrone del potere, cambiando di partito in partito. In ricordo di questa strage, quest'anno si celebrerà un evento speciale dal 20 al 23 dicembre ad Acteal, per esigere giustizia e continuare a costruire reti sociali e resistenti.

La delegazione del popolo Wixarika (stati di Jalisco, Durango e Nayarit) è variopinta e nutrita, come a rimarcare la prima frase che dettano: "Noi esistiamo, anche se il governo dice che no". Parlano di quel conflitto agrario già citato numerose volte: la parcellizzazione delle terre ejidali e indigene conquistate con la rivoluzione zapatista di inizio secolo, sancite dalla costituzione del 1917 e calpestate costantemente dai grandi interessi economici che il governo difende. Dicono che vale pena strategicamente di impugnare la recente dichiarazione dei diritti indigeni dell'ONU come strumento di lotta, ma ammettono, con rammarico, che gli stessi tribunali, nelle loro vicende legali, non riconoscono il concetto di "terra ancestrale". Ricordando che sono solo dei messaggeri e che riporteranno fedelmente le parole dell'Incontro alle proprie assemblee comunitare, chiudono: "Se il presente è lotta, il futuro sarà nostro".

Inizio

Convocazione

Comunicati e Appelli

Corrispondenze

Galleria Fotografica

Gli Yaqui, la tribù ospitante

Sito ufficiale dell'Incontro
(in spagnolo)

Sito dell'EZLN
(in spagnolo)

 

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