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7 PEZZI SPARSI DEL ROMPICAPO MONDIALE

Il neoliberismo come rompicapo: la inutile unità mondiale che frammenta e distrugge le nazioni

Subcomandante insurgente Marcos

(edizioni del Frente Zapatista de Liberacion Nacional n° 3 - Jul 1997)


"La guerra è una questione di importanza vitale per lo stato, è la provincia della vita e della morte, il cammino che porta alla sopravvivenza o all'annichilimento. E' indispensabile studiarla a fondo." L'arte della guerra. SUN TZU.

La globalizzazione moderna, il neoliberismo come sistema mondiale, deve intendersi come una nuova conquista di territori.

La fine della III guerra mondiale o "guerra fredda" non significa che il mondo ha superato la bipolarità e si trova stabilmente sotto la egemonia del trionfatore. Al termine di questa guerra ci fu, senz'ombra di dubbio, un vinto (il campo socialista), però è difficile dire chi fu il vincitore. Europa Occidentale? Stati Uniti? Giappone? Tutti loro? Il fatto è che la sconfitta dell'"impero del male" (Reagan e Tatcher dixit) significò l'apertura di nuovi mercati senza un nuovo padrone. Ciò comportò, quindi, una lotta per prendere possesso di essi, conquistarli.

Non solo, la fine della "guerra fredda" portò con sé un nuovo ambito di relazioni internazionali nel quale la nuova lotta per questi nuovi mercati e territori produsse una nuova guerra mondiale, la IV. Questo obbligò, come in tutte le guerre, a una ridefinizione degli stati nazionali. E aldilà della ridefinizione degli stati nazionali, l'ordine mondiale ritornò alle antiche epoche delle conquiste di America, Africa e Oceania. Strana modernità questa, che avanza indietreggiando; il tramonto del secolo XX assomiglia di più ai brutali secoli antecedenti che al placido e razionale futuro di qualche novella di fantascienza. Nel mondo del postguerra fredda vasti territori, ricchezze e soprattutto forza lavoro qualificata, aspettavano un nuovo padrone. Però uno è il posto del padrone del mondo, e molti sono gli aspiranti ad esserlo. E per ottenerlo si consuma un'altra guerra, però ora tra quelli che si autodenominarono l'"impero del bene".

Se la III guerra mondiale fu tra il capitalismo e il socialismo (capeggiati rispettivamente dagli Stati Uniti e dall'URSS) con scenari diversi e differenti gradi di intensità, la IV guerra mondiale si realizza ora fra i grandi centri finanziari, con scenari globali e con un'intensità acuta e costante.

Dalla fine della III guerra mondiale fino al 1992 si sono scatenate 149 guerre in tutto il mondo. Il risultato, 23 milioni di morti, non lascia dubbi sull'intensità di questa III guerra mondiale (dati dell'UNICEF).

Dalle catacombe dello spionaggio internazionale allo spazio siderale della nominata Iniziativa di Difesa Strategica (la "guerra delle galassie" del cowboy Ronald Reagan); dalle sabbie della Baia dei Porci, a Cuba, fino al delta del Mekong, in Vietnam; dalla sfrenata corsa agli armamenti nucleari fino ai selvaggi colpi di stato nella dolorosa America Latina; dalle ignobili manovre degli eserciti dell'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord fino agli agenti della CIA nella Bolivia dell'assassinio di Che Guevara; la erroneamente chiamata "guerra fredda" raggiunse temperature alte che, a causa del continuo cambiamento di scenario, e l'incessante tira-e-molla della crisi nucleare (o precisamente per questo), finirono per fondere il campo socialista come sistema mondiale, e lo diluirono come alternativa sociale.

La III guerra mondiale mostrò i vantaggi della "guerra totale" (ovunque e in tutte le forme) per il trionfatore: il capitalismo. Però lo scenario del postguerra restò definito, di fatto, come un nuovo teatro di operazioni mondiali: grandi estensioni di "terra di nessuno" (per lo sfondo politico, economico e sociale dell'Europa dell'Est e dell'URSS), potenze in espansione (Stati Uniti, Europa Occidentale e Giappone), crisi economica mondiale e una nuova rivoluzione tecnologica: quella informatica. "Così come la rivoluzione industriale permise la sostituzione del muscolo con la macchina, l'attuale rivoluzione informatica tende alla sostituzione del cervello (perlomeno di un numero ogni volta più importante delle sue funzioni) con il computer. Questa "cerebralizzazione generale" dei mezzi di produzione (sia nell'industria che nei servizi) è accelerata per l'esplosione di nuove ricerche nelle telecomunicazioni e la proliferazione dei cybermondi." (Ignacio Ramonet. "La planété des désordres" en "Géopolitique du Chaos." Maniére de Voir 3. Le Monde Diplomatique (LMD). Aprile 1997).

Il re supremo del capitale, il finanziere, incominciò allora a sviluppare la sua strategia di guerra sul nuovo mondo e sopra ciò che restava del vecchio. Per mezzo della rivoluzione tecnologica, che pose il mondo intero, per mezzo di un computer, nei suoi registri e a suo arbitrio, i mercati finanziari imposero le proprie leggi e precetti a tutto il pianeta. La mondializzazzione della nuova guerra non è altro che la mondializzazione delle logiche dei mercati finanziari. Da comandanti dell'economia, gli stati nazionali (e i loro governanti) diventarono comandati, meglio ancora telecomandati, dal cardine del potere finanziario: il libero scambio commerciale. E non solo, la logica del mercato utilizzò la "porosità" che in tutto lo spettro sociale del mondo provocò lo sviluppo delle telecomunicazioni, e penetrò e si appropriò di tutti gli aspetti dell'attività sociale. Alla fine una guerra mondiale totalmente totale!

Una delle prime basi di questa nuova guerra è il mercato nazionale. Come una pallottola sparata dentro una stanza blindata, la guerra iniziata dal neoliberismo rimbalza da uno all'altro lato e ritorna a chi la sparò. Una delle basi fondamentali del potere dello stato capitalista moderno, il mercato nazionale, è liquidato dalla cannonata della nuova era dell'economia finanziaria globale. Il capitalismo internazionale riscuote alcune delle sue vittime abbattendo i capitalismi nazionali e assottigliando, fino all'inutilità, i poteri pubblici. Il colpo è stato tanto brutale e definitivo che gli stati nazionali non dispongono della forza necessaria per opporsi all'azione dei mercati internazionali, che non rispetta gli interessi dei cittadini e dei governi.

La cura e l'ordine, vetrina che si supponeva ereditasse la fine della "guerra fredda", il nuovo ordine mondiale, rapidamente si vede frantumata dalla esplosione neoliberale. Il capitalismo mondiale sacrifica senza alcuna misericordia ciò che gli diede futuro e progetto storico: il capitalismo nazionale. Imprese e stati crollano in pochi minuti, però non per le tormente delle rivoluzioni proletarie, ma per le ondate degli uragani finanziari. Il figlio (neoliberismo) divora il padre (il capitalismo nazionale) e distrugge tutte le mancanze discorsive dell'ideologia capitalista: nel nuovo ordine mondiale non c'è né democrazia, né libertà, né uguaglianza, né fratellanza.

Nello scenario mondiale prodotto dalla fine della "Guerra Fredda" si percepisce solo un nuovo campo di battaglia e in questo, come in tutti i campi di battaglia, regna il caos.

Alla conclusione della "Guerra Fredda", il capitalismo creò un nuovo orrore bellico: la bomba al neutrone. La "virtù" di questa arma è che distrugge solo la vita e rispetta le costruzioni. Adesso si possono distruggere città intere (cioè, i suoi abitanti) senza che sia necessario ricostruirle (e pagare per questo). La industria delle armi si felicitò con se stessa, la "irrazionalità" delle bombe nucleari era soppiantata dalla nuova "razionalità" della bomba al neutrone. Però una nuova "meraviglia" bellica sarà scoperta al momento della nascita della IV Guerra Mondiale: la bomba finanziaria.

Perchè la nuova bomba neoliberale, a differenza della sua antenata atomica a Hiroshima e Nagasaki, non solo distrugge la polis (la nazione in questo caso) e impone la morte, il terrore e la miseria a chi la abita; o, a differenza della bomba a neutroni, non solo distrugge "selettivamente". Quella neoliberale oltre a ciò, riorganizza e riordina quello che attacca, e lo ricompone come un pezzo all'interno del rompicapo della globalizzazione economica. Dopo il suo effetto distruttore, il risultato non è un mucchio di rovine fumanti, o decine di migliaia di vite inerti, bensì un sobborgo che si aggiunge a qualche megapolis commerciale del nuovo ipermercato mondiale ed una nuova forza di lavoro riadattata al nuovo mercato del lavoro mondiale.

La Unione Europea, una delle megapolis prodotte dal neoliberismo, è un risultato della presente IV Guerra Mondiale. Qui la globalizzazione economica provocò la eliminazione delle frontiere fra gli stati rivali, nemici tra loro da tempo, e li obbligò a convergere e impostare la unione politica. Dagli Stati Nazionali alla federazione europea, il cammino economicista della guerra neoliberale nel chiamato "vecchio continente" sarà pieno di distruzione e rovine; una di queste sarà la civilizzazione europea.

Le megapolis si riproducono in tutto il pianeta. Le zone commerciali integrate sono il terreno dove si ergono. Così avviene nell'America del Nord, dove il Trattato di Libero Commercio del Nord America (NAFTA in inglese) tra Canada, Stati Uniti e Messico, non è altro che il preludio del compimento di una vecchia aspirazione di conquista statunitense: "l'America per gli americani". Nell'America del Sud si procede nello stesso senso con il Mercosur, tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Nell'Africa del Nord, con l'Unione del Maghreb Arabo (UMA) tra Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania. Nell'Africa del Sud, in Medio Oriente, nel Mar nero, in Asia, Pacifico, ecc., in tutto il pianeta esplodono le bombe finanziarie e si riconquistano territori.

Le megapolis sostituiscono le nazioni? No, o non solo. Le inglobano anche e gli attribuiscono altre funzioni, limiti e possibilità. Paesi interi si convertono in dipartimenti della megaimpresa neoliberale. Il neoliberismo opera così la DISTRUZIONE/SPOPOLAMENTO da una parte, e la RICOSTRUZIONE/RIORDINAMENTO dall'altra, di regioni e nazioni per aprire nuovi mercati e rimodernare quelli già esistenti.

Se le bombe nucleari avevano un carettere dissuasivo, intimidatorio e coercitivo nella III guerra mondiale, nella IV ciò non è necessario con le iperbombe finanziarie. Queste armi servono per attaccare territori (Stati Nazionali) distruggendo le basi materiali della loro sovranità nazionale (ostacolo etico, giuridico, politico, culturale e storico contro la globalizzazione economica) e producendo uno spopolamento qualitativo nei loro territori. Questo spopolamento consiste nel prescindere da tutti coloro che sono inutili per la nuova economia di mercato (per esempio gli indigeni).

Però, inoltre, i centri finanziari operano simultaneamente, una ricostruzione degli Stati Nazionali e li riordinano secondo la logica del mercato mondiale (i modelli economici sviluppati si impongono sulle relazioni sociali deboli o inesistenti).

La IV guerra mondiale nel terreno rurale, per esempio, presenta questo effetto.La modernizzazione rurale, che esigono i mercati finanziari, cerca di incrementare la produttività agricola, però quello che consegue è distruggere le relazioni sociali ed economiche tradizionali. Risultato: esodo massivo dalla campagna alle città. Sì, come in una guerra. Frattanto, nelle zone urbane si satura il mercato del lavoro e la distribuzione diseguale dell'ingresso è la "giustizia" che spetta a chi cerca migliori condizioni di vita.

Di esempi che illustrano questa strategia è pieno il mondo indigeno: Ian Chambers, direttore dell'Ufficio per il Centroamerica della OIT (delle Nazioni Unite) ha dichiarato che la popolazione indigena mondiale, calcolata in 300 milioni, vive in zone che posseggono il 60% delle risorse naturali del pianeta.Cosicchè "non sorprendano i tanti conflitti per l'utilizzo e la destinazione delle loro terre a favore degli interessi di governi e imprese. (...) Lo sfruttamento delle risorse naturali (petrolifere e minerali) e il turismo sono le principali industrie che minacciano i territori indigeni in America" (intervista di Martha Garcia en "La Jornada", 28 maggio 1997). Dietro i progetti di investimento vengono l'inquinamento, la prostituzione e le droghe. Cioè, si completano distruzione/spopolamento e ricostruzione/riodinamento della zona.

In questa nuova guerra mondiale, la politica moderna come organizzatrice dello Stato Nazionale non esiste più. Adesso la politica è solo un organizzatore economico e i politici sono moderni amministratori di impresa. I nuovi padroni del mondo non sono governo, non hanno bisogno di esserlo. I governi "nazionali" si incaricano di amministrare gli affari nelle differenti region del mondo.

Questo è il "nuovo ordine mondiale", la unificazione del mondo intero in un unico mercato. Le nazioni sono negozi di dipartimenti con gestori sotto forma di governi, e le nuove alleanze regionali, economiche e politiche, si avvicinano più al modello di un moderno "mall" commerciale che a una federazione politica. La "unificazione" che produce il neoliberismo è economica, è la unificazione dei mercati per facilitare la circolazione di denaro e merci. Nel gigantesco ipermercato mondiale circolano liberamente le merci, non le persone.

Come tutte le iniziative imprenditoriali (e di guerra), questa globalizzazione economica si accompagna ad un modello generale di pensiero. Senza dubbio, tra tante cose nuove, il modello ideologico che accompagna il neoliberismo nella sua conquista del pianeta, ha molto di vecchio e ammuffito. L'"american way of life" che accompagnò le truppe nordamericane nell'Europa della II Guerra Mondiale e in Vietnam nel '60, e, più recentemente, nella Guerra del Golfo Persico, ora tiene la mano (o meglio il computer) dei mercati finanziari.

Non si tratta solo di una distruzione fisica delle basi materiali degli Stati Nazionali, ma anche (e in modo così importante quanto poco studiato) si tratta di una distruzione storica e culturale. Il dignitoso passato indigeno dei paesi del continente americano, la brillante civilizzazione europea, la saggia storia delle nazioni asiatiche, e la potente e ricca antichità dell'Africa e Oceania, tutte le culture e le storie che forgiarono nazioni sono attaccate dal modo di vita nordamericano. Il neoliberismo impone così una guerra totale: la distruzione delle nazioni e i gruppi di nazioni per omologarli con il modello capitalista nordamericano.

Una guerra quindi, una guerra mondiale, la IV. La peggiore e la più crudele. Quella che il neoliberismo sferra ovunque e con ogni mezzo contro la umanità.

Però, come in tutte le guerre, ci sono combattimenti, ci sono vincitori e vinti e ci sono pezzi rotti di questa realtà distrutta. Per cercare di risolvere l'assurdo rompicapo del mondo neoliberista mancano molti pezzi. Alcuni si possono trovare tra le rovine che questa guerra mondiale ha già lasciato sulla superficie del pianeta. Quando almeno 7 di questi pezzi possono ricostruirsi e incoraggiare la speranza che questo conflitto mondiale non termini con il rivale più debole: la umanità.

Uno è il duplice accumulo di ricchezza e di povertà nei due poli della società mondiale.
L'altro è lo sfruttamento totale della totalità del mondo.
Il terzo è l'incubo di una parte errante della umanità.
Il quarto è la nauseabonda relazione tra crimine e potere.
Il quinto è la violenza dello stato.
Il sesto è il mistero della megapolitica.
Il settimo è la multiforme sacca di resistenza dell'umanità contro il neoliberismo.


PEZZO NUMERO 1

La concentrazione della ricchezza e la distribuzione della povertà.

La figura 1 si costruisce disegnando un simbolo monetario.

Nella storia universale, diversi modelli sociali si sono distinti per innalzare l'assurdo a distinzione dell'ordine mondiale. Sicuramente il neoliberismo avra' un posto privilegiato al momento della premiazione, perche' la distribuzione della ricchezza che mette in atto non distribuisce altro che una doppia assurdita': accumulazione di ricchezza nelle mano di pochi e accumulazione di poverta' da parte di milioni di esseri umani.

L'ingiustizia e la disuguaglianza sono i caratteri distintivi del mondo attuale. Il pianeta Terra, terzo del sistema planetario solare, contiene 5 miliardi di esseri umani. Tra di essi, solo 500 milioni godono di un certo benessere, mentre i restanti 4 miliardi e mezzo soffrono la poverta' e cercano di sopravvivere in qualche modo.

Il rapporto tra ricchi e poveri e' un doppio assurdo. I ricchi sono pochi e i poveri sono molti. La differenza quantitativa e' criminale però la sperequazione si colma con la ricchezza: i ricchi suppliscono all'inferiorita' numerica con i dollari a miliardi. La fortuna delle 358 persone piu' ricche del mondo, miliardarie in dollari, e' superiore al reddito annuale del 45% degli abitanti piu' poveri, ossia qualcosa come 2 miliardi e seicento milioni di persone.

La concentrazione della ricchezza in poche mani e la distribuzione della poverta' a piene mani delinea, a poco a poco, il carattere della societa' mondiale moderna: il fragile equilibrio di assurde disuguaglianze.

La crescita della grandi multinazionali non implica necessariamente il progresso delle nazioni sviluppate. Al contrario, piu' guadagnano i giganti della finanza, piu' aumenta la poverta' nei cosiddetti "paesi ricchi". La differenza da eliminare tra ricchi e poveri e' brutale e non sembra vi sia alcuna tendenza alla diminuzione, tutt'altro. Lungi dal ridursi, non diciamo eliminarsi, la disuguaglianza aumenta.
Nel segno monetario teste' disegnato, potete contemplare il simbolo del potere economico mondiale. Adesso dipingetelo con il colore verde-dollaro. Non preoccupatevi dell'odore nauseabondo: l'aroma di sterco, fango e sangue lo accompagna dall'origine....

PEZZO 2

La globalizzazione dello sfruttamento

La figura 2 si ottiene disegnando un triangolo.

Uno degli errori del neoliberismo sta nel sostenere che la crescita economica delle imprese comporta una migliore ripartizione della ricchezza e un aumento dell'occupazione. Non e' cosi'. Cosi come la crescita del potere politico di un regno non comporta necessariamente un aumento del potere politico dei sudditi (anzi e' vero il contrario), l'assolutismo del capitale finanziario non magliaro la distribuzione della ricchezza, ne' apporta posti d lavoro. Poverta', disoccupazione e precarieta' del lavoro sono le sue conseguenze strutturali.

Nel decennio 1960-1970, la popolazione considerata povera (con meno di 1 dollaro al giorno per far fronte alle necessita' elementari, secondo la Banca Mondiale) era di 200 milioni di persone. All'inizio degli anni 90 ammontava gia' a 2 miliardi.

Piu' esseri umani poveri e piu' impoveriti, meno ricchi e piu' arricchiti, queste sono le lezioni del disegno del pezzo 1 del rompicapo neoliberista.

Per arrivare a tale assurdo, il sistema capitalista mondiale "modernizza" la produzione, la circolazione e il consumo delle merci. La nuova rivoluzione tecnologica (informatica) e la nuova rivoluzione politica (le megalopoli emergenti sulle rovine degli Stati nazionali) producono una nuova "rivoluzione sociale". Questa "rivoluzione sociale" non significa altro che un riordinamento ed una ricomposizione delle forze sociali, in primo luogo delle forze-lavoro.

La Popolazione Economicamente Attiva (PEA) mondiale e' passata da 1 miliardo 376 milioni nel 1960 a 2 miliardi 374 milioni di lavoratori nel 1990. Esistono adesso piu' esseri umani con capacita' di lavoro, ovvero di generare ricchezza. Il "nuovo ordine mondiale" non riordina semplicemente questa nuova forza-lavoro all'interno degli spazi geografici e produttivi, ma ne assegna anche il posto (o non-posto, come nel caso dei disoccupati e dei precari) nel piano globalizzatore dell'economia.

La Popolazione Mondiale Occupata per Attivita' (PMOA) si e' modificata in maniera sostanziale nel corso degli ultimi 20 anni. La PMOA nel settore agricolo e peschiero e' passata dal 22 per cento nel 1970 al 56 percento nel 1990. (Dati tratti da "Mercato mondiale della forza lavoro nel capitalismo contemporaneo", Juanita del Pilar Ochoa Chi, UNAM, Economia, Mexico 1977).

Ciò non significa che un numero crescente di lavoratori siano canalizzati verso le attivita' necessarie per incrementare la produttivita' o per accelerare la produzione delle merci. Il sistema neoliberista agisce come un mega-padrone, concependo il mercato mondale come una impresa unitaria, amministrata con criteri "modernizzatori".

Tuttavia, la "modernita'" liberista rassomiglia più al capitalismo bestiale delle origini che alla "razionalita'" utopica. La "moderna" produzione capitalista continua a essere basata sul lavoro dei bambini, delle donne e degli emigranti. Un miliardo e 148 milioni sono i bambini del mondo, di questi, perlomeno 100 milioni vivono letteralmente sulla strada, 200 milioni lavorano, e si prevede che questi saranno 400 milioni nell'anno 2000. Inoltre si dice che 146 milioni di bambini asiatici lavorino nella produzione di pezzi di ricambio per automobili, fabbriche di giocattoli, abbigliamento, cibo, utensili e chimica. Lo sfruttamento del lavoro infantile non esiste solo nei pesi sottosviluppati, il 40% dei bambini inglesi e il 20% dei bambini francesi lavorano per integrare i redditi familiari o per sopravvivere. Anche nell'industria del sesso vi e' posto per i bambini. l'Onu calcola che ogni anno circa 1 milione di questi accede al commercio sessuale (Ochoa Chi, op. cit.).

Questa bestia impone all'umanita' un pesante fardello. La disoccupazione e la precarieta' di milioni di lavoratori in tutto il mondo e' una amara realta' che non presenta sintomi di cedimento. La disoccupazione nei paesi dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCDE) e' passata dal 3,8% nel 1966 al 6,3% nel 1990. In Europa e' passata dal 2,2% al 6,3% nello stesso periodo.

L'imposizione delle leggi del mercato in tutto il mondo, il mercato globalizzato, ha provocato la distruzione della piccola e media industria. Con la scomparsa dei mercati locali e regionali, i piccoli e medi produttori si ritrovano senza protezione e senza possibilita' di competere con i giganti delle multinazionali. Risultato: fallimenti a catena. Conseguenza: milioni di disoccupati. L'assurdo neoliberista si ripete: l'aumento della produzione non genera posti di lavoro; al contrario, li distrugge. l'Onu definisce questa fase come "crescita senza occupazione".

L'incubo non finisce qui. Oltre alla minaccia della disoccupazione, i lavoratori si scontrano con la precarieta' dell'occupazione. Maggiore instabilta' dei posti di lavoro, allungamento della durata della giornata lavorativa e svantaggi salariali, sono conseguenze della globalizzazione in generale ed in particolare della "terziarizzazione" dell'economia (crescita del settore dei "servizi") .

Tutto cio' si traduce in un vero e proprio terremoto sociale globalizzato. Il riordinamento dei processi produttivi e della circolazione delle merci, la ricomposizione delle forze produttive producono un eccedente particolare: esseri umani in sovrappiù che non sono utili al "nuovo ordine mondiale", che non producono, che non consumano, che non sono soggetti di credito, che sono insomma del tutto prescindibili.

Ogni giorno i grandi centri finanziari impongono le loro leggi alle nazioni ed agli aggruppamenti di nazioni. Ne mettono a posto e riordinano gli abitanti. Poi, conclusa l'operazione scoprono che vi sono persone in "sovrappiù".

Adesso potete vedere una figura simile a un triangolo che è la rappresentazione della piramide dello sfruttamento mondiale.

PEZZO NUMERO 3

Emigrazione, l'incubo errante

La figura 3 si costruisce disegnando un cerchio

Parlavamo prima dei nuovi territori, che, dopo la conclusione della III Guerra Mondiale aspettano di essere conquistati (gli antichi paesi socialisti) e di altri che devono essere assorbiti nel "nuovo ordine mondiale". Per fare ciò, i centri finanziari conducono una triplice strategia criminale e brutale: proliferazione delle "guerre regionali" e dei "conflitti interni", percorsi di accumulazione atipica dei capitali e mobilitazione di grandi masse di lavoratori.
Il risultato di questa guerra mondiale di conquista è una grande ruota di milioni di emigranti in tutto il mondo: "stranieri" nel mondo "senza frontiere" che avevano promesso i vincitori della III Guerra Mondiale. Ovunque, milioni di persone soffrono la persecuzione xenofoba, la precarizzazione del lavoro, la perdita di identità culturale, la repressione poliziesca, la fame, la prigione e la morte.

Ovunque, per gli emigranti, i rifugiati e gli sfollati esistono differenti regimi giuridici e differenti etichette, però ovunque essi continuano ad essere considerati "stranieri". A volte sono tollerati, a volte sono rifiutati. Qualunque ne sia la causa, l'incubo dell'emigrazione continua comunque ad aggirarsi per la superficie del pianeta e a generalizzarsi. Il numero di persone che ruotano nell'ambito dell'Alto Commissionato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), è cresciuto in maniera sproporzionata da circa 2 milioni nel 1975 a 27 milioni nel 1995.

Sia nell'ambito della forza lavoro specializzata, sia in quello della manodopera non qualificata, la politica del neoliberismo rispetto all'emigrazione è più orientata a destabilizzare il mercato mondiale del lavoro che a frenare l'immigrazione.

La IV Guerra Mondiale, con il processo di distruzione/spopolamento, seguito da quello di ricostruzione/riordinamento, provoca lo spostamento di milioni di persone. Il loro destino e' continuare a vagare portandosi appresso l'incubo di essere una minaccia per i lavoratori che nelle diverse parti del modo riescono a conservare il posto di lavoro. Essi diventano il nemico da combattere al posto del padrone ed il pretesto per dare un senso all'assurdità razzista che promuove il neoliberismo.

PEZZO NUMERO 4

Mondializzazione finanziaria e globalizzazione della corruzione e del crimine

La figura 4 si costruisce disegnando un rettangolo

Se credete che il mondo della criminalita' sia sinonimo di oltretomba e oscurita', vi sbagliate. Durante il periodo della cosiddetta "Guerra fredda", il crimine organizzato acquisi' un'immagine piu' rispettabile e comincio' non solo a funzionare come una qualunque impresa moderna, ma si addentro' nelle viscere negli apparati politici ed economici degli Stati nazionali.

Con l'inizio della IV Guerra Mondiale e l'instaurazione del "nuovo ordine mondiale", con la conseguente apertura dei mercati, le privatizzazioni, la deregulation del commercio e delle finanze internazionali, il crimine organizzato ha "globalizzato" le proprie attivita'.

Le organizzazioni criminali dei 5 continenti si sono adeguate allo "spirito della cooperazione mondale" e partecipano oggi alla conquista e al riordinamento dei nuovi mercati. Partecipano non solo nelle attivita' criminali ma anche negli affari legali. Il crimine organizzato investe in attivita' legali non solo per "lavare" il denaro sporco, ma anche per ottenere capitali per le attivita' illegali. I settori preferiti sono i beni immobili di lusso, l'industria, il tempo libero, i mezzi di comunicazione, l'agricoltura, i servizi pubblici e.... la banca!

Ali' Baba' e i 40 banchieri? No, qualcosa di peggio. Il denaro sporco del crimine organizzato e' impiegato con profitto dalle banche commerciali: prestiti, investimenti finanziari, acquisto di quote di debito estero, compravendita di divise e di oro.

Come se cio' non bastasse, il crimine organizzato si avvale inoltre dei paradisi fiscali (uno di essi, nelle isole Caiman, e' il quinto centro finanziario mondiale, con piu' banche e societa' registrate che abitanti).

Oltre al "lavaggio" del denaro sporco, i paradisi fiscali servono per evadere le tasse, e come punto di raccordo tra governanti, industriali e capi del crimine organizzato. L'alta tecnologia applicata alla finanza, permette la circolazione rapida del denaro e la "volatilizzazione" dei profitti illegali.

Secondo uno studio delle Nazioni Unite "l'intrusione dei sindacati del crimine e' stata facilitata dai programmi di aggiustamento strutturale imposti ai paesi indebitati dal Fondo Monetario Internazionale per accedere a nuovi prestiti" (United Nations, "La globalisation du crime" New York, 1955).

A questo punto avete di fronte a voi lo specchio rettangolare dove legalita' e illegalita' intercambiano riflessi. Da che lato dello specchio sta il crimine? In quale quello che lo combatte?

PEZZO NUMERO 5

Legittima violenza di un potere legittimo?

La figura 5 si costruisce disegnando un pentagono

Con il neoliberismo, lo Stato tende a ridursi al "minimo indispensabile". Il cosiddetto "Stato sociale" diventa obsoleto, si libera di tutto quanto lo caratterizzava come tale, e... rimane nudo.

Nel cabaret della globalizzazione, assistiamo a uno show dello Stato che si libera di tutto fino a ridursi al minimo indispensabile: la forza repressiva. Distrutta la base materiale, annullate la sovranita' e l'indipendenza, annullate le classi politiche, gli Stati nazionali si convertono - in maniera piu' o meno rapida - in semplici apparati di "sicurezza" delle megaimprese che il neoliberismo costruisce nel corso della IV Guerra Mondiale.

Invece di destinare i fondi pubblici ai servizi sociali, gli Stati nazionali preferiscono investire in infrastruttura, armamento e preparazione tecnica per svolgere efficacemente la funzione che la politica ha cessato di compiere da anni: il controllo la sociale.

"Professionisti della violenza legittima": cosi' si autodefiniscono gli apparati repressivi degli Stati Moderni. Che fare, pero', se la violenza soggiace alle leggi del mercato? Quale e' violenza legittima e quale e' violenza illegittima? A quale monopolio della violenza possono aspirare i malconci Stati Nazionali se il libero gioco della domanda e dell'offerta sfida proprio questo monopolio? Non ha dimostrato il Pezzo numero 4 che il crimine organizzato, i governi e i centri finanziari sono in eccellenti rapporti? Non e' evidente che il crimine organizzato dispone di veri eserciti, senza altre frontiere che la potenza bellica del rivale?
Il "monopolio della violenza" non appartiene piu' agli Stati Nazionali. Il mercato moderno l'ha messa in vendita.

Bisogna allora capire che, quando la lotta per il "monopolio della violenza" non segue piu' le leggi del mercato, ma, al contrario, le mette in questione dal basso, il potere mondiale ravvisa subito un "possibile aggressore".... E' questa una delle sfide meno studiate e piu' "condannate", tra le molte che hanno lanciato gli indigeni in armi dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), contro il neoliberismo e per l'umanita'.

E' questo il simbolo del potere militare nordamericano: il Pentagono. La nuova "polizia mondiale" pretende che eserciti e polizie "nazionali" siano ormai solo piu' "organi di vigilanza" che garantiscono "ordine e progresso' nelle megalopoli neoliberiste.

PEZZO NUMERO 6

La megapolitica e i nani

La figura 6 si costruisce disegnando uno scarabocchio

Abbiamo osservato che gli Stati Nazionali sono attaccati dai centri finanziari e "obbligati" a dissolversi all'interno delle megalopoli. Il neoliberismo conduce la sua guerra non solo "unendo" nazioni e regioni. La sua strategia di distruzione/spopolamento, ricostruzione/riordinamento produce una o molteplici fratture negli Stati Nazionali.

Questo e' il paradosso della IV Guerra mondiale: iniziata con l'idea di eliminare frontiere e "unire" nazioni, finisce per moltiplicare le frontiere e polverizzare nazioni che muoiono tra i suoi artigli.

Se vi sono ancora dubbi sul carattere della globalizzazione come guerra mondiale, e' sufficiente esaminare i conflitti che hanno provocato (o che sono stati provocati) il collasso di alcuni Stati Nazionali. Cecoslovacchia e Yugoslavia sono vittime di quelle crisi che hanno frantumato non solo le fondamenta politiche ed economiche degli Stati Nazionali ma anche le loro strutture sociali.

Abbiamo gia' fatto riferimento al processo di costruzione della megalopoli, adesso consideriamo la frammentazione dei paesi. Entrambi i fenomeni sono il risultato dalla distruzione degli Stati Nazionali. Sono processi paralleli o sono indipendenti? Sono due facce della globalizzazione? Sono sintomi di una megacrisi vicina al punto di esplosione? O forse sono fatti isolati?

Noi crediamo che queste siano contraddizioni inerenti alla globalizzazione, inseparabili dal modello neoliberale. Soppressione delle frontiere commerciali, esplosione delle telecomunicazioni, autostrade informatiche, rinforzamento dei mercati finanziari, accordi internazionali di libero scambio: sono altrettanti fattori che concorrono alla distruzione degli Stati Nazionali. Questi ultimi non scompaiono, ne' si diluiscono semplicemente nei mercati internazionali tuttavia si frammentano vieppiu' e aumentano di numero. Paradossalmente, la mondializzazione produce un mondo frammentato, fatto di pezzi isolati e spesso un contro l'altro armati. Un mondo di compartimenti stagni che comunicano solo attraverso ponti economici tanto fragili quanto una goletta in balia alla forza di vento che e' il capitale finanziario.

Un mondo di specchi rotti che riflettono l'inutile unita' mondiale del puzzle neoliberista.

Tuttavia, il neoliberismo non solo fa a pezzi il mondo che vorrebbe unire, ma produce anche il centro politico-economico che dirige questa guerra.

E se, come abbiamo gia' detto, i centri finanziari impongono la loro legge (quella del mercato) a nazioni e gruppi di nazioni, dobbiamo ridefinire il senso ed i limiti della politica, ovvero del che-fare politico. Bisogna allora parlare di megapolitica. E' questa a decidere l'"ordine mondiale".
E quando diciamo megapolitica, non ci riferiamo certo al numero di coloro che si muovono al suo interno. Sono pochi, molto pochi, coloro che si muovono in questi ambiti. La megapolitica globalizza le politiche nazionali e le collega a un centro con interessi mondiali (in contraddizione sistematica con gli interessi nazionali), avente come logica il mercato, ovvero il profitto.

In nome di quest'ultimo vengono decise le guerre, i crediti, la compravendita di merci, i riconoscimenti diplomatici, gli embarghi commerciali, gli appoggi politici, le leggi sugli emigranti, le rotture internazionali, gli investimenti. In breve: si decide sulla vita e la morte di nazioni intere.

I mercati finanziari se ne infischiano del colore dei politici: quel che conta e' l'applicazione del programma economico. Gli stessi criteri "di mercato" devono essere adottati da tutti i colori dello spettro politico mondiale. I padroni del mondo sono disposti a tollerare l'esistenza di un governo di sinistra, a condizione che questo non adotti misure che possano pregiudicare gli interessi dei centri finanziari. Ma essi non ammetteranno mai che un'alternativa economica, politica o sociale possa consolidarsi.

Per la megapolitica, le politiche nazionali sono fatte da nani che devono piegarsi ai diktat del gigante finanziario. Sara' sempre cosi'....fino a quando i nani non si ribellano.

Ecco dunque lo scarabocchio che rappresenta la megapolitica. E' impossibile ravvisarne la benche' minima razionalita'.

PEZZO 7

Le sacche di resistenza

La figura 7 si costruisce disegnando una sacca

"Tanto per cominciare, ti prego di non confondere la Resistenza con l'opposizione politica. L'opposizione non si oppone al potere e la sua forma piu' realizzata e' quella di un partito di opposizione; mentre la Resistenza -per definizione- non puo' essere un partito: essa non e' nata per governare ma per....resistere" (Tomas Segovia, Alegatorio, Mexico, 1966)

L'apparente infallibilita' della mondializzazione si scontra con l'ostinata disubbidienza della realta'. Mentre il neoliberismo continua la sua guerra, si formano gruppi di protesta e nuclei di ribellione. L'impero dei finanzieri dalle tasche piene affronta la ribellione delle sacche di resistenza. Si', sacche. Di variate dimensioni e colori e forme. Hanno pero' qualcosa in comune: la volonta' di resistere al "nuovo ordine mondiale" e al crimine contro l'umanita' rappresentato da questa IV Guerra.

Il neoliberismo tenta di sottomettere milioni di esseri umani e disfarsi di quelli che "avanzano". Pero' succede che i "prescindibili" si ribellano. Donne, bambini, vecchi, indigeni, ecologisti, omosessuali, lesbiche, sieropositivi, lavoratori e tutti coloro che danno fastidio al nuovo ordine e che si organizzano per lottare. Gli esclusi dalla "modernita' " tessono resistenze.

In Messico, ad esempio, le autorita' vorrebbero costruire un vasta zona industriale in nome del Programma di sviluppo integrale del'Istmo di Tehuantepec. Questa zona comprendera' varie fabbriche, ed una raffineria dove si raffinera' un terzo del greggio messicano e si elaboreranno prodotti petrolchimici. Si costruiranno vie di comunicazione interoceanica: strade, un canale ed una linea ferroviaria. Due milioni di contadini diventeranno cosi' operai di queste fabbriche.

In maniera analoga, nel Sud-est messicano esiste per la Giungla Lacandona un Programma di sviluppo regionale di lunga durata, con l'obiettivo di consegnare al capitale terre indigene ricche di dignita' e storia pero' ricche anche di petrolio e uranio.

Tali progetti se messi in atto finirebbero per frantumare il Messico, separando il Sudest dal resto del paese. Essi si iscrivono in una strategia di controinsurrezionale, simile a una tenaglia che cerca di afferrare la ribellione anti-neoliberista nata nel 1994: al suo centro, si trovano gli indigeni ribelli dell'EZLN.

Sulla questione degli indigeni ribelli, si impone una parentesi. Noi zapatisti consideriamo che in Messico la riconquista e la difesa della sovranita' facciano parte della rivoluzione anti-neoliberale. Paradossalmente, l'EZLN e' accusato di volere la frammentazione del paese. In realta', i soli a volere tale frammentazione sono gli imprenditori del Tabasco, stato ricco di petrolio, i deputati federali del Chiapas e i membri del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI). Noi zapatisti pensiamo che la difesa dello stato nazionale sia necessaria di fronte alla mondializzazione e che i tentativi di frantumare il nostro paese provengano dal gruppo di governo e non certo alle giuste domande dei popoli indigeni.
Nè l'EZLN nè il movimento indigeno nazionale hanno in mente di separarsi dal Messico. Al contrario, i popoli indigeni, con le loro specificità, aspirano ad essere riconosciuti come parte integrante del paese. Se l'EZLN difende la sovranita' nazionale, l'esercito messicano difende al contrario un governo che ne distrugge le basi materiali e che ha offerto il paese al gran capitale multinazionale ed ai narcotrafficanti.

Non e' solo nelle montagne del sud-est messicano che si resiste al neoliberismo. In altre regioni del Messico, in America Latina, negli USA e in Canada, nell'Europa di Maastricht, in Africa, in Asia ed in Oceania, le sacche di resistenza si moltiplicano. Ciascuna possiede la propria storia, le proprie specificità, similitudini, rivendicazioni, lotte, successi. Se l'umanita' vuole sopravvivere e progredire, l'unica speranza sta in queste sacche che formano gli esclusi, gli abbandonati a se stessi e i prescindibili.

Non ha importanza citare qui altri esempi di sacche di resistenza. Gli esempi sono numerosi quanto le resistenze e cosi' diversi fra di loro quanto i mondi che ci sono in questo mondo. Fate quindi il disegno che preferite. In questa storia di sacche come in quella delle resistenze, la diversita' e' una ricchezza.

Dopo aver disegnato colorato e ritagliato i sette pezzi del rompicapo, vi sarete resi conto che e' impossibile metterli insieme. Ed e' proprio questo il problema: la mondializzazione ha cercato di mettere insieme pezzi che non combaciano. E' per questa ragione e per altre che non posso affrontare in questo testo, che e' necessario costruire un mondo nuovo. Un mondo che possa contenere molti mondi, un mondo che possa contenere tutti i mondi.

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Post Scriptum

A proposito di sogni e di amore.
Il mare e' calmo qui vicino a me. Con il mare divido da lungo tempo angosce, incertezze e numerosi sogni, ma adesso il mare dorme insieme a me nella calda notte della foresta. Vedo le onde muoversi simili nei miei sogni a ondulate distese di grano. Di nuovo mi meraviglio di trovarlo immutato: tiepido e, allo stesso tempo, fresco. A un tratto, lo stordimento mi butta giu' dal letto, mi prende la mano e la penna per riportarmi dal vecchio Antonio, oggi come molti anni or sono...
Gli chiedo di accompagnarmi a un esplorazione su per il fiume. Portiamo con noi poca roba da mangiare. Seguiamo il capriccioso corso dell'acqua per molte ore, fino a che la fame ed il calore si impadroniscono di noi.
Per tutto il pomeriggio inseguiamo una mandria di cinghiali. E' quasi notte quando al fine li raggiungiamo, ma uno, enorme, si stacca dal gruppo e ci attacca. Allora faccio appello alla mia consumata perizia militare: butto l'arma da fuoco e, correndo, mi arrampico sull'albero piu' vicino.
Da parte sua, il vecchio Antonio non si scompone. Invece di correre, si piazza dietro degli arbusti spinosi. Subito dopo, il gigantesco animale lo carica con tutte le sue forze pero' si incastra rapidamente tra i rami.
In un batter d'occhio, il vecchio Antonio punta la sua vecchia carabina e, in sol colpo, procura la cena.
All'alba, quando finisco di pulire il mio moderno fucile automatico (M16, calibro 5,56 mm, con selettore di cadenza, tiro utile di 460 metri, mira telescopica ed un caricatore da 90 proiettili), scrivo il mio diario di campagna. Senza entrare nei dettagli dell'accaduto annoto: "abbiamo incontrato dei cinghiali e A. ne ha ucciso uno. Altezza 350 metri sul livello del mare. Non ha piovuto".
Mentre aspettiamo che cuocia la carne, racconto al vecchio Antonio che la mia parte servira' per le feste in preparazione nell'accampamento. "Feste?" mi chiede mentre attizza il fuoco. "Si', dico io, feste. Ogni mese c'e' qualcosa da festeggiare" E mi getto quindi in una dotta dissertazione sul calendario storico e su quello delle nostre celebrazioni zapatiste.
Il vecchio Antonio mi ascolta in silenzio. Credendo che l'argomento non gli interessi, mi appresto a dormire. Immerso nel sonno, sogno che il vecchio Antonio prende il mio quaderno e vi scrive qualcosa. All'indomani, dopo colazione, ci dividiamo la carne e riprendiamo il cammino.
Arrivati all'accampamento, faccio rapporto e mostro il quaderno. "Non e' la tua scrittura", dicono i compagni.
Su una pagina, dopo le mie annotazioni il vecchio Antonio aveva scritto a lettere maiuscole: "Se non puoi avere sia la ragione che la forza, scegli sempre la ragione e lascia la forza al nemico. La forza puo' vincere molte battaglie, ma la guerra si vince solo con la ragione. Il potente non potra' mai ottenere la ragione con la forza, ma noi potremo invece ottenere la forza con la ragione".

Piu' sotto, in minuscolo aggiungeva: "Buone feste".

Nel frattempo, mi era andata via la fame.
Le feste zapatiste furono, come sempre, piene di allegria.

Sub comandante Marcos



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traduzione a cura del Consolato Ribelle del Messico in Brescia e di


Cesena, Italia, Pianeta Terra
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