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Strategie del controllo e dinamiche di sottrazione

[Contributi]

Se l'emergenza criminalità è un dispositivo della società di controllo.

I recenti fatti di Milano hanno principalmente ispirato un'ondata, via mass-media, di richieste di pratiche prigionistiche e di sorveglianza che non è spiegabile solo come un'improvviso sprigionarsi di isteria ben sfruttato dall'industria dell'informazione.

Ora, come inquadrare interventi militanti come quello del TG2 di qualche giorno fa, che mandava in onda giornaliste ben addobbate che chiedevano ai milanesi "ma, con tutta questa criminalità, lei è armato? E lei ce l'ha la spranga nel furgoncino?" Ci troviamo di fronte a un'industria dell'informazione che ha trovato un sistema di produzione di notizie sfruttando le insicurezze del ceto medio? Non solo, vediamo quindi di rappresentare schematicamente il rapporto tra circuito della comunicazione e richiesta di pratiche prigionistiche cercando di ipotizzare perché ci sia un surplus di valorizzazione di ogni fatto definito criminale nel circuito mediatico.

Così, per arrivare a un aspetto costitutivo di fenomeni di questo tipo usiamo Deleuze nel suo Post Scriptum su L'autre Journal del maggio del 1990. Qui ci troviamo di fronte a una prognosi che ci dice che ci troviamo a vivere entro società di controllo che funzionano "per informazione continua e per controllo istantaneo" e che si basano su una coniugazione tra pratiche disciplinari e presenza pervasiva delle tecnologie della comunicazione. Che cosa vuol dire?
Che ci troviamo di fronte a società dove le componenti producenti informazione dettano il ritmo del comportamento delle istituzioni verso l'esterno, pratiche prigionistiche comprese. Di questo fenomeno peraltro noto va rimarcato l'aspetto meno noto ovvero che è qualcosa di diverso dal processo di spettacolarizzata utilizzazione dello dello specialista per pratiche disciplinari. Infatti, se guardiamo il modo con cui sono stati prodotti, in questi giorni e le volte che si è insistito in un emergenza simile, gli argomenti topici a favore delle politiche di "sicurezza" vediamo come la fabbrica di opinioni da immettere nel circuito prigionistico non passi dalla cittadella del sapere ma quasi esclusivamente tra gli operatori della sfera dell'informazione e dei soggetti istituzionali (clero postmoderno incluso).

Questo perché il modo di procedere del pur addomesticato specialista non è compatibile con una società che forma le proprie decisioni politiche basandosi su un flusso di informazione continua. Magari lo specialista è valido in seconda istanza, per le pratiche amministrative ma qui, dove un'informatizzazione pervasiva dei mezzi che formano la sfera pubblica dell'opinione si è sovrapposta ad una già pluridecennale struttura mediologica di questa sfera, il procedere specialistico, oberato da un continuo dover fare i conti con la complessità in qualsiasi disciplina, non è certo il canale di sapere adeguato per la produzione di informazioni. Si guardi a quello che ha scritto il Sole 24 Ore sui sindaci sceriffi - ritenuti una misura che non ha niente a che vedere con i problemi delle politiche di polizia- e quello che ha scritto La Repubblica, con tanto di vignetta scherzosa sulla buona idea dello sceriffo: la differenza, che porta il giornale romano a stare e a condurre il meccanismo che produce politiche di sicurezza via media, la fa il fatto che il 24 Ore pubblica l'intervento di uno specialista nel settore, intervento quindi complesso se non aporetico, mentre Repubblica produce e lancia informazioni che, altro che aporia, sono un continuo invito a far scattare precisi automatismi di politica disciplinare (leggi più dure, controlli più serrati, detenzioni più lunghe).

Ed è questo predominio dei media di pura informazione -si direbbe produzione di enunciati a ciclo completo, dove è presente l'individuazione del problema e la prescrizione del tipo di intervento risolutorio- che rende possibile la richiesta del fenomeno del controllo, dove si cerca di rispondere immediatamente alle richieste di intervento prescritte dal linguaggio dell'informazione che, in questo modo, essendo l'unico codice in grado di suscitare interventi pratici diventa socialmente egemone. Si noti la differenza tra questo tipo di sapere e quello, peraltro ben normalizzato, formato dal mondo specialistico -in questo caso il sociologo, il criminologo, l'esperto di fenomeni dell'immigrazione etc.- che deposita le proprie modalità di intervento entro un largo asse di tempo e tra diatribe clientelari e dottrinarie: al contrario, le istanze create nel linguaggio dell'informazione possono rapidamente socializzarsi, creare consenso grazie alla propria universalità diffusa dalle tecnologie della comunicazione e arrivare in tempo reale alle sedi della decisione politica. Come abbiamo visto nel caso del sindaco sceriffo è possibile ci sia contraddizione tra le prescrizioni dello specialista e quelle del giornalista: allora vincono, diventando proposte politiche, quelle del giornalista perché sono fatte di quel codice -fatto di individuazioni e prescrizioni- detto informazione che si può lanciare in tempo reale alle sedi del controllo, ovvero della continua decisione politica (alla quale corrisponde la continua informazione).

Per questo nel caso di Milano, nonostante statistiche e analisi non siano così allarmanti, ci siamo trovati di fronte a una incessante richiesta di militarizzazione del territorio: una volta che le tecnologie della comunicazione hanno individuato la sequenza di cadaveri - e spettacolarizzatone l'individuazione- non può che seguire la veloce prescrizione di una terapia, perché ormai la cosa è uscita sui media quindi visibile da tutti e non si può inscenare lo stato impotente. Allora ecco la proliferazione di richieste mediatiche di un'intervento traducibile nel linguaggio dell'informazione che tutti possono constatare ovvero l'invio delle truppe. A questo punto lo specialista riesce a contare solo se si butta nella corrente dominante; le istituzioni -in crisi di consenso- esistono solo se prendono decisioni politiche sulle basi dell'informazione -che crea consenso- e allora la frittata è fatta quindi arrivano le truppe. Questa è la procedura della società di controllo: informazioni che individuano sempre un bersaglio perchè ragionano per bersagli, controllo tecnologico della traiettoria verso il bersaglio e fuoco. Tutto garantito da una tecnostruttura spettacolare e pervasiva. Chiunque non ce la fa a stare in questo processo, dallo specialista che viene fatto apparire fumoso e accademico al soggetto politico, quello al quale tocca il turno dell'essere definito come ideologico, che sia di destra o di sinistra finisce per diventare marginale. E, su questa caratteristica delle società di controllo -flusso continuo di informazioni, flusso continuo di interventi, screening di cosa non sta entro questo ritmo- il caso Lewinski è da manuale: nasce una massa critica di informazioni su un caso che non ha alcun senso né per il pubblico né per gli specialisti -ma che ha un senso anche perché i media non possono certo creare big events sul funzionamento del Fmi o del Pentagono e resta quindi la vita del Presidente- che riesce a imporre le proprie prescrizioni di controllo ovvero l'empeachment a seguito della massa critica di informazioni. Questo, come il caso di Milano, ci mostra che nelle società di controllo i media hanno una proprio autonomia politica non certo definita dalla Costituzione ma dal modo di diffusione del sapere che garantisce che il consenso possa passare solo attraverso le tecnologie della comunicazione. Così la Lewinski diventa on line una delle facce più note della terra mentre Milano in tempo reale diventa la possibile Beirut del XXI secolo: gli specialisti delle varie ramificazioni del sapere non direttamente entro a contatto con gli schemi delle tecnologie della comunicazione sono avvertiti, come i soggetti politici che si trovano a fare i conti con una tecnostruttura che gli impone i temi da affrontare pena la marginalizzazione.

Visto che i media italiani sono niente di più controllato dal potere politico queste affermazioni potranno anche far sorridere ma il problema è che la produzione di informazione quindi di emergenze, oltre ad una propria autonomia rispetto al sapere specialistico, ha una forma e una velocità ben diversa rispetto a quella delle mediazioni che spesso impone la decisione politica. E che per il ceto politico ci sia il problema di adeguarsi a quella velocità di produzione di emergenze costruite dal mondo dell'informazione, che controlla sul piano formale, lo vediamo tutte le volte che si ripropone un tentativo di semplificazione della rappresentanza: annunciato in nome del superamento della palude mediatoria in verità costruito per adeguarsi ad una rappresentanza e a un processo di decisione politica ormai costruiti su dei ritmi di circolazione dell'immagine mediatica che non ammettono momenti di pausa.

Silvano Mcsilvan Cacciari


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