LIBERIAMOCI DEL CARCERE
INCONTRA LUIGI SARACENI
01-06-00


Nei giorni delle proteste delle detenute e dei detenuti del carcere di Rebibbia, cosi' come di altre carceri italiane, abbiamo sentito Luigi Saraceni per discutere con lui di amnistia e indulto. L'intervista e' stata l'occasione per affrontare piu' in generale la situazione del carcere in Italia con uno degli esponenti della corrente riduzionista che sostiene la prospettiva di utilizzare meno carcere e in forme meno afflittive.
Nella nostra analisi abbiamo sempre sottolineato come l'approccio abolizionista si differenzi radicalmente da qualsiasi ottica riformista del carcere. In una fase come quella attuale riteniamo tuttavia importante sapersi confrontare anche con chi crede che il ricorso al carcere debba essere ridotto e migliorate le condizioni di detenzione. Non si tratta di un'alleanza strategica, ne' tantomeno di un soccorso offerto al riformismo carcerario italiano che sta attraversando un periodo di crisi. Sentiamo piuttosto l'esigenza di discutere anche con chi la pensa diversamente da noi, per cogliere interessanti spunti di discussione.
Per chi crede in una prospettiva di abolizione del carcere e del Codice Penale risulta fondamentale saper interloquire con soggetti diversi con cui e' possibile giungere a percorsi parziali in comune. Cosi' crediamo sia nel caso dell'indulto e dell'amnistia, come per altri aspetti del carcere attuale su cui e' necessario intervenire da subito.
Rigettiamo la logica del "tanto peggio - tanto meglio" perche' crediamo non porti, neanche in prospettiva, a nessuna soluzione dei problemi che si vivono oggi dentro il carcere e anzi rischia di avallare il peggioramento delle condizioni di vita cui decine di migliaia di persone sono costrette dietro le sbarre.
Cancellare il carcere e i suoi surrogati (presenti e futuri) dalle nostre vite rientra in quella trasformazione radicale della societa' che comprende il superamento delle ingiustizie sociali e dell'idea di punizione di Stato. Per l'oggi continueremo a batterci affinche' di carcere non si muoia piu', ma neanche si viva.

L'intervista

Liberiamoci del carcere (LDC)
Il pestaggio di massa dei detenuti del carcere S. Sebastiano di Sassari si colloca all'interno di quella che e' la situazione generale del carcere italiano: dall'inizio degli anni '90 il numero di persone detenute e di ingressi in carcere e' costantemente aumentato fino a stabilizzarsi sulle 50.000 presenze medie. Ora, l'effetto delle ultime politiche sulla sicurezza ha fatto superare stabilmente anche questa quota. Le condizioni di sovraffollamento sono in molti casi pesantissime. Tuttavia sembra ogni giorno rafforzarsi la tendenza custodialista delle politiche penali nel nostro paese. Il controllo sociale abbandona, o riserva a una quota molto ridotta, le politiche di "recupero" e "reinserimento" ed espande le varie forme di carcerazione e controllo diffuso. Militarizzazione del territorio; quartieri ghetto, video-sorveglianza, repressione preventiva spazzano via o pongono sotto loro diretto controllo l'assistenza sociale, mentre in ambito carcerario cio' si traduce in un aumento del potere di guardie e direttori carcerari. Il Servizio Sociale per Adulti (S.S.A.A.) che gestisce parte della pena scontata fuori dal carcere per chi usufruisce delle misure alternative e' stato in molte citta' italiane posto sotto controllo della polizia penitenziaria. La reazione dei secondini dopo la diffusione delle notizie sul pestaggio di Sassari e' stata, come da alcuni anni a questa parte, un'arrogante pretesa di maggiori poteri che il Governo ha prontamente soddisfatto con le migliaia di nuove assunzioni e i finanziamenti per centinaia di miliardi nel settore penitenziario. Qual e' una tua considerazione generale sulla situazione del carcere in Italia?

Luigi Saraceni (LS)
I fatti di Sassari sono solo la punta di un iceberg. In quel caso e' successo certamente qualcosa di particolare. E' una vicenda che per fortuna non e' proprio tipica. La violenza e' connaturata al carcere, perche' e' un atto di violenza la privazione della liberta', anche se ritenuta necessaria perche' pare non ci siano alternative, o almeno il nostro sistema non ha trovato qualcosa di diverso dal segregare le persone che commettono reati. A questo si aggiunge sicuramente una violenza supplementare che si esercita nella complicita' generale, in modo piu' o meno strisciante e ovattato. Sebbene di piccolo taglio, esiste in modo sistematico anche questa ulteriore violenza e costituisce uno strumento di gestione del carcere.
I sistemi come il nostro hanno un tasso fisiologico di devianza e di criminalita' e per compenso hanno bisogno ciclicamente di una valvola di sfogo. In Italia negli ultimi cinquanta anni e' stato concesso un indulto ogni due tre anni per ricondurre la detenzione entro livelli governabili. Cosi' e' stato fino agli anni Novanta. Poi nel 1990 e' entrato in vigore il nuovo Codice (di Procedura Penale) e ci si e' illusi che attraverso l'entrata in vigore del nuovo Codice altri provvedimenti sarebbero stati sufficienti per governare il livello di detenzione che grava sul sistema carcerario e giudiziario. I fatti ci hanno smentito: oggi in carcere c'e' un livello di detenzione altissimo. Cio' crea molta tensione per la convivenza forzata causata dalle condizioni di sovraffollamento che hanno superato i limiti di tollerabilita'. Si e' arrivati oggi a un punto di rottura.
La domanda che si pone e': che fare? Certamente un'amnistia o un indulto sono provvedimenti che non risolverebbero le ragioni strutturali di questa situazione. Ma forse servirebbero ad alleviare le sofferenze di chi sta in carcere e ad allentare la tensione. Sarebbe un modo di mettere una pezza a questo sistema con cui funziona il carcere, una soluzione contingente. Per andare alla radice del problema bisogna fare ben altro. Intanto bisogna risolvere la questione sociale che e' al fondo ed e' quella che procura carcere, devianza, criminalita'. Cominciando dalla droga. La composizione della popolazione detenuta e' costituita per la maggior parte da drogati e immigrati: persone che stanno in carcere per via della droga o della razza.
Io non ho fiducia che il sistema sappia affrontare questi temi. Ma almeno facciamo un'amnistia, riduciamo la sofferenza di queste persone! Poi serve riuscire a concepire il carcere non solo come un luogo di custodia: per molte delle persone detenute il carcere e' l'unico aggancio che trovano con le istituzioni. Uno Stato che punti a essere capace di comprendere le persone in qualsiasi momento vengano in contatto con le istituzioni, dovrebbe porsi come primo problema quello del "recupero". In questo senso non servono solo le figure che hanno compiti di custodia, ma anche coloro che hanno compiti di dialogo: gli educatori, gli assistenti sociali, le persone che dall'esterno, tramite attivita' di volontariato, riescono a instaurare un rapporto con le persone recluse. Queste potrebbero trovare nel carcere l'occasione per portare la loro vita al di fuori dei binari dell'emarginazione, della solitudine, della poverta', della miseria, del bisogno elementare che li ha portate in carcere. Soprattutto una volta scontata la pena dovrebbero trovare all'esterno un'accoglienza sociale e istituzionale adeguata. Altrimenti non hanno nessun'altra alternativa che ricominciare.

LDC
Lo scontro tra una visione custodialista e una riformista del carcere non credi si sia risolto a tutto favore della prima? Posizioni rispettabili, anche se assai diverse da un approccio abolizionista, come la tua o quella dell'ex direttore del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Alessandro Margara, cacciato nel 1999 da Diliberto per far posto a Caselli non credi siano state messe in secondo piano proprio da quel governo che fa a gara con la destra nel rincorrere le politiche sulla sicurezza e favorire l'impostazione custodialista?

LS
Il sistema e' in continua fibrillazione tra queste esigenze. Anche chi ha una visione diversa da quella custodialista trova spazio. E' vero che Margara e' stato cacciato dal DAP, ma prima di essere mandato via vi era stato posto a dirigerlo e poi e' stato sconfitto. C'e' in effetti un confronto continuo tra le diverse anime. In questo momento le esigenza di tipo custodialista prevalgono.

LDC
In una situazione come quella attuale quanta fiducia hai nella concessione di un provvedimento di indulto o amnistia?

LS
E' vero che l'impronta custodialista sembrerebbe contraddire provvedimenti quali l'indulto o l'amnistia. Pero' va considerato che la concessione di un indulto o di un'amnistia rappresenta un utile strumento di gestione del carcere per chi in questo momento ha la responsabilita' di governo. Le istituzioni si devono porre questo problema. Amnistia e indulto, per quanto soluzioni ingannevoli e contingenti, possono essere strumenti che il sistema adotta per sopravvivere, anche in un'accezione negativa dal nostro punto di vista. D'altra parte io credo si debbano cogliere anche le contraddizioni del sistema, i suoi bisogni, per alleviare la sofferenza della gente. Io dico: cogliamo le contraddizioni del sistema e svuotiamolo un po' questo carcere! Prima facciamo questo, poi continuiamo a batterci, ognuno sulle proprie linee culturali, politiche, istituzionali.

LDC
Parliamo un po' del dopo - Sassari. Abbiamo detto della reazione dei secondini, ma dopo la loro repentina scarcerazione la parola sembra essere stata presa dai detenuti e dalle detenute che hanno organizzato proteste in moltissime carceri italiane. Fuori c'e' stata una risposta da parte delle famiglie e in misura abbastanza ridotta delle realta' antagoniste. Nei giorni delle proteste hai incontrato le detenute e i detenuti di Rebibbia che portavano avanti, tra le altre, la richiesta di un indulto generalizzato fino a tre anni.
Che impressione hai riportato da questi incontri? Pensi che il clima di mobilitazione sia catalizzato dalla richiesta d'indulto e destinato a spegnersi qualora l'indulto venisse concesso?

LS
Non posso certo dire di avere il polso della situazione in carcere, perche' la mia esperienza si limita a pochi incontri che ho avuto in questi giorni di protesta dei detenuti e delle detenute di Rebibbia, incontri che spero di poter proseguire. Ho incontrato comunque un consenso generalizzato intorno alla richiesta di indulto come provvedimento che intanto decomprima la situazione. Queste persone vivono il carcere sulla propria pelle, ora per ora, minuto per minuto; vivono quasi tutto il giorno in celle con sei - sette persone. La vita delle persone recluse e' questa in questo momento.
E' importante che chi ha la consapevolezza, gli strumenti di interpretazione dei fenomeni sociali, politici, istituzionali e riesce a cogliere l'aspetto di palliativo rappresentato dall'indulto auspichi ugualmente una sua concessione perche' permetterebbe a molte persone di portare avanti la propria vita in modo meno afflittivo e meno sofferente, almeno nell'immediato.

LDC
Anche noi crediamo che la richiesta d'indulto partita dai detenuti e dalle detenute in questo periodo vada sostenuta. Nelle loro richieste e' specificato che l'indulto deve essere generalizzato. Questo perche' nell'ordinamento italiano esistono molti regimi di differenziazione e il rischio e' che l'indulto non coinvolga tutte le persone con l'articolo 4bis o in regime 41bis, ne' chi ha la condanna all'ergastolo, cui non vengono conteggiati gli anni di indulto per accedere alla liberazione condizionale. Gli articoli 4bis, 41bis e le condanne a vita coinvolgono migliaia di persone detenute che rimarrebbero escluse da un provvedimento non generalizzato.

LS
Anch'io credo che la richiesta di applicare a tutti l'indulto sia condivisibile. Anche perche' quei soggetti considerati ai vertici della scala di pericolosita' hanno pene talmente lunghe che un provvedimento d'indulto non li porrebbe certo in liberta'. Anzi sarebbe un segnale lanciato dalle istituzione anche a quei soggetti destinati a rimanere in carcere.

LDC
Tecnicamente un provvedimento come l'indulto o l'amnistia deve essere approvato da 2/3 del Parlamento. Quanto pesa l'esigenza di una maggioranza qualificata sulle possibilita' che l'indulto venga approvato?

LS
I 2/3 dei voti in Parlamento dipendono dalla volonta' delle forze politiche, dalla loro disponibilita': ognuno dica quello che vuole fare, senza trincerarsi dietro l'alibi che ci vogliono i 2/3 del Parlamento. C'e' chi dice che bisogna fare ben altro da amnistia o indulto, che occorrono interventi strutturali. Il fatto e' che le forze politiche non hanno la capacita' di fare interventi di altro tipo. Se anche ne avessero la volonta', sono incapaci. Per l'amnistia o l'indulto, invece, e' sufficiente la volonta'. Nessuno dovrebbe potersi nascondersi dietro la difficolta' dei 2/3.

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