COLOMBIA, MESSICO, BRASILE....RIFLESSIONI.

 

Il continente Latinoamericano sta esplodendo. L’immenso laboratorio di sperimentazione economica del cosiddetto "neoliberismo", saturo dalle più criminali alchimie finanziarie di fine millennio, non riesce più a sostenere il peso incessante dei suoi stessi arrugginiti meccanismi.

E allora, le formule economiche sistematicamente applicate con il "neoliberismo", con il "capitalismo selvaggio" o attraverso "l’economia di mercato", si traducono concretamente nell’unico linguaggio internazionalmente conosciuto : aggressività e monopolio dei mercati, violenza generalizzata, repressione.

 

L’America Latina sta vivendo sulla sua carne tutto il dramma di queste programmate sperimentazioni che ogni anno, in tutto il mondo, producono milioni di morti per fame.

Le "democrazie tutelate", le dittature militari, patrocinate e volute dall’Imperialismo Nord Americano, che sin dalla prima metà del secolo già contraddistinguevano la storia e la quotidianità dei popoli sud americani, non hanno avuto altra funzione se non quella di pianificare gli interventi e sostenere gli interessi del grande impero nel "giardino di casa".

Con il "foraggiamento" delle dittature più sanguinarie a memoria d’uomo, gli Stati Uniti, le multinazionali e le oligarchie autoctone hanno cercato di desertificare, dalla minaccia comunista ed autogestionaria dei popoli indigeni, un continente saccheggiato e dominato da cinquecento anni.

Anche le Lotte di liberazione e di resistenza sviluppatesi nella quasi totalità dei paesi del Continente latino americano, hanno dovuto necessariamente fare i conti non solo con le capacità di penetrazione finanziaria e militare delle giunte golpiste e dei loro alleati statunitensi, ma soprattutto con lo spettro dello strangolamento economico a cui erano destinate tutte quelle esperienze che fossero riuscite nell’ardua impresa di sovvertire l’ordine neo coloniale nell’area.

La successiva transizione politica ed economica dei paesi "pacificati", avviata negli anni novanta nel formale tentativo di colmare il pesante tributo di sangue da parte dei popoli latinoamericani all’epocale violazione dei diritti umani, ha fornito le condizioni e il pretesto per la mera applicazione delle leggi dell’indulto, dell’obbedienza dovuta e dell’impunità per quanti, militari e politici si erano macchiati di orrendi crimini contro l’umanità.

 

E’ con questa ingombrante ipoteca economica e politica che i popoli latino americani oggi si trovano a dover fare i conti.

Un’ipoteca virtuale, concepita e modellata su dei teoremi di egemonia economica che hanno puntualmente centrato l’obiettivo sotto il profilo della ridefinizione ideologica del concetto di pace, ma che certamente non hanno mai dato risposte concrete sul piano del diritto alla vita per tre quarti della popolazione mondiale.

Oggi l’America Latina, la riserva di caccia, il giardino dell’Impero, l’enorme laboratorio di sperimentazione economica e politica delle ricette del Fondo Monetario Internazionale, sta esplodendo.

Vanno in pezzi gli equilibri e le certezze che avevano affidato al Messico una funzione strategica, sotto il profilo geo-economico, rispetto all’avvio del Trattato di Libero Commercio, il NAFTA.

Tra un’invasione militare simulata e la simulazione di una democrazia, la paura assale la Casa Bianca sulla soglia di un processo di pace in Colombia.

 

La trasversalità dell’esperienza politica e l’orizzontalità organizzativa nella dinamica del "Movimento dei Senza Terra" in Brasile, rilancia dal basso una reale opzione di classe contro le scelte economiche fondo-monetariste del gigante brasiliano.

Anche questa è storia. Anche questa è realtà !

La realtà sociale e politica Latino Americana, ha subìto negli ultimi anni un’incontestabile accelerazione dinamica.

Sarebbe inopportuno delinearne i confini sotto i parametri delle vittorie o delle sconfitte.

 

Ciò che incontestabilmente sappiamo è che in MESSICO, ad esempio, conclusa l’evanescenza "ribellionista" torna il problema dell’autodeterminazione delle popolazioni indigene, dell’uso e del controllo delle risorse naturali, torna il problema del rilancio dell’unità nella lotta tra la smembrata classe operaia messicana e le popolazioni autoctone, emarginate, escluse e sfruttate.

 

Torna soprattutto al pettine il nodo della lotta contro il NAFTA, contro la svendita e lo sfruttamento delle risorse naturali delle imprese trasnazionali e per la sovranità nazionale, per una nuova definizione della rappresentanza politico-militare tra le organizzazioni in armi.

Se solo alcuni mesi fa, in Messico, il congelamento dell’opzione armata nel conflitto in Chiapas era riconducibile ad un indefinito e confuso coinvolgimento internazionale nella difesa delle comunità indigene, con gli ultimi dispiegamenti delle Forze Armate Messicane nelle zone di influenza dell’EZLN, la pressione delle multinazionali, il Governo Zedillo e l’ingombrante vicino nord americano, hanno rilanciato in forma massiccia e inconfutabile la riattivazione strategica del progetto complessivo rappresentato dal NAFTA.

 Non più l’applicazione o il non rispetto degli "Accordi di San Andres", quindi, ma il dichiarato ed evidente tentativo del capitale multinazionale di mettere nuovamente mano al progetto di quell’area di libero scambio che l’apparizione dell’Esercito Zapatista aveva inceppato.

Torna l’allarme per il Messico, per un intero paese risucchiato nella dimensione del saccheggio coloniale, per un paese "in svendita", l’allarme per un incancrenito stallo politico che, alle soglie delle prossime elezioni, lasciano tristemente presagire conflitti regionali di ben più vaste proporzioni delle attuali.

Lo scontro tra PRI e PRD è uno scontro di apparato, uno scontro di potere, uno scontro anche capace di dilaniare la società messicana, le sue organizzazioni, le sue realtà politiche e rivoluzionarie.

Il PRD, del resto, non ha mai nascosto la sua vocazione "neoliberista" e la sua contraddittoria trasversalità nelle problematiche economiche e sociali del paese, non aiutano certo ad una maggiore comprensione della sua reale collocazione politica.

 

In COLOMBIA, invece, il fragile equilibrio di forze, determinato dalla deterrenza della Lotta Armata, inizia ad essere messo in discussione seriamente, forse per la prima volta, dall’elemento incontrovertibile degli interessi nord americani nell’area.

Sono almeno cinque anni che la presenza statunitense in Colombia diventa sempre più evidente, massiccia ed articolata.

 

"La virtuale invasione" della Colombia è frutto di un lungo e lento processo avviato dagli USA in prossimità della scadenza del "trattato Torrijos-Carter" rispetto alla restituzione dell’ormai obsoleto Canale di Panama al Governo "fantoccio" panamense.

Uno degli obiettivi è quello di sfruttare e rendere percorribili i già navigabili fiumi colombiani nella regione nord orientale di Urabà, al confine con Panama, che congiungono già naturalmente i due oceani, anche se nel contempo non devono essere sottovalutate gli enormi interessi sulle ricche risorse naturali esistenti nella regione.

 

Non a caso, da circa cinque, anni la regione di Urabà è stata trasformata, dagli interventi delle multinazionali appunto, nel campo di battaglia più cruenta di tutta la Colombia.

Ma tornando alla restituzione del Canale di Panama, i popoli latino americani sanno perfettamente che gli Stati Uniti non hanno mai brillato di luce propria in quanto a rispetto degli accordi sottoscritti.

Anche se nell’estate ‘99, in sordina, è stata avviata l’operazione formale della riconsegna di questa porzione di "suolo patrio", tuttora il Canale di Panama resta sotto il controllo militare nord americano, con la specifica opzione di un possibile intervento militare, qualora le condizioni lo richiedessero.

 

E questo è un altro dei punti critici rispetto alla pressione statunitense sulla Colombia :

la necessità della ricollocazione del Comando Sud delle Forze Armate Statunitensi,

fino ad ora di stanza a Panama. Forze di intervento rapido che hanno solcato praticamente tutti cieli ed i suoli dell’America Latina e che sono state protagoniste della stragrande maggioranza delle invasioni militari o come supporto logistico per quasi tutti i colpi di Stato.

Però, la palpabile percezione dell’intervento USA in Colombia ha assunto una dimensione evidente e minacciosa soprattutto attraverso la reiterata menzogna della lotta al narcotraffico, ovvero, lo spasmodico tentativo di controllo militare ed economico della regione e del volume finanziario prodotto dalla produzione e commercializzazione della Coca.

l Processo di Pace avviato da circa un anno, invece, offre indubbiamente una lettura molto più articolata dei rapporti di forza espressi nel confronto politico e militare tra la Guerriglia e il Governo Colombiano.

Di questa pace, gli Stati Uniti non sanno cosa farsene.

 

E men che meno di un accordo sottoscritto sotto la pressione delle bombe con una Guerriglia ultra trentennale, marxista, ben radicata nel paese, forte e determinata a seguire ad oltranza il cammino rivoluzionario e il sogno "bolivariano".

Questa pace continua purtroppo a rappresentare la "carota" per le sempre più disilluse e martoriate masse popolari colombiane.

E’ evidente quindi che la proposta dell’Esercito di Liberazione Nazionale che prevede una reale partecipazione delle organizzazioni popolari quali attori fondamentali sia del conflitto come della realizzazione del cammino verso la pace -negli accordi da sottoscrivere tra Guerriglia e Governo- rappresenti intrinsecamente una minaccia per la sicurezza nazionale e dell’area, almeno così come è concepita dagli interessi nord americani.

 

Quindi parlare oggi di invasione statunitense della Colombia è sostanzialmente un eufemismo, senza contare "l’elemento destabilizzante" del Venezuela che, probabilmente, per capacità e condizioni politiche ed economiche, rappresenta, nella logica del controllo imperialista, un problema assai più complesso ed articolato.

Dicevamo quindi che in America Latina, l’enorme laboratorio neoliberista, comincia ad andare in frantumi.

Ma questa implosione non è indolore.

Se in Messico, rispetto alla riproposizione maggiormente determinata del NAFTA, ci troviamo di fronte alla necessità di una rivalutazione complessiva degli elementi e delle forme dello scontro in atto, e in Colombia l’ineluttabilità dell’intervento imperialista ci impone una più attenta valutazione sul fenomeno della cosiddetta "libanizzazione" della regione latino americana, in BRASILE siamo di fronte alla radicalizzazione di un conflitto sociale di ampie proporzioni probabilmente destinato ad aprire un serio dibattito anche all’interno dell’universo della sinistra.

 

Il conflitto brasiliano e la radicalizzazione del processo politico del Movimento Sem Terra non è da intendere solo come frutto del claudicante sistema economico e finanziario del gigante carioca, ma principalmente, come maturazione di un processo politico cosciente riaffermato contro la volontà, espressa dal Governo Brasiliano e dai latifondisti, di non retrocedere sulle scelte di programma fino ad oggi compiute rispetto alla riforma agraria e alla distribuzione delle terre.

 

E se parliamo di latifondo, parliamo necessariamente del monopolio delle multinazionali sulla già ampia concentrazione di terre.

Ecco quindi che l’esperienza del MST, oltre ad essere caratterizzata da un movimento trasversale che funziona da raccordo ideale per moltissime istanze sociali, etniche, religiose e politiche, conquista una valenza antimperialista molto più radicale di quanto, nella "formalità" delle rivendicazioni espresse, dichiari.

 Anche in questo caso, l’espansione del fenomeno politico e sociale del MST, riveste un’importanza fondamentale proprio perché ha saputo, in tempi relativamente brevi, coniugare intelligentemente la problematica della difesa dei diritti sociali ed umani al diritto per la terra ; l’elemento dell’identità, dell’appartenenza sociale e di classe alla lotta per la trasformazione in ambito nazionale ; l’elemento della consapevolezza dei rapporti di forza esistenti alle capacità complessive del colosso economico Brasiliano.

 

Il MST, non è una ricetta, non è un modello.

 E’ un percorso, una dinamica sociale, prima che politica, che dimostra l’efficacia di una pratica solidale condivisa, modellata e proposta, in tutta la sua naturale radicalità, dalle masse dei diseredati, degli esclusi dalla società dell’opulenza e che tende sempre più ad estendersi a tutti quei settori - sociali e politici - disillusi dall’ortodossia ideologica difficilmente applicata e applicabile in molti paesi dell’America Latina.

La componente teologica presente ed operante nel MST, è enorme. La radicalità con cui abbiamo sempre conosciuto il manifestarsi della "Teologia della Liberazione", in Brasile come in tutto il Continente sud americano, non è certamente solo figlia di una lettura "evangelica" della condivisione della povertà o della necessità della difesa della dignità umana.

La sua compenetrazione e l’elaborazione attiva con l’esperienza del MST diventa quindi, senza ombra di dubbio, l’elaborazione politica ed umana più attenta e penetrante di questo fine millennio.

E’ la più giusta e calibrata mediazione tra la visione dello sviluppo autocentrato ed autosostenibile espressa dalle popolazioni indigene e l’interpretazione marxista, rivoluzionaria, della contraddizione capitale - lavoro applicata e sperimentata in tutte le esperienze di matrice "socialista", nel continente latino americano.

Ma anche se forte e dinamica, l’esperienza e la proposta dei Sem Terra rischia comunque di restare schiacciata e marginalizzata dal grande apparato di consumo e sfruttamento garantito dal latifondo, asservito agli interessi multinazionali.

La necessità di una più attenta e consapevole comprensione ed elaborazione sul fenomeno brasiliano, è irrinviabile.

Tutto questo, nel campo della proposta politica internazionalista, dovrebbe contribuire alla ridefinizione di un’analisi complessiva più attenta sulla reale congiuntura latino americana.

 

Il Messico, la Colombia e il Brasile rappresentano oggi, probabilmente, un continuo e contraddittorio banco di prova dove i conflitti sociali, economici e politici vengono modulati dalla capacità di penetrazione del capitale multinazionale e dalla resistenza opposta dai popoli.

Azioni e reazioni che sfuggono dall’interpretazione massimalista del mondo unipolare che si era fatta strada nel corso degli ultimi anni. Nella natura delle cose, la cosiddetta "globalizzazione" dei mercati rivela palesemente quella dei conflitti.

Forse, sarebbe ora di abbandonare i laceri panni di "illuminati dispensatori di verità messianiche" e tornare ad imbracciare la causa dei popoli, la nostra.

 

Roma, Settembre 1999.

Comitato di Solidarietà "CARLOS FONSECA"

 

Per contatti : fonsecafonseca@hotmail.com

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oppure tutti i Lunedi dalle 19,00 alle 20,00 nel corso della trasmissione "LATINOAMERICANA" sui microfoni di Radio ONDAROSSA 87,900 Mhz