"Portiamo la Palestina a Genova"

In questi otto mesi l’Intifada ha dimostrato la determinazione del popolo palestinese ad opporsi ad ogni accordo di pace tendente ad annientarlo; abbiamo assistito ad una escalation politico-militare da parte di Israele senza precedenti che ha avuto come riscontro il silenzio del mondo di fronte a quello che possiamo definire un vero genocidio.
Israele, oggi, ci presenta uno scenario che lo legittima a bombardare con gli F-16 la popolazione civile senza che nessuno metta in discussione queste atrocità dimostrando la funzionalità del diritto internazionale agli interessi degli stati detentori del potere politico-economico.
Durante gli ultimi 15 anni l’amministrazione USA si è posta l’obiettivo di governare la crisi in Palestina soprattutto per normalizzare l’area e consentire l’espansione dei mercati di Israele e dell’occidente nel mondo arabo. Contemporaneamente ha esercitato il suo pugno di ferro in Iraq continuando a bombardare (sino ad oggi) ed ad affamare la sua popolazione con l’embargo.
In questa fase Israele ha legittimato la sua presenza da un lato nel mondo arabo vicino (Egitto, Giordania, ecc.) e, dall’altro, attraverso tutta l’impalcatura del “Processo di pace”, nei paesi occidentali che durante la prima Intifada si erano dimostrati solidali con il popolo palestinese.
Questo processo di pace, avvenuto con l’avallo della borghesia palestinese, non ha garantito neanche a quest’ultima una posizione di autonomia economico-politica ed ha, anzi, rafforzato il suo ruolo subalterno agli interessi Israeliani; subalternità, del resto, già insita nella stesura degli stessi accordi di Oslo.
In questi anni Israele ha rafforzato enormemente il ruolo che ha sempre avuto nell’area medio-orientale: quello di avamposto dell’occidente in una zona strategica per il controllo del petrolio e di cuneo nel cuore del mondo arabo con lo scopo di romperne la continuità territoriale.
Non stupisce, quindi, che gli USA e l’Europa abbiano costruito e sostenuto questa operazione; quello che più colpisce è l’efficacia nel convincere l’opinione pubblica occidentale, anche quella inizialmente più favorevole ai Palestinesi, servendosi a tal fine anche dei movimenti integralisti e del terrorismo islamico legittimando così ulteriormente la necessità dell’esistenza dello stato d’Israele. Paradossalmente, quindi,
l’integralismo dello stato d’Israele (uno dei pochi stati teocratici della zona) viene spacciato come baluardo della democrazia di stampo occidentale nella regione.
Senza volere minimamente sopradeterminare i percorsi della resistenza palestinese, che dura da oltre 50 anni, ed evitando di leggere l’Intifada in un ottica tutta interna ai processi di organizzazione a noi propri, appare tuttavia sempre meno rimandabile una riflessione sul rapporto che può e deve instaurarsi tra il movimento internazionale che dal ’99 si oppone alla globalizzazione capitalistica e le istanze più avanzate ed aperte alla discussione che sappiamo esistere in terra di Palestina. In questo senso ci sembra importante che si attivi un proficuo scambio di esperienze al fine di mettere in pratica nuove forme di comunicazione e collegamento tra le lotte, le realtà antagoniste, i movimenti di opposizione sociale e di liberazione dall’oppressione presenti in tutto il
mondo.
In uno scenario che vede un oggettivo isolamento internazionale del popolo palestinese, sostanzialmente abbandonato anche dagli stati di un’Europa unita, incapace di una reale autonomia politica rispetto agli USA, la spirale di oppressione e militarizzazione del conflitto rischia di piegare e fare arretrare le legittime rivendicazioni su cui è nata questa seconda Intifada. Sotto il fuoco dei carri armati e degli F-16 israeliani appaiono sempre più lontane possibili vie d’uscita dal conflitto che non siano una sostanziale accettazione dei diktat israelo-americani o una escalation
della violenza che assume ormai i connotati del genocidio.
I potenti che si riuniranno a Genova nel vertice dei G8 sono i principali responsabili della situazione venutasi a creare in Medio Oriente. I processi della globalizzazione che essi guidano ed indirizzano sono volti a determinare aree geo-strategiche di influenza con lo scopo di sfruttare risorse naturali e mercati senza alcun limite, tendendo ad annientare popoli e culture in qualsiasi forma ostacolino le loro prospettive di dominio. Sotto questo punto di vista fossilizzarsi sulla proposta “due popoli due stati” serve unicamente a legittimare ulteriormente l’esistenza dello stato d’Israele con tutti i suoi fondamenti ed ad azzerare ogni possibile processo di autodeterminazione ed autogoverno del popolo palestinese, qualunque sia la forma di organizzazione sociale che esso vorrà darsi. In questa prospettiva anche in Palestina si ripropone l’imposizione delle regole della globalizzazione neoliberista che appare sempre più indirizzata alla costruzione di stati nazione sulla base delle certezze che gli occidentali ripongono in questa formula di governo e rappresentanza di interessi senza preoccuparsi in nessun modo della rispondenza di essa alla realtà locale cui è calata. In questo quadro l’irriducibile resistenza del popolo palestinese non può che rappresentare un punto di forza nella strategica area medio-orientale per quanto riguarda i movimenti di lotta che in ogni parte del pianeta si oppongono alle imposizioni degli agenti di comando e di controllo ormai non localizzabili esclusivamente negli angusti confini dello stato-nazione.
La limitatezza che finora si sconta di un’iniziativa politica volta a creare contatti e stringere relazioni, sia da parte palestinese sia da parte dei movimenti presenti in Italia ed in tutto il mondo, deve essere contrastata a partire dalla materialità politica e sociale dell’unico movimento reale che ha riscontri a livello planetario: il movimento contro la globalizzazione.
E’ per questo che riteniamo fondamentale sviluppare nell’ambito del contro-vertice di Genova un terreno di confronto sulla lotta di liberazione del popolo palestinese, un confronto potenzialmente in grado di attraversare i vari tavoli di discussione (capitale/lavoro, ambiente, immigrazione, ecc.) nella prospettiva di un coinvolgimento effettivo delle realtà palestinesi (presenti nel nostro paese e non solo) nella costruzione di percorsi di lotta unitari contro lo sfruttamento neoliberista imposto a tutto campo dalle elitès di potenti presenti a Genova.
Sotto tale punto di vista è auspicabile un intervento diretto di rappresentanti della lotta palestinese nei forum internazionali previsti nel mese di luglio a Genova.

Coordinamento nazionale dei Comitati di solidarietà con l'Intifada

 

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