Le lezioni militari dell'Intifada
Resoconto speciale di Saleh Abdel Jawad
direttore del Dipartimento di Scienze Politiche alla Birzeit University


Quali sono le lezioni più importanti che si apprendono dai recenti fatti?

L'aspetto emotivo dell'Intifada e il gergo dell'eroismo e del sacrificio sono stati recentemente trattati dalla stampa Palestinese, ma questo articolo tratta di un altro- e non meno importante- aspetto.
Eroismo ed insufficienza strategica.
Nonostante il loro eroismo senza precedenti e i sacrifici, gli attuali scontri hanno dimostrato che la parte Palestinese (l'Autorità Palestinese, la sua opposizione e la società in generale) non è preparata ad un confronto militare. Ciò è dovuto non solo all'enorme gap di capacità fra le due parti, ma anche alla nostra mancanza di preparazione. Questo è così, nonostante tutte le precedenti dichiarazioni della leadership palestinese - politica e militare " sulla preparazione di un possibile confronto imposto dall'occupante in caso di dichiarazione di indipendenza o alla mancata adesione alle sue condizioni richieste. L'otto Ottobre, visitai una postazione militare Palestinese vicino ad un'entrata a Ramallah.
C'erano solo 5 persone nella postazione. Più importante di tutto, la postazione non mostrava segni di trincee, fortificazioni o anche sacchi di sabbia. Altri esempi non sono necessari, poiché l'impreparazione è evidente. Una chiacchierata con un ufficiale o membro delle forze di sicurezza palestinesi mi porta alla stessa conclusione. Questo mostra la mancanza di serietà e di conoscenza dei responsabili delle decisioni del proprio nemico. Spiega anche l'indifferenza israeliana verso i Palestinesi e la sua percezione che ogni disordine sarà solo un passeggero scoppio di rabbia. La preparazione di Israele, dall'altra parte, è dimostrata di essersi sviluppata già dagli incidenti del tunnel nel 1996. Oltre ad un gap di risorse, l'insufficienza nella preparazione si è manifestata in alcune spontanee ed erronee tattiche sul terreno. Gli eventi si sono trasformati in un metodo strategico che può solo condurre al disastro. La partecipazione di elementi Palestinesi "armati" alle dimostrazioni popolari e gli spari verso soldati e coloni devono finire, sebbene noi sappiamo che avvengono in un contesto di auto difesa. Queste sparatorie hanno luogo a distanza, e francamente parlando, sono infruttuose. Mentre queste persone non mancano di fede o disponibilità al sacrificio, soffrono proprio di una mancanza di armi appropriate, di una carenza di munizioni e più importante, di una mancanza di esperienza, allenamento e conoscenza. Mancano di disciplina e di una leadership. La partecipazione di questi elementi non è niente altro che simbolica, dando una falso senso di sicurezza e di salvezza. Invece, essi offrono ad Israele la scusa di usare i tank, gli elicotteri Cobra ed i missili per calmare la rivolta che è essenzialmente popolare. Per la prima volta dal 1967, il nemico ha avuto ragione a bombardare i quartieri. Se questa situazione si intensifica, si permetterà di espellere temporaneamente o permanentemente la gente dai quartieri, villaggi o anche città, lanciando una minaccia strategica. Io suggerisco che ci sia un dibattito nazionale su questo argomento. Forse in previsione di questo momento un "guercio" si è voltato verso le armi che sono uscite a poco a poco in questi ultimi anni dal mercato israeliano e che sono finite nelle mani di questi elementi. Ma questa tattica ha mostrato il suo definitivo fallimento, provocando perdite ingiustificate nei ranghi sia di coloro che sono armati sia nei dimostranti. Lo stesso dicasi per l'evacuazione della Tomba di Giuseppe a Nablus che è una prova del successo di questa tattica che mostra un incapacità di trarre lezioni e modelli dalla nostra esperienza. Noi non possiamo applicare le circostanze particolari di questo sito ai restanti insediamenti e postazioni militari. Questo piccolo posto, piazzato nel mezzo di un grande area palestinese, era custodito da soli 13 soldati israeliani che sono stati capaci di tenere la posizione per più di 10 giorni nonostante decine di attacchi. Durante quegli attacchi, un soldato è morto in cambio di 7 morti fra i Palestinesi e il ferimento di almeno 75.Credo che se questo sito non fosse stato nel mezzo di un'area residenziale, Israele non lo avrebbe evacuato. Quindi, attaccare postazioni militari israeliane fortificate o insediamenti circondate da aree vuote non serve a niente (come abbiamo visto in altri confronti) ma provoca tremende perdite fra Palestinesi, per non parlare dei danni strategici. Se abbiamo imparato qualche cosa dalla Guerra del 1948, è che gli attacchi a posizioni israeliane ben fortificate conduce solamente, eccetto in rari casi, a perdite da parte Palestinese ed Araba. In quei giorni, il gap di risorse era tutto altro che largo come lo è oggi. A lungo andare, gli attacchi ai coloni e alle postazioni fortificate sfiancarono le forze arabe e le troncarono la forza. La storia ha mostrato che quando la parte Palestinese non ha lanciato questi attacchi, i combattenti ebraici o l'Hagana (la principale formazione militare sionista diretta dall'Agenzia Ebraica e responsabile di numerosi attentati e massacri in quegli anni N.d.T.), usando agenti speciali o collaboratori locali lo fecero. E anche quando non poterono trovare collaboratori mandarono i coloni ad aprire il fuoco per provocare l'opinione pubblica in quegli insediamenti che avevano buoni rapporti con i vicini Arabi, creando un senso di colpa fra la popolazione araba. Questo, infine, servì a facilitare l'espulsione dei villaggi Arabi ( si deve leggere la confessione di Iyal Ofek del Kibbutz Hazori sull'espulsione degli abitanti dei villaggi di Qira e Abu Zreiq nella area di Haifa per vedere come questo corrisponda al vero). Attualmente, è sufficiente contare le perdite da entrambi le parti per verificare come queste tattiche siano infruttuose. Mentre i Palestinesi avevo perso 80 martiri durante gli scontri sul tunnel in rapporto a 16 soldati israeliani morti (un rapporto di 1 a 5) i Palestinesi hanno perso 80 martiri su 2 soldati israeliani (un rapporto di 1 a 40) nei recenti scontri. É una mia idea che la differenza in questo rapporto diventerà sempre più ampia se noi arriveremmo ad un confronto armato, dove gli israeliani saranno coloro che iniziano per prima e noi saremo sulla difensiva. E' comprensibile che i giovani pubblicamente mostrino armi come un simbolo riconoscibile di resistenza coraggiosa per un popolo soggetto ai tipi più ripugnanti d'oppressione. Nelle nostre circostanze attuali, comunque, questo comportamento dà ad Israele su un piatto d'argento la scusa di abbattere questa resistenza. L'uso delle armi in confronti popolari è un suicidio politico e militare. Quindi deve essere separato dalla dimensione popolare della lotta e la lotta deve essere portata verso il frazionamento del nemico, come fu il caso dell'Intifada, della sua schiacciante superiorità militare. Ciò non significa che si debba ritornare all'Intifada e alle sue peculiarità, ma che noi impariamo dai suoi punti di forza come i comitati popolari, forme di lotta popolari e della comunità, solidarietà sociale, boicottaggio economico ed un'enfasi sull'opinione pubblica. Dobbiamo anche sviluppare un nuovo discorso che includa un azione militare studiata. La scuola di pensiero che chiama ad un confronto totalmente militare o ad una lotta armata popolare contro l'occupazione è gravida di pericoli. Questa teoria nasce dal desiderio di difendere il popolo, ma cade direttamente nella trappola che Israele ha pianificato dagli incidenti del tunnel. Questa trappola diventerà più dannosa e plausibile alla luce dei colloqui di un governo di emergenza nazionale che comprendono il leader del Likud Ariel Sharon. La strategia di Israele La creazione di una strategia palestinese per fronteggiare le tattiche israeliane ci richiede per primo di capire il loro piano, e poi di cercare di farlo fallire.
La strategia di Israele, sviluppata a partire dagli incidenti del tunnel e corretta leggermente per affrontare una dichiarazione di indipendenza unilaterale, ha tre livelli: politico-diplomatici, socioeconomici ed infine militari. La strategia politica d'Israele è divisa in due parti. La prima è interna e si focalizza sull'unire la strada politica d'Israele dietro la sua leadership e trasformare il conflitto in un conflitto etnico religioso. Fornisce l'illusione di una guerra totale che mette in gioco tutte le risorse della società perché la lotta contro i Palestinesi è una dichiarazione di guerra all'esistenza stessa di Israele. La rivoluzione dei Palestinesi all'interno della Linea Verde è stata usata come prova di questo. Da ora, Barak chiamerà la maggioranza a formare un governo di unità nazionale. La seconda parte è esterna ed è puntata a vincere la battaglia con l'opinione pubblica internazionale particolarmente quella statunitense ed europea, dipingendo i Palestinesi come aggressori. Il livello economico del piano punta ad indebolire i Palestinesi finanziariamente e far crollare la struttura della società. L'idea di indebolire i Palestinesi attraverso una guerra economica non è nuova; fu ordita e implementata durante l'Intifada. Il ricercatore Arieh Shalev del Centro degli Studi Strategici di Giaffa alla Tel Aviv University, generale della riserva ed un sostenitore del partito laburista, come pure un governatore militare nella West Bank nei primi anni settanta, propose varie armi economiche, la più importante delle quali era l'imposizione per lunghi periodi dei coprifuochi, forse da estendere per mesi senza interruzione; imposizione di assedio ai villaggi ed alle città ed il taglio dei mezzi di trasporto fra di loro; proibizione del lavoro Palestinese in Israele; come pure lo sciopero su alcuni settori di produzione. Oggi, possiamo affermare che altre misure saranno implementate, nate dalle circostanze create dagli accordi di Oslo, essere una la parziale dissoluzione della presenza Palestinese presso i passaggi internazionali, incluso l'aeroporto di Gaza. In aggiunta, cruciali trasferimenti finanziari mensili da Israele all'Autorità Palestinese di tasse e di entrate doganali saranno fermate.
Di maggior rilevanza, Israele vuole militarmente impegnare l'Autorità in una battaglia decisiva senza necessariamente entrare nelle città palestinesi (almeno negli stadi iniziali). Potrebbe essere più interessata a colpire le posizioni della leadership ed i maggiori campi militari, attraverso "operazioni chirurgiche".
Ciò potrebbe significare anche l'occupazione di villaggi nelle Zona B (zona mista l'esercito israeliano è responsabile per la sicurezza secondo gli accordi N.d.T.) o l'imposizione di un clima di terrore in cui i coloni giocherebbero un ruolo principale.
In base a come la situazione si evolva, le città potrebbero essere eventualmente rioccupate.
La strategia militare israeliana si basa su lezioni di teoria bellica sviluppate dagli Americani dopo la guerra del Vietnam. I militaristi americani, come Collin Powell, hanno sviluppato la "teoria del martello" che afferma che il principale motivo della sconfitta nel Vietnam fu che l'intervento militare americano non fu risoluto fin dal suo inizio.
L'uso graduale della forza permise ai nemici Vietnamiti e ai Vietcong anche di rafforzarsi gradualmente, impedendo così una vittoria americana. Un coinvolgimento americano in un combattimento diretto portò a grandi perdite di vite umane. Quindi, prima di ogni confronto militare, la strategia militare americana nei suoi stadi preliminari deve mobilitare un grandiosa forza militare che è stata predisposta attraverso la raccolta di informazioni del intelligence e che prepari il pubblico ad uno scontro. In pratica, il nemico è quindi colpito con una botta improvvisa che lo disorienta e disperde le sue forze senza dargli la possibilità di rispondere. Non lascia nessuna opportunità per un intervento internazionale che concluda il conflitto. Questa strategia evita di entrare in uno scontro diretto con il nemico, che provoca un'enorme perdita di vite umana che infiamma l'opinione pubblica locale. Invece, tenta possibilmente di ridurre le probabilità di colpire i civili in campo nemico, che potrebbe irritare così l'opinione mondiale.
Infine, questo metodo dà il meglio di sé perché isola il campo di battaglia e le sue atrocità dagli occhi dell'opinione pubblica. Gi USA hanno applicato questa teoria bellica ripetutamente con grande successo nei loro attacchi a Grenada, Panama, Iraq e Kosovo. Il governo israeliano ha adottato questa teoria e l'ha applicata parzialmente in Libano nel 1994. La seconda volta è stata usata nel 1996 nell'Operazione Grapes of Wrath. Lì, comunque, i risultati furono meno soddisfacenti per la natura e la tattica delle resistenza libanese, che non permise ad Israele di distruggere la forza di combattimento di Hezballah, che differisce da quella degli eserciti convenzionali. Ha fallito anche nel convincere l'opinione pubblica sulla battaglia, particolarmente riguardo al massacro al campo profughi di Qana e alla incapacità di impedire ai media di riferire. L'esercito israeliano non era pronto a implementare questa strategia negli incidenti per il tunnel nel 1996 perché non era preparato.
Ora, comunque, abbiamo ampi motivi per credere che Israele stia seguendo questa strategia nel cercare di intrappolare i Palestinesi in uno scontro.
É nel nostro interesse impedire questo piano di Israele ed evitare una battaglia decisiva. Lo scritto fu presentato ad un quotidiano palestinese il 10 Ottobre, ma la sua pubblicazione fu rifiutata.

Pubblicato il 25 Ottobre 2000 su http://www.jmcc.org/media/reportonline Dal Palestine Report



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