Problemi di recupero della memoria storica delle lotte dei lavoratori migranti

Situazione attuale

"Kill all arabian" e "Suash Iraq" ("Uccidete tutti gli Arabi" e "spianate l'Iraq"): era il 21 settembre 2001 quando queste scritte comparivano negli States assieme ad un nazionalistico ritorno alla bandiera e alla fiducia incondizionata nel presidente Bush, in particolare. Ma la violenta ed omicida caccia allo straniero, era gia' incominciata : colpi furiosi di accetta contro distributori di benzina gestiti da Arabi e l'inseguimento con il coltello in pugno di una donna musulmana. Ma e' bene distinguere queste prime reazioni, caotiche manifestazioni dell'irrazionalita' dalle seconde, meditate espressioni degli interessi degli Stati a capitalismo avanzato. Mi riferisco in primo luogo all'ennesima pretestuosa autolegittimazione a difensori della legalita' e della giustizia internazionale degli Usa e delle potenze ad essi legate ed all'invasione armata dell'Afghanistan .
In seconda istanza pero', assistiamo oggi alla promulgazione di leggi speciali contro gli immigrati, leggi che possiamo suddividere in due grossi filoni : quello "antiterroristico" di matrice americana che restringe le liberta' dei singoli e collettivita' e che conferisce piu' ampi poteri alle forze di polizia(ne fanno parte l'ultima legge statunitense definita "legge patriottica", ma anche quella piu' recente varata in Francia che si avvale anche dell'operato delle polizie private e che sara' in vigore per i prossimi tre anni) e quello che definirei "utilitaristico" ovvero mirante a regolare i flutti migratori in base alle necessita' delle industrie e delle imprese (rientrano in esso quello tedesco ed in parte quello italiano voluto dalla Lega e svizzero), per un maggiore approfondimento di questa tipologia rimandiamo all'articolo apparso sul primo numero del Junius Brutus ("L'incubo sulla via dei sogni"). Noi della Redazione ci poniamo evidentemente contro la xenofobia irrazionale come pure contro gli interessi del Capitale, appoggiando invece le lotte dei lavoratori migranti.

Importanza e limiti delle lotte dei lavoratori migranti.

Per chiarire meglio la centralita' rivoluzionaria del lavoratore migrante che si configura come ultimo tassello della scala sociale delle societa' a capitalismo avanzato ed insieme, come indispensabile ingranaggio nella riproduzione del Capitale, prendo a questo proposito a prestito le parole di Sandro Mancini su Raniero Panzieri, parole che mi sono indispensabili per chiarire la natura attuale del Capitale : "Per Panzieri infatti e' lo specifico livello dello sviluppo capitalistico che determina la natura e le caratteristiche particolari della lotta operaia; in un determinato momento storico, gli obiettivi e le finalita' della lotta non dipendono quindi dalla condizione di classe, bensi' dalla realta' del capitale. Dunque la verifica ultima del grado di antagonismo dei lavoratori non e' dato dai fenomeni di insuburdinazione, ma dalle specifiche contraddizioni che caratterizzano il capitale nella sua fase attuale". Ma, se parlare di "lotte operaie" allora aveva un senso, Panzieri muore nel 1964, perché il Capitale nella sua fase fordista (ovvero quella fase caratterizzata dall'adesione del capitalismo occidentale al modello lo sviluppo proposto da Ford e compresa fra la fine della II° guerra mondiale e l'inizio degli anni Settanta) ben si esprimeva ancora nell'organizzazione rigida della catena di montaggio ed aggiungerei che ancora coniugava i suoi interessi in un orizzonte prevalentemente statale, oggi la situazione ci si presenta differente.
Mutata e' la situazione fra Stati e Capitale, non solo scavalcando ma di piu' condizionando la sovranita' dei primi (si parla percio' di Capitale trasnazionale) assistiamo ad una grande quantita' di forme di sfruttamento dei lavoratori, anche a monte destrutturati come classe, forme che hanno, come fattore comune la crescente precarizzazione che ormai non puo' che riguardare una pluralita' di Stati e non piu' uno solo di essi. Ecco in quali termini e' oggi possibile, anzi e' necessario, parlare dei precari e dei lavoratori migranti (anche loro inseriti nei processi di precarizzazione del lavoro ma in una posizione ancora piu' difficile da sostenere) come di quelle soggettivita' maggiormente antagoniste e va almeno ricordato quanto siano stati produttivi i contatti di migranti e precari in lotta, anche se recenti esperimenti d'inchiesta condotti su questi migranti mettendo in luce la necessita' di conoscere meglio le nuove soggettivita' per potervi interagire in modo piu' efficace rivelano i limiti dei precedenti approcci.
Sebbene sia ancora molto giovane, avendo circa soltanto una decina d'anni, l'insieme delle lotte dei lavoratori migranti presenta una varieta' ed una complessita' di aspetti che necessitano di un esame approfondito. Preciso anzitutto che non e' un caso se ho parlato di insieme di lotte e non di movimento perché nei casi in cui si tratti di lotte autorganizzate, ovvero ideate e dirette dai migranti stessi, esse riescono nella migliore delle ipotesi ad imporsi ne luoghi dove sorgono ma non a comunicare con altre consimili lotte sorte su altri territori. Le cause della mancanza di coordinazione e di unita' di intenti sono imputabili a tre fattori principalmente. Primo : spesso l'impostazione politica e' il portato di partiti organizzatosi nei Paesi d'origine e connotati spesso in senso religioso, due elementi questi che certamente non favoriscono la correlazione con altre realta' politiche di questo tipo. Secondo : lo stanziamento nei Paesi di adozione da' luogo all'aggregazione dei migranti di una determinata nazionalita' entro una "Comunita'" ( del Senegal, del BanglaDesh, Pakistan ecc.), che pero' e' una realta' chiusa e spesso diffidente verso le altre "Comunita'", senza contare che al suo interno risulta spesso suddivisa in modo gerarchico - piramidale.
Ovvero essa e' insieme alla raffigurante metafora di vivere fuori del proprio Paese restando in esso, ma anche un grosso ostacolo alle spinte verso l'autorganizzazione delle lotte che potrebbero promuovere i lavoratori facenti parte di esse (e questo perché essa prevede gia' un'organizzazione interna non orizzontale, come ho gia' detto), come pure al coordinamento delle lotte sviluppatesi in altre Comunita' (e' il caso del "Sindacato degli Ambulanti" che nel 1998 nasce a Firenze per iniziativa degli ambulanti senegalesi (senza peraltro estendersi troppo agli altri ambulanti). Ma che la Comunita' sia elemento che non favorisca la coesione dei lavoratori era cosa nota, basti pensare a quelle degli italiani e dei cinesi in America per le quali vale, forse ancor piu' la metafora del vivere fuori e dentro il Paese (mi vengono in mente "Chinatown" e "Little Italy" che connotano anche visibilmente il territorio sul quale sono insediate) come pure e' valido il discorso sull'ostacolamento ad una comune prassi di lotta, anche se l'analisi delle attuali comunita' dei lavoratori migranti si configura anche in modi differenti. Il terzo ed ultimo punto riguarda la stanzialita' strutturale che e' nell'obiettivo di colui che migra ovvero che e' in cerca di un luogo stabile dove poter "mettere radici" per costruirsi migliori condizioni di vita e dove eventualmente crescere i propri figli.
Tale condizione e' ostacolo in quanto scavalca la necessita' di muoversi per comunicare, organizzarsi e lottare proprio di ogni organizzazione di lotta dei lavoratori. Tale stasi e' cronicizzata, inoltre dal comportamento delle prefetture, dalle legislazioni nazionali ed europee che impongono la continuata permanenza su di un determinato territorio dando l'illusoria promessa di una possibile, mi verrebbe da aggiungere "ma non probabile" stante lo stato di cose attuali sopra accennate, integrazione. Ma non si limita a questo l'azione di prefetture e legislazioni perché esse vanno a minare il costituirsi di una comune coscienza di classe, insinuando la competizione fra "regolari", "in via di regolarizzazione" ed "irregolari o clandestini". Ecco perché ritengo sia giusto sottolineare l'identita' di clandestino e rivoluzionario (come affermano i "Sans Papiers" e, sulla loro scorta, l'Associazione Nazionale Antirazzista "3 Febbraio", associazione dalla quale ci dividono altre posizioni), identita' che si manifesta appieno nel momento in cui il soggetto che e' ai margini della scala sociale ed insieme oggetto del piu' forte sfruttamento da parte del Capitale decida di non integrarsi per poter cosi' cambiare la societa', che e' poi la presa di coscienza di quanto Panzieri identificava con il termine di "grado di antagonismo dei lavoratori".

Problemi di metodo.

Per incominciare a comprendere adesso, dopo aver tracciato pregi e difetti di queste lotte, di quali elementi disponiamo in questo tipo di ricerca storica ritengo utile porre qualche "paletto". A partire da una riflessione di De Caro - Coldagelli su n. 3 dei "Quaderni Rossi", affermazione che, come quella di Panzieri piu' sopra citata, e' possibile riattualizzaare : "la storiografia di partito si e' prodotta in una riduzione della memoria operaia a memoria delle organizzazioni ufficiali del movimento operaio stesso". La situazione di partenza di quest'affermazione, risalente al principio degli anni Sessanta, che indicava la necessita' di non limitarsi alle fonti ufficiali per poter ricostruire l'interezza del gia' variegato movimento operaio puo', secondo me, servire da stimolo per una riflessione che voglia ricostruire con maggiore esattezza oggi le lotte di quei lavoratori che maggiormente hanno espresso le contraddizioni del Capitale.
Ma come tutti sappiamo, precari e lavoratori migranti hanno pensato ed attuato le proprie lotte maggiormente sul terreno dell'autorganizzazione e percio', ricostruire la memoria storica di una lotta che pone i suoi obiettivi fuori degli orizzonti dei partiti istituzionali vuol dire a maggior ragione dover parlare di Storia non scritta e c'impone il ricorso ai metodi della Storia orale. Di piu' direi che nello specifico delle lotte dei lavoratori migranti ci troviamo di fronte ad un patrimonio tutto orale ancora non raccolti in una tradizione comune. Alla radice della ricostruzione di un accadimento storico credo debba esserci sempre il ritrovamento dei testimoni e/o dei protagonisti, come prima accennato. Per esempio se si dovesse ricomporre la vicenda della Resistenza avvenuta in un paesino dell'Emilia lo storico recandosi in quella localita' potrebbe incominciare il suo lavoro. Qui no, o almeno raramente, perché intervengono altri fattori : a distanza di anni potremmo non trovare piu' i protagonisti o i testimoni di quel fatto o di quella lotta, perché potrebbero essere stati espulsi o rinchiusi in un campo - lager, od ancora in viaggio da una prefettura ad un'altra per le pratiche di regolarizzazione.
Con questi presupposti, ovvero senza l'appoggio di documenti scritti e con maggiori difficolta' di ritrovare testimoni e protagonisti. Si puo' incominciare scegliendo il metodo di raccolta delle testimonianze : per iscritto, con il registratore o con l'audiovisivo, ma tenendo presente che fra la memoria dell'accaduto nella mente dell'intervistato e la registrazione stanno piu' passaggi del solito. Ovvero il soggetto in questione dovra' ascoltare nella nostra lingua la domanda, comprendere la domanda, trasportarla nella sua lingua, pensare nella sua lingua la risposta e tradurre nella nostra lingua la sua testimonianza/risposta che, evidentemente, perdera' qualcosa; poi saremmo noi a diminuirne ulteriormente il contenuto, ma sempre involontariamente, con la ricezione, la comprensione, la traduzione e la trascrizione di cio' che di una lingua italiana di necessita' approssimativa riusciamo a percepire. Ma che non si tratti di problemi nuovi, né derivanti dalla specifica situazione attuale me lo conferma il ricordo esatto di alcuni simili esperimenti condotti, per differenti finalita', dal dialettologo Giacomo Devoto in contesti linguistici chiusi come negli anni Sessanta effettivamente erano la Sardegna e molto del nostro Meridione.
Da uno dei padri della storiografia orale, Raimondo Lunardi (autore nel 1958 de "Il movimento operaio torinese durante la Resistenza") raccolgo volentieri il consiglio di "lasciar parlare il testimone senza inquietarlo con troppe domande che spezzano il filo dei suoi pensieri. […] Mentre l'interpellato parla e' bene non limitarsi ad appunti non saltuari, ma stendere un vero e proprio resoconto sommario delle sue dichiarazioni; quindi rileggerlo e correggerlo insieme a lui. Successivamente si deve passare al confronto sulle dichiarazioni di piu' testimoni circa uno stesso argomento e con i documenti, se esistono : una serie di incongruenze non tardera' a manifestarsi. Bisogna allora avere la pazienza di interpellare i testimoni una seconda ed una terza volta, sino a che le varie circostanze siano ben chiarite, senza possibilita' di equivoci".

Necessita' di recuperare la memoria di alcune di queste lotte

La difficolta' di applicare a queste lotte i problemi di metodo della storiografia orale non deve pero' farci desistere in quanto in alcuni casi ci troviamo di fronte a veri e propri passi in avanti nel campo dell'autoorganzzazione della lotta ed in quello dell'organizzazione interna : e' quanto avviene con le lotte per la casa nella Bologna degli anni Novanta, analizzata molto lucidamente da Rosario Piccolo sul n. 7 di "Vis a' Vis" ("Assalto a San Petronio - Bologna : riflessione sulla questione - immigrazione"). Se ancora la genesi e la lotta dei "Sans Papiers" e' fortunatamente ben documentata perché essi sono stati giustamente considerati i pionieri della presa di coscienza politica degli immigrati, trovo peraltro analogie nell'uso simbolico delle occupazioni delle chiese attuate da questi come dal Comitato Senza Frontiere (S. Petronio), per altre lotte ancorche' importanti e' difficile ritrovarne addirittura le tracce.
Primo caso : Il "Tam Tam Village", unico esempio che io conosca di associazione culturale ma anche punto di incontro e di condivisione delle culture in esso rappresentate "autoorganizzato", ovvero voluto gestito e diretto dagli immigrati africani; si trovava a Roma in Via Marsala. Ne venni in contatto in occasione delle mobilitazioni (promosse dal "3 Febbraio") contro lo sgombero a suon di colpi di arma da fuoco sparati ad altezza d'uomo dalla polizia nella prima meta' del '98. Dopo questo fatto Jassen, il presidente dell'associazione, assieme ad altri immigrati africani della stessa lo rimise in piedi molte volte perché vi furono altri sgomberi. A tutt' oggi si sono perse le tracce anche di Jassen. Ho incluso la battaglia del "Tam Tam Village" fra quelli dei lavoratori migranti sia perché la lotta per la conservazione della propria cultura rientra a pieno titolo in quella per la ricostituzione dei proprii spazii vitali che ogni emigrante ha sempre considerato fondamentale almeno quanto il lavoro per cui si e' dovuti partire, sia perché presenta caratteristiche che meritano attenzione siamo qui di fronte ad un caso forse unico di volonta' di superare i limiti del tradizionale aggregarsi in Comunita' per dare vita invece ad una serena coabitazione che se da un lato riflette la rigidita' minore degli africani a fronte degli asiatici (qui intendendo Bangla Desh, Pakistan ed India) nel costruire i propri spazii nel paese d'adozione, ovvero ci e' piu' facile veder socializzare africani di nazionalita' differenti piuttosto che quelli asiatici che ho indicato fra di loro, per cause che potremmo anche approfondire in altra sede, e lo stesso per l'organizzazione delle feste (spesso nazionali per gli asiatici e collettive per gli africani), pur non significa che non sia stato necessario superare le originarie divisioni che in Africa sono complicate da numerose guerre. Ancora, la forma organizzativa dell'associazione era assolutamente orizzontale, ovvero autogestita da ogni componente in modo assolutamente paritario (uguali spazii, uguali responsabilita', uguali poteri) e Jassen ne era presidente solo perché la legislazione italiana ne imponeva la figura. Organizzazione questa che sovverte molte delle considerazioni piu' sopra esposte sulla consueta aggregazione nel Paese d'adozione. Infine, ma non ultima, la gestione della lotta, contro lo sgombero come i "Sans Papiers" ed il "Comitato Senza Frontiere" certo ma con una tenacia ben rara negli immigrati.
Per la ricostruzione di questa lotta mi sono basato su alcune testimonianze raccolte fra i migranti dell'associazione e sulle risposte di Jassen alle mie molte domande. S tratta pero' della mia memoria solamente, che per di piu' e' fonte di seconda mano per le cose piu' lontane benché di prima per le vicende dello sgombero principale e di molti dei successivi. Ma questo mio e' un metodo troppo approssimativo trattandosi di una sola testimonianza in luogo delle cento consigliate dal Lunardi che prima citavo.
Secondo caso : il "Sindacato degli Ambulanti" di Firenze. La prima forma di lotta conosciuta in questo Paese, datata anche stavolta prima meta' del '98, in cui un gruppo di venditori ambulanti organizza altri lavoratori della medesima categoria per difendere i propri diritti. A quanto etto precedentemente, ovvero che fu un iniziativa partita da un gruppo di ambulanti senegalesi che pero' non si estese troppo ad altri migranti restando limitata alla citta' di Firenze, qui va aggiunto che peraltro ebbe vita breve estinguendosi l'anno seguente. Il nome "Sindacato" fu loro invenzione e poco in realta' ha in comune con i sindacati propriamente detti salvo la volonta' di essere una struttura con funzioni di difesa dei lavoratori. Per questa lotta ho avuto a disposizione solo fonti indirette ancora registrate solo nella mia memoria.
Terzo caso : le "lotte nei campi - lager". E' nei campi - lager (mi riferisco a tutti quelli sparsi sul territorio nazionale, quello romano di Ponte Galeria e quello milanese di Via Corelli inclusi), dove le nuove leggi rinchiudono gli immigrati in attesa di espulsione, senza peraltro nei fatti fare distinzione fra quelli con e quelli senza permessi di soggiorno e tenendo i prigionieri in condizioni disumane, che si sviluppa una comune presa di coscienza della propria condizione ed una disperata forma di lotta basata sullo sciopero della fame che si propaga come un'onda da un campo - lager ad un altro e si coordina all'interno del proprio circuito di campi ma anche all'esterno con le molte organizzazioni di compagne e compagni per mezzo di qualche telefonino. Nel '99 questa forma di lotta si allargo' a quasi tutta la penisola.
Inutile forse aggiungere che qui in particolare risulta impossibile attuare un lavoro scientifico di recupero della memoria storica coi metodi sopra descritti, trovandoci, salvo la poco probabile chiusura di uno di questi campi, nella certezza di non poter rintracciare i testimoni o magari i protagonisti di queste lotte; aggiungerei non sapendo spesso dove trovarli e se trovarli ancora vivi, dato che anche le destinazioni delle espulsioni restano poco chiare. Ovviamente l'impossibilita' di lavorare scientificamente su queste lotte stando nel nostro Paese puo' diventare in qualche modo possibile se ci si spostasse alla ricerca delle testimonianze nei Paesi dove abbiamo maggiori possibilita' di trovarle, quando i protagonisti delle stesse non siano pero' gia' ripartiti per un'altra migrazione. Dal che registriamo un'altra anomalia delle lotte dei lavoratori migranti : per lavorare alla ricostruzione della memoria storica di queste lotte verificatesi in taluni territori della nostra Penisola occorre spostarsi su degli altri territori (nello specifico di quest'ultimo caso addirittura in altre Nazioni). Per concludere torno a ripetere che nonostante i molti ostacoli che potremmo trovare, l'importanza della materia trattata e le sue numerose implicazioni c'impongono sempre l'applicazione del metodo scientifico.