Le guerre di Putin.

E' finita la seconda guerra fredda. Cosi' si scrive su tutti i quotidiani, cercando di evidenziare il nuovo corso della politica russa, reso esplicito dalle prese di posizione di Putin successive all'11 settembre. Di piu', la corrente filo-americana della nostra stampa approda alla celebrazione vera e propria delle iniziative dell'ex nemico esistenziale dell'occidente. E se ne capisce il motivo: Putin sta dando agli americani piu' collaborazione dei "freddi" alleati europei, i quali dall'inizio della crisi hanno manifestato il desiderio di mettere al riparo i propri interessi nel mondo arabo. E' chiaro che si tratta di un discorso in parte strumentale. Si vuole colpire un'Europa che -in modo sotterraneo e con non poche difficolta'- sta perseguendo una politica non totalmente allineata alle direttive degli States e per farlo si dipinge un Putin in totale discontinuita' con il recente passato. Il leader russo non sarebbe piu', quindi, l'oscuro rappresentante del KGB dai propositi non chiari all'occidente, il moderato difensore di Milosevic che accetta a malincuore l'intervento militare contro la Serbia. Tutti gli enigmi sarebbero venuti meno dopo gli attentati alle Twin Towers e finalmente Putin potrebbe assurgere a quel ruolo di grande statista cui non si pensava fosse adatto nel recente passato. Certo, non tutti gli editoriali dedicati alla politica estera russa sono cosi' chiusi nel recinto della retorica da non far intendere gli interessi concreti che Putin sta difendendo con le sue dichiarazioni ed azioni filo-occidentali. Sandro Viola in "L'occasione di Putin nella guerra di Bush" ("La Repubblica", 22 settembre 2001) evidenzia le nuove possibilita' che lo scenario mondiale apertosi dopo l'11 settembre riserva alla Russia. Esse non si legano solo al fatto che la pubblica opinione chiudera' un occhio sulle modalita' con le quali viene repressa la guerriglia cecena, troppo intrisa di islamismo per suscitare simpatie di questi tempi. Se non avremo piu' sui telegiornali aspri commenti sulla mattanza attuata nei villaggi di quella sperduta landa del Caucaso, Putin avra' raggiunto solo uno dei suoi obiettivi. Come sostiene Viola, "le ragioni che potrebbero riportare la Russia a rivestire un ruolo centrale nella battaglia contro il terrorismo sono evidenti. Il profilo geo-strategico prima di tutto: il Transcaucaso russo, le truppe russe in Tajikistan, la forte influenza che Mosca ancora esercita nel Kazakistan. Un'area vastissima, e decisiva per eventuali operazioni militari in Afghanistan". Putin, insomma, manifesta una grande disponibilita' verso gli USA perché sa di poter contare in ogni fase del conflitto. E cio' fa intuire quanto il suo atteggiamento attuale sia in continuita' con quello del recente passato, segnato dal funambolismo, dalla necessita' e dalla capacita' di giocare su piu' tavoli. La Russia mantiene, infatti, quel canale aperto ed esclusivo con gli States che l'ha portata a discutere a parte con la principale potenza del pianeta sullo scudo stellare. Una mossa che, a suo tempo, significava da un lato il riconoscimento della Russia come interlocutore da parte degli Usa, dall'altro la possibilita' -per Bush jr- di scavalcare l'Europa Unita su una questione spinosa. Di piu', questa sponda privilegiata ha permesso a Washington, unendosi al tradizionale filo-americanismo inglese, di superare l'UE e persino la NATO, nella gestione della battaglia contro quelle frange del terrore che -gia' sul libro-paga dell'amministrazione americana- adesso osano agire per conto proprio. Gli Usa volevano evitare quei rilievi e quei dissensi che sempre emergono in sedi collettive, e che spesso rallentano le operazioni militari. Ma va rilevato ancora una volta che questo amore di Putin per la bandiera a stelle e strisce, coesiste con altre spinte, con altre direzioni di politica estera. Volendo riconquistare alla sua nazione un ruolo di primo piano nello scacchiere internazionale, Putin non ha rinunciato ad intrecciare rapporti stretti con l'Unione Europea. Nel momento in cui si chiedeva attenzione all'America, dandole la possibilita' di trattare sullo scudo su un tavolo separato, Putin arrivava a delineare anche un contrappeso alla egemonia americana su scala planetaria e a farsi attrarre dalla prospettiva della cosiddetta Eurussia. In cosa consisterebbe questa Eurussia? Molto semplice, in uno spazio economico unificato dall'Euro e tale da avere come limiti estremi l'Atlantico e gli Urali. Insomma, Putin non vedrebbe con antipatia l'allargamento dell'Unione Europea ad est, le sue riserve sino a questo punto -d'altra parte- si sono concentrate sull'espansione verso occidente di un altro organismo: la NATO. Come si concilia, pero', questa sua avversione per i disegni di allargamento dell'Alleanza con le continue proposte di collaborazione con essa che la Russia lancia? E' presto detto. Putin non gradisce che un'alleanza militare di cui non fa parte gli arrivi quasi al confine, comprendendo paesi gia' inclusi nel Patto di Varsavia. Ma sarebbe piu' disponibile verso la prospettiva di un ampliamento della NATO in caso di coinvolgimento di Mosca. Per essere piu' chiari, come scrive Angela Pascucci su "Il Manifesto" ("Putin apre alla Nato", 4 ottobre 2001), l'ex uomo forte dei servizi segreti sovietici, avrebbe fatto capire che l'opposizione alla prospettiva di una espansione della NATO ad est potrebbe venire meno "qualora la NATO decidesse di trasformarsi in una coalizione politica nella quale anche la Russia potrebbe prendere posto". Il messaggio di Putin risulta estremamente preciso. Una NATO meno militare e piu' politica e' -in prospettiva- una Nato meno egemonizzata dagli Stati Uniti e nella quale puo' emergere con piu' forza la Russia, trovando modo -al suo interno- di colloquiare in modo privilegiato con l'emergente potenza tedesca o con gli stessi Stati Uniti. Quindi, Putin e' filoamericano ma non troppo, e' filoeuropeo, ma entro precisi limiti. E a far fede di una linea che vede esclusivamente gli interessi propri rimangono le sue dichiarazioni al principio della sporca guerra che si sta delineando. Quando ha posto limiti ("l'operazione deve essere circoscritta") allo stesso alleato statunitense. Per Putin questa guerra e' una grande occasione, ma e' anche una possibile fonte di problemi. Una presenza stabile e forte degli americani nella "sua" Asia centrale potrebbe, di qui a breve, collidere con i naturali interessi di potenza della Russia.