Le Pen o il proletariato allo sbando

Quando il 21 aprile scorso quasi la metà della Francia (se contiamo le regioni interessate, vedi cartina) ha votato Le Pen un po' tutti ci siamo domandati : "chi è quest'uomo?" e soprattutto "come è potuto succedere?" Questo anche in virtù del fatto che i media ci informavano che la gran parte di questi voti erano di provenienza operaia o immigrata. Rispondere a queste domande è l'obiettivo dell'articolo e del compagno che scrive che ritiene molto utile sotto diversi punti di vista conoscere meglio la situazione del proletariato francese e l'insieme dei fatti.

La vittoria del Front National

Cominciamo con il rispondere alla prima domanda : "Chi è quest'uomo?".
Pur essendo la norma che i movimenti dell'estrema destra europei rimangano ai nostri occhi invisibili e con essi i loro leaders, un po' per le percentuali elettorali molto basse, in genere, ed un po' per il provincialismo dei loro portavoce, il nostro caso risulta già dal primo sguardo differente. Le Pen ed il Front National sono molto famosi in Europa : basta sfogliare i quotidiani anche fuori dalla Francia per trovare echi delle sue "gesta". Pluridenunciato in gioventù per risse ed aggressioni, è un parà che ha sempre mancato la guerra : arriva in Indocina nel 1954 a conflitto concluso, due anni dopo è volontario a Suez, stessa situazione, e nel '58 prende di nascosto il volo per l'Algeria, ma viene bloccato dai soldati (e la questione dell'Algeria sarà per lui sempre un punto d'onore). In politica il giovane Le Pen si affaccia presto : è il 1956 quando viene eletto in Parlamento nelle liste di destra di Pierre Poujade. Nel 1965, anno del ballottaggio De Gaulle - Mitterand, sostiene l'avvocato che difende i reduci di Vichy (la Salò francese), attaccando ferocemente De Gaulle ed il gollismo per aver lasciato andare l'Algeria (dove ebbe termine la sua carriera militare).
Già qui il revanchismo nazionalista fa la sua comparsa, lo ritroveremo più avanti. Nel 1972 fonda il Front National : vi confluiscono gruppuscoli dell'estrema destra, che si scontrano ogni giorno con i gruppi di sinistra, in cerca di una facciata di rispettabilità. Negli anni a venire si lega in amicizia con un ex SS nazista francese. Ma sarà l'inizio dell'immigrazione di massa di lingua francese (a seguito della legge di Giscard d'Estaing sui ricongiungimenti familiari, è il 1976) a fargli raccogliere i primi cospicui consensi. Nella prima metà degli anni '80 la destra classica di Chirac (RPR, Unione per la Repubblica) lo cerca e fa alleanze con lui. Le Pen ormai miete sempre più consensi e si fa chiamare il "Reagan francese". Chirac gli copia il programma elettorale sulla questione immigrazione (alleanza di governo e programmi in comune : ben altra storia che la farsa dello Chirac democratico e libertario degli ultimi mesi!) ed alle legislative il Front ottiene 30 seggi nell'Assemblea nazionale (il Parlamento francese). La difficile convivenza elettorale fra le due destre porta infine alla rottura della loro alleanza. E' il 1988 : le Pen perde le presidenziali ma insiste con il frontismo. All'amarezza e alla delusione verso il gollismo ed ora anche verso Chirac, si aggiunge inoltre il tradimento peggiore : quello del suo sottopancia Bruno Mégret, che spacca il partito creandone uno nuovo l'MNR, Movimento Nazionale Repubblicano, una specie di FN, ma meno frontista, portandogli via i quadri dirigenti, i sindaci ed i Dipartimenti conquistati.
A questo punto occorre fermarsi un attimo, perché se è vero che il Front d'ora in avanti sarà senza la metà della sua organizzazione, esso purtroppo sopravviverà, ed anche bene, quasi solo in virtù del suo consenso. Il che è molto più preoccupante. Il resto è cosa nota o quasi. Si perché se alle elezioni europee il Front ottiene alcuni seggi in più rispetto all'MNR di Mégret, è anche vero che tocca il minimo storico. Ma disgraziatamente il detto "chi semina raccoglie" vale anche per Le Pen che con la sua politica anti immigrazione aveva preparato il terreno a quel riflusso generale xenofobo che ha investito l'occidente alla fine dello scorso anno : sto parlando della diffusa fobia anti musulmana e anti immigrazione seguita al crollo delle Twin Towers che gli restituisce una verginità in forma nuova. Ed eccoci al punto di partenza, ovvero al 17,41% al primo turno delle presidenziali del 21 aprile scorso. Credo comunque che un cenno di analisi vada fatto su due degli aspetti che sono fondamentali per una qualunque forza politica : la tattica e la strategia.
Sicuramente la sua forza non è la strategia : la mancanza di uno sguardo lungimirante nel creare alleanze durevoli, l'irrompere troppo frequente di fattori personali nella linea politica del partito (il caso Algeria ed il caso Chirac), come pure l'incapacità totale nel gestire la vittoria del 21 aprile (troppe interviste, troppo confuso, poco credibile). Altro discorso è l'aspetto tattico di Le Pen, nel quale dimostra un abilità più unica che rara. All'insegna sempre, ovviamente, del popoulismo. Sa parlare ai borghesi di Marsiglia la lingua dei borghesi e agli operai del Nord la lingua degli operai (soprattutto non tira fuori a sproposito le 35 ore come fa Jospin, perché sa che ormai gli operai, esclusi dalla logica del posto fisso, non hanno più bisogno di questo). E' xenofobo, ma formalmente rispetta l'Islam ed infatti si circonda sempre di qualche arabo, cioè come a voler dire : "io sono economicamente di destra, socialmente di sinistra, nazionalmente di Francia", come soleva affermare duran6te le presidenziali. Ad ogni modo la mancanza di strategia del Front rientra nel panorama dell'estrema destra europea. Frequente infatti il caso di una di queste formazioni che, pur ricevendo consensi durevoli non riesce a mettere in piedi - per fortuna! - neanche una sezione. E' quanto è accaduto La Louvriè, cittadina della Vallonia nelle Fiandre di nazionalità belga, dove i sei seggi comunali conquistati nel '94 dal Front sono stati perduti del tutto nelle ultime elezioni. Il caso Vallonia è estremamente importante anche per le analisi contenute nei prossimi paragrafi, in quanto ciò permette di parlare di un aspetto importante del pensiero di queste formazioni e di incominciare ad individuare uno spaccato sociale orientato in quella direzione. Si tratta di una zona fortemente industrializzata e connotata da impianti siderurgici e per l'estrazione mineraria. La crisi del settore ha determinato fra il 1960 ed il 1990 la perdita di circa 60.000 mila posti di lavoro su 76.000 mila abitanti. Negli anni Ottanta la regione è stata oggetto dell'espansionismo affaristico di palazzinari senza scrupoli che hanno fatto man bassa di manodopera con l'aiuto dei sindacati e dei governanti pronti ad insabbiare le morti sul lavoro sospette. In questa terra di emigranti, rifugiati e disoccupati c'è di più : il Partito per l'Unione della Vallonia alla Francia (RWF) fa leva sul disagio collettivo e propaganda l'idea riunionista. Il suo portavoce Paul - Enrique Gendebien intenderebbe farne la 23° regione francese afferma la pluri centenaria presunta volontà vallone di unirsi alla Francia giacobina. Dunque un caso di un federalismo complesso e radicato nel tempo e nella storia di questa gente. Alle amministrative del '94 perciò il Front National ebbe gioco facile.

Le scelte della 'Gauche'

"Come è potuto succedere?".
Rispondere a questa domanda è molto più difficile ed il ragionamento che si svilupperà nei paragrafi a venire rivelerà, spero, la complessità del problema. Nello scrivere queste righe spero sinceramente che le analisi ed i dati raccolti possano servire ai compagni per conoscere meglio anche il nostro proletariato e per agire politicamente di conseguenza. Le responsabilità della crisi del proletariato francese credo siano più d'una e che non vadano ricercate nelle formazioni politiche estremistiche votate, ma nella storia di una classe lavoratrice che ha subito dei cambiamenti e nella trasformazione del mercato del lavoro. Storicamente anche in Francia l'allora classe operaia si è lasciata guidare e gestire da due grossi partiti operai : il PS (Partito Socialista, di Mitterand e di Jospin, per capirci) ed il PCF (Partito Comunista Francese, oggi guidato da Robert Hue). Ad essi si aggiungevano i due sindacati maggiori la CGT e la CFDT. Già nel maggio '68 la "Gauche" (ovvero, principalmente, le due sinistre menzionate) dimostrava di fraintendere le masse operaie. La conferma, qualora servisse, ce la fornisce Jean - Pierre Le Goff : "per i giovani operai si assiste ad un rigetto del lavoro in fabbrica e della condizione operaia piuttosto che alla trasformazione delle fabbriche in quelle famose "basi rosse" che hanno sognato i militanti rivoluzionari" ("Mai '68 : Heritage impossible", La Dècouverte ed.). Negli anni Settanta all'equivoco iniziale si aggiunge l'incapacità di riflettervi lasciandosi invece travolgere dalla prospettiva dinamica del cambiamento. Gli anni Ottanta segnano un grosso peggioramento delle condizioni di salute della "Gauche" : la CFDT abbandona gli operai, si afferma il post taylorismo nella produzione e mentre il PS inseguiva il mito della produttività, il PCF si perdeva sempre di più in un vuoto operaismo. Ma c'è di più. Mitterand, l'uomo che aveva affrontato nel '65 il ballottaggio con De Gaulle, colui che propugnava un nuovo socialismo, in quegli anni va al governo (e fra l'altro non avrà parole di disistima per Le Pen) ed elimina gli operai dal suo orizzonte politico. Parallelamente gli intellettuali, i politologici, i sociologi e, naturalmente, i politici non fanno che analisi sul ceto medio che diventa il loro vero beniamino. E' la cosiddetta "deproletarizzazione della Gauche". Gli operai si sganciano più di prima dal loro posto di lavoro, sognando di far parte, un giorno, di quel ceto "bene". Ad accrescere questo isolamento ci pensa la stessa "Gauche" che vara in quegli anni un progetto di scolarizzazione di massa che ridimensiona fortemente le scuole professionali e convoglia nuovi strati sociali verso la cultura borghese dei licei. Ma dopo questi studi la delusione operaia è doppia perché il sogno coltivato di un lavoro borghese si rivela molto difficile da realizzarsi.
La politica filo imprenditoriale ed antioperaia del PS fanno sfogliare con una certa amarezza gli atti delle "Assise del Socialismo", ovvero la grandiosa assemblea dei 1500 delegati da tutta la Francia, in cui Mitterand nel 1974 parlava di "socializzazione reale delle forze produttive", "lotta di classe", "strategia europea antimperialista" e "controllo operaia" (si veda "Il socialismo dell'autogestione - Teoria e prassi del nuovo movimento lanciato in Francia da Mitterand", La Pietra ed.). Negli anni Novanta la "Gauche" rincorrerà il mito europeo con tutto quel che è connesso, appoggiando la globalizzazione dell'economia e la precarizzazione del lavoro.

Trasformazione del mercato del lavoro in Francia

Al di là dei governi e delle idealità politiche proposte dai vari partiti lo zoccolo duro della trasformazione della coscienza di classe del proletariato operaio è stato l'affermarsi di un mercato del lavoro differente.
In un precedente paragrafo, tracciando il profilo della zona mineraria belga al confine con la Francia, la Vallonia, avevo descritto una situazione industriale colpita da una crisi profonda ed irreversibile. Riprendo il discorso da qui, aggiungendo che il caso non è isolato, poiché questa situazione riguarda anche tutta la zona del Nord della Francia che confina con essa. Ovvero la parte più strutturalmente più dotata di risorse estraibili e storicamente più industrializzata. Parlo cioè anche della Lorena, della Loira e della Piccardia. In queste zone i grossi pilastri industriali si sono affossati. In Piccardia, ad esempio, risiede oggi, il più alto numero di operai francesi qui insediatisi a partire dai primi anni Sessanta, da quando cioè venne creata la zona industriale di Amiens - Longpré.
La grossa disponibilità di manodopera edi vasti appezzamenti di terreni fabbricabili a basso costo ed il loro utilizzo solo per la costruzione degli stabilimenti industriali (destinati ala sola manodopera dato che l'amministrazione di queste fabbriche ha sempre risieduto altrove) hanno fatto il resto : i colossi stranieri Honeyell, Dunlop, Good Year e Procter & Gamble vi si installano da subito. Ciò nonostante la regione attraversa oggi una grave crisi occupazionale e produttiva.. La causa del problema va ricercata, evidentemente, altrove. Occorre ripartire dall'analisi del Capitale che vent'anni fa entrava in una nuova fase, quella del postfordismo.
In un interessante articolo Alain Bihr scriveva in proposito : "tra le principali trasformazioni che sono avvenute nel corso degli ultimi venti anni in seno alle formazioni capitalistiche sviluppate e che procedono da/a la decomposizione del modello fordista bisogna specificatamente considerare : un nuovo paradigma tecnico - economico (un "nuovo ordine produttivo") quello della fabbrica fluida, flessibile e diffusa. La fabbrica fluida con la quale si cerca di avvicinarsi all'ideale della "produzione fluente" : della produzione in continuo, senza tempi morti, né fermate. [...] La fabbrica flessibile, con la quale si adatta il processo di produzione agli imprevisti del processo di circolazione, fronteggiando una domanda nello stesso tempo sempre più diversificata e sempre più fluttuante, variabile in volume e in composizione. Ciò che i modi fordisti di produrre (produzione in grande serie uniforme di una gamma limitata di prodotti) non permettevano.
La fabbrica diffusa, invece di concentrare nello stesso luogo il massimo delle funzioni produttive e gestionali come faceva la fabbrica fordista, diffondeva la produzione ed il potere attraverso tutto lo spazio sociale. La fabbrica diffusa suppone sempre un unità centrale che coordina e pianifica la produzione di tutta una serie di unità periferiche, che possono raggiungere il numero di alcune centinaia, anzi alcune migliaia" (da Alain Bihr, "Il Post Fordismo : realtà o Illusione?", "Vis à Vis - Quaderni per l'Autonomia di Classe, n.7/1999"). Evidentemente questo cambiamento strutturale ha modificato il mercato del lavoro, l'offerta lavorativa e la natura del lavoratore, ma di questo parlerò più diffusamente nel prossimo paragrafo.
In Francia, alla disoccupazione ormai strutturale dagli anni Settanta, ed alla perdita di terreno dei sindacati (clamoroso il caso della CFDT prima citato), fa seguito la politica della "Gauche" che orienta i figli degli operai verso i ceti medi, impone come unica isola di lavoro garantito il settore terziario e provvede ad un entrata in massa nel territorio francese dell'immigrazione francofona (che il Capitale ha urgenza di utilizzare senza ostacoli per superare la fase precedente, fase che inizia con la legge del 1976 di Giscard d'Estaing di cui parlavo poc'anzi). Il risultato è la terziarizzazione operaia e l'operaizzazione immigrata. A questo si aggiunga la precarizzazione crescente e diffusa (che assume la forma nuova del lavoro interinale), che ormai tutti anche qui constatiamo ogni giorno, benedetta e protetta dai governi della "Gauche" prima e della "Droite" dopo. La disillusione operaia che ne risulta credo non abbia bisogno di ulteriori spiegazioni. Drammatica comunque durante tutti gli anni Ottanta e Novanta la delicata questione della sicurezza sul lavoro in Francia. Dove si verificano sempre maggiori perdite di diritti e di contrattualità del lavoratore, situazione a cui fa costantemente da corollario una grande massa di incidenti sul lavoro.
Nel sito internet del francese Ministero del Lavoro e della Solidarietà Sociale si può leggere il resoconto annuale sulla sicurezza del lavoro (anno 2000). Si tratta del risultato dei controlli effettuati dai ispettori ministeriali sulla base delle denuncie dei lavoratori il 48% delle informazioni riguarda la sicurezza sul lavoro e la medicina del lavoro (ovvero la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie contratte nell'ambiente lavorativo) : drammatica la costante del dato "morti sul lavoro" nelle stesse imprese che hanno subito ammonimenti in passato, come pure lo scarsissimo numero di denuncie operaie sul totale dei casi riscontrati. Ancora più gravi ed indicativi due fatti : uno che le cause dei decessi ed i settori industriali che li hanno causati sono ben noti e l'altro che fino alla seconda metà degli anni Novanta i morti sul lavoro non venissero né denunciati, né registrati dalla fabbrica.
Gli esempi potrebbero essere molti, ma qui ne esaminiamo due, riportati recentemente alle cronache ed apparsi sulle pagine de Le Monde Diplomatique - aprile 2002 -. Il primo è quello della fabbrica della fibratura e cardatura dell'amianto grezzo, ovvero il Cmmp (fabbricato dei minerali e delle materie prime). Nel rapporto esaminato poc'anzi del Ministero, la denuncia delle malattie professionali derivate dall'amianto risultava attestata solo al 12% dei casi totali; ma numerosi sono in realtà, sul territorio francese, le fabbriche che lavorano questo materiale e che producono effetti disastrosi ed incontrollabili sugli operai e sulle operaie che li lavorano. La Cmmp viene fondata nel 1937 ad Aulany - sous - Bois, fra le preoccupazioni dei cittadini, che si dimostrano più che fondate, dato che il paese intero risulta quotidianamente coperto di polvere bianca di mica e zirconio ed anche perché la fabbrica è situata a 50 metri dalla scuola elementare. Quarant'anni dopo chi fra quei bambini d'un tempo, frequentava la scuola, se non è morto si è ritrovato con un mesoterioma (cancro della pleura) dovuto all'amianto. Negli anni Sessanta e Settanta i casi di cancro dovuti a quella polvere di sottilissime schegge derivate dalla lavorazione dell'amian6to volatile non accennano a diminuire nel totale silenzio delle autorità, che mette a tacere le poche voci che avessero avuto l'intenzione di capirne di più, opera condotta direttamente dal Ministero della Difesa per il quale il Cmmp ha sempre lavorato. Il caso appena esaminato è gemello di quello della Amisol di Clermont - Ferrand, dove le operaie in occupazione nel 1974 (contrarie alla chiusura dell'impianto ed alla perdita del posto, logicamente) vengono sorprese dalle notizie di estrema tossicità dello stabilimento espresse dall'esperto di tossicologia e capo del Cnrs, Henri Pézerat. Senza più il posto e senza neanche poter desiderare riaverlo perché ormai palesemente nocivo per la loro salute, per molte la soluzione sarà il suicidio e per le altre l'alcolismo. Quelle superstiti nel febbraio 1995 creeranno a Clermont - Ferrand un Comitato di difesa dei lavoratori dell'amianto (Caper). Nel luglio 2001 a Lione, Maria Raquel Fernandes intenta un processo contro il padrone dell'Amisol per inadempienza colpevole : nel febbraio 2002 la Corte di Cassazione condanna senza appello l'Amisol e la obbliga ad indennizzare le vittime. Il provvedimento comunque non restituisce la salute ai superstiti né li compensa della perdita delle amiche o dei parenti, perché come disse un operaio del Cmmp cui erano morti il padre e cinque parenti : "Questa fabbrica maledetta non solo ha inquinato e contaminato, ma ha ucciso molte decine di persone che chiedevano solo di lavorare per vivere e non sapevano di lavorare per morire". Il quadro complessivo che risulta da questo paragrafo credo sia servito a ricostruire una parte essenziale di quel puzzle che è la delusione operaia sulla quale ci stiamo interroghiamo.

Trasformazione proletaria in Francia.

Quando i due sindacati - CGT e CFDT - agivano all'interno delle fabbriche francesi organizzando gli operai nelle lotte ed "attaccando" i padroni, attraverso di essi agivano anche i due grandi partiti operai, il PS ed il PCF. Era pur vero che si trattava dei "mitici" anni Settanta ma è altrettanto vero che esisteva in fabbrica una figura intermedia molto importante l'operaio professionale (OP), che fungeva da cinghia di trasmissione fra il terreno di lotta e di scontro della fabbrica e l'azione sindacale. Oggi gli OP non esistono quasi più; il mercato del lavoro si è trasformato ed i contratti non sono più quelli di un tempo. La figura che passava la sua esistenza "al chiodo" sulla catena di montaggio non c'è più. Non c'è più la catena di montaggio (nel senso classico del termine, almeno); non c'è più quel tipo di contratto, non c'è la classe operaia e, dagli anni Ottanta, in Francia non c'è più, nel mondo operaio il grande sindacato, la CFDT. La scomparsa di un sindacato operaio legato fortemente ad un enorme partito di sinistra, certo non mi vedrà distrutto in lacrime a battere i pugni in terra, dato che io credo piuttosto nell'autorganizzazione ed ammiro la pratica consiliarista!
Per questo il mio disappunto si articolerà su altri livelli.
Primo, oggi gli operai, diventati flessibili e precari, non possono essere più radicati nella fabbrica ed i giovani assunti non potranno più ascoltare dai più vecchi, in tuta blu, le lotte affrontate in passato, i licenziamenti subiti, gli incidenti sul lavoro o la volontà di continuare a lottare uniti. La destrutturazione della classe operaia che nell'ultimo ventennio si è consumata più velocemente si è svolta su differenti piani. Finora ne ho individuati due : l'atomizzazione reale della classe dovuta alla trasformazione macroeconomica del fordismo in post fordismo e l'impossibilità per la classe atomizzata di mantenere la memoria storica delle proprie lotte e la coscienza di classe. Se la legge del 1976 di Giscard d'Estaing, aprendo ai ricongiungimenti familiari dei francesi di colore delle colonie aveva reso possibile una grande ondata di immigrazione francofona, è solo con gli anni Ottanta e poi Novanta che il suolo francese diventa meta ambita e raggiunta di un immigrazione eterogenea : una società multietnica in cui agli immigrati francofoni di seconda e terza generazione (molti di essi messi in regola dalle grandi sanatorie realizzate a fini propagandistici dalla "Gauche" negli anni '80, allorché Chirac si andava rafforzando contro Mitterand) a cui si aggiungono quelli appena sbarcati.
Per capire meglio, facciamo un passo indietro.
Scriveva Friedrich Engels fra il 1844 ed il 1845 parlando di altri lavoratori : "L'Irlandese immigrato di fresco, che si accampa nella prima stalla che gli capiti, che anche trovando un abitazione sopportabile viene buttato sulla strada dopo una settimana perché sperpera tutto nel bere e non può pagare il fitto, sarebbe un cattivo operaio di fabbrica; perciò agli operai di fabbrica dev'essere dato un tanto da consentire loro di educare i figli ad un lavoro regolare, ma non di più, perché altrimenti potrebbero fare a meno del salario dei loro figli e li farebbero diventare qualcos'altro che non semplici operai." (da F. Engels, "La situazione della classe operaia in Inghilterra", Editori Riuniti, 1978, p.120). Nel Programma di Gotha, varato dalla Socialdemocrazia tedesca e redatto nel 1875 ci si riferisce genericamente alla limitazione del lavoro delle donne ed al divieto del lavoro dei bambini. Però, rispetto a questi ultimi, come annota criticamente Karl Marx, non vengono fissati i limiti di età.
Sulla questione del lavoro femminile nel 1889 August Bebel si esprimeva così : "La donna però mentre attende all'industria è obbligata anche al lavoro notturno che riesce faticoso per il suo organismo. Dalle comunicazioni ufficiali presentate nel 1888 alla Commissione del Parlamento germanico per la protezione delle donne in relazione al lavoro notturno risulta che il lavoro notturno delle donne si verifica o costantemente o ad intervalli nelle industri seguenti : nelle vetrerie, nelle fabbriche di specchi e di briquet, nelle fabbriche di cemento, nelle ferriere, nelle fabbriche di zinco, di porcellana, di bottoni, di carta e cartoni, nelle botteghe dove si liscia e si leviga il legno, nei filatoi e nella tessitura, nelle fabbriche di panni e flanelle [….]". Ed il suo elenco sarebbe troppo lungo per essere qui citato per intero. Più avanti precisava : "La donna sente minori bisogni è più arrendevole e pieghevoli dell'uomo, e sono questi i pregi che la raccomandano agli industriali. Si aggiunga che per la posizione in cui essa si è trovata fino ad oggi nella famiglia, è abituata a non aver limiti di tempo nelle occupazioni perché essa, occorrendo, lavora senza posa" da A. Bebel, "Il socialismo e la donna", La nuova sinistra Samonà e Savelli).
La durezza dello sfruttamento capitalistico quale ci risulta dalle descrizioni della classe operaia fatte da Engel, Marx e Bebel e la mancanza di dati simili oggi a disposizione non debbono indurci a false conclusioni, perché il capitalismo non ha mai smesso di essere un sistema di produzione basato su di un feroce sfruttamento dell'uomo sull'uomo, ovvero della grande massa dell'umanità ridotta a manodopera senza diritti ad opera di gruppi economici ristretti. La sua natura di sistema economico in costante espansione e trasformazione, lo ha portato ha cercare al di fuori dei confini nazionali la manodopera a basso costo per far funzionare le multinazionali o le grosse industrie operanti nel "Terzo Mondo" o quella immigrata e senza diritti all'interno dei confini nazionali per garantirsi in patria i bassi costi di produzione. Neanche oggi, perciò purtroppo mancherebbero esempi in grado di reggere il confronto con quelli dei brani sopra citati : le ragazze madri del Nicaragua post sandinista che sono costrette a cucire per una fabbrica di jeans in condizione di super sfruttamento, con paghe da fame e con orari variabili tra le otto e le 16 ore; i molti minori sottratti alle famiglie in Medio Oriente per la filatura dei tappeti; i bambini e le bambine comprati in Benin per avviarli al lavoro nelle case o nelle miniere (per questo si veda l'articolo "I bambini delle rose" su questa stessa rivista telematica.). Tutto questo ragionamento per dimostrare con i fatti che la natura del capitalismo non è cambiata fino ad oggi e che neanche si sono estinte le sacche di super sfruttamento della manodopera senza diritti, ovvero, ai fini del nostro discorso l'inconsistenza reale e la pericolosità grandissima della pacificazione attuale operata dal proletariato con il suo nemico di classe, il Capitale (e con tutto ciò oggi il proletariato si lascia incantare dal riformismo socialdemocratico, della "Droite" o della "Gauche", ed invischiare nelle aberranti tesi dell'estrema destra!).
A partire dagli anni '80 il Capitale, per la natura stessa del postfordismo prima descritta che ha bisogno di una grandissima quantità di manodopera a ciclo continuo (mi riferisco alla categoria di "fabbrica fluida" di Alain Bihr), ha realizzato non solamente in Francia uno spostamento in seno alla categoria "operaio", ma non l'eliminazione di tale categoria sociale e produttiva (come è ormai tanto di moda affermare!). L'economia francese si è così terziarizzata ed i giovani che sarebbero diventati operai, perché figli di operai e cresciuti in un contesto che li porta a questo, sono stati inseriti in massa nell'attività di sportello, che comprende anche conducenti di mezzi di trasporto, fattorini, magazzinieri, ecc. La conseguenza è stata la canalizzazione dei nuovi precari di colore senza diritti in quei medesimi luoghi di sfruttamento ed in altri non esistenti in passato. Ovvero : l'operaio bianco si è terziarizzato ed il precario di colore senza diritti si è operaizzato. Le cifre, d'altronde parlano chiaro : oggi in Francia due immigrati su tre sono operai o impiegati Ma, fra di essi, sono principalmente gli uomini ad essere operai, laddove le donne sono impiegate nel manifatturiero femminile (dati Insee). Ed ancora che dopo venticinque anni di lavoro il 75% dei lavoratori immigrati rimane operaio e, fra questi più di 1/3 operaio generico (dati Ined). A questo si aggiunge infine lo sconcertante aumento della disoccupazione in quel paese, unito ad un crescente aumento demografico e che il nuovo precariato di colore subisce una disoccupazione ancora maggiore (negli ultimi dieci anni il tasso di disoccupazione immigrata è aumentato del 10%).

Perdita della coscienza di classe.

Nelle aree più scure le pen ha ottenuto un maggior numero di voti

Per quanto riguarda il voto all'estrema destra in questione si è parlato spesso di un voto operaio e del FN come del partito operaio più grande in Francia. Se sulla popolazione attiva complessiva del paese soltanto il 26% risulta occupato come operaio, la mentalità operaia risulta lì più diffusa del previsto e questo porta con sé conseguenze drammatiche per il nostro discorso. Il nucleo familiare francese tipo è composto nell'80% dei casi da un padre operaio e da una madre impiegata. Il che determina una cultura operaia diffusa ed oltre a questo il veicolare all'interno della famiglia ed attraverso il canale privilegiato padre - figlio le amarezze e le disillusioni subite nel corso di questi ultimi 20 - 30 anni da quella che un tempo si chiamava ed era la "classe operaia".
Parlare del consenso all'estrema destra francese significa, di necessità, doversi collegare in parte, alla formazione del consenso proletario dei partiti della destra istituzionali. Queste formazioni hanno compreso che per non sparire occorreva pianificare il consenso nelle masse su basi nuove, capaci di fare maggiore presa. Mi ritorna alla mente in questo ragionamento la lucidissima analisi ormai alcuni anni orsono da Ruggero Zangrandi nel suo bel libro "Il lungo viaggio attraverso il fascismo", edizioni Feltrinelli, in cui la ricostruzione storica a sinistra dell'ascesa vertiginosa del fascismo in Italia si spiega come si fosse legata alla necessità di agitare, strumentalmente ovvio, gli stessi leitmotiv del partito che allora incarnava le aspirazioni e la volontà di cambiamento sociale nel nostro Paese, il Partito Socialista e con lui il Partito popolare. E come allora il partito fascista otteneva il consenso fra le masse contadine (che qui rappresentavano la quasi totalità del proletariato) oggi l'estrema destra, anche europea, si rivolge principalmente alle fabbriche ed agli operai delle piccole e medie aziende che rappresentano una fetta cospicua della popolazione attiva, "mietendo vittime" anche fra i disoccupati. Nei luoghi abbandonati dalla sinistra, e dai comunisti, fra gli operai traditi dai sindacati serpeggia perciò una nuova solidarietà non più di classe ma verso il padroncino (che si è rivelato il perno della vittoria di Le Pen) visto come uno del popolo che si è fatto largo a fatica per conquistarsi una sua fetta di ricchezza e dunque da non contestare, ma anzi da ammirare pieni di comprensione. Dirò di più : l'adesione all'estrema destra avviene fra gli operai, limitandoci al caso francese nei momenti di riflusso e stagnazione delle lotte in fabbrica.
Il riflusso e la perdita di coscentizzazione politica, ovvero il venir meno della solidarietà di classe e della prospettiva di una lotta di lunga durata e dell'aggregazione familiare centrata sulla discussione, quale si andava configurandosi faticosamente nella famiglia operaia nel momento di maggiore intensità delle lotte, portano però ad altre dolorose conseguenze all'interno del tessuto operaio : la durezza umana che sta alla base della condizione di un lavoratore costretto ad esistere solo in funzione della sua forza lavoro, il proletariato nell'accezione classica cioè, senza più i filtri ideologici che gli davano le fasi della lotta, torna a far valere la propria superiorità anche su di un piano etnico (laddove in passato, prendendo in considerazione il caso italiano, operai del nord e del sud imparavano a convivere in vista di un obiettivo comune), ossia oggi sull'immigrato. Va da sé che in questo ambiente tanto regredito in una dimensione chiusa ed individualistica non è più di moda criticare la produzione o tutelare la sicurezza sul lavoro, anzi frequente è l'antipatia per quei pochi lavoratori che avanzano di queste pretese (e mi torna alla mente il recente caso italiano del petrolchimico di Gela) e normale l'ostilità per quei pochi e seri compagni che intendano portare all'esterno un discorso comunista o meglio ancora., dall'interno un discorso ricompositivo.
Questo per il voto operaio, ma fra i votanti c'erano anche immigrati di seconda e terza generazione. La questione muove qui, secondo me, da coordinate differenti e non specificatamente francesi, né collegabili direttamente alle scelte delle sinistre istituzionali e dei sindacati. No, qui il problema risiede nella natura stessa dell'emigrazione e nella mentalità di chi, lasciati i problemi del proprio Paese, intenda ricominciare la sua vita in uno nuovo senza più averne o convincendosi che non esisteranno nel Paese di adozione. Se escludiamo il caso di una coscienza politica "radicale" portata appresso dall' emigrante (per esempio Sacco e Vanzetti, gli emigranti anarchici italiani giustiziati dagli Usa nell'agosto del 1927), generalmente il percorso politico dell'immigrato si articola, purtroppo, nel modo seguente, e noi tutti dobbiamo tenerne conto : appena entrato nel nuovo Paese vive le contraddizioni sulla sua pelle ed abbraccia istanze radicali (il clandestino come rivoluzionario, come in " Per il recupero delle lotte dei lavoratori migranti", Junius Brutus n° 3); con il passare del tempo ed integrandosi abbraccia istanze più moderate, vale a dire diventa riformista; le generazioni successive, ovvero i figli di emigrati nati e cresciuti nello Stato di adozione, cancelleranno dalla loro memoria ogni traccia delle sofferenze e dell'esclusione passate, in ciò essendo aiutati dai genitori che sono i veri emigranti, ed andranno contro i nuovi esclusi, diventeranno cioè conservatori (per capirne di più vedere il Museo dell'Immigrazione di New Orleans in www.raieducational.it), ma potranno anche virare verso l'estrema destra come è accaduto in Francia con il voto a Le Pen.
Ad ogni modo alcune prodotte autorganizzate degli anni '90 hanno fatto guardare alla propositività del proletariato francese con rinnovata speranza : il caso dei disoccupati di "AC!" (si veda in proposito il bell'articolo di Nicole Thè, "Tra rivendicazione e sovversione: il movimento dei disoccupati in Francia", su ecn.org) e quello dei Sans Papiers. L'amara conclusione di chi scrive è dunque che in una situazione così complessa, difficile e che ormai ha abbracciato anche derive pesantemente autolesioniste risulta sempre più arduo pensare ad un ritorno di una coscienza di classe e ad un intervento fattivo all'interno dei luoghi di lavoro da parte di noi compagni, ma in ogni caso occorre non abbattersi ed anzi programmare una strategia di intervento mirata nei luoghi che da troppo tempo abbiamo lasciato in balia di loro stessi e facile preda di ideologie deliranti.