Campagna di boicottaggio Coca-Cola

IL BOICOTTAGGIO E IL FALSO LIBERISMO DEI PROMOTER COCA-COLA


UNA RISPOSTA DELLA REBOC ALLA VERGOGNOSA CAMPAGNA DI STAMPA DI QUESTI GIORNI

Roma, 14.03.2005

Accade solo in Italia.

No, non che tanti consumatori decidano di informarsi e di scegliere i loro acquisti non solo in base alla pubblicità, ma anche in base al grado di rispetto dei diritti umani e dell’ambiente che i diversi produttori riescono ad esprimere.

Questo, anzi, avviene sempre più in tutto il mondo, a partire dai paesi anglosassoni ed anche in Italia dove i consumatori critici sono in netto aumento.

Quello che accade solo in Italia è che i paladini del neoliberismo economico accettino la libertà di scelta dei consumatori solo quando gli fa comodo.

Se i consumatori, e tra essi anche la Pubblica Amministrazione e le Istituzioni Universitarie, invece di “bersi” le pubblicità, iniziano ad informarsi, e, orrore!, eliminano dalla busta della spesa i prodotti di aziende che reprimono i sindacati, sfruttano il lavoro minorile o inquinano l’ambiente, questo non è più liberismo, non è la libertà di scelta del consumatore che gradiscono, diventa “ideologia” o fondamentalismo o ancora proibizionismo.

Così accade che se gli studenti dell’Università Roma 3 scelgono di non avere più la Coca-Cola, ma prodotti del commercio equo-solidale nei distributori automatici, siano loro a doversi sedere sul banco degli imputati con l’accusa di antiamericanismo.

Peccato che in realtà siano in ottima compagnia proprio dei loro colleghi di oltreoceano.

Negli Stati Uniti sono 78 le Università e i College attivi nella campagna di denuncia dei crimini della Coca-Cola in Colombia e in India e tra queste sono 6 quelle che hanno deciso di non acquistare più Coca-Cola.

Anche in Irlanda e in Inghilterra accade qualcosa di simile, con rispettivamente 4 e 3 Università che appoggiano la campagna.


Non sono molti i mezzi di informazione che in questa vicenda sono realmente interessati ad approfondire, piuttosto che a sparare titoli sensazionalistici quanto fuorvianti.

Basterebbe veramente poco per capire che l’unica cosa realmente ideologica è l’accusa di ideologismo alla campagna di boicottaggio.

Basterebbe veramente poco per capire che nessuno si sogna di boicottare la Coca-Cola perché è ‘amerikana’ e che la campagna si basa su dei fatti, molto gravi, come la repressione di un Sindacato in Colombia e l’impoverimento e l’inquinamento di falde acquifere in regioni dell’India già soggette naturalmente a crisi idriche.

Basterebbe ancora poco per capire che questi fatti sono suffragati da numerose testimonianze dirette, da note di Amnesty International che rilevano la coincidenza tra attacchi al Sindacato e periodi di trattative contrattuali, da un’inchiesta indipendente condotta da politici e sindacati statunitensi, da una sentenza di un Tribunale americano che ha accertato i collegamenti tra gli squadroni della morte dei paramilitari e i manager degli impianti di imbottigliamento della Coca-Cola in Colombia, di cui guarda caso la Company di Atlanta possiede direttamente il 39,6% del capitale azionario.

Basterebbe ancora meno per sapere che, prima di decidere di boicottarla, i consumatori hanno chiesto alla Coca-Cola, negli USA come in Italia, di permettere che una Commissione di inchiesta indipendente andasse in Colombia per fare luce sulle accuse, ma la Coca-Cola ha ripetutamente rifiutato.

Basterebbe poco, ma si preferisce scrivere che la decisione di non consumare Coca-Cola è ideologica e di matrice autoritaria, e questo perché si preferisce che i consumatori non siano in condizioni di scegliere in base a considerazioni più ampie di quelle dettate da uno spot.


Fortunatamente nell’epoca della globalizzazione si stanno sviluppando mezzi di informazione alternativi a quelli tradizionali, che permettono a chi voglia accedere ad una reale “libertà di scelta” di farsi un’opinione e di incidere sui comportamenti di un mercato disposto a calpestare tutto e tutti in nome del profitto.

 

prendi coscienza