i lividi sulla mia coscia hanno la forma di una mappa dell'italia

proprio quando i fantasmi cominciano a non perseguitarmi più, il cuore, le bombe cominciano a ticchettare...
nella notte di sabato, 21 luglio, 2001... e qui è quanto lontano riuscii ad arrivare quando domandai una penna in carcere... su una sgualcita busta di carta io scrissi: sabato, 21 luglio, 2001, scuola diaz... ora posso procedere in una vaga narrazione degli eventi benché abbia provato a raccontare la storia più e più volte ma l'orrore non si trova nella progressione generale bensì nei dettagli. lo sporco e il male sono nei dettagli... i dettagli... e penso che mi sto inventando le cose, che le sto fingendo, che le sto dimenticando e sto col desiderio di dimenticarle, ma questo evento si è preso uno spazio dentro di me. questi fantasmi, questi gnomi, stanno distruggendo, stanno perseguitando, stanno creando spazi vuoti... così a volte, nell'idea di compiere un esorcismo e di accennare dei riti funebri è necessario rendere queste creature ubriache e perdute e solo allora posso richiamare qualcosa di ciò che è accaduto, anche emozionalmente contando su questa cosa, terribile e inaffidabile, chiamata memoria. io non posso ritornare sulla scena del crimine, io non posso registrare una perfetta testimonianza perché sono posseduta da macchie vuote, questioni politiche, ...lo sporco, la merda, il sangue, la paura. ma io proverò a rappresentare una specie di storia e a creare delle connessioni con le macchie vuote, con gli orrori condivisi e ...quindi partire...

cominciando dalla notte del 21 luglio 2001 io e approssimativamente 93 altri siamo stati picchiati, mandati all'ospedale, arrestati illegalmente, detenuti e carcerati dalla polizia italiana, alla scuola diaz a genova, italia. ci hanno pestato e ci hanno pestato per bene. durante la notte anche adesso chiudo gli occhi e vedo il sangue all'interno delle mie palpebre, vedo ancora il sangue e sento l'odore delle radici dei denti rotti che marciscono nella ragazza che siede al mio fianco sul pavimento di cemento della cella. e penso a tutti gli scomparsi, a tutti i prigionieri politici che marciscono, ai torturati, ai condannati, a chiunque sia in intimità con l'interno di una prigione, a tutti quelli che sono stati iniziati ai manganelli e ai proiettili della polizia. e sono fortunata, davvero...

attraverso i balcani ed il mediterraneo
dopo aver viaggiato attraverso il mediterraneo, la turchia e l'europa dell'est per sei mesi d. ed io arrivammo a genova su un treno occupato con altre cinquecento persone dall'italia nord-orientale per manifestare contro il gruppo degli otto (g8). lungo la costa montuosa, prima della città, il treno ha viaggiato attraverso molti tunnel: c'erano lunghi periodi di oscurità, che si spalancavano alla vasta luce del mare e tutti gridavano. quando arrivammo la città si era svuotata dei genovesi. i negozi erano serrati e sbarrati con grate metalliche. il noioso ronzio, tipicamente italiano, dei motorini non c'era, ma i manifestanti erano ovunque, si erano impossessati della rete dei trasporti pubblici - i treni, gli autobus, le strade. dovunque c'era l'uniforme: i dread, le magliette del che, i fazzoletti e le sciarpe intorno al collo. per tre giorni, i giorni in cui c'erano le manifestazioni, 300.000 persone, che percorrevano chilometri di strade. che costruivano barricate di macchine in fiamme. fumo scuro correva su verso il cielo: strillando, caricando, picchiando, morendo... c'erano gli eroici che tra la gente raccoglievano i candelotti brucianti dei gas lacrimogeno con le mani nude, senza maschere. il fumo bianco si alzava in spirali alte nel cielo di nuovo indietro verso le linee della polizia; i palmi del lanciatore ustionati con un cerchio. sindacalisti di base lottavano insieme agli anarchici, altri si scontravano con il black bloc. i pacifisti danzavano per la rivoluzione e sedevano davanti ai bidoni della spazzatura che rotolavano. le banche bruciavano sotto gli edifici abitati con la gente che gesticolava dai balconi - gente sotto che urlava e indicava che i loro palazzi erano in fiamme. momenti stupidi, momenti assurdi. momenti di panico, di gente che viene calpestata, che corre - il sangue sui muri, non provocato solo dalla polizia. gli infiltrati, i fascisti...

il movimento della "globalizzazione"
foto 20 luglioe così adesso dove andiamo da qui, dopo un'altra grande manifestazione, dopo un altro incontro di potenti. sappiamo che il mondo si è ribaltato, sappiamo che il particolare ora è situato all'estremità del mondo, perciò tutto quello che è particolare (le comunità, la gente, i nostri propri corpi) sono seduti ai margini. così combattiamo contro la globalizzazione con la presunzione che esista una superiorità del particolare, ma dov'è il particolare sul campo della guerra globale? cittadini globali (attaccati ad internet, ai telefoni cellulari) si incontrano con i locali (organizzazioni politiche, unioni, individualità) alla prossima grande manifestazione ma che cosa succede allora alle altre persone particolari, ai senzatetto, agli affamati, ai vagabondi? ... sto provando a pensare ma non riesco a organizzare su come muovermi, ci sono troppi dibattiti che si ripetono all'infinito... mi stavo disilludendo; è andata e molte persone stavano già lasciando la città messa a fuoco. genova, una necropoli, città dei morti e delle partenze. noi ce ne impossessiamo e lasciamo rifiuti sulle strade vuote. cartoni della pizza, volantini politici, le parti e i pezzi di un'armatura fatta di gommapiuma colorata. io volevo solo dormire e il giorno dopo d. e io avremmo deciso cosa fare: andare a casa, andare in spagna o in croazia, separarci. noi andiamo in una scuola dall'altra parte della strada rispetto al media center. ci sono dei computer e io posso spedire delle e-mail ai miei amici e dire loro che le manifestazioni sono finite e che sto bene. andiamo a dormire rannicchiati sul pavimento.

l'inizio e il pestaggio
mi sveglio per il rumore e qualcuno che strilla - polizia, polizia. il portone si apre un po' - non lasciateli entrare, non lasciateli entrare. la porta è barricata e io mi metto addosso tutti i miei vestiti ma non riesco a trovare i miei calzini. metto tutte le cose nel mio zaino... con calma e distratta, voglio essere sicura di avere tutto - d., dico, stai dimenticando delle cose. lui dice - non è importante, le prenderemo più tardi. il rumore è troppo forte, stanno battendo da fuori, il legno della porta si sta spaccando... il legno si spezza aguzzo e violento. le finestre vengono spaccate; il vetro vola sopra le nostre teste. e il rumore è acuto. i muri si stanno spaccando e loro stanno entrando dalle fessure. seguo d. verso le scale. di nuovo sono sorprendentemente calma, sto guidando le persone attraverso l'apertura, toccando le loro scapole. vedo un grande e pesante pezzo di un mobile a fianco all'apertura che io spero qualcuno voglia spostare per bloccare la nostra via di fuga, una volta che siamo passati tutti, ma è troppo tardi. sul pianerottolo del primo piano alcune persone stanno aiutandosi con un termosifone per scappare dalla finestra. la finestra pullula di gente che prova a scappare... ma era troppo alto; era troppo tardi. per un momento persi d., ma lo vidi ancora che saliva le scale. lo seguo fino al piano successivo e insieme con altre sei persone corriamo fino alla fine del corridoio. c'è un'altra finestra e una ragazza comincia ad arrampicarsi sull'impalcatura che circonda la scuola. lei ci invita ad andare. io guardo fuori dalla finestra; a terra è un brulicare di scintillanti caschi blu antisommossa della polizia come esoscheletri di insetti. è troppo tardi perché loro stavano venendo verso di noi dal fondo del corridoio...

sfasate figure nere, come un incubo che ho avuto una volta quando tagliavo da parte a parte il corpo del poliziotto e dentro non c'era sangue o la materia degli organi ma un calamaro nero: d'inchiostro e terribile. il male non è contenuto solo tra contorni tenebrosi. i calamari neri si muovono verso di noi gridando, noi alziamo le mani, uno alza il manganello e lo da' sul tavolo. noi sappiamo di dover temere... ci accasciamo e allora loro ci pestano e ci pestano per bene. non sono mai stata pestata prima e quindi io ero in stato di shock, ero incapace di sentire il dolore in quel momento, ciò mi permise di fissare delle note: sul suono, sulla sensazione, le reazioni degli altri. - così questo è come ci si sente ad essere pestati, pensai. udii urlare, udii piangere; forse ero proprio io. come una tartaruga ero ritirata nel mio zaino/guscio, con i miei due giacchetti a ripararmi la testa e d. al mio fianco che mi proteggeva, che resisteva nella rientranza del corridoio. usando gli inumani poteri tratti da tutte le scure creature nel suo regno di influenza (certi insetti, calamari neri, ma di certo dei maiali), la polizia ha rotto braccia, ossa del collo, dita, piccole ossa e grandi ossa, hanno tracciato mappe di lividi sulle schiene e sulle cosce, hanno sfasciato crani... teste sanguinarono... correvano su e giù per il corridoio distruggendo tutto, spegnendo le luci, intralciandosi l'un l'altro per picchiarci. e hanno colpito d. più e più volte, mirando alla sua testa, le parti che erano già doloranti... lo hanno colpito e io non mi ricordo come il fianco sinistro del mio corpo è stato ferito, ho visto nero, minuti o ore di oscurità che si muoveva addosso fino a che il dolore mi ha trafitto quando lui ha gridato, suonando per lo più come un bambino - please stop, please stop... ho sentito dire che è importante urlare mentre la polizia ti sta pestando... è possibile che possano ricordare che tu sei un umano. loro non sono umani ma scuri organismi del terrore e l'essere un umano è solo una ragione in più per massacrarti. io ho strillato - basta, basta enough, enough e gli sbirri hanno grugnito - bastardi, bastardi...

mi fa piangere pensare che lui abbia cercato di proteggermi... il suo sangue è colato sulla mia faccia. le mie mani erano umide e appiccicose. il sangue di d. stava colando sulla mia faccia e non potevo vedere altro che il sangue che scorreva.

per qualche ragione decisero di smettere i pestaggi e in inglese una guardia ci dice di alzarci. notai il mio spazzolino che giaceva sul pavimento dopo che eravamo stati pestati e ci avevano ordinato di alzarci. deve essere caduto dalla mia borsa - pensai, ancora prendendo nota di dettagli insignificanti. mi ricordo di un agente in pallidi blue jeans, la sua giovane faccia coperta con una bandana blu e borgogna dei carabinieri. non c'era faccia dietro la maschera, come una storia d'orrore per bambini...

... e lo sputo partito dalla bocca di un poliziotto, sembra muoversi alla moviola sullo sfondo blu scuro polizia. dimentico dove arriva sul mio corpo. lo dimentico. e di certo più tardi ascolto più storie che si mischiano col mio personale orrore: un agente ha usato un coltello per tagliare un boccolo dalla testa di una ragazza e l'ha attaccato alla sua cinta come trofeo, dopo l'ha picchiata, le ha rotto un braccio e poi l'ha accarezzata sulla testa: oh povera bambina.

la paura e la confusione
alcune persone non riescono a stare in piedi e noi dobbiamo spronarli per farli alzare e tirarli su tenendoli da sotto le ascelle. io mi aggrappo a d. e lui mi dice che pensa di avere qualcosa di rotto. andiamo verso le scale dove vedo un medico con la tuta arancione brillante e provo a spingere d. dietro al medico per proteggerlo, ma la polizia lo fa alzare e ci conduce giù nella stanza principale dove tutti gli altri contusi e rotti corpi sono ammassati insieme su un lato della stanza, le facce al pavimento. la polizia sta per lo più dall'altro lato riducendo tutto a brandelli, trovando armi tipo coltellini svizzeri, aste delle intelaiature degli zaini, legno, arnesi e bottiglie. io sto faccia a terra tra due corpi: uno lo conosco, e dell'altro so solo che è dolorante... un maiale mi da' un calcio nel sedere e mi ricordo che faceva male. così in basso, così in basso, faccia al pavimento, presa a calci dai grandi stivali neri della polizia - per lasciare il segno.

vicino alla morte
quando vieni intimata dai manganelli della polizia fai un passo in più vicino alla morte. - ti vogliamo uccidere, ti vogliamo uccidere - cantava la polizia. vicino alla morte. quando fai affari nel sesso sei vicina alla morte, su una strada di campagna, fuori roma, nel centro del nulla, le prostitute stanno in piedi da sole o in due. accendono un fuoco per riscaldarsi, perché sono vicine alla morte; loro fanno affari nel sesso... una piccola morte. sono scure e portano con loro una borsetta, una spazzola, uno specchi,. stanno a guardarsi, e nel riflesso dei finestrini della pulita, piccola automobile che si ferma per loro: sono belle.

provai ad alzare la faccia, a parlare a d., a dirgli cosa stava succedendo. continuavo a toccarlo, a toccare le parti dolenti, mettendolo in un dolore ulteriore. cerco di mettergli qualcosa sulla testa me c'e' troppo sangue. il sangue si secca in delicate striature sulla pelle. piccoli baci, piccoli baci. mi aggrappo a d. e alla persona accanto a me, per fargli sapere che sono lì. per alleggerire la situazione cerco di continuare a parlare - non ti preoccupare, mi sento bene, è solo il tuo sangue che sta scorrendo sulla mia faccia e sta offuscando la mia visione. e non c'è problema, perché presto saremo sulle spiagge della spagna del nord... e dico al ragazzo al mio fianco - e allora da dove vieni, oh sì polonia, yeah noi siamo del canada. nel frattempo i medici in arancione stanno correndo su e giù tamponando senza speranza la testa delle persone con garze e disinfettante.

i medici volontari
prima delle manifestazioni avevamo visto i volontari in divise arancione che facevano pratica con un fantoccio di plastica che giaceva su un lato della strada. la bambola di plastica sembrava morta e le tute arancione stavano tutte intorno , imparando cosa fare, forse tamponando la sua testa, forse stando solo lì intorno.

un panico
ad un certo punto della manifestazione ci fu una carica della polizia con i gas lacrimogeni e gli idranti su per una collina accanto ai binari della ferrovia. la gente era in preda al panico, alcuni grossi ragazzi in nero (possibilmente infiltrati fascisti - adesso si parla di circa 600) cacciarono fuori i gomiti spingendosi tra la folla... la gente venne schiacciata contro le colonne di marmo e i muri di un edificio. c'e' l'assoluta e completa necessità di rimanere in piedi tra migliaia di persone che corrono nel panico: tu corri con la folla o vieni risucchiata dal mare della paura. io correvo perché non c'era altro da fare e vedevo la gente compiere azioni impossibili come in modalità di volo: scavalcando recinti alti un piano, arrampicandosi su muri di cemento. io fui spinta in una strada senza uscita: nessuna via di scampo tranne giù per un parcheggio sotterraneo. due dozzine di noi corsero sempre più giù, più in fondo, via dalla superficie della polizia. raggiungemmo la parte più bassa e cercammo di stare quieti; tutti stavano parlando e poi cercavano di azzittire gli altri. era umido e l'acqua gocciolava dal soffitto in pozzanghere sul cemento, nessuno parlava inglese e io non parlavo. eravamo in trappola e aspettavamo... un operaio venne giù e ci disse che era a posto per andare via di là, noi lentamente camminammo per le rampe spiraliche di piano in piano, non sapendo se stavamo finendo in una trappola. venimmo su fino all'apertura del guscio di lumaca - la luce - dov'e' la polizia, dove sono le guardie? niente guardie, solo acqua sulla strada, sangue sul marciapiede. in cima alla collina una linea di polizia.

io sto disperatamente cercando di attrarre l'attenzione dei medici per far sì che si occupino di d. mentre una donna italiana sta strillando istericamente, pestando i piedi per terra, ci sono così tanti corpi sul pavimento che urlano in cerca di aiuto con le braccia che si tendono in aria, altri semplicemente tremanti per la paura. finalmente arriva un dottore che parla inglese e ci dice che presto saremo in un ospedale e cominciano a separare i feriti. sistemano il braccio di d., tagliano i suoi pantaloni con delle forbici fino al ginocchio, la sua gamba non e' rotta e in fretta lo sistemano su una barella coperta con il mio sacco a pelo. ancora bacio il sangue seccato sulla sua faccia.

quando siamo condotti via, entrambe le nostre mani sono incrociate e intrecciate davanti a noi. più tardi vedo una piccola immagine di un ragazzo su una barella, sul quotidiano italiano "il manifesto", capii che era lui perché le sue mani erano intrecciate e incrociate... come una specie di conforto, una difesa, un parziale abbraccio senza che le mani insanguinate toccassero il corpo e anche una testimonianza - il sangue sulle mani messo in evidenza. abbiamo tutti del sangue sulle nostre mani.

torno indietro e mi sdraio sul pavimento, un ragazzo americano si muove verso di me e dice - bene, sto pensando che la maniera migliore di uscire di qui e' pregare i paramedici di portarci in un hotel, tu che ne pensi, io ho proprio voglia di uscire di qui, ho proprio bisogno di essere portata in ospedale... e comincia a parlare, parlare quando il dottore mi fa segno di salire sulla barella. il ragazzo coi dread al mio fianco sta piagnucolando, io parlo con lui e lui si aggrappa a me, entrambi stiamo tremando. - i paramedici vengono a prendermi... e lui si aggrappa più forte - noi non possiamo essere separati, noi non possiamo essere separati...

poi viene l'orrore di essere improvvisamente trasformata nel personaggio di un film - un tale orrore venne dentro di me mentre venivo condotta via tra le luci lampeggianti, tra le centinaia di voci e la parziale oscurità, tra le facce parzialmente oscure e parzialmente luminose nell'oscurità, dentro le file della polizia. sentivo che tutti erano all'interno di una pellicola monocromatica di un film in bianco e nero, solo il personaggio principale era artificialmente colorato - con un colorito davvero pallido di pelle e il rosso del sangue. mi ricordo che cercavo di svenire mentre mi portavano verso la porta. caddi in avanti - coscientemente lasciai che le mie ginocchia si piegassero. era la rappresentazione dello shock che poteva anche essere la definizione stessa dello shock. dopo l'orrore, credi di essere a posto, tu davvero ti senti bene ma questa è la menzogna della sopravvivenza. i flash delle macchine fotografiche sul mio volto ed io venivo caricata sull'ambulanza. il ragazzo che non aveva voluto staccarsi da me era già seduto nell'ambulanza, io ero sistemata su una barella e lui mi prese la mano e la strinse con forza. un uomo del genova social forum riuscì a salire con noi. parlava inglese e ci chiese che cosa era accaduto. io glielo dissi e spero che lui se ne ricordi.

l'ospedale; il regno
in ospedale dissi che il sangue non era il mio - di chi e' questo sangue? domandò il dottore. e di chi e' questo sangue? una domanda. di chi e' il sangue appiccicato sui manici e sulle punte dei manganelli, di chi e' il sangue sulle punte degli stivali... dove sono stati buttati i guanti di lattice colorati di rosso? dove sono i manganelli lavati con l'acqua... il rosso diluito nel liquido fino a scomparire in un vortice...

l'infermiera mi toglie gli occhiali e tutto ciò che riesco a vedere e' un'offuscata oscurità che riempie la corsia di emergenza: chiudo gli occhi per nascondermi dai calamari neri. quando chiedo indietro i miei occhiali la polizia discute, ma infine mi vengono restituiti e posso vedere che la corsia di emergenza e' delimitata con le barelle. provo ad allungarmi verso un altro corpo ma siamo separati come delle piccole isole. il personale dell'ospedale mi trova addosso un passaporto ma c'e' un errore ed e' quello di d. . mi guardano come se volessi ingannarli e l'uomo del gsf chiama un altro ospedale per cercare d. ma lui non si trova. gli domando cosa sta facendo qui la polizia, se siamo stati arrestati e lui dice - non ti preoccupare, sarai LIBERA domani nella mattinata. la parola LIBERA risuonò nella mia testa. sarò LIBERA in mattinata e io ci credevo.

sono spinta sopra una barella e attraverso i corridoi oscuri e vuoti dell'ospedale come nell'infestato ospedale de "il regno" di von treier. tutto ciò che riesco a vedere sono le ombre che giocano negli angoli del soffitto. forse lui mi butterà fuori dalla porta di sicurezza in mezzo al parcheggio dove rimarrò sdraiata sulla barella con il lenzuolo bianco e tremolante. tutt'intorno al perimetro, avanzando in cerchi verrà la polizia battendo i manganelli all'unisono, indossando il completo equipaggiamento rituale - le maschere fatte di vera pelle, i simboli sui loro petti e sulle loro maniche... loro vanno in circolo, battendo; sdraiata sulle lenzuola bianche: io sono il sacrificio rituale per l'eccesso di violenza della primitiva tribù della polizia... sono condotta al reparto traumatologia in una stanza con circa altre sei donne che dormono. viene un'infermiera e un attimo più tardi un dottore che parla inglese e che mi visita. sorride e mi dice che sono tutta a posto. un'anziana donna nel letto dall'altra parte rispetto al mio si sveglia e domanda cosa stia succedendo. stai calma e torna a dormire - l'infermiera le dice. loro sono gentili ed io cerco di credere che tutto sarà a posto. a posto. è notte; io sono un cavaliere. mi rotolo sul mio lato contuso e ricordo. non dormo ma ripeto la storia a me stessa più e più volte così che la riesco a credere. organizzo i miei piani di fuga per la mattina... trovare d. ... non dormo e di mattina presto arriva un'infermiera sorridente e m'infila il termometro sotto l'ascella e mi sposta in un'altra stanza sotto la custodia della polizia.

nel letto vicino a me c'e' una schiena visibilmente livida tra il bianco delle lenzuola e il bianco del camice. la proprietaria e' addormentata e io ne sono invidiosa. fisso i muri bianco sporco, le mie cose in una busta di plastica ai piedi del mio letto, le lenzuola bianche tirate sulle mie gambe - che mostrano la forma dei miei piedi e delle mie gambe. per rompere la monotonia in alto su un muro c'è stranamente un ossuto gesù, su una croce di metallo. fisso l'ossuto gesù dentro, con l'occhio al di là, per evitare gli occhi dei carabinieri, dei paramilitari: gli occhi abbassati. intorno a me ci sono meccanismi organici di sorveglianza di stato; gli occhi alla fine della persecuzione. quando zoppico fuori dal letto per fare una doccia l'infermiera riceve l'ordine di sorvegliarmi. mi da' un grosso paio di mutande bianche e un camice e mi guarda mentre piscio in una provetta. un test delle urine, un test del sangue e lo stato vede attraverso la mia pelle. quando la proprietaria della schiena livida m. , una ragazza americana da eugene, si sveglia scherziamo su come sembriamo abbronzate (dal colore dei lividi) e muscolose (dal gonfiore). la sua mano destra e' rotta e ingessata. a mezzogiorno ci danno un pasto, abbiamo la sensazione come fosse l'ultima cena e decidiamo di ingoiare il pollo che era incartato con la stagnola. finiamo di mangiare e ci puliamo l'unto dalle facce - è ora di andare, ci annuncia un carabiniere - dove stiamo andando? loro non rispondono.

kafka
qualcuno deve aver mosso un'accusa falsa nei confronti di k., in quanto e' stata arrestata una mattina senza aver fatto niente di male - mi state arrestando? chiede k. . l'ufficiale, alto, in uniforme grigia non rispose ma prese le manette dal loro posto sulla cinta e assicurò una manetta al polso di k. e l'altra al braccio sano di m. - per quale motivo sono stata arrestata? prova a richiedere k. anche se sa che la risposta di nuovo sarà un silenzio. i cinque ufficiali la fanno marciare fino in fondo al corridoio, si fermano e lei esamina la grigia uniforme militare degli agenti. in mostra, su una manica: una toppa che legge in italiano: polizia penitenziaria. intorno alle loro vite essi indossano cinture nere pesanti alle quali sono attaccati vari strumenti: un manganello, manette e pistola, e i loro pantaloni erano infilati dentro grossi stivali neri. un'uniforme grigia femminile perquisisce k. e trova nella sua tasca un coltellino svizzero. essa si eccita molto perché ha trovato una prova di colpevolezza. k. e m. vengono fatte marciare per i corridoi dell'ospedale mentre sei uomini dalla scuola marciano di dietro. k. viene condotta rapidamente per i corridoi dell'ospedale, cerca di stabilire un contatto visivo con gli altri pazienti, i lavoratori, le infermiere... guardateci, non siamo criminali ma loro non vedono, loro ci fissano e noi siamo scortati dalla polizia e dall'esercito ma loro non vedono. m. e io ci teniamo l'un l'altra le mani sudate oltre le manette. siamo condotte per una porta secondaria in un vicolo dov'è parcheggiato un furgone militare. i media, piazzati lontano da dove sbuchiamo, ci fotografano mentre veniamo caricati sul furgone e rinchiusi nelle celle. i portelloni vengono chiusi e siamo trasportati fuori dalla città.

 

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