LA RESISTENZA NEL LAZIO

Il Lazio conta 1.272 caduti su 10 mila combattenti partigiani, cui vanno aggiunti 187 civili torturati e uccisi nelle celle di via Tasso o fucilati, come don Morosini, per aver ospitato patrioti. Ben 2.091 ebrei romani furono deportati nei campi di sterminio.
Qui guerra di Liberazione iniziò quasi nel momento stesso dell'annuncio dell'armistizio, quando la popolazione scese in armi a combattere a Porta San Paolo, lasciando sul campo i primi patrioti. La guerriglia nei Castelli romani diede vita a continui episodi di sabotaggio, specialmente sulle strade e le ferrovie dove transitavano i convogli diretti al fronte: ad esempio il 20 dicembre sulla Roma-Cassino fu fatto saltare il ponte delle Sette Luci, facendo precipitare una tradotta militare, con non meno di 400 morti tra i tedeschi, mentre in città non si arrestava l'offensiva gappista. Sui monti reatini era molto forte l'attività partigiana della brigata «Leonessa».
Questa lotta non fu fermata dalle stragi naziste come la truce rappresaglia delle Fosse Ardeatine. I 24 marzo 1944 le SS di Kappler - in seguito all'azione compiuta il giorno prima dai Gap in via Rasella - uccisero con un colpo alla nuca 335 uomini di tutte le età e condizioni sociali, in gran parte prelevati dal braccio del carcere di Regina Coeli gestito dai tedeschi, e da via Tasso.
Tra la fine di aprile e i primi di giugno del '44 le bande operanti nel Lazio facilitarono le operazioni degli alleati operando nelle retrovie di Cassino, di Anzio e Nettuno, attaccando reparti isolati e distruggendo depositi di armi e carburante, ponti e viadotti. Scontri particolarmente violenti si ebbero a Marino e a Monterotondo, dove un reparto motorizzato tedesco fu costretto ad arrendersi.