Capitolo 14

Via Tasso: 39 giorni di carcere...

Finalmente, il 3 giugno si avvertì un gran movimento, si intuì che ricevettero il secondo allarme. Cominciarono a selezionare tutti i detenuti. Tutti dovevano sloggiare, venimmo chiamati in ufficio dove ci comunicarono quale era la prossima destinazione. Venni chiamato a mia volta e sul tavolo vidi il bel foglio di carta ove era scritto in tedesco, servizio del lavoro, destinazione Berlino. Cominciai a dire che io ero tubercolotico, allora il medico tedesco, su ordine del comandante, prese lo stetoscopio e tenendolo lontano un bel palmo dalle mie spalle affermò che io stavo dicendo la verità mi cacciarono via in malo modo dall'ufficio. I primi a portare via dalla nostra stanza per essere condotti nel Nord furono l'avv. Lino Eramo e l'avv. Bonfiglio, dopo circa un'ora che erano stati condotti via, Bonfiglio fu riportato nella nostra stanza e ci disse che lo avevano rimandato indietro perchí sul mezzo non c'entravano piò. Tutti coloro che venivano fatti salire gli legavano le mani dietro la schiena. Quelli che partirono furono quelli che furono trucidati alla Storta. Il povero Lino Eramo si aspettava qualche cosa di grave, era il piò inquieto, poverino non riusciva per la sua preoccupazione neanche a mangiare quel pezzo di pane giornaliero e a me passava sempre la mollica del suo pane! L'avv. Bonfiglio socialista, che non partì perchí non c'era piò posto sul mezzo, ebbe la sua salvezza!
Verso la mezzanotte del 3 giugno, portarono tutti via dalla mia stanza. Riuscii, in mezzo a tutto questo movimento a raccogliere nel vestibolo, una decina di cicche abbastanza lunghe e della carta di giornali, me le sarei fumate nell'attesa. Mentre stavo per l'appunto fumando una cicca, ecco che si spalancò una porta e due figure di guastatori mi guardarono, mi dissi "Ecco, mi sparano"  invece mi misero in un'altra stanza insieme al conte Gallotti, colui che l'avv. Lino Eramo, indicò come l'uomo che l'aveva denunciato. Ascoltavamo i passi di decine e decine che scendevano le scale, erano i nostri compagni di sventura che portavano via! Non passò un'ora che li riportarono su e sentimmo aprire le stanze e rimetterli dentro e per la strada un via vai intenso per due buone ore. Poi silenzio. Non passò un'ora, già eravamo verso le 5.30-6.00. Sentii una voce femminile che diceva: "Uscite, i tedeschi se ne sono andati!".  Sentii ai piani superiori uno che sfondava la porta e svelto aprì agli altri e anche a noi e ci precipitammo tutti giò per le scale, una voce all'improvviso urlò: "I tedeschi!". Svelti, tutti pieni di paura cercammo di riguadagnare le nostre stanze. Ma era un falso allarme. I tedeschi, ormai se ne erano andati, era scattato il 3° allarme. Un gruppo di donne, vere sciacalle, avevano invaso il palazzo per fare man bassa di tutto quello che si poteva trovare e prima di tutto le nostre povere cose che ci avevano sequestrato, che i Tedeschi ci avevano tolto, ma che non avevano potuto portarsi via. Forse la stessa voce, che ci aveva gridato che ormai eravamo liberi, apparteneva ad una di quel gruppo di sciacalle.
C'è qualcuno che ha amato dire di essere fuggito dai tedeschi. Non voglio negare che ci possa essere stato qualcuno che sia fuggito da via Tasso, ma quella mattina del 4 giugno 1943, nessuno riuscì a  scappare perchè proprio quella mattina chi fuggiva, furono i tedeschi! Per Roma non si vedevano che poche persone e un gran polverone! Nella stessa serata del 4 giugno ci rivedemmo nei pressi della trattoria di Bernardini a Largo Brindisi con i compagni Alfredo Giorgi, Filippo Borelli, Angelo Monti, Anacleto Ronca, Zenone Giobbi, Armando Marescialli, Vittorio Donna, Domenico Catani. Rivedemmo Cesare Passa, IIdebrando Giannini, Guglielmo Linari, Vittorio e tanti altri. Nei giorni immediatamente successivi stabilimmo che tutti partissero per Albano e previo accordo con il Comitato di Liberazione prendere immediati contatti con gli alleati. Il sottoscritto con una parte di membri del Comitato di Liberazione Nazionale, andò a trovare Giurioli il ragioniere e il segretario comunale Gattamorta, per invitarli a mettersi a disposizione del Comitato di Liberazione, cosa che essi fecero.
Presi i contatti con gli alleati, fu nominato sindaco Anacleto Ronca, con cui collaborarono strettamente fino a settembre Spaccatrosi, Del Prete, Annibale, Liberati, Ridolfi e Marescialli. Poi nell'ottobre 1944 dai partiti fu ufficialmente delegata  la giunta che doveva coadiuvare Ronca sindaco, giunta: Dante Malintoppi, Alvaro Cosentino, Severino Spaccatrosi, Alvaro Salustri. Goffredo Pezzi, Federico Gasperini, che restò in carica dall'ottobre 1944 al marzo 1946.
I Partigiani combattenti di Albano avrebbero dovuto essere molto di più di quelli riconosciuti dalla relazione della Commissione Laziale per il riconoscimento, se ciò non è avvenuto è dipeso prima di tutto dalla nostra manchevolezza, anche se al momento del riconoscimento il sottoscritto era lontano e non potè interessarsi della cosa, secondo è dipeso da un criterio settario ristretto nel definire chi doveva essere considerato partigiano, che non è dipeso da noi. Sembra che per essere riconosciuto partigiano si doveva aver partecipato a tre scontri a fuoco. Ora, se questo criterio fosse veramente applicato pochi sarebbero stati veramente i partigiani riconosciuti, basta osservare l'elenco riportato in nota. Noi diciamo che i partigiani riconosciuti avrebbero dovuto essere di piò, ma colui che andava alla ricerca e procurava le armi, non rischiava tanto e quanto colui che andava a sparare? Coloro che andavano a prendere l'esplosivo e lo portavano ai posti di impiego, coloro che-ospitavano, alimentavano i partigiani, non erano da considerare anche essi partigiani? (44)

 

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Attestato di riconoscimento rilasciato ai Partigiani combattenti.

In foto il Partigiano Chiarini Gastone.