Capitolo 4

1934: ritorno a Milano, l'arresto

Dopo un paio di mesi di permanenza a Parigi, ove ero stato chiamato a far parte della segreteria della gioventù comunista formata allora dai compagni: Novella, Luna e Marcucci, fui inviato a lavorare presso alcune organizzazioni del Novarese, Vercellese, Varesotto. Lavorai in quella zona quattro mesi circa, allorchè il compagno Mario Fabiani, in un incontro a Stresa, mi portò istruzioni della segreteria riguardanti il mio lavoro futuro. Avrei dovuto trasferirmi a lavorare a Milano. Qui, il 1 settembre 1934, mi rincontrai con Ettore Borghi che mi diede la consegna di lavorare nei Quartieri Lambrate e Loreto di Milano. Mi presentò anche un giovane compagno milanese, Paolo Fattori, il quale mi sarebbe stato di grande ausilio nel futuro lavoro. La sera del cinque settembre Ettore Borghi nel tram ed io in Piazza del Tricolore insieme a Paolo Fattori, che mi avrebbe dovuto presentare un'altra persona su cui avrei dovuto lavorare, fummo arrestati. Ettore Borghi era stato gi· individuato dalla polizia ma non arrestato: furono seguite ed arrestate le persone che venivano a contatto con lui. Una volta lasciatomi col Borghi, mi sono incontrato con Albino Colletti, il quale avrebbe dovuto recarsi all'estero, anch'egli fu arrestato e gli trovarono una lettera nella quale dava consigli ai compagni che lasciava. Fu la causa, sia pure involontaria, dell'arresto di Natale Visconti, Natale Duca, Carlo Ghiringhelli, Ubaldo Papa, Cesare Castelli.

 
Non appena arrestato, come ho gi· detto verso le ore 21,30, il 5 settembre 1934 a Piazza del Tricolore, a Milano, mentre attendevo un giovane fascista del gruppo motociclisti "Giovanni Baldini", al quale dovevo essere presentato dal compagno Paolo Fattori, i cinque o sei poliziotti che operavano sotto la direzione dell'ispettore Francesco Nudi, mi condussero direttamente nel carcere di San Vittore.

San Vittore In tasca, non avevo nulla di compromettente, eccetto i miei documenti: una carta d'identità e un congedo militare che, naturalmente, erano falsi. Portavo in tasca lo spazzolino dei denti e il dentifricio che i poliziotti presero per una bomba, ma subito dovettero ricredersi. Mi trovarono nelle tasche anche 1.129 lire: si presero le mille e mi lasciarono le 129 per "umanità" poi l'ispettore Nudi fece una sparata: "Ecco, così vi mandano allo sbaraglio, mentre i vostri capi se ne stanno all'estero, voi andate in galera". Al che immediatamente ribattei: "I miei capi? Ma i miei capi sono Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro!".

Intanto, i poliziotti nella stanza aumentavano continuamente, essi riferivano all'orecchio dell'ispettore Nudi e si ponevano in disparte. In quella stanza hanno saputo dirmi per filo e per segno tutti i passi che io avevo fatto da quando mi ero incontrato a Milano, il primo settembre, con Ettore Borghi. Sapevano di quando Borghi mi aveva presentato Paolo Fattori e di quando questi mi presentò la portinaia che mi mise, poi in contatto con una sua inquilina che mi affittò una camera, la signora Federica Prima, e di quando mi incontrai con Albino Colletti. Insomma sapevano vita, morte e miracoli e anche se io negavo disperatamente, i fatti che essi dicevano erano realtà. Essi, però, non sapevano nulla di ciò che io avevo fatto prima del primo settembre, e su ciò soprattutto insistevano. Dove ero stato prima del primo settembre? Naturalmente rispondevo invariabilmente che erano cose che interessavano soltanto me e intanto mi ero accorto che essi - i poliziotti - si erano disposti tutti a semicerchio dietro di me, credevo che stesse per cominciare lo "spettacolo" e domandai loro se per caso non si fossero disposti in quel modo per "suonarmele", per farmi rispondere con la forza alle loro domande. Risposero con una risata in coro e io, proseguendo con una certa baldanza, dissi che se erano queste le loro intenzioni, sarebbe stata una fatica sprecata, comunque, una prova potevano sempre farla! "Ma no, noi non ti faremo proprio niente e tu, domani mattina, a mente fresca, parlerai" rispose l'ispettore Nudi "Intanto, va a riposare, ci vediamo domani mattina".

Atto di consegna del detenutoE' veramente strana l'idea che ci si fa della prigione! Verso le 23,30, i poliziotti mi consegnarono ad una guardia del carcere, la quale, dopo avermi fatto eseguire tutte le formalit·: ufficio matricola, inventano delle cose che possedevo e che non mi erano permesse tenere in cella, impronte digitali ecc.; mi condusse in una cella, che richiuse subito, dove c'era una panca. Credevo di dover passare la notte cosú e mi ero tolto la giacca e l'avevo piegata per benino, stando attento ripiegandola, che non si sciupasse troppo, adoperandola a guisa di cuscino sotto la testa stando disteso sulla panca. Non era passata una mezz'ora e stavo pensando a tutti quei poliziotti che mi stavano intorno un'ora prima e che, non solo mi sembrava di averli gi· visti in giro per Milano, ma ad ogni itinerario che ripercorrevo con la mente, subito ad esso si accoppiava una delle facce che avevo visto poco prima, allorchè sentii con un fracasso di inferno, infilare la chiave nella toppa della serratura della mia cella, schiavare, togliere con un rumore assordante il chiavistello, aprire la porta e ricomparire la guardia, la quale portava sulle spalle un gran fagotto e mi ordinò , in tono burbero di seguirlo. "Dove?" Replicai io in modo repulsivo e dubbioso "Ma a dormire, no!" Rispose lui "Che vuoi dormire in questa cella, senza letto?". "Un letto? E che c'è anche un letto in prigione?" chiesi piuttosto sorpreso "Ma si, questo che porto sulle spalle è il materasso, non lo vedi?" Intanto eravamo giunti davanti ad un'altra cella, l'aveva aperta e su di una branda che era infissa al muro vi aveva gettato sopra il "materasso", dicendomi: "Ora aspetta, che ti vado a prendere le lenzuola". "Le lenzuola?" feci ancora stupefatto io. "Perchè, non ti vanno?" ribatte con ironia. "Si, si ecco, solo io non pensavo che nel carcere ci fossero il materasso, le lenzuola, il letto, insomma...".
 Certo, non furono le lenzuola o il materasso a tenere desta la mia attenzione quella notte, nè la branda che infissa al muro non spianava, anzi sembrava che dovessi ruzzolare per terra da un momento all'altro tanto era inclinata, ma una folla di pensieri mi si addensavano nella testa e ai quali inutilmente cercavo di dare un certo ordine. Ormai mi dovevo convincere che si era venuto a verificare un fatto che avrebbe cambiato radicalmente e totalmente la mia vita al confronto della precedente, per un bel pò di tempo. Vennero a prelevarmi dopo tre o quattro giorni. Al compagno Albino Colletti, con il quale, non ricordo più , mi incontrai il due o tre settembre a Milano, avrei dovuto consegnare il passaporto e le istruzioni per recarsi all'estero. Purtroppo, il passaporto che mi inviarono per lui, non era idoneo in quanto l'altezza dichiarata sul passaporto era circa sette centimetri maggiore di quella reale, non mi azzardai di farlo partire con un passaporto simile.
Lo comunicai immediatamente e la risposta fu che me ne avrebbero mandato un altro al piò presto e intanto utilizzassi il Colletti in altro modo fino a che non l'avessi ricevuto. Appena vidi il Colletti gli dissi come stavano le cose, gli diedi un pò di denaro: si cercasse, quindi, una camera per una settimana o quindici giorni, ci saremmo rivisti il sei settembre. Ma io, purtroppo, ero già seguito dalla polizia, la quale arrestò immediatamente il Colletti appena questi mi lasciò . In tasca a Colletti trovarono lo scontrino di una valigia che aveva lasciata in deposito alla stazione: in questa valigia c'era una lettera che il Colletti indirizzava ai compagni dirigenti l'organizzazione di cui egli, fino a quel momento, era stato il segretario. In quella lettera, il Colletti non citava nessun nome specificamente ma un nominativo, o meglio, un soprannome che i membri del comitato direttivo si erano dati. La polizia ebbe subito la certezza che il Colletti non avrebbe parlato ed operò in modo che a Sesto Calende e a Castelletto Sopraticino, celerissima, arrestò tutti i giovani sospettabili di appartenere al Partito Comunista e cominciò a tartassarli uno ad uno: "Tu sei Tapinello! Tu sei Caio! Tu sei Sempronio!", fino a che non riuscirono a far cadere nella trappola Natale Visconti e a far ammettere che proprio lui era il famoso Tapinello. Da questo compagno riuscirono ad individuare Ubaldo Papa, Carlo Ghiringhelli, Natale Duca, Cesare Castelli. Gli arresti si fermarono lì. I compagni, di fronte alla polizia si comportarono bene, in generale, così anche i compagni che erano a contatto col Borghi.

Quando mi vennero a prendere dopo tre o quattro giorni per condurmi all'interrogatorio, gli arresti erano gi· conclusi, ma io non ne sapevo nulla, potevo solo sospettare che qualcun altro fosse caduto nella rete, la certezza l'avevo solo per Paolo Fattori che fu arrestato insieme a me. Ma nessuno dei due ammise di conoscere l'altro, ognuno di noi stava sulla panchina per proprio conto. Dunque, una volta al cospetto dell'ispettore Nudi, ricominciò la storia di dove ero stato prima di quel famoso primo settembre e io risposi come la prima volta, era tutto inutile: non avrei parlato. Fu a quel momento che l'ispettore cominciò a dire che noi comunisti facevamo una sconcia campagna alla stampa sui modi brutali della polizia all'estero, e ciò non rispondeva affatto a verità. "Davvero?" replicai "E con Gastone Sozzi, come la mettiamo?". Il  "commendatore" giurava e spergiurava che Gastone Sozzi si era impiccato da sè "E perchè allora, non avete concesso alla famiglia di poter fare l'autopsia?" Ma perchè l'ispettore Nudi ci teneva tanto a far sapere che egli e la sua squadra, che l'O.V.R.A. non era una polizia brutale come la si dipingeva? Un compagno del gruppo Borghi, il compagno Villa, arrestato e portato a San Vittore si era gettato dal quarto piano del carcere uccidendosi; io non ne sapevo nulla, ma quando ebbe luogo il processo, Borghi mi disse che egli aveva accusato l'ispettore Nudi di essere il responsabile diretto della morte del Villa, quindi, ecco come si spiega perchè il Nudi ci teneva tanto a dire che non maltrattava i compagni che arrestava: perchè ne aveva uno sulla coscienza proprio in quei giorni.
"Allora tu non ci vuoi dire dove sei stato?" proseguì Nudi "Ce l'ha detto Albino Colletti! Lo conosci Albino Colletti?" "Mai sentito nominare". Lo stesso si doveva comportare il Colletti nei miei confronti, ma mentre l'ispettore mi poneva delle domande, qualche poliziotto mi spingeva, ogni tanto, da una parte all'altra della stanza e io non sapevo spiegarmene la ragione. Soltanto dopo ho compreso; essi mi spingevano in direzione di un buco nella parete che aveva la forma di una vecchia macchina fotografica. "Non vorrete farmi mica delle fotografie?" Chiesi ingenuamente. Invece mi facevano osservare da altre persone, compagni che erano nell'altra stanza, anche loro arrestati e me ne portarono di fronte solo uno che ammise di avermi visto in una riunione di notte a Sesto Calende come un funzionario di partito. Tutto qui. La paura mia, era che venissero a conoscenza della famiglia che mi aveva ospitato per oltre un mese, un compagno che lavorava alla S.I.A.I. di Sesto Calende dove facevano gli idrovolanti Savoia-Marchetti.

Savioia Marchetti

Avevano trovato nella mia valigia, che tenevo in un alberghetto a Golasecca, dove alloggiavo, lungi da ogni organizzazione, una vecchia copia di una mia lettera spedita all'estero, che non avevo fatto in tempo a distruggere, ma era una lettera cifrata, le uniche parole scritte erano "medesimo procedimento precedente" e tutte e quattro le pagine erano piene di numeri. Volevano che gliela decifrassi, che gli dicessi almeno una parolina, roba da matti. Mi rimandarono in cella e mi lasciarono in pace fino al 23 dicembre 1934.

Mi avevano lasciato 129 lire, ma ero molto avaro con me stesso, non fumai più , non spendevo piò di 50 centesimi al giorno. Sapevo quali erano le condizioni di casa e non mi sarei mai azzardato a chiedere un soldo, quantunque i danari (grazie all'aiuto dei compagni non mi sono mai mancate le cinquanta lire al mese e qualche volta anche più ) mi giungevano regolarmente tutti i mesi. Sin dal primo giorno mi ero detto che dovevo mangiare tutto ciò che passava il carcere, se volevo uscire vivo, ma la minestra di fagioli con il tarlo passata dal carcere di San Vittore, fu un collaudo iniziale molto duro. Quando con la prima cucchiaiata che mi stavo portando alla bocca, mi accorsi che i fagioli erano tutti tarlati, dovetti immediatamente posare la zuppiera che tenevo sulle ginocchia, dovevo cimentarmi con lo stomaco che dava segni di insubordinazione, una volta regolati i conti con lui, mi misi con santa pazienza a prendere i fagioli ad uno ad uno, togliere il tarlo ed ingoiare ciò che era rimasto del fagiolo. Alla fin restava del brodo, nel quale inzuppavo molto pane. E tutte le volte che ci davano la minestra di fagioli, il che avveniva spesso nella settimana, mi toccava svolgere la stessa funzione. Però, il 28 ottobre ci portarono un pasto speciale: una pasta asciutta che ricorderò finchè vivrò. Essa rimarrà la migliore pasta asciutta con l'involtino che abbia mai mangiato in vita mia. I 119 giorni che passai a San Vittore, furono in genere molto calmi, eccetto i cinque giorni "a pane ed acqua" che mi beccai per aver cercato di comunicare con il vicino. Acquistai e studiai la grammatica italiana, studiai in modo sommario le regioni e le province d'Italia. Poi l'antivigilia di Natale mi vennero a prendere per tempo e mi condussero alla stazione centrale ove mi fecero salire su uno scompartimento e condotto a Roma a disposizione del Tribunale Speciale. Già avevo scritto ai miei genitori che non dovessero pensare a me e soprattutto, non si facessero abbindolare da qualche Azzeccacarburgli che forse gli avrebbe promesso di difendermi di fronte al Tribunale Speciale: lo stesso avvocato designato difensore d'ufficio, per carpire soldi, avrebbe potuto presentarsi loro e balenare la possibilità di far irrogare una pena piò mite grazie alla sua difesa. Avere o non avere avvocato, nel mio caso, non avrebbe significato assolutamente nulla.

Il Tribunale Speciale, al quale ero deferito, mi avrebbe indubbiamente condannato a molti anni di carcere "ma sarebbe stato da pazzi pensare che avrei scontato tutti gli anni che mi avrebbero inflitto, certo una parte l'avrei scontata, il rimanente l'avrebbero scontato loro". Questa lettera mi verrà sequestrata e rinfacciata il giorno del processo dal procuratore generale.