PREFAZIONE
SEVERINO SPACCATROSI
Antifascista nei Castelli Romani
di
MAURIZIO FERRARA
La prima volta che ho visto dei comunisti fu nel 1940 in un aula del Tribunale Speciale.
Studente del primo anno di legge, portavo la borsa d'avvocato
liberale di mio padre, difensore di uno dei fratelli Amendola, Pietro. Nel gruppo
dei comunisti imputati c'erano compagni che, poi, divennero per me familiari
e importanti come fratelli maggiori: Lucio Lombardo Radice, Aldo Natoli, Giulio
Spallone, Bruno Corbi, Amiconi, Vidimari.
La seconda volta che incontrai i comunisti "veri"
fu nei Castelli Romani, dopo l'8 settembre 1943.
Questi comunisti veri - Spaccatrosi, Capogrossi, De Santis, e
tanti altri - erano assai diversi dai miei amici di Roma, tutti studenti antifascisti
e borghesissimi di gusti e di famiglia, oscillanti fra Croce e Marx, fra professione
libera e "milizia rivoluzionaria", come la si chiamava allora.
I comunisti dei Castelli del 1943 erano, innanzitutto, tutti proletari autentici:
contadini poveri, braccianti, fabbri, muratori, lavoratori artigiani. In secondo
luogo erano proletari "organizzati", secondo regole, discipline, gerarchie
e moralità di ferro. E in quanto alle idee, erano molto nette e giacobine,
senza troppe sfumature; e tutte dentro un istintiva ottica di classe, sorretta
dalla cultura politica del mondo comunista del tempo, maturata nelle "università"
delle carceri (frequentate da molti comunisti "castellani") e nei
dibattiti - finché vi furono - della III Internazionale e della emigrazione
politica antifascista.
C'era spazio, dentro quell'ottica rigida, puramente classista,
per la manovra politica oltreché per la proclamazione ideologica? Severino
Spaccatrosi ci testimonia di si. E' lui - uomo di classe, quant'altri mai -
a raccontarci che quando il 26 luglio 1943 il direttore del carcere di Pianosa
comunicò ai comunisti l'arresto di Mussolini, dopo che uno dei reclusi
si fu sfogato scrivendo su una parete, davanti al direttore allibito, la scritta
"Viva il comunismo", ce ne fu un altro "Minio Enrico, molto piò
intelligente e abile", che sulla medesima parete scrisse col carbone la
scritta "Viva l'Italia libera", che da quel momento rappresenterà
per noi la direzione strategica.
Severino Spaccatrosi e questi che leggerete sono i suoi ricordi
fu uno di quei proletari italiani che negli anni 20 si schierarono con
il partito comunista sconfitto contro il fascismo vincitore. Basterebbe questo
per trovare elementi di verità, nelluso del termine eroico
a proposito di militanti comunisti della generazione di Spaccatrosi.
Una generazione troppo giovane per partecipare alla fondazione
nel 1921 ma che volle vivere il suo impegno comunista e antifascista a qualsiasi
costo, scegliendo di restare dalla parte del comunismo comunque e dovunque,
nellesilio piò duro e ingrato o in patria dentro una cella. Spaccatrosi
conobbe luna e laltra esperienza. Nel 1931, a 22 anni, quando già
alternava da 3-4 anni il lavoro di lavorante sarto, alla cospirazione venne
reclutato e catapultato da Albano a Parigi come funzionarioa
tempo pieno, da Giancarlo Pajetta,
non ancora ventenne. Nel settembre 1934, dopo 3 anni di va e vieni in missione
in tutta Italia, fu arrestato a Milano, condannato a 20 anni di reclusione.
« State tranquilli scrisse ai genitori di questi 20 anni
una parte me la farò io, un'altra parte loro ».
Sarà utile a tutti, accanto a ricordi di altri militanti di quella generazione
e di quella tempra, aggiungere nella propria biblioteca personale o in
quella della propria sezione questo volume, curato e presentato da un
giovane dirigente della Federazione dei Castelli, il compagno Magni. Sarà
utile per sapere (se non si sa), o per ricordare (se si dimentica). Ma credo
che la utilità sarà certa anche per chi ama fare opera di storico.
Leggere questi ricordi, che abbracciano un arco di anni che va dal 1924 al 1944,
è come ascoltare la registrazione di una lunga relazione da parte di
un protagonista senza molta istruzione e molti galloni, è vero, ma con
molte cose da dire su tanti temi. Innanzitutto sul o mondo castellano",
tra Albano, Genzano, Ariccia e la piana Pontina fino al mare, negli anni del
fascismo vincente. Poi sul mondo di chi tenne duro, di chi si appartò,
di chi tradì. Cè poi, la fredda determinazione di stare
in carcere dominandolo e usandolo come occasione per crescere, studiare e capire
sempre meglio come stanno le cose e che fare per cambiarle. Infine cè
in questi ricordi il ritorno a casa, dopo quasi dieci anni di galera e la ripresa
immediata della lotta cospirativa, questa volta armata, contro i tedeschi, sulle
strade maestre, i vicoli, le vigne di Albano, Genzano, Ariccia.
E una relazione affascinante, per chi ha vissuto in quegli anni, da ragazzo
o da adulto. Nel leggerla ho rivissuto momenti della mia stessa vita, visti
con gli occhi di chi quei momenti aveva vissuto come me, e anche insieme a me,
ma con tanto piò impegno, con tanto più sacrificio.
E stato per me, come rivivere giorni di quasi mezzo secolo fa, irti di
speranze, incertezze, scelte, riascoltando la voce di un fratello maggiore che
nellindicare la strada da prendere può avere sbagliato qualche
indicazione di marcia, non certo la direzione da seguire.
Maurizio Ferrara