RIFLESSIONI SU UN USO IN CHIAVE STRATEGICA DELL'ASTENSIONISMO

A) introducendo:

le timidezze che hanno contraddistinto il dibattito sull'astensionismo svoltosi nelle ultime settimane. in alcuni settori dell'antagonismo (quelli per intenderci - che si pongono ancora in termini di incompatibilità verso l'esistente), ci inducono ad alcune riflessioni.

Se anche laddove si dava per scontata una presa di posizione netta si registrano atteggiamenti tiepidi, risulta evidente che occorre inquadrare 'di nuovo il problema, rendere conto di tutte le' sue implicazioni storiche e teoriche. Un contributo in tal senso ci viene dal documento della redazione di "Deragliamenti" in cui si distingue la posizione maggioritaria nel movimento comunista rivoluzionario da quelle espresse rispettivamente dal grande teorico marxista Bordiga e dalla tradizione anarchica. Ciò che si vuole evidenziare è che i comunisti non debbono porsi nell'ottica di un astensionismo di principio; al contrario di chi, come Bordiga, ha teorizzato un marxismo viziato dal "meccanicismo positivista" o di chi, come gli anarchici, tende alla distruzione dello Stato borghese come obbiettivo immediato1 Per meglio specificare la differenze don gli anarchici, esse si ricollegano al fatto che i comunisti prevedono una fase di transizione prima di arrivare all'obbiettivo ultimo, mentre gli eredi di Bàkunin negano recisamente questa possibilità.

Ora, se l'assunto da cui muove il documento di "Deragliamenti" lo condividiamo in pieno, nei senso che non crediamo in un astensionismo di principio e, come vedremo tra poco, colleghiamo la nostra battaglia astensionista ad una particolare lettura della fase, riteniamo opportuno integrate le riflessioni in esso contenute con altri elementi.

Come si sa, Lenin è stato protagonista di un'aspra polemica verso i comunisti antensionisti di principio di vari paesi europei la sua battaglia era rivolta principalmente verso i comunisti tedeschi ed olandesi, cui ha dedicato L'estremismo malattia infantile del comunismo. Perché? Forse a causa del fatto che l'estremismo di Gorter e Pannekoek si traduceva in una pratica astensionista strettamente collegata alla tematica consiliare, alla messa in discussione della centralità del partito (riconosciuta invece da Bordiga). Il che ci fa capire quanto il dibattito sull'astensionismo sia stato rilevante e denso di implicazioni nella storia di quell'altro movimento operaio cui idealmente ci rifacciamo, quanto alle diverse posizioni sul tema abbiano corrisposto visioni dell'organizzazione della classe diverse. In questo senso, avvertiamo la necessità di sviluppare momenti di dibattito che restituiscano l'autentica portata di una discussione come quella che, con fatica, stiamo riprendendo.

Ritornando alla nostra posizione, condividiamo anche un altro aspetto centrale del documento di "deragliamenti":

l'individuazione del carattere strategico dell'astensionismo e l'impossibilità di un uso, anche in chiave tattica, delle istituzioni rappresentative. Tale discorso rimanda ad

B) alcune riflessioni sullo Stato nell'era della globalizzazione;

rispetto alle quali va fatta una considerazione preliminare: la mondializzazione del capitale non è cosa dei nostri giorni. Di una espansione del capitalismo oltre i suoi confini tradizionali, alla ricerca di nuovi mercati e in un processo continuo di sussunzione di modi di produzione precedenti, già' si parla,. nella diversità di impostazioni, in opere come L'accumulazione del capitale di Rosa Luxemburg e ne L'imperialismo fase suprema del capitalismo di Lenin; L'attuale fase di quel processo di mondializzazione che è coessenziale al capitalismo stesso, là globalizzazione, si distingue per due caratteristiche essenziali: il carattere transnazionale dei processi produttivi e il processo di finanziarizzazione del capitale che si sta producendo particolarmente nella "Metropoli imperialista". Cosa ne consegue per lo Stato? Se prima, in virtù del fatto che si esportavano capitali che mantenevano una base nazionale, lo spazio economico coincideva con l'ambito statuale, ora non è più così, Gli elementi fondanti la sovranità (cioè la pienezza del potere, statuale) nello Stato contemporaneo, sono due: il monopolio della decisione cui fa riferimento Carl Schmitt e il monopolio della forza su cui si veda l'elaborazione di Max Weber. Va da sè che, dal movimento in cui un processo produttivo è dislocato territorialmente in modo da risolversi in diversi Stati, il monopolio della decisione viene meno, perché la sfera economica è sottratta al controllo statuale. Di più, le conseguenze di queste trasformazioni incidono a tal punto che occorre riformulare integralmente il discorso sullo Stato nel modo di produzione capitalistico! In un documento presentato alla 2° Assemblea nazionale per l'Autonomia di classe, a firma della Commissione universitaria Critica al diritto, ci si rifaceva alla nota formulazione engelsiana sullo Stato in quanto "Capitalista ideale collettivo". Lo Stato veniva inteso quindi, sia come luogo della mediazione e della sintesi tra le singole volontà capitalistiche o, tra le singole frazioni del capitale, sia come Ente capace di agire contro la volontà di esse (o di alcune di esse) nel nome dell'equilibrio del sistema capitalistico nel suo complesso. Su come ciò si sia tradotto nel caso italiano torneremo a breve, ciò che vogliamo sottolineare ora è che già in quel momento veniva posta una questione: qual'é oggi il luogo di mediazione tra le singole frazioni del capitale, dal momento che lo Stato dell'era della globalizzazione vede limitare le proprie funzioni? Una risposta chiara non veniva formulata (forse non è possibile farlo, allo stato attuale dell'analisi), ma si rilevava come direttive e compatibilità in tema di economia fossero "suggerite" ai governi da quegli organi sovranazionali in cui si esprime il potere del capitale finanziario a livello mondiale.

Ora uno Stato sovradeterminato per quello che attiene alla politica economica interna, non è necessariamente uno Stato "leggero" e se vengono meno alcune sue funzioni, se ne rafforzano altre. Il monopolio dell'uso legittimo della forza (che noi intendiamo anche come monopolio della violenza sui corpi) si mantiene saldo nelle mani dello Stato, il quale vede ampliarsi le sue mansioni repressive, volte ormai alla prevenzione del conflitto; le politiche del pugno di ferro, adottate dai governi di tutti i "colori", corrispondono alla necessità di una rapida esecuzione di diktat imposti dall’esterno.

Se cerchiamo di riferire al caso italiano le schematiche riflessioni sin qui svolte, non possiamo che scontrarci con:

C) il mito della Costituzione del '48, vista addirittura come anticamera del socialismo. Su quale equivoco si è fondata per anni questa illusione? Perché per anni si è favoleggiato su una Costituzione non attuata, le cui possibilità sono state - a dir poco - magnificate?

Tutto parte dai modello di economia mista previsto dal testo, dal fatto che in esso si parli allo stesso tempo di. proprietà privata e di proprietà pubblica. Insomma, la traduzione sulla carta costituzionale della funzione di "capitalista ideale collettivo" dello Stato, cui è riconosciuta la possibilità di intervenire nella sfera economica, nonché il controllo su alcuni settori chiave della produzione, ha determinato una serie infinita di abbagli rispetto ai quali si deve fare giustizia. Sottolineando, prima di tutto, una cosa:

la sinistra istituzionale, che ha sempre identificato il socialismo con le nazionalizzazioni, non poteva non incappare in questo tragico errore, non poteva vedere nell'interesse collettivo difeso dalla Costituzione quel mantenimento dell'assetto capitalistico che solo lo Stato poteva garantire contro la lotta di classe proletaria e l’"egoismo" dei singoli capitalisti.

Continuando in quest'opera di demistificazione del "senso comune" sinistrese, si deve ricordare come la Costituzione del '48, nonostante l'opposizione di settori retrivi della borghesia, sia stata attuata nelle sue linee di fondo. Ciò è avvenuto in due riprese: con i primi governi di. centro-sinistra e la loro politica di interventismo statale (nonché con la promozione dell'università di massa ecc.) in primo luogo, e negli anni settanta (decentramento amministrativo, riconoscimento di importanti diritti civili e sociali) in seconda battuta. Più di quanto è stato tirato fuori, in quegli anni, da questa Costituzione, non era possibile cavare.

Ma, si dirà, siamo in una fase in cui le minime garanzie sono soggette a minaccia, non è possibile, di conseguenza, agitare la difesa della Costituzione in chiave strumentale? Bene, se di principio non si esclude niente, occorre capire quali sono le controindicazioni rispetto ad un discorso come questo.

Facendo riferimento alle elaborazioni più avanzate in materia, portate avanti dall'ultrareazionario Carl Schmitt e da Costantino Mortati, riteniamo che una Costituzione scritta non sia che la cristallizzazione dei rapporti di forza vigenti nella società. In una fase in cui si afferma una nuova "Costituzione materiale", caratterizzata da un nuovo sistema produttivo e dal riconoscimento pieno della centralità dell’impresa, la "Costituzione formale" ancora vigente è praticamente carta straccia e una sua difesa ci collocherebbe nell'ambito della testimonianza o dell'atto di fede. Il modello dell’impresa, con le sue esigenze di rapida ed efficiente decisionalità, diviene riferimento per uno Stato che sarà contraddistinto dall’accentramento del potere nelle mani dell’esecutivo (in questo senso se arriveremo al presidenzialismo all’americana o a quello alla francese, poco cambia, il principio è il medesimo). Le forme tradizionali della rappresentanza sono già in gran parte superate con l’introduzione di un sistema elettorale che, di fatto, taglia fuori, dalla canalizzazione e mediazione delle proprie istanze in sede parlamentare, i settori popolari.

Di fronte al compimento totale dell’autonomia del politico

NON SI DÀ NESSUN USO TATTICO DELLE ELEZIONI

Queste istituzioni, rese totalmente impermeabili rispetto ai nostri bisogni, non possono essere usate come "cassa di risonanza" di alcuna rivendicazione. Ciò vale tanto a livello nazionale che a livello locale. A tal proposito va evidenziato il carattere "prefigurante" delle elezioni per il nuovo sindaco, le quali anticipano direttamente gli scenari che si andranno a configurare quando saremo chiamati a scegliere l’uomo forte che sarà chiamati a scego a reggere le sorti del paese;

DIRE "BORGHINI RUTELLI, NOI NON CI SAREMO", SIGNIFICA RICOLLEGARE IL LANCIO DI BATTAGLIE TERRITORIALI SUI BOSOGNI INCOMPATIBILI CON L’ORDINE STABILITO ALLA CONTESTAZIONE DEI PROCESSI DI VERTICALIZZAZIONE DELLA FASE DECISIONALE IN ATTO;

in questo senso, si può parlare di un uso in chiave strategica di una campagna astensionistica che si ricolleghi al rilancio di un’idea di democrazia "altra", al di fuori della delega, da far vivere nella sperimentazione quotidiana.

 

 

COMPAGNI/E DEL COLLETTIVO POLITICO ANTAGONISTA UNIVERSITARIO