Adesione della rivista
« Cerchio di Gesso »

Sono questi, a Bologna settimane e giorni in cui si sta preparando, costruendo « inventando, tra difficóltà e contraddizioni (la criminalizzazione « preventiva ; della stamPa borghese, le preoccupazioni " repressive dei partiti, la falsa coscienza « reale » della piccola e media borghesia qui e ora...), il convegno del 23 25 settembre. Il Cerchio di gesso parteciperà al convegno con i suoi mezzi di riflessione, e di critica e di intervento (Brecht, ricordiamo, parlava a proposito di un pensiero « politico », di « pensiero che interviene ») pubblichiamo un supplemento del suo primo numero, dal titolo « Agenda n. 1;>, in cui sono discussi alcuni problemi che ritiene fondamentali (dal dissenso alla repressione, dalla democrazia autoritaria all'ecologia, dal problema dei bisogni a quelli della scrittura d'avanguardia al dibattito coi nouveaux philosophes); e presentandolo quale « materiale di lavoro », nel suo ambito determinato, per le giornate del convegno stesso. L'adesione del « Cerchio di gesso » non è da noi, considerata come l'adesione di « intellettuali » dall'esterno, nelle forme tradizionali della solidarietà, della « partecipazione » provvisoria della collaborazione, più o meno « interlocutrice »: a vario titolo, tutte, crediamo, « strumentali ». E non lo è, neppure e peggio, nei modi del « dibattito » del « confronto », del « fare opinione », ecc., secondo il gergo e il cerimoniale della cosiddetta « cultura » impegnata o « militante »... in nessuna forma « rappresentativa » l'adesione del « Cerchio » è, lo ripetiamo, la presentazione e la discussione di materiale di lavoro di analisi e di ricerca, di un « dissenso » teorico e politico « nella » organizzazione del dissenso « di massa » del movimento. Siamo convinti che, ormai si è rotta l'alleanza tra intellettuali e potere; che non ha più senso né l'intellettuale « impegnato », né l'intellettuale « organico »; che in questo momento l'intellettuale non può né deve avere alcuna funzione di mediazione tra potere e produzione di conoscenza e di critica.
Il dissenso intellettuale (e dell'intellettuale); secondo noi, non può praticarsi se non come « rivelazione » di questa crisi e rottura; come trasformazione dell'intellettuale da funzionario del potere (intellettuale di stato, o di regime), di « consigliere del principe » e di « servitore del popolo » in « critica » del potere, non nel senso di essere « organico » a un nuovo potere, ma nel senso di pratica, nelle forme possibili, del dissenso, individuale e collettivo, che è il modo di pensare e praticare politica in « altro modo » (né istituzionale, né « rappresentativo », né « professionistico disciplinare » ecc.). Siamo convinti oltre che della crisi di « alleanza » tra intellettuali e potere, della necessità di una nuova « critica » della società del capitale, di nuove forme di espressione diretta dei « bisogni » di trasformazione della qualità della vita e del lavoro, della crisi del rapporto tra classe e partito, e tra classe e critica rivoluzionaria; di nuove forme, infine, di lotta di classe « generale », nelle nuove contraddizioni « interne » di classe di proletariato « non specifico », ecc., il problema fondamentale, teorico e politico, è il problema del potere nei termini di « critica del potere » e di « produzione di libertà ». La « critica », come diceva Marx, è, per definizione « scandalo e orrore » è senza vergogna e senza timore; include simultaneamente la comprensione positiva dello stato di cose esistenti e la comprensione della negazione di esso. Dissente e, anche, « si ribella ».
Il « dissenso come critica » impone una elaborazione teorica e una analisi una serie di domande finali, una costruzione di ipotesi strategiche che vorremmo definire « post marxista », a significare il profondo e irreversibile « occultamento » che il marxismo storico, istituzionale organico e « organizzato », e il socialismo « reale », hanno compiuto della critica marxiana; per cui crediamo che la parola all'ordine del giorno (nel senso di Benjamin, di « giorno di giudizio ») possa e debba essere quella pronunciata da Marx, verso la fine della sua vita: « tutto quello che so è che io, non sono "marxista" ».
E' assolutamente necessario per noi, porre contro ogni « realismo » politico, scientifico ideologico, istituzionale e di potere, i problemi che il « marxismo » (diventato, da scienza degli oppressi, filosofia e amministrazione del potere, volontà di governo e di stato...) ha abbandonato al « nemico amico »: la critica radicale del capitalismo industriale nelle sue forme ormai « totalitarie » dell'estensione della pratica sociale dello « scambio » e dell' « equivalenza » all'insieme delle attività e degli istituti della società; la critica radicale del « produttivismo » e della ideologia del « progresso » come « razionalità » della vita e della storia: per cui lo sviluppo delle forze di produzione è, insieme, aumento delle forze di distruzione della natura e dell'uomo quale essere sociale e naturale (ente di « bisogni »), e lo sviluppo della « democrazia » sociale è « socializzazione » capitalistica; la critica radicale della « rappresentatività » democratico capitalistica come progressivo assorbimento della società da parte dello stato (e, più profondamente, del potere) nella « generalizzazione » del rapporto sociale produttivo dl classe, Occorre, e radicalmente, appunto, « ricominciare la critica », pensare « diversamente », cioé « liberamente ». Soprattutto nella situazione, come dicevamo, di occultamento dell'analisi marxiana nelle forme storiche e presenti, apparentemente antitetiche ma complementari, dello stalinismo (e della social democrazia) e dell' « eurocomunismo »; e nella tendenziale conversione della democrazia borghese capitalistica in democrazia autoritaria e « sociale » con il consenso di massa e di classe.
Occorre, insomma, porre a oggetto dell'analisi e dell'azione la forma « totalitaria » (o totalitario corporativa) che assume il capitalismo nella sua logica globale di « dominio », per cui tutti i rapporti sociali tra cui gli uomini diventino rapporti sociali tra cose. Nel lavoro, nel corpo, nel linguaggio, nella « vita quotidiana ». Le libertà « formali » sono illiberali nella sostanza; la libertà « limite » e la libertà« partecipazione », nell'u,niverso totalitario dell'essere merce, del lavoro e della natura come merce, dei rapporti sociali come merci non possono più servire a spiegare e a praticare la « libertà contro il potere », nella sua macro e microfisica nella « rete » dei poteri; e a cui le « forze politiche e sociali organizzate » pretendono di collaborare.
Ecco la « radice » della repressione in atto, e della sua durata. Sappiamo che le difficoltà sono di una complessità e gravità estreme; e che il dissenso e la critica sono difficili, dolorosi, crudeli. Scriveva un poeta, che amiamo: « Non c'è crudeltà, senza coscienza applicata ».
La crudeltà del mondo in cui abitiamo e a cui siamo « abituati », e la crudeltà, che ci deriva, dal « diritto di sognare », sono certe: è necessario aggiungere sempre la coscienza. Tutto non è perduto; come tutto non può essere giustificato.
Per noi, intellettuali dissenzienti, e intellettuali « perché » dissenzienti e non viceversa, è vero quello che diceva Benjamin: « essere uomini abbastanza per far saltare il « continuum della storia ». Di « questa ~ storia « preistorica ».

Per « cerchio di gesso »
Roberto Bergamini,
Giulio Forconi,
Maurizio Maldini,
Paolo Pullega,
Gianni Scalia.

Il Convegno di Bologna


......1977.....IL MOVIMENTO


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