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Il compagno Evaristo e gli altri

il manifesto 24-Aprile-1997


Il compagno Evaristo e gli altri

Erano le 15,30 del 22 aprile. Ha squillato il mio cellulare, era il comandante Cerpa Cartolini: "L'assalto all'ambasciata è cominciato. Ci uccideranno tutti, fratello. Moriamo per il Perù e per l'America latina"

LUIS SEPU'LVEDA -

Q UANDO A LIMA erano le 15,30 del 22 aprile, meno di un giorno fa, ero all'aeroporto di Monaco di Baviera e ha suonato il mio cellulare. Era Nestor Cerpa Cartolini, ovvero il comandante Evaristo, che mi chiamava. Qualcuno, un giornalista tedesco forse, gli aveva dato il mio numero e gli aveva fatto sapere che ero disponibile a fare parte di uno scudo umano per interporsi fra i sequestratori dell'Mrta, che da 126 giorni occupavano la residenza dell'ambasciatore giapponese a Lima, e la follia di Fujimori, un discendente di giapponesi che, per quanto ci costi riconoscerlo, rappresenta la peggior spazzatura giunta su un continente che ha sempre accolto bene gli emigranti.

I guerriglieri dell'Mrta, Movimiento revolucionario Tupac Amaru - i Tupamaros nel gergo militante - si sono lanciati all'occupazione della residenza diplomatica giapponese per ottenere la liberazione di quattrocento uomini e donne che morivano e muoiono lentamente nelle peggiori galere del continente.

E' poco quello che la cosiddetta opinione pubblica internazionale sa del Perù. Sa, per esempio, che quel paese andino fu sconvolto da un'ondata irrazionale di violenza pseudo-izquierdista guidata da Sendero luminoso, un gruppo politico che ha saputo manipolare con abilità il sentimento di frustrazione degli indios peruviani e li ha spinti a una pratica di eliminazione dei loro oppositori da far invidia ai Khmer rossi di Pol Pot in Cambogia. E molto meno si sa dell'esistenza dell'Mrta che, erede dell'antica tradizione di lotta dei comuneros indigeni, ha tentato di umanizzare la guerra contro lo sfruttamento secolare dei popoli andini. L'Mrta è un movimento politico tipicamente latino-americano che, a torto o a ragione, ha continuato il cammino cominciato da Guillermo Lobatòn, Héctor Bejar o dal mio fratello, il giovane poeta Javier Heraud, tutti caduti nella lotta guerrigliera degli anni settanta.

Fin dalle sue prime azioni l'Mrta ha cercato di agire per poter negoziare con l'unico linguaggio che l'oligarchia peruviana rispetta, ossia da una posizione di forza.

Un indio peruviano non esiste come persona, è appena un numero, un elemento per le statistiche, ed è proprio in paesi come il Perù dove la borghesia crea le condizioni violente per rispondere con violenza alla violenza dello stato al servizio di pochi, molto pochi.

Durante i 126 giorni di occupazione della residenza dell'ambasciatore giapponese a Lima non è stata commessa alcun tipo di violenza contro gli ostaggi. E' legittimo pensare che la privazione della libertà sia già una sufficiente violenza, però, attenzione, stiamo parlando del Perù, di un paese governato da un megalomane che ha cercato di auto-legittimarsi con un abile colpo di stato e la benedizione del Fondo monetario internazionale. Gli ostaggi sono stati trattati con la cortesia stipulata nei trattati internazionali sui prigionieri di guerra. Qualcosa di molto diverso occorreva, occorre e occorrerà nelle carceri di Fujimori.

Mesi di isolamento

I militari peruviani, responsabili delle peggiori violazioni dei diritti umani, formati nella Escuela de las Américas dell'esercito degli Stati uniti, non hanno vacillato nel torturare e assassinare i militanti di sinistra, e nel cercare di uccidere in vita, attraverso l'impazzimento, i sopravissuti. Mesi, anni di isolamento assoluto, nell'oscurità, senza alcuna assistenza medica, e senza processo, è stata la formula usata da Fujimori per farla finita con qualsiasi tipo di dissidenza politica, armata o pacifica.

Il trionfo militare contro Sendero luminoso ha fatto di Fujimori un paladino della lotta contro la sovversione nel continente, e sconfiggere quella banda di cretini maoisti è valso a Fujimori il beneplacito internazionale per fare tutto quel che gli passasse per la testa. Tutti i mezzi sono buoni per proteggere gli investimenti del capitale internazionale in Perù, e in America latina.

Il telefono ha suonato, e la voce agitata di Cerpa, Evaristo, diceva: "Mezz'ora fa si è ritirato l'ambasciatore del Canada, l'attacco contro l'ambasciata è cominciato. Moriremo tutti, fratello, e cadiamo per il Perù e l'America latina".

Sono le due del mattino quando scrivo queste righe e sono preda di una tremenda rabbia, perché tutti gli sforzi andavano in direzione di un negoziato. Un mese fa ne parlai con l'ambasciatore dell'Uruguay in Perù, che era uno degli ostaggi liberati dall'Mrta, e lui mi assicurò che gli occupanti della residenza giapponese erano tutti molto giovani e molto colti, e che nessuno degli ostaggi aveva paura di loro. Adesso le agenzie parlano della morte di tutti quei compagni, che sbagliassero o no compagni, perché è bene che si sappia una maledetta volta per tutte che tutti quelli che si ribellano in America latina, dai ragazzi combattenti del Chiapas fino ai detenuti politici del Frente Manuel Rodrìguez in Cile, sono una sola grande famiglia che con orgoglio assoluto va avanti nella traccia lasciata dal Che, perché non ci è stato lasciato altro cammino, perché la pace non convive con lo sfruttamento, perché la dignità non la decide il Fondo monetario internazionale, perché le speranze del continente non le amministra la Banca mondiale, perché la sete di giustizia sociale non si è saziata con la caduta del falso mondo socialista né con l'avvento del nuovo ordine internazionale.

Non so ancora quanti guerriglieri dell'Mrta siano morti, neanche conosco quanti ostaggi siano caduti e neanche a quanto ammontino le perdite dell'esercito peruviano. Tutto importa, perché si è scritta una nuova pagina della storia nera dello sfruttamento e della repressione, della storia dell'America latina.

Oggi i governanti del mondo si affretteranno a salutare l'energia e la decisione di Fujimori, ma i detenuti politici continueranno a morire secondo dopo secondo nelle galere peruviane. Appena un mese fa Fidel Castro aveva offerto asilo ai guerriglieri dell'Mrta ma loro risposero che non avevano preso d'assalto l'ambasciata per guadagnarsi una vacanza a Cuba, bensì per strappare alla morte 400 compagni. Questo si chiama dignità, valore, avere le palle in politica.

Per quanto non serva più a nulla, saluto quei compagni caduti, i miei compagni, che forse sbagliavano o forse no ma che hanno dimostrato che il capitalismo non ha la minima chance di dormire sonni tranquilli.

Con ogni donna o uomo che muore per la giustizia sociale muore anche qualcosa della decenza umana. Però qualcosa resta, ed è proprio quel qualcosa che ci fa inghiottire la rabbia e ripetere a denti stretti: Vinceremo!



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