coll. aut. hazet 36


LA SCUOLA

DOCUMENTO SU UN CARCERE OBBLIGATORIO




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INTRO

Noi siamo un gruppo di pazzi. La nostra storia politica è quella del Kollettivo Politico Autogestito del Platone, dove ci siamo conosciuti. La critica a questo collettivo ci ha portato a creare un altro su tutti altri presupposti il 2/3/98: il COLLETTIVO AUTONOMO HAZET 36. Questo è per la cronaca. Qui stampato troverete di tutto: errori/ orrori/motivazioni/violazioni/bulloni con quanto altro ci è passato nella testa sull'argomento SCUOLA. Ammettiamo la nostra ignoranza, ma dal nostro sapere stradaiolo vogliamo criticare quel non sapere istituzionalizzato. Se la grammatica sarà penosa cani.jpg - 22557,0 K non rimproverateci, passare cinque ore a imparare l'italiano dentro le mura di una scuola ci fa schifo. Preferiamo correre per le strade. Non ci guidano libri o i Profeti della rivoluzione, ma il nostro istinto proletario e le esperienze raccolte nella merda quotidiana, tra il mercatino e il bar, tra il muretto e gli immigrati, tra il pusher e l'eroinomane, tra la scuola la mattina e il lavoro il pomeriggio. Ci disdegnino pure i Sacerdoti delle Lotte Secolari, ma tanto le fogne ci siamo noi non loro. Comunque speriamo che questa analisi possa servire a qualcosa, e se proprio non servirà a un cazzo, beh, almeno potrete capire un po' come la pensiamo e salutarci e ridere quando ci incontreremo o starci alla larga.


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PREMESSA

La volontà di conoscere, la creatività, l'educazione appartengono alla natura umana e sono presenti indiscriminatamente da ceti o stronzate simili in ogni essere umano. La nascita del colto e dell'ignorante è una deformazione storica delle tendenze umane. La scuola è il sapere istituzionalizzato hanno secolarmente avuto la funzione politico-sociale di creare divisione culturale al fine di mantenere l'ordine costituito. Da sempre élite orgogliose e riempite di cultura artificiosa hanno dominato su larghe masse ignorante e superstiziose. Con l'avvento della società mercantile sono cambiati, in parte, i modi di mantenere salda l'istituzione culturalmente, con la partecipazione delle masse al sapere, ma la scuola ha sempre conservato il suo ruolo di deformatore delle coscienze, castrando gli istinti, sopprimendo curiosità, falsando la conoscenza, annullando la creatività, educando a suo modo, con l'aiuto della famiglia, gli individui. Dunque la scuola, al di là delle peculiari schifezze che oggi la caratterizzano, ha avuto da sempre e per sua natura il compito di essere funzionale al potere vigente e consequenzialmente di non poter garantire la crescita delle singole soggettività. E il sapere, che per noi corrisponde alla gioia del singolo, deve essere la consapevolezza del proprio corpo, delle sue tentazioni, capacità, istinti e passioni. La scuola è il primo nemico dei nostri corpi liberi.


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ANALISI

La scuola assume le sue funzioni di serva del sistema e allo stesso tempo ne diviene ingranaggio fondamentale in due modi principali, ormai già storicamente analizzati: con la formazione e la selezione dei giovani.

LA FORMAZIONE

La formazione borghese ha per scopo essenziale l'omologazione delle menti a un pensiero unico e ad una cultura privilegiata. La sua caratteristica principale è quella di presentarsi a senso univoco. Dunque esclude da sé con il nozionismo e i precetti, dogmi e verità impacchettate, la possibilità dialettica e di confronto. Il professore, al di là delle particolarità del suo carattere, e il libro di testo sono innegabilmente portatori di un'unica verità attraverso la quale si giudica, si riempiono i cervelli, accantonando quindi l'occasione di scambio. Questo grazie ad un ordina gerarchico che garantisce chi ha ragione e al quale bisogna abituarsi e sul quale ci formano. Inoltre, noto il fatto che il sapere piove dall'alto (il prof. e la cattedra) verso il basso (gli alunni) e che dunque la reciprocità di scambio di opinione e di esperienze è inimmaginabile, va aggiunto che l'impasto che ci fanno ingoiare non può non corrispondere e deve collimare all'interesse della società, perché questa è quella che deve governare e in questa dobbiamo vivere e quindi sui suoi parametri uni/formarci. Essendo borghese la nostra società, consequenzialmente lo è anche l'ottica di ciò che studiamo.


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LA SELEZIONE

La selezione è divisione. E' l'arma più palese e violenta dell'istituzione scolastica (ma non solo). Il suo infimo scopo è la creazione di elementi allenati a subire il potere e la scelta di quelli che continueranno a sostenerlo attivamente. Scinde, prepara e avvia gli sfruttati e gli sfruttatori. La selezione, inoltre, si presenta nel modo più articolato ovunque, nei costumi, nei modi e nei grembiuli sin dal primo giorno di scuola. Il primo criterio selettivo, o almeno il più evidente, è il voto. Attraverso questo sistema meritocratico, dove chi prende di più va più avanti indipendentemente dai motivi del minore o del maggiore rendimento, viene innestato un principio base della società del Capitale: la competitività. Questa, oltre ad essere espressione attuale (col tutti contro tutti) del mai antico “divide et impera “, consente l'ennesima selezione negli ormai comuni “buoni e cattivi”, “primi ed ultimi” della classe. Poi c'è la disciplina che, al di là del 7 in condotta che ora nel tentativo di aggraziarci hanno abolito, è una preparazione fisica all'ordine e ai divieti della società. La buona condotta è dunque quella ginnastica di obbedienza con la quale apprendiamo che è giusto rispettare l'autorità; esprimere pacatamente la propria opinione solo se richiesta; alzarsi con il permesso; stare nella propria cella aula; non gironzolare per i lunghi corridoi dove ci sono tante altre celle aule dove non si entra; essere liberi un quarto d'ora ogni cinque sei ore; rispettare le attrezzature della tortura e non distruggere o rovinare i muri della nostra prigione. E' impressionante il fatto di dovere rendere conto a qualcuno un gesto naturale e semplicissimo come alzarsi da una sedia. Ma la lenta omologazione e deformazione ha fatto diventare normale tutto questo e fuori dalla norma sono quelli che non rispettano o rifiutano la gabbia, vittime principali della selezione tra “diligenti ed indisciplinati”. luce copia.JPG - 26552,0 K Ma la selezione si potrebbe individuare in mille altri aspetti. Selezionato è chi, impossibilitato a comprare i libri di testo, avrà ben più difficoltà a studiare; selezionato e destinato alla categoria "indisciplinati” è chi, abitando fuori città o in periferia lontane da scuole con pochi mezzi di trasporto, non giungerà mai in orario. I casi di selezione quotidiana sono infiniti. E' senza dubbio la classe proletaria a subire più specificamente i danni della selezione. I giovani proletari, oltre ad un istintivo senso ribellistico, in seguito all'emarginazione sociale, alla mancanza di possibilità economica, partendo culturalmente indietro ai compagni di classe borghesi, non possono non vivere la scuola con maggiore difficoltà, soprattutto se si tratta di una scuola che vuole solo risultati e non analizza, non considera, le potenzialità di rendimento troppe volte castrate dai problemi dell'emarginazione. Lavorare il pomeriggio, subire l'aggressività della famiglia, la droga, rubare per pagarsi i debiti, e vivere solo e sempre nel cemento con l'assillante mancanza di denaro, non facilitano lo studio dietro i banchi delle aule e non concedono né il tempo né la voglia di seguire monologhi “culturali”. Ovviamente il Capitale, essendone l'artefice, è a conoscenza di tutto ciò e la scuola, con la selezione, diviene l'arma di controllo con la quale i proletari vengono mantenuti nella propria condizione di disagio che sfocerà al termine del processo educativo/formativo borghese nell'occupare un ruolo societario minore: il disoccupato, il precario, il salariato, mantenendo dunque la propria posizione di margine.


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SUL RAPPORTO SCUOLA/LAVORO/ECONOMIA
(mercificazione della cultura)

Oggi come oggi molte, a nostro avviso troppe, organizzazioni studentesche, inserite nel coro unanime dei partiti, chiedono una scuola più vicina alla realtà del mondo del lavoro, un approccio più garantito verso questo e una maggiore formazione professionale. Questo significa solo rendere la scuola più selettiva (in dipendenza dei vari sbocchi professionali) e ancora più inserita negli ingranaggi del Capitale così da renderla sempre più un'azienda che produce forza-lavoro, abissando il concetto già assente di conoscenza e occultando la già occultata autoformazione della coscienza critica del soggetto. Una cultura dunque alla mercé dell'economia, o meglio una cultura come merce di scambio del Capitale. Una conoscenza non più solo borghese (come quella dei licei per esempio) ma addirittura di settore ridotta al contingente dello strumento e della macchina (quella che poi garantirà il lavoro al termine della scuola). Non stiamo criticando questo tipo di formazione professionale più di quella che fornisce nozionismo borghese, per noi sono sullo stesso livello di merda. Nessuna della due garantisce la creatività spontanea, la conoscenza e l'autosviluppo dei singoli. Ma è solo un esempio di come il loro concetto di cultura sia piegabile agli interessi del mercato. Di governo in governo, ogni ministro fa del suo meglio per avviare questo processo di commercializzazione totale del sistema educativo. Lo stronzo di turno, Berliguer, ha già istituito strutture in grado di utilizzare gratis gli studenti per produrre (agenzie interinali, patti territoriali) con la scusa del tirocinio, immettendoli nelle fabbriche e nelle aziende dove poi lo studente/operaio troverà il suo posto di sfruttamento (salvo fallimenti o licenziamenti improvvisi). Ma l'economia in ambito culturale non serve solo a sfornare sfruttati ma anche ad arricchire i ricchi (vedi finanziamento alle scuole private). L'anticostituzionalità di questo finanziamento non ci interessa: uno, perché non sappiamo che fare di una costituzione, due, perché per noi non è che l'ennesima prova delle loro manovre da rapina (levare ai poveri per dare ai ricchi). A nostro avviso dunque invece di scendere in piazza per rivendicare il rispetto costituzionale di questi finanziamenti sarebbe più corretto dar fuoco agli istituti privati, almeno quelle facce inamidate dei borghesi possono vedere con i loro occhi che forme ha una scuola inabilitata (come le nostre). E' fin troppo evidente che manovre economiche, finanziamenti e lavoro non hanno nulla a che vedere con la crescita individuale e con lo spirito di conoscenza innato che abbiamo. La creatività si sviluppa con l'esperienza, la conoscenza con il confronto e uno sviluppo del personale libero non può non avvenire se non in una collettività libera. E gli interessi del Capitale, le manovre dello stato borghese, escludendo di per sé la libertà, non corrispondono mai agli interessi dell'uomo libero e alle esigenze delle classi proletarie e sfruttate. Il loro interesse è l'economia, il nostro l'emancipazione. Quindi la scuola, con la cultura e il sapere, fino a quando è correlata all'economia e legata come ora indissolubilmente alle logiche del mercato non può essere libera. Ne segue che non può dispensare pensieri liberi.


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SULLE PRATICHE DI LOTTA

Sul fronte di lotta studentesco troppe questioni non vanno affrontate, risolte e combattute come dovrebbero. Quello che offre il movimento studentesco è una landa desolata. Siamo circondati da una dilagante merda riformista.
Non si critica più l'istituzione scolastica in quanto tale ma solo gli aspetti più superficiale e i problemi più contingenti. E' giusto partire dai problemi più concreti e dai bisogni, ma non ci si deve fermare a questi e soprattutto non bisogna perdere di vista gli obbiettivi rivoluzionari, per poter un giorno risolvere ed annullare lo sfruttamento del Capitale con l'abbattimento delle classi, e non solo lottare per la nobile causa dei termosifoni spenti del nostro istituto. Appunto, quello che manca è proprio la volontà rivoluzionaria; non c'è dialogo tra diversità che potrebbero essere compatibili; si tende alla monopolizzazione delle scuole sotto sigle e capetti. Per il momento dunque c'è solo tanta omologazione e tanta voglia di accettare la pace sociale. Le ultime occupazioni delle scuole hanno perso qualsiasi valore di scontro e di denuncia. E' stato svanito ed è rimasto svilito il significato di fondo dell'OKKUPAZIONE, nata come pratica di liberazione degli spazi gestita dal basso e duramente conflittuale. Le attuali occupazioni tendono non a trasformare la scuola in spazio aperto e controculturale ma a sostituire l'istituzione. A fare i “grandi” per una – due settimane. Infatti spesso nascono non per volontà di massa, ma a seguito di un comitato promotore, che si pone a metà tra capo ed avanguardia, che gestisce ed organizza a nome di tutti. Ecco quindi che appena cacciati preside e professori, si crea subito una nuova "classe dirigente" e si ripropongono le gerarchie. Si richiama all'ordine ed alla disciplina e nasce una polizia interna: i temibili studenti del servizio d'ordine che hanno autorità su tutti (tranne sui capi ovviamente). All'ingresso si scinde: sei interno puoi entrare; sei esterno, non puoi entrare. Ritorna la selezione e si nega all'occupazione la possibilità di confrontarsi all'esterno e di rapportarsi col territorio. Motivi della protesta come abbiamo già detto troppe volte sono ridotti solo alle questioni più apparenti e non di fondo, e le richieste (e per noi è già assurdo chiedere qualcosa all'istituzione, perché significa riconoscerne l'autorità concessiva e di potere) sono minimalistiche. Si grida alla riforma. Il culmine di idiozia e l'annullamento effettivo delle proteste si ha quando questa viene addirittura concordata con presidi e professori, cioè con l'autorità da abbattere. Queste occupazioni sono totalmente istituzionalizzate, dunque invece di andare contro il potere, vengono da questo non solo tollerate, ma addirittura normalizzate, per poi essere folklorizzate dalla stampa di regime. L'AUTOGESTIONE della scuola non è una pratica di lotta. Autogestione è autodeterminazione della propria vita e liberazione dei propri spazi. Di tutto questo nella scuola autogestita non rimane nulla, sia per i motivi prima spiegati sia perché questa intesa come unica forma di lotta ha bisogno nell'istituto necessariamente dell'accordo con i docenti e con le varie autorità scolastiche. Fare durante l'orario scolastico per due settimane obbligatoriamente corsi tenuti da studenti invece che italiano o matematica non ha in sé nulla di rivoluzionario e liberatorio. Più che altro puzza di contentino, una sosta per calmare e placare gli studenti. I motivi che spingono gli studenti a portare avanti queste proteste sono gli stessi che li spingono in piazza. E' facile immaginare di quanto riformismo siano infangati i cortei. E sempre su questi presupposti nascono e si sviluppano associazioni e coordinamenti studenteschi col mero fine di riuscire a far parlare con il ministro i loro capetti. Molte, ma neanche tutte, di queste strutture si dichiarano antifasciste. Cos'è l'antifascismo per loro, quando, se pure si oppongono a quei vermi, lo fanno solo a paroloni, montando teoremi sulla sconfitta dialettica dell'avversario? Un fascio è un fascio e come ogni nemico di classe deve essere fermato con ogni mezzo necessario. Rifiutiamo inoltre l'indottrinamento e il riempimento dei cervelli praticato da certe strutture; la protesta, la rivolta, non si ottengono convincendo le masse, ma solo in seguito alla maturazione delle singole coscienze, quando ogni individuo prende in considerazione della propria condizione di sfruttato. Nel pieno rispetto delle individualità, crediamo comunque indispensabile l'autorganizzazione. La conciliazione tra libere soggettività e l'organizzazione della lotta può avvenire solo attraverso collettivi spontanei che analizzino le questioni comuni e che accettino le differenze interne e senza prevaricazioni gerarchiche (ovviamente). Il ruolo dei collettivi non è perciò il convincimento e l'arruolamento delle masse, ma quello di praticare l'azione diretta, di seminare dubbi e conflitto, di mettere in contraddizione e a nudo davanti a tutti le verità dell'omologazione affinché si spezzi il silenzio imposto dalla pace sociale. Sabotaggi, controinformazione, agitazione, ognuno secondo le proprie potenzialità.


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SULLA DELEGA

Noi rifiutiamo ogni forma di delega all'interno delle scuole; non vogliamo rappresentanti che abbiano il potere di sostituirsi all'azione diretta del resto degli studenti. Tale rifiuto è un piccolo passo rivoluzionario e antistituzionale che tutti possiamo fare al momento del voto. Strappiamo la scheda. I vari rappresentanti di classe e di istituto non possono mai esprimere il volere di tutti, servono bensì a controllarci, accontentarci, ad illuderci che godiamo di diritti. Inoltre questi, proponendosi al di sopra di tutti gli altri studenti, canalizzano, normalizzano e rendono vane le iniziative spontanee di rabbia e di protesta che non provengono da loro o da una ristretta cerchia di persone di cui loro fanno parte. Monopolizzano, insomma, sotto la loro guida i bisogni degli studenti. Non si possono accettare e votare persone che racchiudono in sé, facendosene portavoce, le nostre idee. Nessuno può essere un altro. La loro elezione provoca inequivocabilmente burocrazia, selezione e divisione gerarchica nelle scuole allo stesso modo di come avviene nel resto della società. I propri bisogni vanno conquistati e autogestiti e tramite l'azione diretta dei collettivi, lottando in prima persona autodeterminati senza la necessità di accollarsi ai leader. L'emancipazione del proletariato e degli emarginati avviene per opera del proletariato e degli emarginati stessi. Chiunque vuole farlo a nome di tutti per i suoi sporchi giochi o per la sua lurida carriera (della quale la scuola è una palestra), non sta con noi ma è un servo, e come a tutti i servi… calci sui denti.


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CONCLUSIONI

Per noi, dunque, la cultura e il sapere devono servire a formare uno spirito critico nel soggetto. Questo può avvenire solo in una società libera, senza confini, priva di gerarchie, senza classi sociali, emancipata dai vincoli dell'economia. Un mondo lontano, ma non impossibile.
La cultura deve essere in primo luogo circolare (non piramidale come ora) in cui il rapporto fra chi ha più esperienza e chi ne ha meno sia sullo stesso livello, e non vincolato dal giudizio. Il rapporto sugli stessi livelli annulla la formalità e quindi crea inequivocabilmente maggiore facilità di scambio. Lo scambio delle singole soggettività è l'unico modo che in sintesi può rendere l'oggettività ma che rispetta e permette la crescita e l'enunciazione di ogni singolo pensiero autonomo. La cultura, dunque, la si apprende, cresce e diviene cosa viva quando diventa un fattore comune di gruppo, quando esprime una verità comune ma non incontestabile, quando è donata con l'esperienza.
Il sapere a sua volta corrisponde all'approfondimento delle proprie tendenze, e quindi all'appagamento delle proprie vocazioni. Serve a soddisfare la curiosità innata che abbiamo verso le cose e il mondo. Ovviamente per questo non c'è bisogno di essere giudicati. E' giusto che ognuno faccia ciò che sa e che vuole fare. Un mondo dove ognuno è utile all'altro per ciò che ama fare non dovrebbe essere peggio di questo. Pensiamoci.
Per una “scuola” in una tale società è però necessario lottare, tanto e orizzontalmente perché se ci crediamo in fondo quello che adesso appare un sogno può diventare realtà. L'impossibile non è mai impossibile.

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