Operai coreani
contro il neoliberismo

26 dicembre 1996 - Il governo fa approvare in una seduta semiclandestina due leggi: quella sulle relazioni di lavoro introduce massima flessibiità, licenziamenti e norme antisciopero; quella sull'Agenzia nazionale di pianificazione della sicurezza amplia i poteri inquisitori della "Cia coreana" verso i "sospetti simpatizzanti del regime comunista del Nord".

E' subito crisi politica, dal sagrato della cattedrale di Myongdong, il leader del sindacato non riconosciuto dal governo Kwuon Young-kil mette in guardia: "Se pensano di trovare compromessi che escludono i sindacati, sappiano che la protesta non si fermerà. L'unica base di dialogo è revocare le due leggi, riaprire il dibattito parlamentare, revocare i mandati di cattura".

Da ieri è a Seul una nuova delegazione della Confederazione internazionale dei sindacati liberi (Cisl), guidata da segretario generale Bill Jordan (ne fanno parte europei, statunitensi dell'Afl-cio, canadesi, neozelandesi, un giapponese). Un primo gruppo di sindacalisti stranieri la settimana scorsa era stato avvertito a "non interferire" in una questione interna e sollecitato (per iscritto) ad andarsene. Ora, anche i nuovi arrivati "interferiscono". Ieri la nuova delegazione ha tenuto una conferenza stampa sul sagrato della cattedrale, insieme ai sette sindacalisti su cui pende un mandato d'arresto. "Siamo qui legittimamente", ha detto Bill Jordan: "Il mondo non può accettare che in Corea ci siano persone imprigionate perché svolgono attività sindacale". Ha soprattutto ricordato che l'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil, parte del sistema Nazioni unite) aveva chiesto al governo di Seul di adeguare la sua legislazione agli standard internazionali di protezione dei lavoratori. Seul si era impegnata per iscritto a farlo, ed era una condizione posta al suo ingresso nel'Ocse (l'organizzazione di cooperazione economica tra i paesi industrializzati occidentali). Invece.

La nuova legge sul lavoro viene indicata in breve "legge sui licenziamenti", ma è più articolata: introduce il diritto delle aziende a licenziare, dal punto di vista aziendale renderà più semplice una politica di "fusioni e acquisizioni" necessaria a ristrutturare e snellire la struttura economica del paese.Parla di flessibilità e dilatazione dell'orario di lavoro. Regala alle aziende il diritto di assumere personale esterno per sostituire i dipendenti in sciopero, rinvia fino al 2000 la liberalizzazione delle organizzazioni sindacali. Lascia in vigore "i tre divieti": a formare un sindacato dove già ne esiste uno (è per questo che il governo non riconosce l'esistenza legale della Confederazione indipendente Kctu); il divieto di "terzi" a intervenire in azioni sindacali, contrattazione, manifestazioni (un sindacato non riconosciuto è "terzi"); a esercitare qualsiasi attività politica, che può significare anche solo pronunciarsi a favore di un candidato.

Una legge del genere non può essere spacciata come "adeguarsi allo standard internazionale di protezione dei diritti dei lavoratori", fa notare la delegazione mutinazionale di sindacalisti. L'Ocse tiene domani una riunione ministeriale in cui dovrà occuparsi della Corea, e ieri da Seul è partita un'altra delegazione: alcuni dirigenti dei sindacati coreani, in particolare la Confederazione indipendente Kctu, vanno a perorare la propria causa.

Arrestati quattro sindacalisti nella città di Makpo. Restano i mandati d'arresto contro Kwon Young-kil e i sei dirigenti "della cattedrale"

Dal Manifesto del 17 Gennaio

A NCHE IERI SERA sono volati gas lacrimogeni nel centro della capitale sud-coreana. Un nuovo episodio della prova di forza che dura ormai da tre settimane e di cui non si vede ancora un esito politico. Ieri sono stati arrestati quattro dirigenti sindacali della Halla Heavy industries, cantieri navali, nella città di Makpo. Restano i mandati d'arresto spiccati una settimana fa contro altre sedici persone, tra cui Kwon Young-kil e altri sei dirigenti della Confederazione coreana dei sindacati (Kctu): trincerati nella cattedrale cattolica di Myongdong, nel centro di Seul.

Tensione nella notte

La notte tra mercoledì e giovedì la tensione è salita e sembrava che il governo avesse ordinato di forzare i picchetti operai e portare via i sindacalisti dal sagrato della cattedrale. Ieri mattina è ripartita da Seul la delegazione dela Confederazione internazionale dei sindacati guidata da John Evans: non caricata a forza su un aereo, ma poco ci manca.

A Seul da qualche giorno la scena si ripete. Le organizzazioni di lavoratori in sciopero tengono comizi in vari punti del centro: ieri gli operai di alcune aziende automobilistiche erano sul piazzale di uno degli enormi centri commerciali del centro, bandiere colorate contro il grigio degli edifici. Al Pagoda Park c'erano ospedalieri e impiegati. I lavoratori della stampa - giornalisti e non - e delle telecomunicazioni in un altro giardino pubblico. Ventimila persone quà, cinquemila là... Al termine dei comizi partono piccoli cortei - regolarmente autorizzati dalle autorità - diretti alla cattedrale. Ma non ci arrivano, bloccati dalla polizia a pochi metri dalla collinetta dominata dalla chiesa cattolica. Ieri erano particolarmente determinati, dopo l'arresto dei sindacalisti dei cantieri navali. In testa i lavoratori della stampa, giornalisti e personale di una decina di testate regionali e delle tre reti tv statali, alcune migliaia di persone. Il corteo è avanzato per la strada commerciale che porta alla chiesa, fino a toccare il naso dei poliziotti; allora uno dei dirigenti ha suonato un piccolo gong e tutti si sono fermati. Hanno tenuto la posizione per tre ore, rinforzati dal sopraggiungere di altri gruppi di lavoratori e riscaldati da falò di giornali e cartacce. Il nome del presidente della repubblica ricorre spesso negli slogans: ormai tutte le manifestazioni chiedono le sue dimissioni.

Dal Manifesto del 23 Gennaio

Bandane rosse a Ulsan

Alla Hyundai comizi e cortei sono contro il governo, non contro l'azienda. Allo sciopero del mercoledì hanno aderito 140.000 operai dell'industria dell'auto

MARINA FORTI - INVIATA A ULSAN (COREA)

A BBIAMO vinto a metà", dice l'oratore dal palco: "Se il governo ha dovuto cominciare un dialogo, è perché l'abbiamo costretto noi con la nostra lotta". La folla di lavoratori applaude, sull'enorme spianata sulla riva del fiume Taehwa. Ventimila persone assistono al comizio che segna la giornata di sciopero convocata dalla "Kctu", la confederazione dei sindacati coreani (non riconosciuta dal governo), che qui a Ulsan ha uno dei suoi punti di forza nella Federazione dei sindacati del gruppo Hyundai, forse il più grande tra i chaebol - le grandi corporations industriali sud coreane.

L'inno del lavoro

"Credevano che scioperi e manifestazioni sarebbero finiti, solo perché loro hanno fatto una tavola rotonda? I politici che hanno approvato la legge sul lavoro e quella sulla sicurezza devono fare una sola cosa: abrogarle". Il comizio è sottolineato da interventi dell'orchestra, di fianco al palco: batteria, tamburi, pianola. Quando intona un inno del lavoro l'immensa folla si alza in piedi e scandisce col pugno chiuso. Poi torna a sedersi per terra, file ordinate, tutti con la fascia rossa legata sulla fronte. Al microfono si alternano i dirigenti dei sindacati del primo gruppo industriale del paese: Hyundai Motors, Hyundai Heavy Industries, l'elettronica, le costruzioni, i cantieri navali, le raffinerie... Tutto concentrato in questa cittadina portuale del sud-est: vent'anni fa era un piccolo centro di pescatori in un entroterra di risaie e orti, oggi conta un milione di abitanti ed è la maggiore concetrazione industriale del paese -interamente riconducibile a una sola proprietà, la Hyundai. Ed è anche uno dei punti di forza del sindacalismo sud-coreano.

I risultati della tavola rotonda sono "deludenti", ripetono i dirigenti sindacali. Il governo ha solo accettato di ridiscutere le due leggi - anche se già questo è sembrato a molti conservatori un cedimento. Ma i sindacati, come l'popposizione, chiedono di abrogarle: "sono state approvate in modo illegale". E poi, devono rilasciare gli operai che sono stati arrestati. "Per questo la nostra lotta continua. Continueremo a scioperare ogni mercoledì e a tenere manifestazioni ogni sabato, fino a raggiungere l'obiettivo".


Le notizie del sito sono raccolte dagli arretrati del Manifesto ed in particolare dagli articoli di Marina Forti inviata in Corea



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