Tanto più la gestione emergenziale nel governare i conflitti applicata nel passato, continua a tutt'oggi a rappresentare la norma e non l'eccezione. Non più quindi misure eccezionali per rispondere a situazioni eccezionali, ma la regola che accompagna il sistema giudiziario e quello repressivo. Il materiale umano su cui applicare queste regole è variegato, e subisce in modo arbitrario gli esiti di questi provvedimenti. Non è un caso che il 25% della popolazione detenuta in Italia sia costituito da cittadini/e immigrati come un altro 50% sia rappresentato da persone con reati legati alla tossicodipendenza.
Ognuno dei tre aspetti che abbiamo indicato presenta un proprio lato specifico da approfondire, che in questa occasione vogliamo solamente tratteggiare, partendo dalle riflessioni che ci siamo scambiati in questo appuntamento del mercoledi nato inizialmente come risposta alle provocazioni su Salvatore Ricciardi (altro esempio clamoroso di come la discrezionalità di un giudice prevalga sull'analisi obiettiva dei fatti ), limitandoci a fotografare la realtà e non entrando volutamente nel campo delle soluzioni senza indicare percorsi, progetti o obiettivi, lasciando che emergano dall'incontro di sabato 14 a Forte Prenestino.
UNA CRITICA.
I FATTI: da qualche tempo a questa parte si notano una serie di fenomeni preoccupanti riguardo al problema della giustizia quando questa si occupa dei proletari/e, degli immigrati/e, dei compagni/e. Al momento dell'arresto colui o colei ritenuto dalle "forze dell'ordine" indiziato di reato è condotto nei commissariati e sottoposto ad interrogatori che non hanno niente a che fare con il rispetto della legge: minacce, insulti, percosse ed altri "trattamenti" molto simili a pestaggi o peggio torture. L'obbiettivo è quello che il presunto reo confessi tutto, collabori!
Portato in carcere, il trattamento prosegue con la stessa impostazione: isolamento, minacce, a volte anche percosse, divieto di incontrare i familiari e qualche volta anche l'avvocato. Cosi fino al processo; l'obiettivo è far confessare il presunto reo,ossia farlo collaborare Anche nella fase di"esecuzione della pena" (come si dice in termini giuridici) ossia quando si stanno scontando i mesi o gli anni di carcere cui si è stati condannati,ebbene anche a quel punto l'essere stati o meno collaboratori ha una influenza notevole sulla possibilità che ha il detenuto/a di accedere ai benefici di legge (sconti, pene alternative, permessi, lavoro esterno,semilibertà,etc.).
Anche in questa fase,dunque,da parte di alcuni operatori penitenziari (ossia quelli che devono esprimere un giudizio sul comportamento del detenuto e cioè sulla opportunità o meno di concedergli i benefici) viene richiesto al condannato/a di collaborare e fornire informazioni sugli "ambienti"frequentati prima di entrare in carcere, questa eventuale…collaborazione viene valutata positivamente come prova del "reinserimento sociale "avvenuto:un aiuto ad ottenere i sospirati benefici. Il sistema di indagini vigente in questo paese,indagini condotte dalle" forze dell'ordine"e con l'avallo della magistratura e sotto il controllo del magistrato si sta orientando totalmente alla ricerca del collaboratore e non delle prove per decidere sulla colpevolezza o meno di un indiziato di reato.
Un meccanismo di indagini condotto in questo modo,non solo è una aberrazione giuridica,rappresenta la fine dello stato di diritto,e del sistema di garanzie processuali, e crea e affina via via gli strumenti per ottenere e costruire il collaboratore.
Se non si interrompe questo andazzo,il meccanismo messo in moto farà si che i commissariati,che sono il primo luogo frequentato dagli indiziati,diventino sempre piu dei luoghi per estorcere confessioni;possiamo facilmente immaginare cosa ciò vuole o vorrà dire:luoghi di pestaggi,minacce,torture.Cosi anche il carcere diventa luogo di pressione,e di discriminazione,di premi e punizioni secondo la logica della delazione;luogo in cui il percorso di"reinserimento"verrà completamente sconvolto e quei minimi accenni di riforma verranno spazzati via,come in gran parte già lo sono stati.
Il quadro di riferimento che qui abbiamo proposto presenta un altro buco nero rappresentato dalla questione della prigionia politica, fiumi di parole sono stati utilizzati per comprendere, analizzare, stravolgere questa realtà, nel contempo gli anni passano e i corpi di cui spesso parliamo, continuano ad essere reclusi, violati non rispettati. Le formule per la loro liberazione espresse in passato sono risultate vane e tra loro contraddittorie, questo non ci impedisce di riproporre la necessità di interrompere questo perfido meccanismo di vendetta ,retaggio dell'aspro conflitto degli anni 70
L'idea è che questo incontro sia capace di sviluppare al meglio la capacità di un agire comune ,pratico su temi spesso al centro della nostra attività,per questo abbiamo invitato una serie di associazioni di base che intervengono quotidianamente su aspetti specifici come:carcere e malattia,filosofia del controllo,immigrazione e diversità. Invitiamo tutte le strutture,singoli/e,centri sociali che numerosi in questi anni hanno sviluppato una critica al carcere e alle istituzioni totali a partecipare con la propria esperienza e le proprie proposte.
SABATO 14 MARZO 1998
AL C.S.O.A FORTE PRENESTINO VIA FEDERICO DEL PINO (CENTOCELLE)
ORE 16 INCONTRO-DIBATTITO SU:
SORVEGLIARE E PUNIRE. CARCERE-CONTROLLO-REPRESSIONE NELLA SOCIETA
PARTECIPANO:
I COMPAGNI E LE COMPAGNE CHE VOGLIONO ABOLIRE IL CARCERE.
Al di là delle singole problematiche (prigionia politica, rapporto malattia-carcere, immigrazione, tossicodipendenza...) che i vari interventi hanno contribuito ad analizzare, un dato è stato evidenziato dalla totalità dei partecipanti: la situazione repressiva in Italia in tutti i suoi movimenti ha raggiunto una gravità che forse non aveva mai nemmeno avvicinato.
Diritto all'assistenza negato, pestaggi, "suicidi", discriminazioni razziali e sociali dimostrano ancora una volta che questa farsa di democrazia non riesce neanche ad essere più coerente con le leggi che si è data, possiamo immaginare le poche speranze di vederle addirittura migliorate.
Improrogabile è in questa situazione un'opera di denuncia puntuale e incisiva che sappia creare un movimento d'opinione che abbia la forza di mutare questo stato di cose. Per questo invitiamo tutte le associazioni, strutture e singolarità che abbiano a cuore tutto ciò a intervenire
Mercoledì 8 Aprile ore 19.30 in via dei Volsci 30 nella sede del magazzino Rosa Luxemburg per discutere insieme tempi e modalità di questa campagna.
Perchè questo incontro-dibattito-convegno in un centro sociale? Per prima cosa dobbiamo presentarci, noi, gli organizzatori di tutto questo: siamo compagne e compagni di Roma, dell'area dei centri sociali, delle radio di movimento, dei collettivi e comitati (ma anche singoli) che non ci stanno a farsi agglutinare dall'impasto omologante in voga; che vogliono riprendere un percoso per mettere il naso ed anche le mani in tutto quello che puzza di assenza di libertà; e quindi che vogliono abolire il carcere (e tutte le istituzioni totali) come dice la nostra sigla e crediamo/speriamo non sia un "modo di dire", casomai un "modo di fare". Tutto qua.
A chi ci rivolgiamo? Ai sinceri democratici? Alle donne e agli uomini di buona volontà? Non sappiamo se questi termini abbiano ancora un senso ne vogliamo sperderci in un intrigo semantico. Sicuramente ciò che diremo/faremo interessa a chi del carcere e della repressione subisce la dura sferza. A tutte e tutti gli altri diciamo soltanto che se sono interessati a questi argomenti provino a percorrere insieme a noi questo sentiero abolizionista; forse sarà interessante! Quelli che seguono sono appunti per una discussione a tutto campo sul carcere e repressione:
APPUNTI
Siamo partiti da alcuni casi concreti avvenuti in questi ultimi mesi e che
hanno riacceso la nostra attenzione, purtroppo attenuata negli ultimi
tempi, sul tema del carcere e della repressione in generale: pestaggi
sempre più frequenti e "pesanti" nei commissariati (...); prigionia
politica che, invece di risolversi positivamente con la liberazione dei
compagni e compagne detenuti da 16-20 anni segna un'inversione di tendenza
con la carcerazione di chi aveva riacquistato la libertà per gravi motivi
di salute o per altro, o le minacce di arresto nei confronti degli esuli in
Francia, per ora rientrate ma sempre incombenti sugli esuli; ancora le
proteste nelle carceri italiane, realizzatesi in particolare a Rebibbia,
carcere della città di Roma, che hanno segnalato la drammatica situazione
esistente nelle carceri in una società -quella italiana- che sembra
indirizzarsi su una pericolosa strada di "carcerazione totale".
Quindi un "convegno a caldo" e un dibattito altrettanto "caldo". Intendiamo
con ciò, o meglio coltiviamo la speranza, che qui oggi non si realizzi
soltanto un confronto di idee e una esposizione di relazioni pur
approfondite e documentate sul tema carcere-repressione-controllo sociale;
non solo questo, vorremo inoltre realizzare un convegno che diventi un
punto di partenza per un intervento concreto sul carcere e su tutto
l'ambito del suo corollario repressivo; ossia che fornisca strumenti di
conoscenza utile a chiunque -singolo o callettivo- voglia iniziare un
percorso di critica concreta al sistema delle istituzioni totali: che è il
solo modo che conosciamo per percorrere un sentiero che porti ad una
società senza galere. Vorremo insomma che dopo questo dibattito si cominci
sul serio a "svuotare il carcere": liberando dalla prigione più gente
possibile cominciando, ovviamente, da coloro che hanno maggiori difficoltà
(detenuti/e colpiti da varie patologie, sieropositivi, tossicodipendenti,
immigrati, ecc., chiunque abbia un di più di disagio sociale). Cominciando
dalle situazioni più disagiate, ma arrivando a svuotare il carcere
completamente. Già perchè siamo convinti che i tempi sono maturi per dire :
adesso basta! e liberarsi finalmente dal carcere, oggi, non domani !
Concretamente:
Insomma: siamo a tal punto realisti che pensiamo sia all'ordine del giorno oggi, proprio oggi, in questi anni di fine millennio, lanciare una battaglia abolizionista del carcere e delle altre istituzioni totali.
Questi i punti che vorremo sottoporre a critica spietata e poi, scardinare con la pratica:
* PESTAGGI NEI COMMISSARIATI- Al momento dell'arresto colui o colei ritenuto dalle "forze dell'ordine" indiziato di reato viene condotto nei commissariati e sottoposto ad interrogatori che non hanno niente a che fare con il rispetto della legge: minacce, insulti, percosse ed altri "trattamenti" molto simili a pestaggi ed a vere e proprie torture. L'obiettivo delle "forze dell'ordine" è quello di far confessare il "presunto reo": farlo collaborare! E' urgente interrompere subito questo meccanismo illegale e illegittimo, imponendo alle "forze dell'ordine" il rispetto della legge e del sistema di diritti. Sappiamo tutti fin troppo bene qual'è l'approdo di questa tendenza: la storia di questi ultimi decenni insegna! *LE PRESSIONI IN CARCERE- Portato in carcere, il trattamento prosegue con la stessa impostazione: isolamento, minacce, a volte anche percosse, divieto di incontrare i familiari, a volte, anche l'avvocato. Così fino al processo: L'obiettivo è sempre lo stesso farlo collaborare! Questi fatti gravi e preoccupanti avvengono non solo per l'ormai radicato -storico si può dire- scarso senso del rispetto della legge delle "forze dell'ordine" in questo paese, inclini assai più a garantire "l'ordine di chi comanda" che a rispettare la legge, ma anche perchè il sistema di indagini vigenti in questo paese, condotti dalle forze dell'ordine e con l'avallo di buona parte della magistratura, si avvia decisamente alla ricerca del collaboratore e non delle prove per decidere sulla colpevolezza di un indiziato di reato. E questa' una pesante rotture con lo "stato di diritto", che se è pur vero che in questo paese non ha mai funzionato pienamente, tuttavia lasciava delle garanzie pur minime alla difesa dell'indiziato. *LE DISCRIMINAZIONI IN CARCERE- Una volta che si è subita la condanna e si è, come dicono i tecnici, nella fase di "esecuzione della pena", anche in quella fase essere stati o meno collaboratori ha una influenza notevole sulla possibilità che ha il detenuto/a di accedere ai benefici di legge (sconti, pene alternative, permessi, lavoro esterno, semilibertà, ....). Non solo ha un valore decisivo per l'ottenimento dei "benefici" essere stati oppure no "collaboratori", ma alcuni operatori penitenziari (quelli che devono esprimere un giudizio sulla opportunità o meno di concedere i benefici al detenuto/a) e alcuni magistrati di sorveglianza (quelli che decidono se darti o meno i benefici) richiedono al condannato/a di collaborare e fornire informazioni sugli "ambienti" frequentati prima di entrare in carcere, sugli altri detenuti/e di detenzione, ecc., *REINSERIMENTO SOCIALE O SCAMBIO?- I limiti della riforma (L.354 del 27/7/1975) attuata nelle carceri italiane erano già chiari al momento della sua approvazione : "...Nel progetto in esame si correggono dunque alcune storture più appariscenti e si eliminano gli aspetti più disumani del regolamento fascista ancora vigente, ma l'istituzone in quanto tale rimane ben salda con tutto il suo retaggio di arretratezza normativa e sociale" (on: Balzamo nel dibattito parlamentare dell'estate 1975). Questi limiti si sono accentuati nel corso degli anni e non è servita nemmeno la "riforma della riforma" (L.663 del 10/10/1986 -detta legge Gozzini) ad interrompere una strategia carceraria basata sulla "custodialità" in auge in questo paese con preoccupante continuità nell'epoca monarchico-liberale, in quella fascista ed in quella repubblicana. L'applicazione sempre più restrittiva dei cosidetti "benefici" è un messaggio fin troppo chiaro per il detenuto:"adesione consensuale al programma di trattamento in cambio di sconti di pena". La repressione del dissenso, sia esso di carattere politico-ideologico, sia di carattere sociale-comportamentale viene così graduata: lo stato si rende disponibile a ridurre le sanzioni nominali a seconda del grado di consenso dell'indiziato/condannato. Dal collaboratore cui viene "abbonata" gran parte della pena già in fase processuale, al detenuto che esprime vari gradi di consenso al sistema giuridico-repressivo-carcerario che può ottenere sconti notevoli in fase di esecuzione di pena. Attenzione: questo subdolo e pericoloso meccanismo non serve a diminuire i reati o disincentivare coloro che sono in procinto di commetterli, tutt'altro: questo meccanismo serve solo ad occultare il dissenso politico e sociale, addirittura a negarne l'esistenza ed in questo modo riprodurre consenso e tranquillità dei ceti che sono la base del sistema di potere. *INCHIESTE E PROCESSI STEREOTIPATI- Da qualche anno, diciamo un decennio, un manipolo di magistrati hanno preso sott'occhio un'area di una cinquantina di compagne/i nei confronti dei quali e delle quali inventano di sana pianta inchieste di presunte attività eversive basate su fatti spesso mai accaduti e, se accaduti, attribuiti a questi/e compagni/e senza nemmeno uno straccio di prova. Inchieste di regime e indiziati di regime; qualcosa di simile succedeva nel ventennio fascista: qualunque cosa succedeva o non succedeva, i soliti indiziati, allora anarchici e comunisti, venivano sottoposti ad inchiesta. Oggi, i soliti indiziati, ancora anarchici e comunisti, subiscono lo stesso meccanismo persecutorio. E' il caso di interrompere queste miserie anche di cattivo gusto troppo simili/uguali a quelle del "ventennio". *MALATTIA- In carcere ci sono moltissimi detenuti malati (sieropositivi, colpiti da varie epatiti, cardiopatici, ecc.) che non dovrebbero stare in carcere. Va quindi segnalata come prima cosa una situazione di piena illegalità. La Carta Costituzionale non prevede il carcere per i malati, anzi esclude tassativamente la presenza in carcere per chi è soggetto di patologie gravi. Come mai questo stato di illegalità? Due sono le cause a nostro avviso che hanno provocato questa grave situazione e che vanno superate con l'urgenza che il problema richiede: = LA PRIMA causa risiede nel vuoto legislativo esistente: l'attuale art.147 del C.P. che tratta del "differimento temporaneo e facoltativo dell'esecuzione della pena" per chi è affetto da malattie, prevede l'uscita dal carcere per chi è colpito da grave infermità (?) per il tempo necessario ad effettuare le cure necessarie (cure che in carcere non possono effettuarsi) e poi, effettuate queste cure e "guarito"(?), è previsto il rientro in carcere. Il legislatore quando ha concepito questa legge era interno ad una cultura della malattia/salute ormai desueta e completamente inattuale e inaccettabile , non ha tenuto conto dell'esistenza di patologie da cui non si "guarisce" e sopratutto non ha tenuto conto che il rientro in una situazione non favorevole per chiunque sia portatore di patologie gravi, lo conduce ad un peggioramento del proprio stato. = LA SECONDA va ricercata in una stortura verificatasi nell'applicazione di questa legge dal momento in cui alcuni settori della magistratura di sorveglianza -assecondando campagne di stampa allarmistiche e forcaiole- hanno azzerato completamente il ruolo dell'istituzione sanitaria nel contribuire a definire la compatibilità o meno del detenuto con il regime detentivo. Stortura giuridica, poichè se il legislatore aveva responsabilizzato due istituzioni: quella medico-sanitaria e quella giudicante per decidere se il soggetto detenuto potesse accedere o meno a questo beneficio, oggi il parere dell'istituzione medica è pressocchè ignorato da alcuni magistrati di sorveglianza e completamente schiacciato dal "peso" decisionale del magistrato (l'esitenza nel Tribunale di Sorveglianza di "esperti" che affiancano il giudice non ha niente a che vedere con una dialettica tra due figure istituzionali di cui una, quella medica, deve poter esprimere in piena autonomia il proprio parere e non essere suddito del magistrato). L'analisi approfondita delle cause sopra accennate va posta da una parte ai giuristi che vogliano indagare in questa contraddizioni e proporre soluzioni; da un'altra parte il problema va posto a numerosi medici, sia quelli che già si occupano di tossicodipendenza e carcere, di sieropositività, ma anche a medici competenti in altre specializzazioni (cardiologi, malattie epatiche, del sangue, ecc.,). UN ALTRO punto importante è il rapporto tra la condizione di detenuti malati e lo stato attuale delle carceri in questo paese: stato delle carceri che ormai è ben oltre il collasso, fatto questo che rende ancor più grave, pericolosa e quindi illegale la presenza dei malati in carcere e pone con drammatica urgenza la soluzione del problema. Ossia la liberazione rapida dei detenuti malati. ANCORA UN'ALTRA contraddizione è quella che vede il detenuto malato impossibilitato a seguire l'iter del reinserimento che la legge assegna al carcere. Dicevamo che il dettato Costituzionale assegna al carcere soltanto funzioni di reinserimento sociale e non può essere afflittivo né punitivo (Art.27). E' un fatto che per il malato in carcere questa strada è preclusa o resa ancor più difficile. Poiché il reinserimento sociale, secondo la legislazione attuale, passa attraverso l'attività lavorativa del detenuto, per mezzo della quale si può accedere alle misure alternativa alla detenzione, per il detenuto malato la difficoltà o l'impossibilità ad accedere ad attività lavorative diventa un di più di carcere reale: nel senso che effettivamente il detenuto malato fa più carcere del detenuto sano in quanto non può accedere alle misure alternative basate sul lavoro oppure percorre questa strada con maggior lentezza oltre che a scapito della propria salute. Da questa situazione ne scaturisce un "mostro giuridico" che propone l'equazione: malattia uguale più carcere uguale maggiori sofferenze uguale totale illegalità del sistema penitenziario italiano. Un problema da sottoporre a giuristi perchè ne evidenzino tutta l'illegalità della presenza dei malati in carcere: un'altra pezza d'appoggio per creare mobilitazione che imponga una rapidissima soluzione del problema. Ma quando è nato questo meccanismo distruttore di ogni garanzia legale e contro ogni logica "democratica" ? E' questa la cultura che chiamiamo "emergenziale". Una cultura nata circa 30 anni fa quando il sistema di potere decise di schiacciare, annichilire, azzerare il conflitto sociale; di mettere a tacere qualsiasi voce di dissenso (tranne le clientele mafiose e corrotte legate al sistema di potere con elargizioni minime ma sufficienti per realizzare quel consociativismo che ha permesso di ottenere anche dall'opposizione la "non opposizione" prima e la collaborazione poi. E' questa stessa cultura e questa legislazione emergenziale che tiene in prigione ancora oggi a quasi 20 anni di distanza da quel conflitto oltre 200 prigionieri/e politici. Una cultura e una legislazione che il parlamento italiano non ha il coraggio di abolire, al contrario, una cultura e una legislazione che viene rinverdita e messa in atto ancora oggi contro ogni forma di opposizione appena questa si manifesti. Addirittura senza che si sia manifestata compiutamente una opposizone reale, un conflitto dispiegato. Una cultura e una legislazione emergenziale utilizzata sempre più come "sistema di governo" non solo per pacificare una realtà, quella italiana, già fin troppo pacificata, ma come meccanismo per strappare consenso a quei ceti sociali che vedono con preoccupazione ed ansia anche una ipotetica previsione di ripresa del conflitto sociale, tanto il loro sistema di arricchimento sociale è basato sullo sfruttamento illegale e illegittimo. ******************************** Gli obiettivi che ci possiamo porre Oggi è necessario, forse è anche possibile, affiancare alla grande battaglia culturale e politica che rilanci una critica al carcere e alle istituzioni totali -critica cha va condotta a tutto campo- anche una serie di obiettivi minimi che però vadano nel senso della liberazione dal carcere e soprattutto che siano raggiungibili nell'oggi. Facendo una rapida ricognizione sulle possibilità di costruire una manciata di obiettivi raggiungibili, notiamo: 1-L'esistenza di un progetto di legge (Pisapia alla camera e Salvato al senato) che interviene sul tema delle malattie incompatibile col carcere (Aids, epatite, cardiopatie, ....). Questo progetto di legge va visionato e analizzato per vedere se risponde alle necessità dei detenuti malati, dopodichè va messa in atto una forte campagna per la sua approvazione in tempi rapidi, coinvolgendo forze sociali e politiche. 2-Rilanciare l'obiettivo della "depenalizzazione dei reati minori" , verificando se esistono progetti di legge in tal senso, altrimenti costruire un gruppo di lavoro per la stesura del progetto di legge con il coinvolgimento di forze politiche; quindi realizzare una campagna per l'approvazione di questa legge. Va precisato cosa intendiamo per "reati minori" : intanto quelli la cui pena attuale non supera i 4 anni di reclusione, poi tutti quelli connessi con l'uso di stupefacenti, e sopratutto quelli legati al conflitto sociale, oltre a quei comportamenti metropolitani oggi diventati comportamenti di massa. 3- Un altro obiettivo è quello di costruire le condizioni per una piena applicazione non discrezionale della Legge Gozzini e dell'approvanda Legge Simeone-Saraceni. Per far questo è necessaria una forte controinformazione a livello di campagna sociale e per mezzo della stampa e coinvolgere associazioni (Antigone, ecc.,) e parlamentari perchè si arrivi a mettere per scritto norme di applicazione della Legge Gozzini e delle altre "pene alternative alla detenzione" che consentano un più uniforme e più ampia applicazione delle suddette leggi. 4- Va raccolta l'idea di alcuni compagni di Radio Onda Rossa, ripresa dalla Rete Sprigionare di proporre a quei parlamentari "più sensibili" e agli "operatori penitenziari" disponibili di organizzare una serie di visite nelle carceri italiane per monitorare le condizioni effettive di vita dei detenuti e i problemi più gravi esistenti, in modo da avere un quadro più completo e realistico possibile della effettiva situazione dei penitenziari italiani. 5- Costruire nel movimento romano una rete di "solidarietà effettiva" intendendo con ciò tutti quegli aiuti che consentono di "far uscire dal carcere" un numero via via crescente di detenuti, attraverso l'offerta di un lavoro, di una dimora, ecc.