BASTA STUPRI

documento del CSOA Macchia Rossa di Roma (luglio 2000)

La rabbia e lo sgomento per quello di cui scriviamo ci portano a formulare i nostri pensieri e le nostre emozioni in maniera confusa ma decisa e determinata, cercando di esprimerli in continua apertura dialettica, tendendo al confronto diretto, sincero, reale, senza occhi chiusi, senza liquidare nulla, senza banalizzare o stigmatizzare. Se qualcuno vorrà equivocare, strumentalizzare, far finta di non comprendere quello che qui c’è scritto lo farà per sua scelta, per sua volontà, noi cercheremo di essere il più chiari possibili, aperti al dialogo verso quelle situazioni collettive e quei singoli e singole a cui inviamo questo comunicato ma comunque fermi e risoluti sulle nostre posizioni. È ora di rompere questo vergognoso muro di silenzio e di omertà.

Un fatto:

Un militante di una struttura antagonista romana cinque anni fa ha stuprato, picchiato, sequestrato e rapinato una compagna spagnola. Questo il fatto. Questa la notizia comunicataci oltre un mese fa. Del resto non ci interessa discutere. Partiamo da un punto di vista chiaro: quando una donna afferma di essere stuprata noi le crediamo senza ombra di dubbio. Chi non lo fa, chi indaga, chi mistifica in tutte le forme e in tutti i modi possibili e immaginabili assume il punto di vista dei Tribunali dello stato italiano, cioè che è la donna a dover giustificare le proprie accuse, l’unico caso in cui l’imputato è la vittima, costretta a dimostrare la veridicità delle proprie affermazioni con referti medici, testimonianze, e quant’altro sia necessario.

Un altro fatto:

In un centro occupato di Roma una donna ucraina viene violentata e picchiata da venti ( o 2, poco cambia ) stupratori moldavi, è costretta a gettarsi dalla finestra per fuggire, viene ripresa e la violenza continua.
Dei responsabili nulla sappiamo, tranne che quando la donna violentata si trovava ricoverata in ospedale, loro la aggrediscono, per costringenrla a ritirare la denuncia che aveva sporto. Di quello che avviene successivamente nulla sappiamo. Una violenza inaudita, che ci lascia assolutamente allucinati. Questa avviene in uno spazio occupato.

Gli episodi in sé ci scandalizzano, ma non molto di più di quelli, analoghi, che leggiamo ogni giorno sui giornali: ormai da tempo infatti abbiamo perso l’illusione che l’ambito dei compagni e delle compagne fosse un “isola felice” in cui i rapporti tra le persone e tra i generi non fossero regolati dalla sopraffazione come nel resto della società. Quello che ci indigna per davvero è il ripetersi, sebbene mascherate e falsamente giustificate da motivi politici, le stesse identiche dinamiche che seguono ogni caso di stupro, nelle famiglie, nei tribunali, nei paesi, nelle città: l’episodio viene messo in dubbio, nascosto, raccontato al minor numero di persone possibile, la vittima viene screditata.

La non chiarezza, il silenzio, l’omertà, circondano da sempre lo stupro.
Gli uomini da sempre, come genere, non discutono di stupro, di ogni forma di violenza e prevaricazione che viene compiuta verso le donne, lavandosi la coscienza con l’affermazione che non riguarda loro (uomini buoni) ma le donne violentate e gli stupratori e coloro che picchiano e prevaricano le donne. Al limite basta l’isolamento e il pestaggio.
Non basta. Così non è.
Anche noi siamo colpevoli. Anche noi siamo colpevoli perché non combattiamo la cultura dello stupro, della sopraffazione, della violenza. Non la combattiamo quotidianamente, sorridiamo quando vengono fatti discorsi sul linguaggio sessista, crediamo di essere estranei a tutto questo, agiamo ingenuamente e con leggerezza e superficialità, e quindi alimentiamo la cultura dello stupro, perché alimentiamo il chiacchiericcio, il pettegolezzo, non azzeriamo i dubbi e le dicerie.
Nessuno può chiamarsi fuori.
Nessuno ha alibi.

Come compagni e compagne di un Centro sociale occupato e autogestito che interviene nel quartiere di Magliana e nell’intero territorio capitalistico cittadino nelle forme e nei modi spesso limitanti ma comunque sempre con l’ottica di costruire percorsi generali per lo sviluppo dell’autorganizzazione sociale, ci sentiamo partecipi di tutto, e per questo prendiamo la parola, ci interroghiamo e interroghiamo gli altri su quello che è avvenuto. Senza angusti confini territoriali, politici, sociali, culturali. Noi ne parliamo perché siamo parte in causa, ci sentiamo parte in causa e non chiudiamo gli occhi.
Non crediamo assolutamente nella delega, nella democrazia delegata e concertativa, nel chiacchiericcio, nel verticismo, nel tatticismo politicista. Al contrario pensiamo che si possa e si debba parlare e agire su tutto, sempre con cognizione di causa certamente, ma non c’è nulla su cui ci si possa tirare indietro. Meno che mai in una vicenda del genere, perché la deresponsabilizzazione equivarrebbe di fatto ad una forma di omertà. Su questo siamo critici soprattutto con noi stessi, sempre pronti a scrivere di sfratti, salario, Kurdistan e antifascismo ma silenziosi di fatto su quello che accade a fianco e dentro di noi. Perché cresciuti in una cultura sessista, maschilista, prevaricatrice, antidialettica, da cui ancor oggi non riusciamo a prendere le distanze, a combatterla, e questo comunicato, ce ne rendiamo benissimo conto, è solo un primo passo. Necessario. Per questo rimaniamo allucinati dalla mancanza di comunicazione reale che c’è stata fra le situazioni dell’area antagonista, quelle situazioni con cui su tante altre cose, discutiamo, litighiamo, pratichiamo o almeno diciamo di farlo, una cultura antagonista.

Cosa facciamo noi, i Cobas confederazione nazionale, il Coordinamento cittadino di lotta per la casa, il Comitato di lotta Quadraro, il Comitato di lotta Primavalle, il Cso Ricomincio dal Faro, il Csoa I Po’, il Csa Vittorio Occupato, Claro, Radio onda Rossa ?
Perché quando si tratta di organizzare manifestazioni per il diritto alla casa, contro gli sfratti, contro i lager per immigrati, presidi antifascisti a San Lorenzo e all’Alberone il tempo per fare diecimila riunioni, incontri, litigate, comunicati, manifesti, il tempo e la volontà di incontrarci si trova sempre e quando si tratta di parlare di stupro, violenza sulle donne, atteggiamenti maschilisti, sessisti e violenti, negazione degli spazi di genere, il tempo non c’è mai ? Dobbiamo interrogarci. A fondo.
Non basta vergognarci di ciò, non basta scandalizzarci per questo. Proprio non basta. Dopo l’aggressione ai compagni del Quadraro avvenuto nel Marzo scorso abbiamo fatto un’immediata riunione e un’assemblea successiva con più di cento persone con tanto di scomuniche, isolamenti e interruzioni di rapporti. Per una cosa mille volte più grave solo silenzio, deresponsabilizzazioni, tanti “io non c’entro”, o peggio ancora assunzione di atteggiamenti machisti: come i familiari di una donna stuprata lavano l’onta con la vendetta, pulendosi la coscienza, e fanno calare un muro di silenzio sul fatto facendo vivere uno stupro subito come una vergogna, a uno stupro nel movimento si risponde col silenzio e al massimo con una vendetta ad personam.

Non c’è bisogno di guerrieri e cavalieri. Quelli li lasciamo volentieri alla cultura medievale e neo fascista. E non c’è bisogno neanche di coatti, quel modello lo lasciamo alla cultura di strada, fatta di violenza, sopraffazione e criminalità organizzata, che, per chi se lo dimentica ai compagni non vuole mica bene…

Ma non ci si può limitare ad una scandalizzata reazione agli stupri avvenuti, è necessario metterci in discussione. Per esempio, come mai nella battaglia sulle TRA siamo oggettivamente assenti, considerando più o meno inconsciamente la lotta per il diritto all’aborto come un problema delle donne, di cui fondamentalmente ce ne freghiamo. Ci siamo resi conto nelle nostre riunioni che la nostra assenza su queste tematiche non può essere semplicemente giustificata con una carenza di energie o da altre necessità tattiche. Stiamo cercando di capire,seppur tra mille difficoltà e tempi lunghi, stiamo cercando di cambiare la nostra visione e la nostra pratica politica.

Solo una piccola e breve nota.
Questo non è un comunicato di risposta alla lettera del Circolo Culturale Valerio Verbano, crediamo che sia talmente ignobile da non meritare seguiti. Il vergognoso stile della lettera, le assurde affermazioni, le provocazioni e le menzogne continue ci portano a decidere unilateralmente di interrompere qualsiasi rapporto con loro, rapporti già di per se scarsi e quasi inesistenti. Perciò da oggi comunichiamo che consideriamo la loro presenza non tollerabile.

Ancora una nota.
Noi non abbiamo partecipato alla riunione tenutasi giovedì pomeriggio in Via dei Volsci perché, e ci teniamo a ribadirlo, non abbiamo bisogno di nessuna conferma, neanche dai Dirigenti venuti dall’Estero. Soprattutto i 5 anni di silenzio gettano un’ombra allucinante su chi oggi convoca riunioni tardive.

Forse qualcuno dopo questo comunicato si sentirà autorizzato ad organizzare una spedizione punitiva per reprimere il dissenso. Poco importa.

L’indirizzo della nostra sede è pubblico, le nostre facce sono conosciute e questo fa di noi dei facili bersagli. Poco importa. Ci assumiamo in pieno la responsabilità di scrivere ciò che pensiamo e siamo pronti a difendere le nostre idee, i nostri comportamenti e i nostri corpi.
Certo è che questo mostrare continuamente i muscoli per reprimere il dissenso, il pensiero e le pratiche antagoniste a noi fa schifo. È una logica che rifiutiamo, che vogliamo combattere e bandire.

Quello a cui abbiamo assistito mercoledì sera in Via dei Volsci è allucinante. Abbiamo visto staccare metodicamente tutti i manifesti affissi dalle compagne femministe su queste vicende. Su quei manifesti, come in questo comunicato, non c’era nessuna accusa ad personam o a struttura. Su quei manifesti abbiamo letto un grido e una riflessione su quello che accade dentro di noi, fuori di noi, a fianco a noi. Quei manifesti e il successivo comunicato li sottoscriviamo in pieno e saremo pronti a diffonderli.

Alle strutture nominate sopra, ad altre situazioni sensibili e intelligenti, ai singoli e alle singole chiediamo di prendere posizione, di uscire allo scoperto, di prendere la parola, di interrogarsi a fondo su quello che siamo e che sta accadendo, così come faticosamente stiamo cercando di fare noi.
Siamo stanchi di uno pseudomovimento fatto di coattagine, sopraffazione, spaccio, omertà (ne abbiamo già abbastanza nelle strade del nostro quartiere); siamo stanchi di una politica fatta sempre più di tatticismi e prevaricazioni fisiche (ci bastano i partiti e le organizzazioni ML); proveremo invece nel nostro piccolo, al Centro Sociale Macchia Rossa Magliana, tra mille difficoltà, a metterci in discussione, a cambiare il nostro modo di socializzare, di stare insieme, cercando faticosamente di creare nella pratica, sin da oggi, senza aspettare l’ora X della rivoluzione, una società diversa!

CENTRO SOCIALE OCCUPATO AUTOGESTITO MACCHIA ROSSA MAGLIANA
Via Pieve Fosciana, 56\82
Tel\fax 0655260306
e-mail: csoamacchiarossa@tiscalinet.it


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