Resoconto incontro a Torre Maura Occupata 29.10.2003


e successive repliche sulla Lista GIRAVOCE

L'identita' di genere: analizzare se stessi come punto di partenza per cogliere le diversita' sessuali. L'interrogativo che ci si e' posti, e che ha a lungo attraversato la discussione, e' stato quanto della nostra identita' di genere e' frutto di un processo biologico e quanto invece di un processo sovrastrutturale. Soprattutto ci si e' chiesti fino a dove arriva questo retaggio culturale e sociale imposto fin dai primi vagiti; cioe' quanto questo, anche dopo essersi scrollati di dosso i ruoli piu' palesi imposti dal patriarcato, determina le nostre scelte e le nostre emozioni. In merito c'e' anche un testo distribuito a Torre Maura da inserire.
[ndr: leggersi "Dalla parte delle bambine" di Elena Giannini Belotti]

L'argomento ha aperto e spostato la discussione su livelli molto teorici, spesso pero' anche privi di un riscontro immediato sul reale. Abbiamo citato i processi di elaborazione cerebrale e le differenze di interazione fra le varie parti del cervello, un po' confermando e po' smentendo la "comune" definizione di parte destra e sinistra della mente umana (cioe' parte razionale e istintiva, quindi parte maschile e femminile). Allo stesso modo abbiamo discusso, con non poche perplessita', sul procedimento logico "circolare" (tipico delle donne) e "lineare" (razionale e dunque dell'uomo). Le opinioni sono state divergenti in merito, soprattutto perche' a molti e' sembrato piu' una differenza di elucubrazione individuale che di genere.

Abbiamo provato a definire, con una serie di aggettivi, l'identita' (e quindi il ruolo) maschile e l'identita' femminile. E' stato pero' molto piu' semplice parlare dell'idea standardizzata di uomo/donna piuttosto che riuscire a capire quanto di cio' e' specifico del genere. Esempio comunita' indigene rurali e/o primitive: anche li' esiste, benche' la societa' sia strutturata in maniera radicalmente diversa e nonostante i principi autogestionari che regolano la comunita', una forte e marcata suddivisione dei ruoli . E' allora "istintivo" per un genere fare certe cose? Per quanto l'interrogativo e' pericoloso (perche' apre la strada a tutte le scuse con cui poi la donna e' sottomessa), rimane di difficile soluzione. C'e' cmq chi ha ribadito che, benche' ci sia una precisa divisione dei ruoli, quello della donna cmq non e' inferiore a quello dell'uomo ai fini della sopravvivenza della comunita', e come tale e' considerato/rispettato. Nella nostra societa', e in genere nelle societa' che derivano dalle grandi religioni monoteiste, oltre alla divisione dei ruoli assistiamo anche a una gerarchizzazione dei rapporti (uomo-lavoratore, donna-casalinga), in cui la donna e' appendice del maschio. In merito abbiamo ricitato parti dell'analisi inserita gia' nell'A4newsbot #6 e nella precedente dispensa del workshop al laurentino:

"...lo stretto vincolo tra sessismo e gerarchia si evidenzia al passaggio dalla piccola società primitiva di villaggio all'avvento delle grandi civiltà. E' l'avvento dell'agricoltura. E il passaggio più profondo avvenne dentro la psiche dell'individuo. Le donne cominciano a perdere quella parità che fino ad allora avevano avuto con gli uomini (ma ci sono anche state società matriarcali); un cambiamento che riguarderà non solo la loro condizione di vita, ma anche il modo di pensare se stesse. Sia a casa che nell'economia la divisione del lavoro perde le precedenti forme egualitarie e diviene sempre più gerarchica. Gli uomini rivendicano la superiorità del loro lavoro rispetto a quello delle donne; più tardi l'artigiano affermerà la sua superiorità sul contadino ed infine l'intellettuale affermerà la sua sovranità sugli operai. La gerarchia si instaura nell'inconscio individuale in un sistema convalidato anche dalla religione, dalla morale e dalla filosofia. "

Dopo questa disgressione teorica, abbiamo cercato di ricentralizzare, senza risuscirci, la questione sul pratico o per lo meno sulla situazione attuale (nostra). Dico senza risultato perche' spesso nella discussione c'e' una difficolta' di comprensione di fondo (rilevatasi in entrambi gli appuntamenti) di non capire bene di QUALE situazione parliamo. Perche' e' evidente che abbiamo di fronte a noi almeno tre realta' da analizzare (e una cosa che e' vera per una, non necessariamente potrebbe esserlo per un'altra):

1) Il mondo e la societa' gerarchica nel suo complesso. La donna come figura inferiore, sottomessa, finalizzata al maschio. E' la figura/realta' tipica della societa' fordista (uomo operaio - donna casalinga), della societa' contadina e delle civilta' monoteistiche. E' la condizione reale di centinaia di milioni di donne nel sud (e non solo) del mondo. E' quanto le battaglie per i diritti civili (e dei movimenti femministi) hanno combattuto, ma che ancora vive come retaggio culturale (specie in famiglia, per strada, al muretto sotto casa, nei quartieri popolari). E' il cosidetto "processo culturale" che va molto piu' lento del "processo sociale" [vedi punto 2].

2) La societa' neoliberista e postfordista nei paesi occidentali. Il modello di uomo e donna hanno subito una forte trasformazione rispetto al modello "storico". Ovviamente questa trasformazione, che passa anche per il riconoscimento legale/giuridico (della capacita' produttiva) della donna, e' finalizzato esclusivamente all'adattamento della forza lavoro ai nuovi modi di produzione. Il sogno di una societa' di consumatori standardizzata e uniformata, che distingue il cliente solo in base ai gusti dei prodotti che compra, rappresenta un'ambizione cosi' ghiotta per le Corporation che passa sopra le differenze di genere (maschili, femminili e glbt). Naturalmente anche la societa' postfordista mantiene la divisione dei ruoli, ma semplicemente non fa della divisione "uomo/donna" un perno della sua economia (come invece era per la societa' fordista). E' la realta' delle donne manager, della donna soldato, della donna intraprendente e dinamica. E' l'estensione dei paramentri maschili all'universo femminile. E', infine, quella realta' che si va profilando nella cultura piu' progressista e socialdemocratica, come nella cultura nordeuropea. E' comunque un processo che corre molto piu' veloce dei cambiamenti culturali.
(Anche su questo ci sono pareri discordanti)

3) La nostra realta' specifica, in qualche modo sgombra dei pesi piu' onerosi del patriarcato, ma non immune a sessismo/divisione dei ruoli, etc... Al nostro interno c'e' cmq un ennesima divisione perche' se parliamo di Movimento (in piazza, in assemblea, nei posti degli "altri") in generale abbiamo determinati problemi, se parliamo dei nostri posti specifici (casa, convivenze, ns iniziative) ne parliamo di altri ancora.

In questo dibattito (ovvero sul LAG che intercorre fra i cambiamenti economico/sociali e quelli culturali) si e' inserita in maniera vivace una discussione su famiglia/figli/lavoro. Perche' se e' vero che il modello di donna che il capitalismo ci offre oggi e' un modello "emancipato" quanto quello maschile (aspirazione alla carriera, cultura lavorista) e' pur vero che cmq la donna deve pensare alla casa, alla famiglia, ai figli. Un intervento ha fatto notare quanto questa aspirazione al benessere economico e a un prestigio nel mondo del lavoro (aspirazione delle ragazze di oggi) di fatto cela un'ansia di "doversi sistemare" per cmq sposarsi e fare figli (magari da lasciare alla baby sitter). Ne e' scaturita una breve discussione intorno alla condizione forzata/desiderata della maternita' e dell'educazione dei figli. Perche' da una parte la realta' sociale impone alla donna la scelta di essere madre, dall'altra la carriera, ma anche il lavoro in genere, alienano la madre dal rapporto esclusivo con i figli e la loro crescita.
Il discorso ovviamente non e' stato esuarito, ma solo affrontato/confrontato con le esperienze personali.


Per correttezza, dato che non la condivido affatto, devo dire che c'e' stata (sparsa nella discussione) qualche presa di posizione che sosteneva che non esiste nessuna identita' di genere ma solo identita' individuale. Cioe' che quello che ci divide e' tutto un retaggio culturale.

Infine, ma proprio in fine!, siamo tornati indietro a recuperare un po di senso pratico nel workshop antisessista, decidendo, per la prossima volta, di vagliare quali atteggiamenti REALI ci infastidiscono e come dobbiamo organizzarci per combattere la cultura sessista nei nostri posti e per strada. Le possibilita' di creare materiali in comune (manifesti, un video, un cd, una raccolta di scritti) sembra sia una buona strada da intraprendere.

F.


In merito abbiamo ricitato parti dell'analisi primitivista di Zerzan, inseriti gia' nell'A4newsbot #6 e nella precedente dispensa del workshop al laurentino:

"...lo stretto vincolo tra sessismo e gerarchia si evidenzia al passaggio dalla piccola società primitiva di villaggio all'avvento delle grandi civiltà. E' l'avvento dell'agricoltura. E il passaggio più profondo avvenne dentro la psiche dell'individuo. Le donne cominciano a perdere quella parità che fino ad allora avevano avuto con gli uomini (ma ci sono anche state società matriarcali); un cambiamento che riguarderà non solo la loro condizione di vita, ma anche il modo di pensare se stesse. Sia a casa che nell'economia la divisione del lavoro perde le precedenti forme egualitarie e diviene sempre più gerarchica. Gli uomini rivendicano la superiorità del loro lavoro rispetto a quello delle donne; più tardi l'artigiano affermerà la sua superiorità sul contadino ed infine l'intellettuale affermerà la sua sovranità sugli operai. La gerarchia si instaura nell'inconscio individuale in un sistema convalidato anche dalla religione, dalla morale e dalla filosofia. "

che pero' non e' Zerzan ma Murray Bookchin, (L'ecologia della libertà, emergenza e dissoluzione della gerarchia, Eleuthera,Milano, 1996) e la differenza di pensiero e' notevole e credo che se dai del primitivista a Bookchin ti tira il bastone (dato che non e' un pischello) http://www.tmcrew.org/eco/primitivismo/bookchin.html

 

Naturalmente anche la societa' postfordista mantiene la divisione dei ruoli, ma semplicemente non fa della divisione "uomo/donna" un perno della sua economia (come invece era per la societa' fordista). E' la realta' delle donne manager, della donna soldato, della donna intraprendente e dinamica.

??? io continuo a ribadire di non essere affatto d'accordo su questo superamento del sessismo da parte del capitalismo

ciao

L.


Non si puo' dire che il neoliberismo, nei paesi occidentali, fondi la propria economia sul lavoro domestico non retribuito delle donne... questa e' stata un plusvalore costante e determinante dell'economia fordista, ma oggi il capitale si basa (tende a basarsi) su una diversa divisione di ruoli sul lavoro.

Il lavoro non retribuito delle donne era una riserva di energia (in termini economici ma non solo) gratuita senza fine; oggi invece "serve" la donna in qualita' di LAVORATRICE e CONSUMATRICE, anche perche' il lavoro domestico appartiene a tutta un'altra categorie di soggetti sociali (donne migranti principalmente).

Il sessismo non sparisce nel postfordismo e possiamo ben scordarci di sperare che esso scompaia nel capitalismo; semplicente cambiano i modelli di riferimento e di produzione e, per me, dire oggi che il capitalismo si regge sul medesimo dualismo di allora e' anacronistico, perche' significa sottovalutare i cambiamenti in atto.

ciao

F.


neanche il fordismo *si regge* su questo, pero' non vedo dove si siano aperte strade smisurate x opportunita' di carriera o lavoro o le donne si siano svincolate anche dai lavori di cura dei figli e gestione della casa nel passaggio da economia fordista a neoliberista

io continuo a fare riunioni di lavoro dove quando parli con la dirigenza sono solo maschi

ossia questo cambiamento epocale nella vita delle donne dagli anni ottanta ad oggi io non lo vedo proprio, non so le donne

e non rispondete sono nata nel 1983...

:-))

Il lavoro non retribuito delle donne era una riserva di energia (in termini economici ma non solo) gratuita senza fine; oggi invece "serve" la donna in qualita' di LAVORATRICE e CONSUMATRICE, anche perche' il lavoro domestico appartiene a tutta un'altra categorie di soggetti sociali (donne migranti principalmente).


seee.... la soggettivita' del proletariato se deve ancora puli' casa da sola
e ti parlo di proletariato, non sottoproletariato

ossia lavorano lui e lei (o lui e lui, lei e lei etc) e ahime', ma il lavoro domestico appartiene ancora alla categoria del soggetto sociale di loro stessi... piu' che altro di lei

Il sessismo non sparisce nel postfordismo e possiamo ben scordarci di sperare che esso scompaia nel capitalismo


se e' per questo bisogna riconoscere, compagni, che nell'edificazione della societa' socialista e poi nel socialismo reale profondi mutamenti su questo fronte furono tentati o realizzati


semplicente cambiano i modelli di riferimento e di produzione e, per me, dire oggi che il capitalismo si regge sul medesimo dualismo di allora e' anacronistico, perche' significa sottovalutare i cambiamenti in atto.


te volevi dire la societa' patriarcale si fonda su questo - oggi non e' piu' cosi'?

il capitalismo credo si regga ancora sulla proprieta' dei mezzi di produzione e la capacita' di sfruttamento e di estrazione di plus valore - che poi questo avvenga a livello nazionale o con l'avvento della rivoluzione informatica a livello globale ne cambia poco, continua a tirare fuori profitto da uomini donne animali pianeta terra e tutto quello che gli capita a tiro nell'immediato

L.


secondo me si puo' parlare di un superamente in termini economici ma non in termini culturali. E' anche ironico che come immaginario collettivo che noi abbiamo quello della donna manager, della donna soldato, della donna intraprendente e dinamica.

credo che la percentuale di donne che ricoprono ruoli del genere siano in aumento, considerando gli ultimi tren'anni della storia italiana, ma non sono ancora un numero significativo per parlare di un vero e proprio cambiamento a livello sociale. il grosso cambiamento a livello sociale c'e' stato negli anni 70 quando da una situazione in cui tutte le donne stavano a casa a fare le casalinghe a causa di una crisi economica la maggior parte delle donne uscirono dalle case per andare a lavorare (basta vedere la differenza tra la generazione delle nostre nonne e quella delle nostre mamme).

Al capitalismo per molti versi non gli importa nulla di che sesso sei basta che consumi-produci-crepi, ma un elemento che ancora non e' uscito fuori e' che al "capitalismo" interessa moltissimo che tu donna crei prole da poter allevare in modo che anche la tua prole potra' consumare-produrre-crepare.

ciao lamp


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