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Anno 501 la conquista continua (indice)


PARTE QUARTA.
AMNESIE OCCIDENTALI.


Capitolo 10.
QUANDO SI UCCIDE LA STORIA.

7. IL MITO DI J. F. KENNEDY.

Tra i più recenti anniversari della nostra storia ve n'è uno che non è stato commemorato da nessuno, per il quale l'ironia - per usare una parola comunque inadeguata - della storia è ancora maggiore che in altri casi. Il 50esimo anniversario della 'data che sarà sempre sinonimo di infamia' coincise con il 30esimo anniversario dell'escalation bellica in Vietnam decisa da John F. Kennedy e che vide il passaggio dalle azioni terroristiche, anche se su vasta scala, all'aggressione diretta. L'11 ottobre del 1961, Kennedy ordinò l'invio nel Vietnam del Sud dello squadrone aereo "Farmgate", composto da 12 aerei particolarmente equipaggiati per l'antiguerriglia (bombardieri T-28, S.C.-47 e B-26). In un primo tempo quei velivoli vennero autorizzati a "compiere missioni coordinate con piloti locali a sostegno delle forze di terra vietnamite". Il 16 dicembre di quello stesso anno, il segretario alla Difesa McNamara autorizzò quindi la loro partecipazione diretta ad operazioni di combattimento. Questi furono i primi passi verso il coinvolgimento diretto di forze Usa nei bombardamenti ed in altre operazioni di guerra nel Vietnam del Sud a partire dal 1962, alle quali si accompagnarono missioni di sabotaggio nel Nord. Le decisioni prese a Washington nel 1961-1962 gettarono così le basi per l'enorme escalation del conflitto negli anni che seguirono (59).

Come abbiamo visto, l'anniversario in realtà non è passato del tutto in silenzio: Bush scelse l'occasione - quasi 30 anni dopo il primo fatidico passo di Kennedy in quella direzione - per bloccare l'ingresso del Vietnam nella comunità internazionale, e l'apparato propagandistico Usa ritirò fuori con profonda ipocrisia il problema dei soldati dispersi. Per quanto ci risulta, la stampa, con due sole eccezioni - Michael Albert ("Z Magazine") e Alexander Cockburn ("Nation", "Los Angeles Times") - non ha per nulla sottolineato la coincidenza tra i due anniversari (60).

In un mondo onesto e veritiero, ciò sarebbe avvenuto per le differenze - così profonde da rendere qualsiasi paragone improprio ed irrilevante - tra l'attacco giapponese a Pearl Harbor e quello Usa nel Vietnam: nel primo caso si trattò del bombardamento di una base militare in una colonia Usa quando già vi erano forti contrasti tra i due paesi, nel secondo di un'aggressione gratuita contro una popolazione civile indifesa a 10 mila miglia di distanza. La storia non presenta esperimenti facilmente paragonabili, ma coloro che cercano un'analogia potrebbero, forse, avvicinare l'attacco a tradimento giapponese al bombardamento Usa della Libia nel 1986, sincronizzato attentamente per i notiziari nazionali delle ore 19.00; gli esperti in pubbliche relazioni di Reagan avevano infatti preso ad esempio Lindon Johnson, che aveva ordinato di bombardare il Vietnam del Nord, come rappresaglia per il presunto incidente del golfo di Tonkin nell'agosto 1964 alle ore 19.00 in punto, anche se i militari non poterono accontentarlo. Ma anche questo paragone, a ben vedere, non è corretto... nei confronti dei giapponesi. L'attacco Usa alla Libia, diretto ad obiettivi civili, si basò su falsi pretesti; anche la 'rappresaglia' per il presunto incidente del golfo di Tonkin si rivelò ben presto, ovviamente al di fuori della compiacente cultura ufficiale, essere frutto di una truffa ai danni dell'opinione pubblica (61).

Ma tali pensieri sono forse troppo originali per soffermarcisi. Mettiamoli quindi da parte, anche se qualcuno potrebbe trovarvi qualche spunto di riflessione sul cinquecentenario della Conquista.
Le coincidenze del 1991-1992 sono state notevoli: una grande indignazione pubblica nel 50esimo anniversario di Pearl Harbor, ma senza alcun approfondimento sui retroscena dell'attacco giapponese; lunghi studi sulla 'mentalità dei giapponesi' ed i suoi difetti a livello sociale e culturale; silenzio sul 30esimo anniversario dell'inizio degli attacchi contro la popolazione civile del Vietnam del Sud da parte di John F. Kennedy. Tutto ciò ha costituito un raro tributo alla vigliaccheria morale e alla corruzione intellettuale del nostro paese, naturali conseguenze dell'immunità assoluta.

Si potrebbe inoltre notare un'ultima coincidenza, di non poco interesse. Il dimenticato 30esimo anniversario dell'aggressione al Vietnam iniziata da J. F. Kennedy fu anche l'occasione per una dilagante campagna celebrativa del leader scomparso il quale, si è sostenuto in varie sedi, avrebbe voluto ritirarsi dal Vietnam - un fatto questo del quale non vi è traccia nei media del tempo - e si è arrivati a sostenere che il Presidente americano sarebbe stato assassinato proprio per questo. L'ammirazione reverenziale per Kennedy, l'eroe solitario, ucciso mentre (e forse perché) tentava di impedire la guerra Usa in Vietnam, rende ancora più interessante quella domanda per una certa autocritica, se non rimorso, che invece ha trovato ben poco spazio nelle discussioni sul 500esimo anno della Conquista. Lo spettacolo celebrativo di J. F. Kennedy è proseguito per tutto il 1991-1992 a vari livelli, dal mondo del cinema a quello accademico, coinvolgendo alcuni dei più rinomati intellettuali kennediani e dei settori significativi dei movimenti popolari nati in gran parte dall'opposizione alla guerra in Vietnam. Malgrado abbiano profonde divergenze in altri campi, anche su alcuni aspetti di questa vicenda, ciò nondimeno tutti questi settori condividono l'idea secondo la quale la storia avrebbe drammaticamente cambiato percorso in seguito all'uccisione di Kennedy nel novembre del 1963, un fatto che avrebbe gettato un'ombra oscura su tutti gli eventi che lo seguirono. Senza considerare il grande tempismo della campagna fatta coincidere proprio con il cinquantenario, il nuovo entusiasmo per Camelot è una manifestazione interessante ed illuminante del clima culturale e politico dei primi anni '90.

Non vi sono dubbi sulle gravi conseguenze dell'aggressione di Kennedy al Vietnam nel 1961. La natura dei suoi piani e le reazioni che provocarono sono di grande interesse in quanto la verità su questa vicenda potrebbe influenzare in modo significativo la comprensione della realtà attuale, dei meccanismi di formazione della memoria storica e, quindi, le aspirazioni ad un futuro migliore. Ad un estremo del dibattito troviamo la tesi secondo la quale l'assassinio del Presidente, per quanto tragica possa essere l'uccisione di un individuo, fu un avvenimento senza profonde conseguenze politiche, qualunque cosa si possa pensare quando non ci si basa sui dati di fatto (62); all'altro estremo si sostiene invece che ci saremmo trovati di fronte ad un evento storico di grande importanza e portata, e di sinistro presagio.
Su questa vicenda esiste una vastissima documentazione: in particolare, la quantità di documenti interni disponibili è maggiore che in altri casi. Anche se la storia non permette mai conclusioni definitive, in questo caso, a mio avviso, la ricchezza della documentazione, e la sua rilevanza, permettono dei giudizi insolitamente netti. La questione ha risvegliato grande interesse e pur essendo tale da meritare una discussione a parte, proverò qui a riassumerla nelle sue linee generali (63).

La politica Usa in Vietnam rientrava nella dottrina che era stata elaborata per il Nuovo Ordine internazionale all'indomani della Seconda guerra mondiale, e che subì pochi cambiamenti fino a quando il quadro di riferimento generale venne modificato nei primi anni '70. Gli Stati Uniti così ben presto scesero in campo a fianco della Francia, pienamente consapevoli fin dall'inizio di mettersi contro le forze del nazionalismo indocinese e che i propri alleati locali non avrebbero potuto prevalere in una normale competizione politica. Per questa ragione non venne mai presa in considerazione l'ipotesi di un uso dei mezzi pacifici; al contrario tale eventualità fu sempre considerata una minaccia da evitare. Il governo Usa era anche consapevole che il consenso interno per le guerre e la destabilizzazione di altri paesi era piuttosto scarso. Da qui la convinzione che fosse necessario concludere l'operazione molto rapidamente, lasciando l'Indocina, per quanto possibile, sotto il controllo di regimi satelliti locali.

Le politiche di fondo rimasero invariate negli ambienti di governo (ed in generale nelle élite dominanti) dal 1950 fino ai primi anni '70, anche se verso la fine furono sollevati seri interrogativi a proposito della loro praticabilità, anche in termini di costi. Gli accordi di Ginevra del 1954 furono così immediatamente silurati e gli Usa imposero un fragile regime fantoccio in quello che si chiamò il 'Vietnam del Sud'. Privo del sostegno popolare, il regime ricorse al terrore su larga scala, suscitando alla fine una resistenza che non poté più controllare. Quando Kennedy arrivò al potere, il crollo della posizione Usa sembrava imminente. Il Presidente quindi intensificò la guerra fino ad arrivare all'aggressione diretta nel 1961-1962. I comandi militari erano soddisfatti per i successi conseguiti con l'uso della violenza, si convinsero che la guerra si sarebbe presto conclusa e che, dopo la vittoria, gli Usa si sarebbero potuti ritirare. Kennedy condivideva queste previsioni, anche se con alcune riserve, dal momento che non fu mai disposto ad impegnarsi per un ritiro. Verso la metà del 1963, la repressione sembrò avere avuto successo nelle zone rurali, mentre nelle città suscitò un forte movimento di protesta. Inoltre, in quegli anni, il regime filo-americano di Saigon chiese agli Usa di ridurre la loro presenza, se non di ritirarsi del tutto, ed avviò trattative con il Nord in vista di una soluzione diplomatica. L'amministrazione Kennedy allora decise di rovesciare il governo sud-vietnamita a favore di un regime militare interamente dedito ad una vittoriosa soluzione militare. Ciò avvenne con il golpe del primo novembre 1963.

Come avevano previsto i comandanti Usa, il golpe portò solo ad un'ulteriore disintegrazione del Vietnam del Sud, con il crollo della struttura istituzionale e burocratica del regime precedente, e negli Usa ad una tardiva consapevolezza che i rapporti sui successi militari non avevano alcuna base reale. Successivamente Washington modificò la sua tattica sulla base di due nuovi elementi: 1) la speranza che almeno si fosse consolidata una base per ulteriori azioni militari, e 2) il riconoscimento che la situazione militare nelle zone rurali era disastrosa. Il primo elemento rese possibile la prospettiva di un maggiore impegno militare diretto, il secondo la impose come necessità quando le precedenti speranze cominciarono a svanire. I piani per un ritiro, tutti basati sull'ipotesi di una rapida vittoria, vennero così abbandonati. All'inizio del 1965, una soluzione politico-diplomatica poteva essere impedita solamente da un'aggressione militare Usa su larga scala. Le indiscusse premesse politiche dell'Amministrazione non lasciavano altre scelte: nei primi mesi del 1965 l'attacco contro il Vietnam del Sud si fece massiccio e la guerra venne estesa anche al Nord.
L'offensiva del Tet nel gennaio del 1968, condotta dalla resistenza vietnamita, rese evidente che la guerra non poteva essere vinta rapidamente. Fu allora che le proteste interne ed il deterioramento dell'economia Usa, rispetto a quelle dei paesi concorrenti, convinsero la classe dirigente americana della necessità di preparare il terreno per uno sganciamento dal conflitto.

Così, se da una parte venne avviato il ritiro delle forze di terra, dall'altra vi fu un massiccio intensificarsi degli attacchi contro il Vietnam del Sud e l'intera Indocina nella speranza di poter realizzare, magari in parte, gli obiettivi di fondo dell'intervento. Gli Stati Uniti cercarono in tal modo di prendere tempo rinviando il più possibile i negoziati, e quando alla fine non poterono rifiutarsi di firmare un 'accordo di pace' nel gennaio 1973, annunciarono improvvisamente, nei termini più chiari ed espliciti possibili, che non lo avrebbero rispettato nei suoi punti più importanti. Ed è esattamente quel che fecero intensificando, in particolare, le azioni militari nel Sud in aperta violazione del trattato, anche grazie al fatto che l'opinione pubblica, finché questa tattica sembrò avere successo, sostenne apertamente la strategia dell'Amministrazione. La stampa dissidente poteva sì raccontare quel che stava avvenendo, ma la corrente maggioritaria era completamente chiusa a queste verità eretiche e, con coerenza impressionante, lo è ancor oggi (64). Ma gli attacchi degli Usa e del loro alleato locale provocarono di nuovo una reazione tale da far crollare il regime sud-vietnamita. Questa volta Washington non poté più intervenire direttamente per salvarlo. Con il 1975, la guerra finì.

Gli Usa avevano colto una parziale vittoria. Se da una parte i regimi fantoccio locali erano caduti, dall'altra l'intera regione era ridotta ad un cumulo di macerie, e non vi era più il timore che il 'virus' di uno sviluppo economico indipendente di quei paesi potesse 'contaminarne' altri. Inoltre, a completare il quadro, l'intera regione era protetta contro altri possibili pericoli di questo tipo da una serie di brutali regimi militari che gli Usa avevano aiutato a far andare al potere, e che massicciamente sostenevano. Un'altra conseguenza della guerra che sarebbe emersa in seguito, fu che i movimenti di resistenza del Vietnam del Sud e del Laos, sui quali più si era abbattuta la violenza Usa, arrivarono alla fine del conflitto così distrutti da lasciare il Vietnam del Nord come unico elemento dominante della scena indocinese (65). Se queste forze fossero sopravvissute alla guerra e se quei paesi avessero potuto svilupparsi autonomamente, forse l'intera storia successiva sarebbe stata diversa. La stampa ed i giornali d'opinione sono felicissimi di fornirci le spiegazioni più convenzionali, ma queste, come al solito, riflettono le esigenze della propaganda e non i fatti. In realtà i caratteri di fondo della politica Usa rimasero invariati durante l'intera vicenda: sganciarsi da un'impresa impopolare e costosa il prima possibile, ma solo dopo che il 'virus' fosse stato distrutto e la vittoria assicurata (ciò soprattutto a partire dagli anni '70, tra dubbi crescenti sulla possibilità di sostenere i regimi fantoccio locali). Ad essere modificate furono le tattiche, sempre adattate alle nuove circostanze ed opinioni. Il passaggio da un'amministrazione all'altra, incluso l'assassinio di Kennedy, non ebbe effetti particolari sulla politica Usa, e neppure sulle tattiche adottate, se prendiamo in considerazione la situazione reale e come veniva allora percepita.

La portata di queste guerre coloniali e la loro capacità distruttiva furono straordinarie, come gli effetti a lunga scadenza sulla situazione internazionale e sulla società americana. Ma nei loro elementi essenziali, le guerre d'Indocina non sono altro che uno degli episodi che caratterizzano la storia dei 500 anni di Conquista e, più in particolare, quella dell'egemonia Usa.


Note:

N. 59. "Foreign Relations of the United States", Vietnam, 1961-1963, 1ø, p. 343; 3ø, 4n. Gibbons, "U.S. Government", p. 70-71, citando la storia dell'aeronautica.
N. 60. Albert, "Z Magazine", dicembre 1991. Cockburn, "Los Angeles Times", 5 dicembre; "Nation", 23 dicembre 1991.
N. 61. Vedi cap. 2.1-2. Sul golfo di Tonkin, Chomsky, "Manifacturing Consent", 5.5.1; e "Rethinking Camelot". Sulla scelta dell'ora per il bombardamento, vedi "Foreign Relations of the United States", Vietnam, 1964-1968, p. 609.
N. 62. Una congettura è che nel Vietnam, Kennedy avrebbe potuto tendere ad una strategia per enclave del tipo proposto dal generale Maxwell Taylor e altri oppure a una modifica nixoniana con un aumento dei bombardamenti e una 'pacificazione accelerata' omicida ma con un numero molto minore di truppe Usa, mentre all'interno, potrebbe non aver continuato con tanto vigore i progetti della 'grande società' di Johnson.
N. 63. Vedi il mio articolo 'Vain Hopes, False Dreams', "Z Magazine", ottobre 1992, e per approfondimenti, vedi "On the Kennedy Assassination". Fonti già citate e altre nella letteratura dissidente diedero un quadro abbastanza preciso all'epoca, e non richiedono sostanziali modifiche alla luce di quanto successivamente emerso. Per un riassunto, vedi Chomsky, "Manifacturing Consent".
N. 64. Sulle molteplici complicità degli ambienti intellettuali nel sopprimere quanto fatto dagli Usa per bloccare gli sviluppi diplomatici, vedi Chomsky, "Towards a New Cold War", cap. 3; "Manifacturing Consent", cap. 5.5.3. La storia completa di questo occultamento - in alcuni casi, premeditato - ancora non è stata raccontata.
N. 65. Su questo argomento, vedi Chomsky, "At War with Asia", p. 286 .


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