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Anno 501 la conquista continua (indice)


PARTE TERZA.
LA STESSA VECCHIA STORIA.


Capitolo 9.
NUOVI FARDELLI PER L'UOMO BIANCO.

2. I NUOVI SCHIAVI DEL CONSUMISMO

E' importante a questo punto analizzare il concetto di 'area di sperimentazione' per le strategie economiche e politiche degli Stati Uniti. Ad esempio, secondo quanto sostiene un rapporto della "Rand Corporation", commissionato dal Dipartimento della Difesa, "gli strateghi americani hanno descritto la guerra civile in Salvador come un 'terreno ideale per collaudare' la dottrina del conflitto a bassa intensità" (meglio conosciuta dalle popolazioni del posto come una forma di terrorismo). In precedenza, il Vietnam era stato definito come "un laboratorio vivente dove possiamo osservare la ribellione sovversiva... in tutte le sue forme" (Maxwell Taylor), avendo quindi l'opportunità di "sperimentare metodi di controllo delle popolazioni e delle risorse" e di "formazione di una nazione". L'occupazione di Haiti da parte dei Marines era stata descritta, come abbiamo visto, in termini simili. La cultura ufficiale sembra destinata a credere nelle proprie illusioni (7).

In essa non vi è alcun cenno al fatto che i soggetti degli esperimenti possano avere il diritto di esprimere o meno il loro consenso, o addirittura di sapere quel che sta loro succedendo. Al contrario, essi sembrano a malapena avere i diritti delle cavie da laboratorio. Saremo "noi" a decidere quel che è meglio per loro, come abbiamo sempre fatto; un'altra caratteristica questa dei 500 anni della Conquista.

Gli uomini saggi "sanno", per esempio, che l'aumento dei consumi è uno dei valori umani fondamentali: "Se non fossimo noi ad influenzare il mondo" in questo senso, "lo farebbe qualcun altro perché quel che vediamo ovunque è l'espressione del fondamentale desiderio umano di consumare", spiega il professore Lawrence Wortzel dell'Università di Boston. Gli imprenditori Usa sono in effetti molto fortunati ad essere così in sintonia con la natura umana. E indubbiamente, a volte, i più lenti nell'apprendere devono essere aiutati a capire l'essenza della loro natura; l'industria pubblicitaria destina miliardi di dollari per stimolare questa presa di coscienza. Già nei primi giorni della rivoluzione industriale non fu un problema da poco far capire agli agricoltori la loro voglia di divenire puri strumenti di produzione e così gratificare il loro 'fondamentale desiderio umano di consumare'. A questa presa di coscienza dette un forte contributo l'assai 'visibile mano' del governo. Molto tempo dopo, quando la radio cominciò a divenire un importante mezzo di comunicazione di massa, la "Federal Radio Commission" "equiparò la radiodiffusione di messaggi dei capitalisti al 'servizio pubblico' " visto che, come scrive Robert McChesney, questa avrebbe soddisfatto i 'desideri del mercato' mentre i tentativi di accesso ai media da parte dei lavoratori e di altri settori popolari, o persino i programmi educativi, erano considerati come pura 'propaganda'. Era quindi necessario "favorire gli annunci dei capitalisti" agevolando l'accesso di questi ultimi ai canali e fornendo loro ogni assistenza (8).

A parte il costante bombardamento dei sensi da parte della pubblicità e dei media che ci dicono come la vita-dovrebbe-essere-vissuta, vi sono importanti iniziative congiunte del governo e delle grandi imprese tese a modellare i gusti dei consumatori. Un chiaro esempio è la 'Losangelizzazione' dell'economia Usa, una massiccia campagna condotta dalle istituzioni e dalle imprese per indirizzare le preferenze dei consumatori verso "i sobborghi urbani sparsi ed il trasporto individuale - invece delle città satelliti più compatibili con il trasporto misto via treno, autobus ed automobile", osserva Richard Du Boff nella sua storia economica degli Stati Uniti, mettendo in risalto il fatto che si trattava di una politica che richiedeva "la distruzione totale del patrimonio dei centri urbani" e puntava allo "spostamento piuttosto che all'incremento delle abitazioni, delle strutture commerciali e delle infrastrutture pubbliche". Il ruolo del governo federale fu quello di stanziare fondi per "la motorizzazione completa ed il ridimensionamento dei trasporti di massa di superficie"; questi furono gli obiettivi dei "Federal Highway Acts" (Decreti Federali sulle Autostrade) del 1944, 1956 e 1968, che attuarono una strategia ideata dal presidente della "General Motors" Alfred Sloan. Con essi furono stanziate ingenti somme per la costruzione di autostrade interstatali senza uscite locali, ed il Congresso delegò ogni controllo al "Bureau of Public Roads"; non più dell'1% dei fondi furono destinati ai trasporti ferroviari. Secondo la "Federal Highway Administration" le spese totali entro il 1981 sarebbero arrivate agli 80 miliardi di dollari, con altri 40 miliardi di dollari preventivati per il decennio successivo. Il processo è gestito insieme dal governo centrale e da quelli locali.

Il settore privato si è mosso parallelamente: "Tra il 1936 ed il 1950, la "National City Lines", una società finanziaria sponsorizzata e finanziata dalla G.M., la "Firestone" e la "Standard Oil" della California, acquistò più di 100 sistemi tranviari di superficie in 45 città (incluse New York, Filadelfia, Saint Louis, Salt Lake City, Tulsa e Los Angeles) per smantellarli e rimpiazzarli con autobus della G.M... Nel 1949 la G.M. e i suoi soci furono condannati per questa operazione dal tribunale distrettuale di Chicago e costretti a pagare una multa di 5000 dollari". Così alla metà degli anni '60, un'impresa economica su sei dipendeva ormai direttamente dall'industria automobilistica. La spesa federale in tal modo contribuì a mantenere a galla l'economia e, come dichiarò un funzionario del Dipartimento dei Trasporti Usa, i timori di Eisenhower di "un'altra Depressione dopo la guerra coreana" furono presto fugati. Uno dei membri del Congresso artefice del progetto delle autostrade, John Blatnik del Minnesota, osservava che con esso "si erano gettate solide basi per l'economia in tempi di recessione". Questi progetti governativi integravano gli enormi finanziamenti pubblici all'industria ad alta tecnologia, erogati attraverso il complesso militare-industriale che forniva lo stimolo ed il sostegno necessario a mantenere in vita il moribondo sistema dell'iniziativa privata, crollato durante gli anni '30 (9).

Tralasciando gli effetti avuti sull'economia, l'impatto di quel modello di sviluppo sulla cultura e sulla società è stato immenso. Il processo decisionale democratico ebbe un ruolo minimo nel disegnare questo enorme progetto di ristrutturazione del mondo contemporaneo che solo in alcuni aspetti, del tutto marginali, rispecchiò la scelta dei consumatori. Senza dubbio quest'ultimi hanno fatto delle scelte, come del resto fanno gli elettori, ma all'interno di una predeterminata cornice di ristrette opzioni creata dai padroni della società, che la gestiscono pensando soprattutto ai propri interessi. Il mondo reale somiglia molto poco ai sogni fantasiosi, adesso in voga, che vedono la Storia in marcia verso un ideale di Democrazia liberale, realizzazione ultima della Libertà.

Anche i popoli primitivi, dei quali vogliamo soddisfare le esigenze, sono spesso privi della dovuta consapevolezza ed hanno bisogno di un po' di aiuto per scoprire quel che realmente vogliono. Gli sforzi dei Gesuiti che volevano sollevare i loro protetti Amerindi da una "condizione naturale di brutalità e barbarie... erano inizialmente, ed in modo molto saggio, volti alla creazione dei loro bisogni - fonte primaria dell'attività umana" che a queste creature, come spiegava dottamente Hegel, mancava quasi del tutto. Un secolo dopo, il proconsole americano ad Haiti, il consigliere finanziario Arthur Millspaugh, osservava: "I contadini, avendo una vita che a noi sembra indolente ed inetta, sono invidiabilmente spensierati e contenti; ma, se devono essere cittadini di una nazione indipendente ed autogovernata, dovranno acquisire, o almeno il maggior numero di loro dovrà farlo, nuovi tipi di esigenze" - che l'industria pubblicitaria sarà felice di stimolare e gli esportatori Usa generosamente esaudiranno (10).

Il problema della creazione di nuovi bisogni, già presente nelle prime fasi della rivoluzione industriale, quando i contadini furono costretti al lavoro salariato, si presentò di nuovo con l'abolizione della schiavitù. In quest'ultimo caso, data la rapidità del cambiamento, il problema dovette essere affrontato direttamente e con forte determinazione. Thomas Holt ha svolto un'interessante ricerca sul caso della Giamaica dove nel 1834, in seguito ad una rivolta, i dominatori inglesi abolirono la schiavitù. Il problema era quello di far sì che il meccanismo economico basato sulle piantagioni non venisse danneggiato in alcun modo. I funzionari coloniali sapevano bene che bisognava impedire agli uomini liberati di ricadere 'nella loro barbara indolenza'. "Se le cose seguissero il loro corso naturale", osservava il segretario coloniale Lord Glenelg, "la manodopera non sarà certo attratta dalla coltivazione dei prodotti da esportazione", cioè lo zucchero. E a questo scopo consigliò vivamente una serie di misure governative per impedire agli schiavi liberati di ottenere, con buona pace della dottrina liberale, le vaste terre fertili ancora disponibili. Un altro funzionario coloniale sostenne che ciò non bastava: bisognava creare dei "bisogni artificiali", che "nel tempo sarebbero diventati reali". Nel 1833, alla vigilia dell'abolizione della schiavitù, un parlamentare inglese osservava: "Per farli lavorare e dare loro il gusto del lusso e delle comodità, bisogna insegnargli gradualmente a desiderare quegli oggetti che si possono ottenere tramite il lavoro. Vi è un progresso costante dal possesso di oggetti necessari al desiderio di quelli superflui e quelli che una volta erano oggetti di lusso, gradualmente diventano... necessari. Questo è il tipo di processo attraverso il quale devono passare i neri, e questo è il tipo di educazione che dovrà essere loro impartita nel periodo di prova" dopo l'emancipazione. Altrimenti, secondo un alto funzionario coloniale, il Governatore Charles Metcalfe (1840), "non saranno stimolati a lavorare". Con tali metodi, notava un altro funzionario, sarebbe stato possibile, invece, raggiungere lo scopo voluto e cioè "trasformare una moltitudine di schiavi in contadini disciplinati e felici" che assolvano agli stessi compiti di prima, mentre la "oligarchia schiavista" diventa "una normale alta borghesia" (11).

La "United Fruit Company" ("Ufco") si trovò davanti al medesimo problema nelle piantagioni centroamericane. Con l'abolizione della schiavitù, sorse la difficile questione di come impedire il ritorno dei lavoratori ad un'economia di autosussistenza. Come scrisse uno storico dell'"Ufco" nel 1929, la gente sceglieva di lavorare "solo quando vi era costretta e ciò non accadeva spesso, perché la terra dava loro il poco di cui avevano bisogno". Per risolvere questo problema, l'"Ufco" tentò di inculcare nella popolazione locale i valori consumistici sostenendo che: "Il desiderio di nuovi prodotti... è un sentimento che va coltivato". La Compagnia raggiunse lo scopo "con la pubblicità e l'abilità nel vendere", scrisse lo stesso storico esprimendo la sua approvazione; ciò ebbe "l'effetto di risvegliare i bisogni della gente... come negli Stati Uniti" dove, come l'industria sapeva bene, i 'desideri' dovevano essere stimolati e creati artificialmente. Questi nuovi bisogni - calze di seta invece che di cotone, costosi cappelli Stetson e "vistose camicie di seta portate da uomini magari scalzi", e via di seguito - potevano essere soddisfatti nei negozi dell'"Ufco". Il marchingegno fu "sfruttato ripetutamente" dalla Compagnia, ammette il suo storico ufficiale, che vendeva quelle merci a "prezzi irraggiungibili per i lavoratori - troppo spesso a credito", costringendoli sulla "strada che conduce direttamente alla servitù bracciantile" (12).

Diversi i metodi usati nell'impresa, tutt'altro che facile, di aprire la Cina al commercio occidentale. Nel 1793 venne ammessa a Pechino una missione inglese che portò con sé un campionario praticamente completo di tutto quel che era prodotto in Gran Bretagna. Fu "l'iniziativa diplomatica più costosa e complicata mai intrapresa dal governo britannico", scrive James Keay nella sua storia della "East India Company", la società che mantenne il monopolio del commercio con la Cina fino a buona parte dell'800. L'Imperatore amabilmente accettò le offerte come "tributo dal Regno d'Inghilterra", approvando il "rispettoso spirito di sottomissione" dell'emissario inglese ma, tuttavia, ribadì che non vi sarebbe stato alcun commercio con l'Europa. "Il nostro Impero celestiale possiede ogni cosa in grande abbondanza", sostenne l'Imperatore, anche se "non dimenticherò la vostra isola solitaria, lontana e divisa dal mondo dalle immense distese del mare". Dopo molti tentativi i mercanti europei riuscirono a penetrare in alcune zone del sud del paese, ma altrove furono bloccati dal potere imperiale.

L'unico prodotto per il quale la Gran Bretagna riuscì a trovare un mercato in Cina fu l'oppio del Bengala. Nei primi anni dell'800, i redditi della "East India Company" derivanti dalla vendita dell'oppio alla Cina, scrive Keay, venivano subito dopo le rendite terriere, "con profitti tali da poter soffocare qualsiasi scrupolo morale degli inglesi e da opporsi con ogni mezzo alla richiesta cinese di bandire quel narcotraffico". Alcuni anni dopo la Cina tentò di nuovo di fermare il commercio dell'oppio, suscitando lo sdegno degli inglesi. La Gran Bretagna, adducendo le virtù del libero scambio, costrinse la Cina ad aprire le sue porte ai letali narcotici, sfruttando la sua superiorità nell'uso della violenza che, come nella guerra nel Golfo del 1991, ha sempre risvegliato l'anima del fanatismo nazionalista britannico. "Fu necessario costruire ed inviare una corazzata a vapore, la "Nemesis", per poter ridurre alla ragione il Regno Centrale", commenta sardonicamente lo storico militare Geoffrey Parker, aggiungendo poi che i cannoni della potente unità "in un solo giorno, nel febbraio del 1841, riuscirono a distruggere nove giunche da guerra, cinque fortini, due basi militari ed una batteria costiera sul fiume Pearl". La Cina fu così in grado di godere i benefici dell'internazionalismo liberale. Gli Usa tentarono quindi, adducendo anche loro i sommi principi del libero mercato, di ottenere in Cina gli stessi privilegi dell'Inghilterra. Su questo sfondo il rifiuto cinese di accettare l'importazione dell'oppio dalla colonia indiana della Gran Bretagna fu denunciato da John Quincy Adams come una violazione del precetto cristiano "ama il tuo vicino" e come "una grave violazione dei diritti umani e dei principi fondamentali dei diritti delle nazioni". I missionari, da parte loro, applaudirono il "gran disegno della Provvidenza secondo il quale i vizi degli uomini finiscono per favorire i suoi scopi misericordiosi verso la Cina, sia abbattendo il muro che la tiene isolata dal resto del mondo, sia mettendo l'Impero a più stretto contatto con le nazioni occidentali e cristiane".

Con questi mezzi, la Gran Bretagna riuscì a creare in Cina nuovi bisogni, nello stesso modo in cui oggi gli Stati Uniti obbligano i paesi asiatici, minacciando severe sanzioni economiche, ad ammettere micidiali narcotici di produzione Usa come le sigarette, che nel nostro paese uccidono ogni anno da 50 a 100 volte di più di tutte le altre droghe pesanti messe insieme, e ad accettare forme di pubblicità volte ad aprire nuovi mercati, particolarmente tra le donne ed i bambini (13).


Note:

N. 7. Schwarz, "American Counterinsurgency Doctrine". Chomsky, "For Reasons of State", p. 246; "American Power and the New Mandarins", cap. 1.
N. 8 David Holstrom, "Christian Science Monitor", 30 aprile 1992. McChesney, "Labor".
N. 9. Du Boff, "Accumulation", p. 101-3.
N. 10. Hegel, "Philosophy", p. 82. Schmidt, "U.S. Occupation", p. 158.
N. 11. Holt, "Problem", p. 45, 71n.n., 54n.
N. 12. A. Chomsky, "Plantation Society".
N. 13. De Schweinitz, "Rise and Fall", p. 165. Keay, "Honorable Company", 435n., 454n. M. N. Pearson, Parker, in Tracy, "Merchant Empires". Chomsky, "Deterring Democracy", cap. 4; cap. 2.4, sopra.


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