tra bios e biotech


TECNOLOGIE DI RIPRODUZIONE

 

Il dibattito sulle tecnologie riproduttive ha conquistato molto spazio sui media solo per i suoi aspetti più sensazionalistici, senza che a questi si accompagni il tentativo di chiarire cosa sono queste tecnologie e quali problemi possono risolvere.

La prima grande differenza da stabilire è quella fra inseminazione artificiale e tecnologie più sofisticate. Per inseminazione artificiale (AIH) s’intende il prelievo del liquido seminale e la sua successiva deposizione sul fondo dell’utero.

Nel caso di problemi femminili è necessario un trattamento ormonale che stimoli e mantenga sotto controllo l’ovulazione. Nel caso di problemi maschili dopo il prelievo del liquido seminale vengono selezionati gli spermatozoi più vitali dal punto di vista dei parametri riproduttivi. Combinazioni diverse di trattamenti di questo tipo offrono tutta una gamma di possibilità più o meno complesse.

Esistono poi tecniche molto sofisticate di cui la fecondazione in vitro (FIVET) è la più nota, a queste si ricorre solo nel caso che l’inseminazione artificiale non abbia avuto l’esito sperato.

Per fecondazione in vitro si intende l’incontro dello sperma e dell’ovocita in provetta. Da questo incontro ha luogo la formazione di un embrione che viene successivamente impiantato in utero. Perché l’impianto abbia successo la donna deve essere sottoposta a un ulteriore trattamento ormonale che favorisca la proliferazione dell’endometrio (il tessuto uterino nel quale si annida l’embrione). Oltre alla FIVET esiste una tecnica di nuovissima generazione: chiamata ICSI, sigla che indica l’incisione intracitoplasmatica dello sperma nell’ovocita, in questo caso il DNA maschile viene siringato direttamente nel nucleo dell’ovocita: la cellula che si ottiene viene poi impiantata in utero. Esistono poi altri metodi che prevedono l’impianto dell’embrione, a vari stadi di formazione, nella tuba (GIFT e ZIFT). In tutti i casi descritti si parla di inseminazione omologa quando la fecondazione avviene con le cellule germinali di quelli che saranno i genitori legali; eterologa quando viene utilizzato lo sperma o l’ovocita di un donatore. Nel caso di fecondazione eterologa (che generalmente viene scelta solo quando uno dei due genitori non disponga di cellule germinali efficienti) i donatori possono essere anonimi o conosciuti (a meno che la legge, come nei paesi scandinavi, non ne disponga d’obbligo il non anonimato).

In osservanza della circolare Degan, in Italia, la fecondazione eterologa è consentita solo ai centri privati.

Nel nostro paese le coppie sterili sono stimate nell’ordine di 50/70 mila unità, di queste il 42% si rivolge a un centro di cura della sterilità. A proposito di questo è interessante notare che la percentuale di sterilità maschile è passata da un precedente 40% a un attuale 60-70% e questo non solo per cause ambientali quali lo stress, il fumo, la cattiva alimentazione, ma soprattutto perché in realtà solo ora gli uomini cominciano a sottoporsi a indagine.

In Italia esistono circa 120 centri specializzati in questi trattamenti, di cui 85 sono privati. Questi raccolgono le richieste di un totale di circa 10.000 coppie l’anno. Non è mai stata effettuata una stima precisa del giro di affari di questa attività, ma è possibile valutare un fatturato annuo di svariati miliardi dato che il costo di un’applicazione va da un minimo di 4 a un massimo di 20 milioni di lire (esclusa la AIH che ha costi notevolmente più bassi). Questa stima cresce se si considera che nella maggior parte dei casi è necessaria ben più di una applicazione, infatti le percentuali di riuscita variano da un 7% al primo tentativo, fino al 42% del settimo.

Per rigore di statistica va precisato che nel calcolo del fatturato ha una certa importanza anche il giro legato alla donazione, basti pensare che negli Usa esistono banche del seme che stoccano 360.000 dosi di sperma.

Mentre la selezione degli spermatozoi avviene fuori dal corpo maschile va considerato che ognuno dei tentaivi, per la donna, è preceduto da un ciclo di stimolazioni ormonali. La prima parte è a base di gonadotropine e di GNH, questa fase della stimolazione blocca completamente la produzione ormonale endogena. In questo modo si impedisce alla donna di ovulare naturalmente. L’organismo va incontro a una menopausa farmacologica che poi regredisce con la sospensione del trattamento, ma che dà la sintomatologia completa della menopausa: vampe, nausee, irritabilità. Una volta ottenuta la soppressione dell’attività ovulatoria, ha inizio la seconda fase: la stimolazione vera e propria. Tutto questo ha lo scopo di controllare l’ovulazione e far crescere l’endometrio. Quando l’endometrio è pronto, è il momento della terza somministrazione ormonale al fine di provocare l’esplosione del follicolo e la conseguente ovulazione. Basta moltiplicare tutto questo per 4, 8, 10 volte e immaginare quale sia l’impatto che può avere sull’equilibrio psicofisico di una donna.


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