8 marzo 2007, Oaxaca - Messico

Una "Giustizia" malconcia, posta tra due sghignazzanti agenti antisommossa della PFP, apre il corteo. Sono i fantocci caricatura di un conflitto che non cessa di produrre mobilitazione e di un malgoverno che semina costantemente discontento. L'8 marzo di Oaxaca e' un fiume in piena e alla testa di questa immensita' c'e' un pupazzo di una donna enorme, popolana, che cinge nel pugno chiuso una padella come arma. E' il ritratto di una donna proletaria e combattente, come LA Appo.


Ritroviamo il sole inclemente della serra, ma all'appuntamento incontriamo anche il solito popolo indomito, che ogni volta riconquista le strade, le piazze, nonostante la spropositata repressione subita. Prima di giungere al corteo avevamo i nostri piccoli dubbi: rarissimi manifesti in giro, nessun appuntamento visibile sul sito dell'APPO o dei media indipendenti, un mattino nel bel mezzo della settimana, mesi e mesi di lotta e crisi interne al movimento in vista delle elezioni.

Tutti motivi per dubitare di una partecipazione di massa. Le nostre perplessita' si sciolgono al sole e alla vista del torrente umano che gia' comincia a muoversi alle 10 del mattino. Stupefatti osserviamo scorrere tutti i settori e le organizzazioni dell'APPO: l'apertura con le caricature e i fantocci; lo striscione e il blocco del COMO (Coordinadora Mujeres Oaxaqueña); il blocco studentesco, chilometrico e rumoroso; i maestri della XXII sezione del CNTE, quelli che diedereno inizio al tutto dieci mesi fa; le organizzazioni indigene, le comunita' organizzate, i gruppi marxisti-leninisti e quelli socialisti.

E poi l'incontenibile massa della gente di colonia, dei collettivi di quartiere, della cosidetta "gente comune", il corpo non militante ma vivo e combattivo: le nonne, i contandini, i ragazzetti vestiti alla moda, i bambini con i lecca-lecca in una mano e nell'altra una bandiera di movimento, le signore a braccetto, i parenti dei detenuti, dei desaparecidos, dei morti ammazzati dalla polizia di Ulises Ruiz Ortiz (URO). Una "mega-marcha", come la chiamano qui, attraversata da decine di migliaia di manifestanti, partita da Viguera-Nuevo Pueblo, una colonia di estrema periferia, percorsa da strade sterrate, case piccole e grigie arrampicate sul ridosso arido e polveroso di una montagna.

Per chilometri e chilometri molte persone confluiscono nel corteo; attendono sul marciapiede e, al sopraggiungere dei manifestanti, srotolano striscioni e bandiere e si inseriscono, ingigantendo il serpentone a dismisura. Gruppi di giovanissimi, bardati e vestiti di nero, assaltano le pareti a colpi di spray e spianano stencil grandissimi. Ma non manca un artista che si ferma a ritrarre su un cancello una donna che grida da dietro delle sbarre, o composti signori che, pennelli alla mano e secchio di vernice, lasciano campeggiare un enorme LA APPO VIVE.

La guerra delle scritte e' diventato un gioco isterico in questa citta'; il potere ha preso molto sul serio questa invasione di slogan rivoluzionari e categoricamente cancella in ogni angolo le tracce murali, innervosito di fare una figura pessima agli occhi del turismo chic del centro storico. E cosi' ancora piu' rabbiosamente la gente, i compagni, o chiunque abbia pure una matita in mano, si sbizzarisce a lasciare un ricordino murale e a moltiplicare le frasi dell'insubordinazione che a volte colpiscono a fondo il cuore, semplificando le mille necessita' del cambio sociale e sintetizzando l'orgoglio, la tenacia, l'ingiustizia, la rabbia di un popolo.

Il tema della donna e' l'asse su cui ruotano tutte le rivendicazioni storiche del movimento locale: la caduta di URO, lo scioglimento dei corpi repressivi come la PFP, la liberazione dei/lle detenuti/e (ancora piu' di 60 prigionieri politici), la riapparizione in vita dei desaparecidos, il blocco del Plan Puebla Panama (una strategia di infrastrutture logistiche pensate dall'OMC per favorire l'installazione delle multinazionali nel sud del mesoamerica) la costruzione del potere popolare e l'autonomia delle comunita' indigene.

L'ottica femminista si dissolve nelle richieste di popolo senza pero' dimenticare che l'8 marzo non vi e' nulla da festeggiare, considerando lo sfruttamento, l'oblio, la violenza fisica e psicologica, l'isolamento politico e sociale a cui sono sottoposte le donne. Grandi onori sono fatti alle detenute politiche e alle lottatrici sociali. Ma, come gia' c'e' capitato di dire, il rispetto va tutto a quelle singole ragazze, signore e anziane che sono l'anima saggia e paziente di un movimento a gran partecipazione femminile. Va a tutte le sorelle, di sangue o meno, di tutti i giovani scomparsi, prelevati vivi da casa o dalle barricate e scomparsi nel nulla.

La tenacia di resistere nei planton, nei presidi permanenti sotto le carceri e i tribunali; la costanza di gridare "Vergogna!" sotto casa dei governanti e l'umilta' di andare avanti ogni giorno, con i figli in braccio e un lavoro che non paga mai abbastanza, e' una forza essenzialmente femminile, lungimirante e commossa. E' una madre che non cede, una nonna che racconta, una figlia che sfila in prima fila al corteo...

La manifestazione procede senza problemi, caotica e frastornante, fino a Plaza de la Danza, in centro, a pochi isolati dove sono raccolti in tenuta antisommossa gli assassini della Polizia Federale Preventiva. Dietro reti metalliche nere, armati fino ai denti, proteggono l'immacolata immagine dell'Oaxaca turistica e benpensante. Difendono, a buon motivo, i palazzi dei potenti, dove i deputati del PRI, PRD e del PAN (cioe' tutti i partiti ufficiali del Messico) hanno avvallato la sconcertante disuguaglianza sociale di questa citta' e hanno pianificato la violenta repressione del movimento.

In questo magma ribollente, ci permettiamo alcune considerazioni a margine:

La riuscita di questa manifestazione denota, proprio di fronte all'assenza di comunicazioni "ufficiali", la capillarita' delle strutture organizzative del movimento. La potenza del megafono giunge (e sembra partire) nelle case di periferia, nelle assemblee locali e regionali, rimbalzando per le radio libere; l'aggregazione massiccia, impressionante, di questo corteo e' la prova che la disinformazione di regime e le forze di polizia si trovano al punto di partenza: frenare un movimento troppo vasto, veramente popolare.

Le polemiche e le aspre discussioni interne al movimento non sembrano scalfire la presenza di piazza e la costanza della mobilitazione, almeno a prima vista. Settori piu' organizzati (ma sicuramente minoritari) della Appo, quali il Fronte Popolare Rivoluzionario (emmelle filostalinisti!), i socialisti o elementi della sinistra del PRD, spingono per un voto punitivo contro i partiti istituzionali e propongono la propria candidatura, al fine di usare tatticamente l'opzione elettorale e combattere anche su un terreno istituzionale il Potere.

La componente meno strutturata, quella delle associazioni, della societa' civile, degli studenti e dei collettivi libertari opta per una via astensionista e il proseguimento della lotta solo sul livello di base. In tutto questo feroce dibattito (ahinoi, non privo di colpi bassi), c'e' la storica diffidenza al voto delle comunita' indigene, della gente di colonia e di tutto quello che fa realmente "popolare" un movimento.

Quel che e' certo che l'8 marzo a Oaxaca non e' passato nel silenzio o solo nei convegni accademici o dei talk show televisivi. C'e' una forza di popolo che non dimentica di essere per meta' donna e per intero combattiva. Dovremo abituarci a sentire di nuovo parlare di quel che passa in questa valle assolata, perche' la resistenza antiglobalista, contro il mal governo, contro i soprusi e le violenze, anche di genere, e' piu' che mai in piedi.

Come recita una scritta, graffiata oggi sul fianco di casa coloniale del centro: "Solo ci vedranno in ginocchio quando diremo ai nostri morti: ABBIAMO VINTO".


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