La Jornada 31 dicembre 1997 Muoiono due bambini rifugiati: infermità respiratorie e colera, le minacce Decine di indios decidono ritornare al luogo del massacro

José Gil Olmos, inviato, Polhó, Chis., 30 di dicembre

Convertito nel rifugio più ampio delle comunità della regione di Los Altos del Chiapas che sono fuggite dai gruppi paramilitari di filiazione priista, Polhó si scontra con le nuove minacce di morte per la carenza di condizioni di salute in cui vivono i più di 5 mila indigeni che lì risiedono, dei quali 3 mila 573 sono profughi. La morte di due neonati negli ultimi due giorni per difficoltà respiratorie e la possibilità di dilagare del colera, hanno fatto sì che membri dell'accampamento civile emettessero una richiesta di aiuto alla Croce Rossa Internazionale.

Intanto, nel Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas ha informato questa notte che decine di famiglie indigeni sfollate hanno deciso di ritornare questo mercoledì nella comunità di Acteal.

Le autorità di questo municipio, che è stato dichiarato autonomo dalle comunità simpatizzanti dell'EZLN, hanno emesso ieri una protesta formale per la presenza di un battaglione dell'Esercito e di agenti di sicurezza pubblica fortemente armati, le cui unità si sono appostate dal mattino presto di questo martedì ai bordi dell'abitato, per dare "assistenza sociale" ai profughi.

"Questo capoluogo municipale di Polhó, che comprende tutto il municipio di Chenalhó, non è una caserma, non ci serve né la presenza della sicurezza pubblica né quella delle forze armate. Qui si trovano migliaia di profughi di diverse comunità, tutti poveri. C'è molto timore tra la popolazione sfollata per la presenza di queste forze di polizia, per questa ragione chiediamo si ritirino dall'abitato, perché la loro presenza non è necessaria né è stata richiesta dalla popolazione", hanno dichiarato profughi e abitanti di questo luogo in un messaggio diretto alle autorità federali e statali.

Presentato all'entrata di Polhó da Juan Bañuelos, membro della Commissione Nazionale di Intermediazione, il documento afferma che il paese ha una struttura indigena che si preoccupa di offrire protezione ai suoi con l'uso delle proprie risorse e che per questo non si richiede l'assistenza dei soldati e dei poliziotti che si sono appostati sulla strada che mette in comunicazione questa comunità tzotzil con il resto della regione.

A notte, un gruppo di indigeni con la presenza della deputata Patria Jiménez hanno formato un cordone umano e hanno richiesto la partenza delle truppe e della polizia, che hanno accettato di lasciare il luogo, però hanno annunciato che realizzeranno ronde di vigilanza nella zona.

Più di 5 mila profughi

Secondo le stime delle autorità di questo municipio, a Polhó sono arrivati 3 mila 573 profughi di varie comunità e paraggi della regione montagnosa, e in Xojeb si sono rifugiati mille 700 componenti della Società Civile dell'organizzazione Las Abejas, alcuni di loro sono sopravvissuti al massacro di Acteal.

In mezzo al freddo e alla pioggia degli ultimi giorni, le condizioni per i rifugiati sono fra le più difficili di questo fine d'anno. Il fango rende difficile lo spostamento delle famiglie e la mancanza di tetto e abbigliamento hanno provocato che le infermità respiratorie si incrementino in maniera allarmante, per cui la popolazione è danneggiata al 90 per cento, secondo stime della brigata medica che ha installato la Carovana "Per Tutti Tutto".
Ubicato su un versante della montagna di pini e frassini, Polhó ha triplicato in pochi giorni la sua popolazione e adesso ha più di 5 mila abitanti che abbisognano di legna per far fuoco, di rifugio, di bagni e di alimentazione.

Membri della carovana civile hanno cominciato a lavorare con la popolazione per costruire latrine e stabilire misure di salute, perché di fronte all'arrivo massiccio di profughi le fosse asettiche sono insufficienti e la materia fecale si trova a fior di terra, vicino ai rifugi.

D'altra parte, il freddo intenso e la pioggia persistente hanno provocato infezioni delle vie respiratorie nella popolazione infantile. Negli ultimi due giorni sono morti due bambini per bronchite e polmonite, ed esiste la possibilità di ancora altre morti se non arriva sufficiente assistenza medica.

La situazione in Polhó si è complicata ancor di più oggi con l'arrivo di truppe militari ed un gruppo di poliziotti che si sono appostati lungo la strada offrendo aiuto in cambio del nullaosta per installare un accampamento di fronte alla comunità.

Gli indigeni si sentono non più liberi di trasportare la legna che tagliano in montagna e di ricevere gli aiuti alimentari che provengono dai membri delle carovane civili, come quella del Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale che è arrivata oggi da Città del Messico.

Ai bordo della strada, i soldati realizzano solo funzioni di polizia stradale. Con bandiere rosse, alcuni aiutano i veicoli a circolare evitando i camion sono parcheggiati all'entrata della comunità, mentre altri aspettano ordini e passeggiano ai bordi della strada. Tutti sono fortemente armati e portano giubbetti antiproiettile.

Possibile arrivo di altri indigeni ancora Il numero di indigeni tzotziles che hanno sfollato dalla loro comunità in montagna, fuggendo dalle nuove minacce di morte, potrebbe aumentare nei prossimi giorni. Secondo dati delle autorità di Polhó, circa 2 mila 440 indigeni che si sono dichiarati simpatizzanti zapatisti prevedono il loro possibile sfollamento in altre comunità, di fronte al bisogno di fuggire dai gruppi paramilitari filopriisti. Si considerano queste comunità come danneggiate dalla campagna di terrore che hanno disseminato questi gruppi dal massacro di Acteal. Inoltre, sono stati segnalati altri mila 600 indigeni che si mantengono nell'aspettativa.

Varie famiglie si sono dovute spostare più di una volta. Alcune di quelle che sono arrivate a Polhó in questi giorni, provenienti da Acteal, erano già fuoriuscite prima di Chimix.

Così, le famiglie tzotziles erranti che stanno cercando dove rifugiarsi sulla propria terra fuggendo dalla morte dei paramilitari, incontrano l'altra faccia della morte: quella delle infermità curabili.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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