COMUNICATO DEL SUBCOMANDANTE MARCOS

 

Messico 1998 (17 luglio 1998)

Sopra e sotto: maschere e silenzi

 

"Bisogna esigere che l’uomo pubblico, soprattutto il politico, possieda le virtù pubbliche, che si riassumono tutte in una: fedeltà alla propria maschera (…), provvedete a che non ci sia imbroglio politico che non sia uno scambio, una confusione di maschere, una brutta prova di commedia, in cui nessuno sa il suo ruolo.

 

Provvedete, ancora, voi che andate come politici, che la vostra maschera sia, per quanto possibile, opera vostra, fatevela voi stessi, per evitare che ve la mettano - che ve la impongano – i vostri nemici o i vostri correligionari; e non fatela così tanto rigida, così poco porosa e impermeabile che vi soffochi il viso, perché presto o tardi, bisogna mostrare il volto."

Antonio Machado, "Juan de Mairena".

 

I. – Messico, metà del 1998…

 

Adagiato sulla mia spalla, il mare sospira vedendo i complicati piani di questa nuova costruzione ideata in lunghe e silenziose aurore, pensata dietro le maschere che siamo. All’improvviso un vento repentino arriva colpendo gli alberi che sono le nostre finestre ed agita le grandi tele di carta piene di disegni, di scale gradinate, di incomprensibili logaritmi, di caratteri illeggibili che assomigliano più ad oscure formule di alchimia che a calcoli scientifici.

 

Metà dell’anno 1998 in Messico e un vento arriva a rompere silenzi ed a strappare maschere.

 

Dopo una lunga e pesante siccità, le piogge iniziano ad affacciarsi all’orizzonte di questo paese che i suoi governanti si impegnano a portare alla catastrofe. Protetto da un fiocco di nuvola, dal privilegiato e dorato balcone che il mare mi offre in questi casi, umido ed attonito vedo passare la metà dell’anno 1998 e gli ultimi rantoli di un secolo che si rifiuta di ritirarsi senza scandali e prepotenze.

 

Lontano da qui il Mondiale di Calcio concentra e convoca sentimenti. Il sortilegio che comincia a scatenarsi ogni volta che la palla rotola, è stato ben inteso da due sudamericani, uno per descriverlo e l’altro per praticarlo. Eduardo Galeano, che raccoglie queste piogge quotidiane che alcuni di noi chiamano "la storia di sotto", e Diego Armando Maradona, che usava il pallone per cantare e dimostrare che la magia non ha a che vedere necessariamente con alambicchi e formule esoteriche.

 

Ma da qua sopra non vedo né Don Galeano né Don Maradona. Non riesco neppure a vedere Olivio mentre sta adempiendo alla sua vocazione di spaccareti ("e di teste", dice il mare mentre tenta di nascondere, inutilmente, la fionda che Olivio ha abbandonato nella sua fuga, dopo aver rotto la testa a Marcelo"). Vedo, questo sì, milioni di messicani nel ruolo in cui hanno sempre voluto vederli i potenti, quello di spettatori.

 

Fermando la storia nazionale ogni volta che la squadra di calcio messicana affrontava un’altra, i governanti di questo paese si potevano prendere quell'attimo di respiro che la realtà negava loro implacabilmente. Milioni di occhi puntati sulla terra di Francia hanno permesso al Potere un breve riposo. Il gioco è durato poco, la sconfitta è arrivata e l’empasse che il ruolo di spettatori permetteva è giunto alla fine.

 

Da questa parte del mondo, la tragicommedia della vita politica nazionale si è trasformata pure lei in spettacolo, e la disordinata mascherata, che presenta quotidianamente nei corridoi del potere in Messico, non ha ottenuto nessun applauso. E’ da tempo che la maggioranza dei messicani ha smesso di assistere come spettatore agli scandali con cui la classe governante si prepara per far finire il secolo…ed il paese. Milioni di messicani sono oggi vittime di mega crimini e super frodi.

Se per i potenti mezzi di comunicazione elettronica le azioni sfacciate della classe politica messicana sono una merce da vendere il cui successo si misura in punti di "ascolto", per l’immensa maggioranza di quelli che vivono male e muoiono tra il Rio Bravo e il Suchiate non sono altro che la continuazione di un crimine di Stato che abbraccia la quasi totalità del secolo.

 

Impegnati nel mettere in guardia la cittadinanza sulla crescita della delinquenza e della violenza, alcuni mezzi di comunicazione (quelli legati al governo) nascondono ciò che è fondamentale: i delinquenti più sanguinari e brutali ostentano posti governativi (od hanno forti legami con essi) e la violenza trova nel governo federale il suo principale esecutore, il suo più grande promotore ed il suo apologista per eccellenza.

 

Nello spettacolo della "grande" politica messicana, la confusione di maschere e parlamenti impedisce di sapere con certezza chi è il giudice e chi il criminale, chi il fraudolento e chi il defraudato.

 

Ma di momento in momento è sempre più chiaro che il Messico della fine del XX secolo presenta col sistema del partito di Stato il suo volto più criminale. In questo Messico la crescente criminalità di Stato (quella che viene esercitata dal Potere politico) si vede eguagliata solo dall’impunità che danno il denaro, le influenze e la vicinanza (o l’appartenenza dichiarata o vergognosa) al circolo selezionato intorno a colui che alcuni chiamano ancora (non senza arrossire, chiaramente) "il signor presidente".

 

La metà del mandato di sei anni di Ernesto Zedillo Ponce de León porta dei segni indelebili, ma il più sanguinario è il crimine quotidiano di un modello economico imposto con le inappellabili argomentazioni delle baionette, del carcere e dei cimiteri. Ogni tanto, questo crimine di Stato raggiunge lugubri fulgori: Aguas Blancas in Guerrero nel giugno 1995. Acteal in Chiapas nel dicembre 1997. El Charco in Guerrero nel giugno 1998 e Unión Progreso e Chavajeval in Chiapas del giugno 1998.

 

Questa faccia, la più irrazionale che lo Stato messicano abbia mai avuto in tutta la sua storia, nasconde la sua orripilante immagine dietro una maschera. Ed il suono del sangue che esige giorno per giorno, si zittisce dietro un silenzio.

 

Sembrerebbe evidente che le maschere nascondono e che i silenzi zittiscono.

 

Ma è vero che le maschere pure mostrano e che i silenzi parlano.

 

Nascondere e zittire, mostrare e parlare, maschere e silenzio. Questi sono i segnali che aiuteranno a capire questa fine secolo in Messico.

 

Sì, questo è un paese di maschere e silenzi. Lo dico al mare e lui mi risponde, dietro il suo passamontagna, con un silenzioso gesto di paradosso più che eloquente, mentre si arrotola e guarda i grandi piani.

 

Però io gli dico, e mi dico, che ci sono maschere e maschere, e silenzi e silenzi.

 

Ci sono, per esempio:

 

II. – Le maschere ed i silenzi di sopra.

 

"Già ho sentito parlare fin troppo dei vostri maquillage: Dio vi ha dato una faccia e voi ve ne create un’altra: camminate a salti, vi dimenate, pronunciate male, date soprannomi alle creature di Dio, e fate della vostra ignoranza la vostra lussuria."

"Amleto", William Shakespeare.

 

Qual è il ruolo del governo in una società? Quale deve essere il suo ruolo? Queste domande se le pongono i partiti politici, gli analisti e la società. Molte sono le risposte all’una ed all’altra domanda, ma il governo messicano ha le sue e, nonostante gli spropositi dei quattro cavalieri dell’Apocalisse – Zedillo, Labastida, Green, Madrazo, Gurría, Ortiz, Rabasa e Albores (sì, lo so che ne ho messi 8, ma 4 sono i cavalieri e 4 le bestie, scelga lei) – le impone con il sangue (che spargono quelli di sotto) ed il fuoco (che sparano quelli di sopra).

 

Privi della legittimità che si ottiene solo dai governati, questi personaggi della tragedia messicana di fine secolo, la suppliscono con una maschera fatta ex profeso, quella dello Stato di Diritto. In nome dello "Stato di Diritto" si impongono misure economiche, si assassina, s'incarcera, si violenta, si distrugge, si perseguita, si fa la guerra.

 

Senza argomentazioni razionali, senza legittimità, senza morale, il governo del Messico mette mano alla sua unica risorsa: la violenza. Però non è contro il crimine organizzato o contro la delinquenza, che il governo dirige questa violenza (cioè, non la usa contro se stesso), ma contro i più poveri, cioè contro una maggioranza già immensa, che continua a crescere allo stesso ritmo con cui il paese cade a pezzi.

 

Potrebbe sembrarci che una valanga faccia un rumore assordante, ma in questo caso, un silenzio lo copre e lo presenta: il silenzio della mancanza di memoria.

 

Per supplire alla mancanza di legittimità con la legalità, lo Stato Messicano (e non solo il governo) deve realizzare una complicata operazione chirurgica su tutto il sociale. Deve cioè estirpare la memoria storica dei governati. E tenta di farlo sostituendo la storia reale (con le minuscole) con la Storia Ufficiale (con le maiuscole). E questa Storia Ufficiale non è stata imparata dai libri, ma è stata creata nei laboratori mentali dei corsi post-laurea in università straniere. Harvard, Oxford, Yale ed il Tecnologico del Massachusset sono i moderni "padri della Patria" degli attuali governanti messicani. Così la Storia Ufficiale arriva tanto in alto quanto gli indici di crescita economica e, in un mondo che subisce già il terrore finanziario della globalizzazione, questi hanno la costanza di una banderuola in mezzo ad una tormenta. Così che il presente è l’unica storia possibile per questi "figli della lavagna" (come li ha definiti Carlos Fuentes), i "ragazzi del computer" (come li chiama non so chi) o il "Cartello de los Pinos" (come li conoscono i loro soci narcotrafficanti). Se la costanza ed il pesante e laborioso andare sono le caratteristiche della storia di sotto, l’effimero è il luogo prediletto della Storia Ufficiale, la mancanza di memoria sotto altro nome. L’ "Oggi" delle borse valori è il referente storico di questi tecnocrati che, grazie al criminale Carlos Salinas de Gortari, si trovano oggi al potere politico in Messico. Questa Storia Ufficiale ha la sua maschera.

 

La Maschera della "Modernità". Le sembra attraente? Funzionale? Aerodinamica? Biodegradabile? "Cool"? "Light"? Non è niente di questo, ma si vende e si consuma con argomentazioni simili. La Modernità dei governanti neoliberisti in Messico mostra un paese vuoto e secco. Nonostante gli sforzi di pubblicità e marketing, e nonostante i milioni investiti in cosmetici e maquillage, la maschera della Modernità messicana va sempre più a pezzi. Ed ogni volta è più difficile non vedere ciò che nasconde: la distruzione delle basi materne dello Stato Messicano, cioè delle basi della Sovranità Nazionale.

 

Con la "modernità" come colonna vertebrale, una serie di argomentazioni (maschere senza dubbio) viene schierata, per giustificare (nel doppio senso di "fare giustizia" e "dar ragione d’essere") la vertiginosa distruzione di tutto quello che permette ad un paese di far sì che la "sovranità nazionale" non sia un semplice discorso retorico. Proprietà della ricchezza del sottosuolo, degli spazi aerei e dei mari territoriali, delle vie di comunicazione, delle imprese con funzioni sociali (educazione, salute, alimentazione, casa, sicurezza), la politica sociale, il controllo effettivo del mercato finanziario e commerciale, la moneta, la lingua, il governo, le forze armate, la storia, queste sono alcune delle basi necessarie per uno Stato. Con diversi metodi, sotto diverse maschere, ma sempre con la stessa urgenza, queste basi della sovranità nazionale sono state debilitate, se non proprio distrutte, dai governi neoliberisti di Miguel de la Madrid Hurtado, Carlos Salinas de Gortari e da Ernesto Zedillo Ponce de León (e qui l’alunno supera i suoi maestri).

 

Con le maschere della "riconversione industriale", dell'adeguamento ai tempi moderni della globalizzazione", della "razionalizzazione delle spese pubbliche", "dell’eliminazione di sussidi, che impediscono la libera concorrenza e lo sviluppo economico", con la "lotta internazionale al narcotraffico" e la "fine dello Stato populista", i governi messicani dal 1982 ad oggi hanno messo in atto una vera campagna di sterminio contro le basi fondamentali della sovranità nazionale.

 

Svendendo imprese statali, cedendo alle pressioni dei mercati internazionali, abbandonando le proprie funzioni di servizio sociale (o scambiandole in cambio di voti), liberalizzando i prezzi dei prodotti base e controllando i salari, agganciando il futuro della moneta nazionale all’arbitrio dei grandi centri finanziari, piegando le proprie azioni di governo alle campagne pubblicitarie che il mercato di vendita delle nazioni esige, attribuendo alle forze armate nazionali il ruolo di poliziotti di quartiere nel territorio globale, riscrivendo (e cancellando) la storia nazionale, pensando in dollari, insomma, in molti modi gli ultimi governi del Messico sono riusciti a far sì che questo paese sia sempre meno nostro e meno paese.

 

Faccia lei i conti. Che cosa rimane allo Stato Messicano per poter dire che è sovrano? Centinaia di imprese statali sono state vendute, la pomposamente detta "borsa dei valori messicana " sembra una succursale delle borse valori asiatiche (anche se avevano venduto l’idea che è una succursale sì, ma di quelle nordamericane), l’unica costante nei prezzi dei prodotti di base è l’aumento, il peso messicano non cambio sul mercato internazionale, i governanti messicani pensano in inglese e traducono in spagnolo solo quando si rivolgono ai connazionali (anche se non con molta fortuna, come dimostra la cancelliere Green), l’esercito federale messicano esegue (agli ordini di consiglieri nordamericani) fra le montagne nazionali lo stesso compito che il Generale Custer eseguì con gli indigeni degli Stati Uniti, e gli alti funzionari del governo messicano rispondono pronti e sicuri alla domanda "qual è il giorno dell’indipendenza?" con un convincente "il 4 di luglio". Scandaloso? Bene per questo si dà una mano all’Oblio. Un altro silenzio…

 

Sì, dimenticare quello che siamo stati, quello che ci ha portati fin qua. Dimenticare tutto il passato, non solo quello di inganni e dolori, ma anche e soprattutto, quello di lotte e ribellioni. Ma la peculiarità di questo oblio è che non si tratta di cancellare il passato, ma di condannarlo, di vergognarsi di esso, di dispiacersene. Come è evidente, qui ogni tentativo di "trasportare" la storia al presente è sovversione della "pace e della tranquillità", è un’illegalità, quindi qualcosa che si deve combattere. Lei ha lì, per esempio, questi indigeni che si "trasportano" Zapata in questi tempi di moderna globalizzazione e lo mettono a parlare e a fare storia. E (è uno scandalo!) persino in Internet si può sentire questo grido terrorista "Zapata vive!". Una sovversione, non c’è che dire. Stavamo così bene con questo Zapata nella tomba, nel museo e nel libro mai aperto! Quindi sono illegali, sovversivi quelli che "trasportano" Zapata, è illegale e sovversivo questo Zapata per gli incubi che provoca e, naturalmente, è illegale e sovversiva la storia - non solo perché mette in discussione l’oggi, ma pure perché induce a credere (e a lottare!) che sia possibile un altro oggi -. E per nascondere questo silenzio, si usa una maschera.

 

La Maschera della Macroeconomia. Lei ha lì i discorsi del signor Zedillo, una dimostrazione di contagioso ottimismo, dove ci spiega-sgrida-avverte che il recupero-economico-è-irriversibile-e-la-forza-dei-nostri-indicatori-economici-dimostra-che-possiamo-resistere-alla-crisi-al-minimo-costo-e-che-fortuna-che-avete-compatrioti-ad-avere-me-come-vostro-governante!-bla-bla-bla-bla-bla-bla-bla…

 

"Ah i successi macroeconomici!". Ma, dove sono? Nelle fortune degli uomini più ricchi del Messico e nel luogo che occupano nella "lista di Forbes"? Nei salari? Nei prezzi? Nell’occupazione? Nella sicurezza sociale? Cerchi lei, cerchi e scopra che, dietro la maschera macroeconomica, si nasconde un modello economico che è stato imposto al paese dagli inizi del decennio degli anni ottanta, 16 anni di politica economica, sufficienti per valutarla.

 

Risultati? Oltre alla perdita della Sovranità Nazionale, abbiamo una recessione storica di …30 anni! Sì, il Messico '98 ed il Messico '68 non solo coincidono per avere a capo del governo un assassino con la fascia presidenziale sul petto, ma coincidono anche per la crescita della povertà e per la crescita del numero di poveri, per una concentrazione della ricchezza in sempre meno mani e per il deterioramento dei servizi sociali che, prima, alleviavano la vita dei messicani.

 

Dal 1968 al 1977 cala rapidamente la proporzione della popolazione in povertà, tra il 1977 ed il 1981 questa diminuzione accelera. "Avremmo potuto ridurre in 18 anni la povertà di più dei tre quarti della popolazione a meno della metà. Però, dopo il 1981 c'è stato un brusco cambiamento della tendenza per cui la povertà non solo ha smesso di diminuire, ma ha iniziato ad aumentare celermente". (Boltvinik, Julio. "Economía y Bienestar. Mèxico al fin del milenio", in Vientos del Sur, 12-13, 1998. México; e Hernández Laos, Enrique. "Crecimiento económico y pobreza en México", citato in Boltvinik J. Op. Cit.)

 

Adesso, all’inizio del 1998 siamo ai livelli di povertà del 1968, 30 anni persi. Inoltre, oggi abbiamo meno opportunità di migliorare la nostra situazione economica, "(…) le opportunità per il benessere dei messicani nel 1996, dopo quasi tre lustri di modello neoliberista, non solo non sono cresciute, ma sono del 30% più basse che nel 1981. Questo risulta da una doppia incapacità del modello. Da una parte c'è l’incapacità di far crescere le entrate più rapidamente delle necessità. (…) Dall’altra parte l’incapacità crescente di distribuire equamente le entrate tra la popolazione (…) Ovvero, il modello è stato incapace di crescere e inoltre ha concentrato sempre più le entrate e in poche mani, diminuendo con questo le opportunità di benessere per la popolazione". (Boltvinik, J. Op. Cit.)

 

Chiaramente questi dati macroeconomici non saranno graditi dai signori Gurría e Ortiz (ma dubito che possano confutarli), però il fatto reale è che c’è un’altra "macroeconomia", quella di quelli di sotto: meno salari, una minore e peggiore educazione, minori e peggiori case e servizi, minore e peggiore salute, minore e peggiore alimentazione. Sì, dietro questa maschera c’è una catastrofe.

 

Sommato a questo, aggiunga lei alcune sigle, Fobaproa, ed avrà pronto un cocktail da incubo in più: oltre alla loro povertà, milioni di messicani dovranno ora farsi carico del salvataggio di questi altri criminali, i banchieri, che usano lo "Stato di Diritto" come alibi ed hanno nel governo un complice ed un ruffiano sempre disponibile.

 

Indignante, sicuro. Però.

 

Silenzio! Non si può fare niente, è la fatalità della globalizzazione che ci impone un silenzio inappellabile ed un religioso conformismo. Non ci deve preoccupare che questa rassegnazione sia arrivata fino a L’Avana, ma che la distruzione delle Nazioni (che va in coppia, irrimediabilmente, con la globalizzazione) ci si presenti come qualcosa di evidente, cioè come naturale, indiscutibile e senza contraddizioni.

 

Sicuramente il neoliberismo ha costruito con il grande capitale finanziario un nemico formidabile, capace di dettare guerre, fallimenti, dittature, "democrazie", vite e, soprattutto, morti in qualsiasi angolo del mondo. Tuttavia, questo processo di globalizzazione totale (economica, politica e culturale) non significa l’inclusione delle diverse società, incorporando le loro specificità. Al contrario, implica una vera imposizione di uno, e uno solo, pensiero: quello del capitale finanziario. In questa guerra di conquista tutto e tutti devono sottomettersi al criterio del mercato, colui che si oppone o lo ostacola sarà eliminato. Ma, oltre a questo, implica la distruzione dell’umanità come collettivo socioculturale e la ricostruisce come pezzi di mercato. Opporsi al neoliberismo, combattere contro di lui non è solo una scelta politica o ideologica, è una questione di sopravvivenza per l’umanità. Qualcuno aveva avvisato che andare contro la globalizzazione era come andare contro la legge di gravità. E allora non c’è altro da fare, abbasso la legge di gravità!

 

La distruzione del Messico come Nazione deve essere nascosta. Così è necessaria un’altra maschera, quella dello Sciovinismo. Motivati dall’ansia di pace e tentando di fermare lo sterminio di indigeni, che il governo messicano porta avanti in terre chiapaneche, centinaia di donne e uomini del Messico e di altre parti del mondo sono giunti nel sudest messicano. Niente di più scomodo per i criminali che avere dei testimoni nel laboratorio di sterminio che hanno montato sul suolo indigeno, così dall’ineffabile Ministero degli Interni è arrivata una doppia ricetta: per i messicani il carcere, per gli originari di altri paesi, l’espulsione (previa campagna xenofoba su stampa, radio e televisione). D'un tratto, con giustificazioni più che stupide, il principale venditore della Sovranità Nazionale ha avuto un impeto di patriottismo e, al grido di "lo straniero buono è lo straniero muto e cieco!" si è messo a perseguitare, minacciare ed espellere tutti quelli nati in altre terre che uniscono il loro cuore alla lotta per una pace con giustizia e dignità. Per le centinaia di osservatori stranieri ci sono colpi, violazioni, minacce e insulti in abbondanza. Per gli "investitori" stranieri abbondano le carovane servili, i complimenti, le adulazioni.

 

E, come grottesco ornamento di questa maschera, arriva il silenzio del Tradimento. Sì, tradimento alla parola data a San Andrès. Tradimento di chi ha creduto nel cammino del dialogo. Tradimento di quelli che hanno lottato per la pace. Tradimento di quelli che hanno pensato che fosse possibile che il governo riconoscesse i diritti dei popoli indigeni. Tradimento di quelli che hanno sperato che si potesse fermare la guerra nel sudest messicano. Ed il tradimento, la distruzione, l’oblio, hanno bisogno di un supporto ideologico, di una "teoria" che dia ai crimini la ragione che la storia tenacemente nega loro.

 

Così arriva la Maschera della "Obiettività Intellettuale". La portano alcuni personaggi della vita culturale in Messico, che hanno libero accesso alle stanze del potere politico, economico e religioso. Il loro primo gradino è stato quello di porsi come critici contro i critici del sistema politico.

 

Con la presunta "autorità morale" data dal pentimento, questi intellettuali si sono scagliati contro i colleghi che non li hanno seguiti nella loro frenetica corsa verso lo zoppicamento. "L’operazione di discredito della ragione critica è stata svolta nel ruolo di protagonista da un beautiful people intellettuale, composto per la maggioranza da ex giovani filosofi, ex giovani sociologi ed ex giovani leader d'opinione che conoscevano le strade che portavano alla tavola del signore, secondo l’antico insegnamento dello scrivano seduto". (Vásquez Montalbán, Manuel. "Panfleto desde el planeta de los simios", Ed. Drakontos, Barcelona, p. 144). A questo passo ne sono seguiti altri, che presto hanno condiviso la tavola con i grandi gerarchi politici, finanziari, religiosi, culturali, cioè con le volontà che ora guidano il sanguinario veicolo del neoliberismo in Messico. "Il potere pragmatico non solo ha potuto contare su maestri di eleganza per farsi spazio a gomitate fra la vecchia e la nuova oligarchia finanziaria, ma ha anche avuto a disposizione un coro di intellettuali organici, che l’ha aiutato a non scrivere neanche una riga, né ad avere un’idea propria, ne mentre lo rifornivano dell’ideologia indispensabile per andare avanti e di una collezione completa di adulazioni." (Op. Cit.)

 

In alcuni momenti questi professionisti dell’adulazione sono riusciti, da essere buffoni di corte con studi professionali e/o opera pubblicata, a trasformarsi in "consiglieri". In cambio delle briciole della tavola del Potere (e di raccomandazioni che hanno valso loro vantaggi economici apprezzabili), questi ideologi orientano e consigliano i nostri governanti. Certo non sempre le cose riescono come le prevedono i consiglieri e i consigliati. E non solo per il continuo va e vieni delle loro posizioni politiche e delle "serie" analisi (esempio: Jorge Alcocer, della nidiata degli intellettuali del salinismo, un giorno annuncia che formerà un partito di sinistra e la mattina dopo entra in carica come sottosegretario agli Interni), ma anche (e soprattutto) perché la realtà non è intesa com’è, ma si suggeriscono decisioni partendo dal fatto che la realtà dovrebbe essere quella che il potere vuole che sia.

 

C’è una lunga lista di fallimenti, ma solo menzionando "Chiapas" ne abbiamo uno che rappresenta anche gli altri. Gli ex intellettuali indipendenti, ed oggi dipendenti assessori, consigliano "mano dura" e "fermezza" nel modo governativo di trattare i ribelli indigeni del sudest messicano. "Tutti i costi sono già stati pagati, non abbiamo niente da perdere", hanno detto per sostenere la loro raccomandazione di usare la via militare per risolvere definitivamente il conflitto. Hanno consigliato anche una "nuova politica dei media" (nome con cui, nel governo e tra i suoi assessori, si conoscono i discorsi in atti pubblici, le conferenze stampa e le interviste da banchetto) che sia congruente con la "politica dei fatti" (vale a dire di guerra) che si stava portando avanti nelle comunità indigene del paese. Risultato: latrati, ordini, sgridate, bravate, minacce, motti e contraddizioni ("conflitti intragovernativi" direbbe la PGR riferendosi, non all’assassinio di Colosio, ma alle dichiarazioni di Zedillo, Labastida e Rabasa).

 

Le conseguenze di questi fatti e parole non ricadono solo sugli indigeni vittime della campagna di sterminio contro di loro, non solo Zedillo, che si macchia sempre più le mani con sangue scuro, non solo Labastida, che vede rovinare la sua carriera politica verso la presidenza della repubblica, non solo Rabasa, che si vede nella necessità di dimostrare che non c’è stupidata che dica che non possa essere superata (da lui stesso) in crescendo il giorno dopo, non solo il "maresciallo" Albores, che riveste già un ruolo privilegiato tra gli assassini ed i ladri di questo secolo.

 

Non solo loro, le conseguenze le pagano anche gli intellettuali che non stanno "né da una parte , né dall’altra". Con la sua campagna militare e d'informazione, il governo è riuscito solo a restringere ancor più il già stretto corridoio delle posizioni intermedie. Così i "neutrali" si vedono intrappolati in un falso dilemma: o appoggiano il governo o appoggiano i ribelli.

 

La convergenza dei propositi contribuisce a far sì che si espandano la disperazione ed i clamori per la fine della "chiapanizzazione" nella vita nazionale.

 

Il Chiapas è un problema di opinione pubblica: dato che la parola di guerra e le azioni violente vengono solo dal lato governativo e dal lato dei ribelli c'è un silenzio che sembra loro abissale, gli intellettuali della "neutralità" si sentono scomodi perché se applaudono i discorsi e la pratica governativi si mettono dalla parte dell’irrazionalità e del crimine, e se lo criticano si mettono dalla parte di alcuni incappucciati che, oltre che ribelli, sono indigeni.

 

E’ comprensibile la loro disperazione, la guerra che il governo realizza in Chiapas ed in Guerrero spruzza già da tutte le parti e minaccia di macchiare penne ed accurate analisi.

 

Però c’è chi non si altera di fronte al dilemma ed abbraccia con fervente e religiosa devozione il compito di "dar ragione" al crimine di Stato che si attua nel Messico indigeno.

 

Ma il miele non arriva sulle frittelle, gli errori si succedono vertiginosamente e provocano malessere agli assessori ufficiosi. Il fastidio di questi intellettuali, di fronte alla goffaggine governativa, nasconde l’insoddisfazione per i consigli disprezzati. Gli intellettuali dell’annientamento indigeno "per ragioni di Stato" si infastidiscono per il ritardo governativo nel mettere il "punto finale" al sassolino nella scarpa.

 

Fortunatamente, di giorno in giorno sono sempre meno e sempre più soli gli intellettuali dell’obiettività criminale (così come i loro consigli). Ci sono, in cambio, mezzi d’informazione che hanno l’onore di poter contare per le loro pagine e per i loro microfoni su analisti politici, giornalisti ed artisti che si rifiutano di partecipare ai giochi di prestigio che vorrebbe imporre loro il governo e continuano a sezionare i problemi nazionali (e a prendere posizione di fronte a questi) cercando soluzioni includenti, pacifiche e razionali.

 

Persa la ragione, la storia, la legittimità e la Nazione, rimane ben poco al sistema politico messicano. Adesso pensa che solo una maschera potrebbe salvarlo e portarlo vivo (anche se non più sano ed integro) sull’altra sponda di questo secolo: la Maschera della Guerra.

Sì, la guerra in

 

III. - 1998. L’Esercito Federale Messicano: tra Angeles e Huertas.

 

(Audio da utilizzare per qualsiasi mezzo d'informazione al servizio del supremo. Le immagini saranno quelle degli attacchi alle comunità di Chavajeval e di Unión Progreso, nel municipio autonomo di San Juan de la Libertad, Chiapas Ribelle, il 10 giugno del 1998).

 

Guardi i soldati federali: così giovani, così forti, così ben nutriti, così ben equipaggiati, così ben addestrati, tan tan. Li guardi combattere eroicamente da dietro i loro carri armati, con la loro artiglieria leggera, i loro elicotteri e gli aerei bombardieri. Guardi con che decisione e coraggio sparano ed affrontano il nemico. Quanta dedizione! Che grande eroismo! Che audacia! Che disprezzo per il pericolo! Quanto impegno nella difesa della sovranità nazionale! Non sono degni d'ammirazione? Non le viene voglia d'intonare l’Inno Nazionale dove dice "Messicani al grido di guerra…"?

 

Questo è patriottismo. Non importa che dall’altra parte, dalla parte del "nemico" ci siano solo machete, pietre, bastoni, mani, unghie, denti. Non importa che dall’altra parte, dal lato del "nemico", ci siano indigeni messicani, coloro che per primi hanno popolato queste terre, coloro che hanno resistito nella guerra di conquista, coloro che hanno fatto nascere la Patria lottando con Miguel Hidalgo, José Maria Morelos, Vicente Guerrero, coloro che hanno combattuto contro i gringos nel 1847, coloro che hanno lottato a fianco di Juárez contro l’invasione francese, quelli che hanno messo carne, sangue e rivendicazioni di giustizia nella rivoluzione di Villa e Zapata, quelli che si rifiutano di essere liquidati a causa di un modello, quello neoliberale, che fa una guerra di sterminio contro di loro con tutti i mezzi ed in tutti i modi.

 

Non importa, guardi combattere i bravi soldati federali.

 

Non guardi le violenze, i colpi, le esecuzioni, lo sterminio di uomini, donne, bambini ed anziani. Non guardi l’esodo di decine di migliaia di rifugiati.

 

Non veda. Non senta.

 

Ascolti solo il Comandante Zedillo, il capo di questi soldati ai quali ha ordinato di salvare il Messico… dai più messicani di tutti.

 

Veda e senta solo quello che le ordiniamo di vedere ed ascoltare.

 

Questo è nazionalismo! Questo è essere patriota! Questo è lo "Stato di Diritto"! Questo è l’Esercito Federale! La garanzia armata della difesa della Sovranità Nazionale!

 

Così forti, senza dare importanza che di fronte ci siano i deboli! Così valorosi nonostante combattano contro inermi! Così intrepidi nonostante si scontrino con gli indifesi!

 

Non veda né senta il suo comandante in capo abbassare la testa, vergognosamente, di fronte al suo pari nordamericano. Non veda né senta il lento e grottesco "servizio di traduzione" con cui il suo cancelliere pretende di nascondere la codardia del governo di Zedillo di fronte alle fauci aperte dell’impero delle strisce e delle minacciose stelle. Non veda il suo esercito, quello federale, rendere onori militari da comando supremo al capo dell’esercito… nordamericano. Non veda gli ufficiali messicani rendere conto ed eseguire gli ordini dei loro "consiglieri" statunitensi.

 

Non veda né senta il silenzio di quegli indigeni messicani che lottano per democrazia, libertà e giustizia.

 

Non veda né senta quell'anacronistico "Per tutti tutto, niente per noi". A chi può venire in mente in questi tempi del "si salvi chi può"?

 

Non veda, né senta la realtà.

 

Questi indigeni ("zapatisti" credo si autodefiniscano) sono il nemico principale, sono i vendepatria; quelli che vogliono consegnare la sovranità nazionale ad oscuri interessi stranieri; quelli che vogliono ribellarsi contro l’ingiustizia economica; quelli che esigono che colui che comanda, comandi obbedendo; quelli che chiedono democrazia per tutti, quelli che vogliono un posto nella Nazione; quelli che lottano per la giustizia; quelli che vogliono tetto, terra, lavoro, pane, salute, educazione; quelli che difendono l’indipendenza del Messico; quelli che vogliono un mondo nuovo, uno migliore…

 

Che sto dicendo? Non ascolti! Non guardi! Applauda!

 

Lì ci sono i nostri bravi soldati che uccidono l'oscuro nemico (il colore della pelle li tradisce)!

 

Gridi! Viva Messico! Un’altra volta! Viva Messico!

 

Legga e ascolti il bollettino di guerra che questi abnegati soldati consegnano al loro capo, al comandante Ernesto Zedillo Ponce de León, e che le offriamo in esclusiva su questo canale:

 

Bollettino di guerra n. 1998/6.

 

A: Zedillo Ponce de León. Comandante supremo.

Dal: Gruppo di Comando Operativo dell’Esercito Federale.

 

Teatro delle operazioni: il sudest messicano.

 

Campagna militare: "Lo Stato di Diritto per le vie di fatto".

 

Data: Dal 22 dicembre 1997 al 10 giugno 1998.

 

Numero degli effettivi delle forze governative: 60.000 (Nota: non include il numero di truppe speciali, quelle che l’opposizione chiama "paramilitari").

 

Equipaggiamento militare delle forze del supremo governo: Carri armati da Guerra, blindati, veicoli Hummer, aerei da ricognizione, aerei da combattimento e da bombardamento, elicotteri, obici, mortai, artiglieria leggera, mitragliatrici, fucili automatici, granate, kit di sopravvivenza elettronica.

 

Numero degli effettivi dei trasgressori della legge: 300 (incluso il pagliaccio incappucciato che li comanda).

 

Equipaggiamento militare delle forze ribelli: fucili a scoppio di quelli detti "chimbas", carabine calibro 22, bastoni, machete, pietre, mani, unghie, denti, parole e (secondo quanto scoperto dai nostri intelligenti servizi di intelligence)…silenzi.

 

Azioni realizzate:

 

.- Acteal, Chenalhó, Chiapas: 45 perdite del nemico (uomini, donne e bambini inclusi) realizzate dalle nostre truppe speciali in azione tattica definita "occulta".

 

.- Diverse comunità indigene, Chiapas: Un numero indeterminato di armi sequestrate (preventivamente seppellite da noi), libri sovversivi come "il vangelo secondo il pagliaccio incappucciato".

 

.- Navil, Tenejapa, Chiapas: due sacconi di fagioli (che dimostrano che i trasgressori preparavano una guerra batteriologica) ed alcune armi che avevamo interrato.

 

.- Chavajeval, El Bosque ("San Juan de la Libertad" per i trasgressori della legge), Chiapas: 3 perdite al nemico prodotto del nostro coraggioso e audace fuoco di artiglieria leggera, mortai e mitragliatori terrestri ed aerei.

 

.- Unión Progreso, El Bosque, Chiapas: cinque nemici giustiziati per il delitto di essersi ribellati contro le sacrosante istituzioni.

 

.- Amparo Aguatinta e Taniperla, nei sedicenti municipi autonomi di "Tierra y Libertad" e "Ricardo Flores Magón", Chiapas: 2 casette di legno bruciate, un murales distrutto, decine di arresti (vivi, sfortunatamente).

 

.- Stato del Chiapas in generale: un numero indeterminato di morti, feriti e prigionieri prodotto di azioni di quelle che chiamano "occulte" e della stretta applicazione della legge.

 

Risultato: clamoroso trionfo dello stato di diritto che lei degnamente rappresenta.

 

Mio signore: le armi nazionali si sono coperte di gloria.

 

Firme e ghirigori.

 

P.S.: Sì si può!

 

P.S.: E’ da sottolineare l’abnegato lavoro e la sovrabbondante intelligenza del maresciallo di campo Roberto Albores Guillén, sotto i cui ordini abbiamo l’onore di servire la Repubblica.

 

P.S.: dal maresciallo Albores: grrrr, bau, bau, arfff, grrr.

 

Risposta:

 

Al: Gruppo di Comando dell’Esercito Federale.

 

Da: Ernesto Zedillo Ponce de León.

 

Complimenti. L’Esercito federale non se ne andrà dal Chiapas. Continuerà fino all'adempimento della legalità e all’instaurazione dello stato di diritto.

 

Solo mi rimane da dirvi: ragazzi, duro con loro!

 

"Tutto con violenza, niente con la politica".

 

EZPL.

 

Firma e ghirigoro.

 

P.S.: Un grande abbraccio (e qualche crocchettina) per il mio fedele amico e servitore, il maresciallo di campo Albores.

 

P.S.: Mai prima così pochi (io e quelli che mi appoggiano) hanno dovuto tanto a tanti (federali).

 

P.S. al P.S.: Non era così?

 

Guardi ed ascolti questi valorosi soldati, applauda i loro illustri capi!

 

Non veda né senta gli altri soldati, quelli che combattono gli incendi ed aiutano la popolazione nei disastri naturali. Non veda né senta i soldati che lottano contro il narcotraffico nazionale ed internazionale. Non veda né senta i soldati morti nella lotta contro il crimine organizzato che significa distruzione, fame e miseria per centinaia di migliaia di persone.

 

Non veda né senta i soldati che sono caduti, quelli sì, nel compimento del loro dovere.

 

Per quei soldati non c’è né un applauso, né una parola, né un saluto.

 

Per quei soldati c’è solo silenzio, quello dell’oblio.

 

Non veda né senta i soldati che combattono incendi in vari stati del paese.

Guardi ed ascolti (ed applauda) i soldati che provocano incendi e che adorano il fuoco nel sud e sudest messicani.

 

Veda ed applauda i soldati Huertas. Non veda né senta i soldati Angeles.

 

Non veda, non senta. Prenda la sua maschera ed il suo silenzio. Non veda, non senta. Non scelga…

 

Generale Felipe Angeles. Ufficiale dell’esercito federale ai tempi della Rivoluzione Messicana, passò nelle file ribelli e pose il suo ingegno e la sua conoscenza al servizio della causa degli oppressi. Combattè sotto gli ordini di Francisco Villa nella Divisione del Nord. I suoi compagni di armi nell’esercito governativo di allora lo tacciarono di traditore della patria.

 

La storia lo ricorda come un militare patriota.

 

Generale Victoriano Huerta. Ufficiale dell’esercito federale ai tempi della Rivoluzione Messicana, si mise agli ordini dell’ambasciatore degli Stati Uniti del Nordamerica e giustiziò l’allora presidente Francisco I. Madero. Guidò la controrivoluzione ed organizzò massacri di indigeni e la distruzione di villaggi nella sua campagna militare contro un trasgressore della legge che si chiamava "Emiliano Zapata". I suoi compagni di armi nell’esercito governativo di allora lo esaltarono ed acclamarono come patriota.

 

La storia lo ricorda come un traditore della Patria.

 

1998, l’Esercito Federale Messicano: così vicino agli Huertas e così lontano dagli Angeles.

 

La maschera della guerra, con lei arriva il silenzio della morte. E con la morte arrivano...

 

IV. - Le maschere ed i silenzi di quelli di sotto.

 

"La notte passerà,

Possono sputare le acque,

Possono fucilare i passeri,

Possono bruciare i versi.

Possono decapitare il dolce lirio.

Possono rompere il canto e scagliarlo nel pantano.

Però questa notte passerà."

Manuel Scorza

 

Il modello neoliberale esige, per mantenersi e crescere, di perpetrare un crimine che si concretizza in milioni di piccoli e grandi crimini, e lo Stato è l'incaricato di far pagare in modo effettivo ed efficace le vittime di sotto.

 

Affinché questa complicata (ed inutile) macchina teatrale che serve da scenario alla morte del sistema politico possa funzionare, è necessario distribuire grandi quantità di maschere e di silenzi per quelli di sotto. L’anonimato, la disperazione, il rancore, l’apatia, l’impotenza, la rassegnazione, lo scetticismo, l’individualismo ed il cinismo vengono offerti a piene mani per essere consumati da milioni di messicani e messicane che vivono male in questo paese. Sembrano gratis i silenzi e le maschere che arrivano da sopra a quelli di sotto, ma generalmente risultano molto costosi. Le perdite sono stratosferiche, ma non si misurano in termini monetari, bensì umani.

 

Le maschere dell’anonimato e dell’individualismo, che la frenetica globalizzazione tenta di imporre a uomini e donne di tutto il Messico, nascondono non la singolarità di ogni essere, ma il concreto incubo del vivere male di quelli di sotto. L’ingiustizia quotidiana che il sistema usa contro i messicani diluisce il suo impatto proprio nella grande moltiplicazione dei suoi piccoli crimini: un licenziamento di qua, una violenza di là, un arresto ingiusto ancora là, un furto più in là, un desaparecido politico da quel lato, una frode da questo lato, fame e miseria rinchiuse dentro quattro pareti di un qualsiasi là di qua. Vittime anonime ed individualizzate del sistema, milioni di messicani perdono (nell’alchimia neoliberale che trasforma il loro sfruttamento in un segreto moltiplicato) l’opportunità di ribellarsi contro un incubo, che li individualizza grazie al terrore, perché è anonimo nell’aggressione che perpetra.

 

E le maschere sono accompagnate da maschere, l’apatia ed il cinismo che si vogliono moltiplicare tra quelli di sotto. Si tratta di affratellare il "non m'importa niente" con il "m'interesso solo di me… e che" ed il potere adempierebbe così ad uno dei suoi principali obiettivi: imporre l’immobilità ed impedire la fratellanza.

 

Arrivano allora i silenzi. Quello del rancore contro tutto o contro nessuno, che si concretizza su chi è a portata di mano. Quello dell’impotenza di sentirsi troppo piccolo di fronte ad una macchina soggiogante, inafferrabile e, tuttavia, onnipresente. Quello della disperazione di vedersi e sapersi solo, senza nemmeno poter immaginare che le cose domani potrebbero essere migliori. Quello della rassegnazione che accetta l’inevitabilità dall’ingiustizia e del ruolo di vittima mentre il carnefice cancella il proprio volto identificandosi nel padrone, nel poliziotto, nel maschio, nel meticcio, nel ladro, nel vicino, nell’altro-sempre-l’altro.

 

Ed il silenzio della rabbia esplode in qualsiasi momento, un silenzio che si accumula e cresce in situazioni assurde, inaspettate, incomprensibili: l’uomo con la donna, la banda con il passante qualunque, il lavoratore con il lavoratore, l'indigeno con l’indigeno, l’uno con l’altro, il rancore con il rancore.

 

Nuove forme di lotta stanno creando le proprie maschere e stanno forgiando i propri silenzi. Poco a poco cresce e si moltiplica la degna maschera della resistenza, il "non mollo", il "non mi arrendo", il "continuo a lottare" , il "non zoppico", il "bene, andiamo!". Dietro la stessa maschera dell’anonimato, indigeni, lavoratori, contadini, casalinghe, cittadini, sindacalisti, studenti, maestri, cristiani di base, pensionati, disabili, autisti, commercianti, militanti di organizzazioni politiche e sociali, donne, giovani, bambini ed anziani, i tutti che si scoprono uno giorno dopo giorno, che resistono a rimanere così-come-se-niente-fosse-e ora-non-bisogna-lasciarsi-andare-bisogna-lottare-e-organizzarsi-e-rivoltare-tutto-e-rifarlo-di-nuovo-e-non-è-vero-che-siamo-pochi-e-non-è-vero-che-siamo-deboli-e-non-è-vero-che-perderemo-sempre-e-non-è-vero-questo-e-non-è-vero-l’altro-e-alzati-uomo-e-vedrai-e-non-è-vero-che-non-è-vero-e-no-e-perché-no-e-no-e-perché-sì-e-no-e-adesso-no- NO-ADESSO NO…

 

E con la resistenza cammina e si alza un silenzio terribile: il silenzio che accusa e segnala.

 

V. - Le sette vittime della nuova strategia governativa per il Chiapas

 

Brillante è stata la campagna militare del comandante Zedillo. L’hanno accompagnato in questa impresa bellica il signor Labastida come capo del suo Stato Maggiore, il signor Rabasa come… come… cos’è che fa il signor Rabasa? Bene, la signora Rosario Green nel servizio di traduzione non molto simultanea (né molto fedele), ed il signor? Albores Guillén come maresciallo di campo.

 

Oltre a riempire le carceri chiapaneche (che aveva preventivamente svuotato dei paramilitari) di indigeni zapatisti e di membri della società civile, oltre a promuovere l’uso di capanne indigene come bersaglio, nelle esercitazioni di tiro dell’Esercito federale, oltre a praticare esecuzioni sommarie che niente hanno da invidiare a quelle praticate dalle dittature militari in tutto il mondo (un vantaggio della globalizzazione?), oltre aver legato il nome del "Messico" a quelli insanguinati di "Acteal", "Chavajeval" e "Unión Progreso", oltre ad aver portato il terrore, la miseria e la menzogna nelle terre indigene del Messico, il comandante Zedillo e la sua squadra portano sette decorazioni per altrettante vittime.

 

Sì, perché sette sono le vittime della sua guerra: la pace, il dialogo come via di soluzione dei conflitti, gli indigeni, la società civile nazionale ed internazionale, la sovranità nazionale, la transizione alla democrazia, la Commissione di Concordia e Pacificazione e la Commissione Nazionale di Intermediazione.

 

Continuando la sua lotta personale contro i ribelli zapatisti, Zedillo non solo ha fatto prigioniera di guerra la pace che si stava per raggiungere, ma ha anche attaccato la speranza di una pace futura.

 

Il dialogo come via di soluzione dei conflitti è una delle perdite più importanti nella guerra del sudest messicano. Mancando all'adempimento degli accordi di San Andrès che ha firmato, Zedillo ha fatto a pezzi la fiducia verso il suo governo. Senza la fiducia, è impossibile arrivare a degli accordi. E se non è per arrivare a degli accordi, perché si dialoga?

 

Da parte loro gli indigeni si sono trasformati nella parte principale dei "trionfi" di Zedillo in Chiapas: nessun regime era stato responsabile, diretto e indiretto, di tante morti, arresti, torture, espulsioni, sgomberi e sparizioni di indigeni chiapanechi come l’attuale.

 

L’atteggiamento bellicista governativo ha fatto un’altra vittima nella società civile nazionale ed internazionale non ascoltando i suoi appelli al dialogo ed alla pace.

 

Un’altra vittima ancora è la transizione alla democrazia che si vede frenata da un sistema politico disposto ad un bagno di sangue pur di non perdere i suoi privilegi.

 

Della sovranità nazionale rimane solo un nostalgico ricordo. Al suo posto ci sono consiglieri militari stranieri, armi straniere, tattiche di combattimento straniere, razioni di cibo straniero, attrezzature da combattimento straniere. Nella guerra del Chiapas, l’unica cosa nazionale è il sangue che si versa.

 

Menzione a parte meritano due vittime: una si trascina moribonda, l’altra giace irrimediabilmente morta.

 

Una è la Commissione di Concordia e Pacificazione, formata da legislatori federali dei partiti politici rappresentati nel Parlamento dell’Unione. La Cocopa è stata presa in giro, schernita, usata, disprezzata, umiliata e dimenticata dal governo. Nel suo gioco perverso e mortale, Ernesto Zedillo ha finto di fronte alla Cocopa la sua disponibilità ad accettare i lavori dei legislatori per raggiungere, rapidamente e con efficacia, la pace nel sudest messicano. Ritrattando la sua approvazione dell’iniziativa di legge indigena elaborata dalla Cocopa, il governo ha mollato i legislatori nel ridicolo e ha distrutto loro qualsiasi autorità morale per presentarsi di fronte alla dirigenza zapatista. Dopo, Zedillo si è dedicato a colpire i "cocopos" che non si piegavano ai suoi piani di guerra (cioè quasi tutti), per poi ignorare la commissione per il lungo periodo durante il quale si è pianificato ed eseguito l’assassinio di massa di indigeni ad Acteal nel dicembre del 1997.

 

Infine il governo ha trattato la Cocopa con scherzi, sgambetti, colpi e sabotaggi.

 

L’EZLN non farà lo stesso.

 

Simultaneamente al sabotaggio contro la Cocopa, al Ministero degli Interni s'interessavano ad assassinare ed arrestare altri indigeni ancora e a scatenare una guerra totale contro la Commissione Nazionale di Intermediazione (Conai) e, specialmente, contro il suo presidente, il vescovo Samuel Ruiz García. Infine, a botta e risposta, Labastida dice quello che smentisce Rabasa, Zedillo li corregge entrambi. Rabasa sfuma Zedillo, Labastida sgrida Rabasa, insomma una confusione di maschere e ruoli che farebbe ridere se non fosse che nasconde una guerra brutale e diseguale.

 

Dopo aver sofferto per un’intensa e lunga campagna di attacchi e menzogne, la Commissione Nazionale di Intermediazione (riconosciuta dalle parti, EZLN e governo federale, come meccanismo di mediazione nel dialogo di pace) si è sciolta.

 

Si segni questi nomi: don Samuel Ruiz García, doña Concepción Calvillo Vedova de Nava, dottor Pablo González Casanova, dottor Raymundo Sánchez Barraza, poeta Juan Bañuelos, poeta Oscar Oliva (questi sei come membri) e Pedro Nava, Salvador Reyes, Gonzalo Ituarte e Miguel Alvarez come segretari. Questi 10 formavano la Commissione Nazionale di Intermediazione, uno dei principali obiettivi da distruggere secondo la strategia governativa di guerra.

 

I loro reati? Tutti imperdonabili: lottare per una pace con giustizia e dignità, rappresentare la società civile nazionale come mediatrice nel conflitto, credere fermamente nel dialogo come soluzione delle dispute, non piegarsi agli ordini del governo, mantenere autonomia ed indipendenza rispetto alle parti, pensare che la pace in Messico passi necessariamente attraverso la transizione alla democrazia, impegnarsi dalla parte degli indigeni nelle loro lotte pacifiche e (il peggiore di tutti i reati) essere diventati un ostacolo alla guerra.

 

Per mesi queste persone sono state vittime di attacchi di ogni tipo, compresi attentati alle loro vite, ai loro beni e alla loro libertà. Per mesi hanno subito la pressione di tutto l’apparato dello Stato messicano, dei governi federale, statale e municipale; dell'Esercito, della polizia e dei paramilitari; dei due monopoli televisivi e della stampa locale: degli impresari; dei deputati federali e locali; dei senatori della Repubblica, dei giudici e dei pubblici ministri; dei direttori di partiti politici; dell’alta gerarchia delle chiese cattolica ed evangelica. Milioni e milioni di pesos spesi in campagne di discredito contro di loro.

 

Tutto il potere politico economico, ecclesiastico e militare contro queste 10 persone e, in particolare, contro don Samuel Ruiz García, il vescovo della diocesi di San Cristóbal.

 

Il 7 giugno del 1998, la settima vittima cadeva di fronte all’avanzata della macchina da guerra zedillista. Don Samuel Ruiz García rinunciava alla CONAI e questa si scioglieva.

 

Con la scomparsa della Conai finiva una feroce resistenza contro l’autoritarismo, il crimine e l’intolleranza, ma non si concludeva per loro la ricerca della pace.

 

Ma la macchina non si è fermata alla rinuncia del presidente della Conai. Il signor Ernesto Zedillo non si è accontentato di vedere il vescovo Samuel Ruiz García fuori dalla mediazione del conflitto. No, lo vuole vedere scomparso, cancellato, morto. Con rancore accarezza l'obiettivo di toglierselo letteralmente da davanti, se l’attentato è fallito una volta, ci saranno altre opportunità. Dopo tutto, se si è potuto assassinare un cardinale (Posadas Ocampo) e continuare a rimanere impuniti, ci si può benissimo occupare di questo scomodo vescovo e continuare senza problemi. E non si tratta di una di queste brutte battute con cui Zedillo tortura il suo gabinetto no, il rancore si è trasformato, in questo signore, in un autentico stile personale di governo. Ed in quanto a vendette personali "lui sì sa farlo".

 

Di volta in volta, in ognuna delle visite coniugali che fa al prossimo ex governatore ad interim Albores Guillén, il signor Zedillo attacca con furore cieco e codardia chi ha avuto la pace e la giustizia come bandiere e non ha lesinato sforzi né dolori per compiere con onestà il suo dovere, che è, in fin dei conti, quello di ogni essere umano che si rispetti: lottare per la giustizia, il rispetto e la dignità.

 

Non è poco ciò che il paese deve a queste 10 persone. Anche se è finita una tappa nel sudest messicano, la storia nazionale riserva già a loro un posto a fianco dei migliori. Molto tempo dopo, quando Zedillo sarà dimenticato o arrestato per i suoi innumerevoli delitti, i nomi di queste persone resteranno ancora in un luogo molto speciale nel cuore degli attuali messicani di sotto, e in particolarmente nel cuore degli indigeni.

 

Anche se, dopo questa tappa della lotta, quelli della Conai hanno detto chiaramente che continueranno a lottare in diversi modi ed in diversi luoghi per lo stesso fine: per la giustizia per gli indigeni messicani, per la transizione alla democrazia e per la pace.

 

Ma le sette vittime della guerra del governo si moltiplicano in altri combattenti che resistono. Essi ricordano storie di ieri nell’oggi, come questa che parla di…

 

VI. - Il vecchio Antonio contro il maoismo avvizzito.

 

Avviso importante, cioè avvertimento urgente, o come si suol dire: La sezione Racconti del Cavalluccio di Mare interrompe arbitrariamente questa mooolto seria analisi politica e, lì per lì, ci lascia col mal di mare come la marea quando muove il mare. Come medicina il cavalluccio marino ci prescrive un racconto (che altro poteva fare!).

 

Racconta il vecchio Antonio che quando era giovane suo padre, don Antonio, gli insegnò ad uccidere il leone senza armi da fuoco. Racconta il vecchio Antonio che quando era il giovane Antonio e suo padre era il vecchio Antonio gli raccontò la storia che adesso mi suggerisce all’orecchio perché il mare la conosca dalle mie labbra. Il vecchio Antonio me la racconta così com'è, però io la chiamo

 

La storia del leone e dello specchio

 

"Il leone prima squarta la sua vittima, dopo beve il sangue mangiando il cuore e lascia i resti per gli avvoltoi. Non c’è niente che possa contro la forza del leone. Non c’è animale che lo affronti né uomo che non scappi. Il leone può essere sconfitto solo da una forza ugualmente brutale, sanguinaria e potente."

 

L’allora vecchio Antonio dell’allora giovane Antonio, rollò la sua sigaretta e, fingendo di prestare attenzione alla legna che convergeva nella luminosa stella di fuoco del falò, guardò di sottecchi il giovane Antonio. Non attese molto prima che il giovane Antonio chiedesse:

 

- E qual è questa forza così grande che può sconfiggere il leone?

 

Il vecchio Antonio di allora passò al giovane Antonio di allora uno specchio.

 

- Io? – chiese l’allora il giovane Antonio guardandosi nel rotondo specchietto.

 

Il vecchio Antonio di allora sorrise con gusto (questo dice il giovane Antonio di allora) e gli tolse lo specchio.

 

- No, tu no – gli rispose.

 

"Mostrandoti lo specchio ho voluto dire che la forza che poteva sconfiggere il leone era la stessa del leone. Solo lo stesso leone può sconfiggere il leone."

 

- Ah! – disse l’allora giovane Antonio, tanto per dire qualcosa.

 

L’allora vecchio Antonio capì che l’allora giovane Antonio non aveva capito niente e continuò a raccontare la storia.

 

"Quando comprendiamo che solo il leone può sconfiggere il leone iniziamo a pensare a come fare affinché il leone affronti se stesso. I vecchi più vecchi della comunità dissero che bisognava conoscere il leone e nominare un giovane perché lo conoscesse."

 

- Tu? – interrompe l’allora giovane Antonio.

 

L’allora vecchio Antonio assentì con il suo silenzio e, dopo avere rimesso a posto la legna del falò, continuò:

 

"Fecero fatto salire il giovane sull’alto di una ceiba e lasciarono sotto di questa un vitello legato. Il giovane doveva osservare quello che il leone faceva con il vitello, aspettare che se ne andasse e ritornare alla comunità a raccontare ciò che aveva visto. Così si è fatto ed il leone è arrivato, ha ucciso ed ha squartato il vitello, dopo si è bevuto il suo sangue mangiandosi il cuore e se n’è andato mentre gli avvoltoi stavano già girando intorno aspettando il loro turno.

 

"Il giovane tornò alla comunità e raccontò quanto visto, i vecchi più vecchi pensarono un momento e dissero: "Che la morte che dà l’assassino sia la sua morte" e consegnarono al giovane uno specchio, alcuni chiodi da fabbro ed un vitello.

 

"Domani sarà la notte della giustizia, dissero i vecchi e tornarono ai loro pensieri.

 

"Il giovane non capì. Se ne andò nella sua capanna e rimase lì un po’ guardando ciò che aveva in mano. Era lì ed arrivò suo padre che gli chiese cosa stesse succedendo; il giovane gli raccontò tutto. Il padre del giovane rimase in silenzio insieme a lui e, dopo un po’, parlò. Il giovane sorrise mentre ascoltava suo padre.

 

"Il giorno dopo, quando la sera già si dorava ed il grigio della notte si lasciava cadere sulle chiome degli alberi, il giovane uscì dalla comunità ed andò ai piedi della ceiba portando il vitello. Quando arrivò sotto l’albero madre, uccise il vitello e gli tolse il cuore. Dopo ruppe lo specchio in tanti pezzettini e lo appiccicò al cuore con lo stesso sangue, dopo aprì il cuore e ci mise i chiodi. Ripose il cuore nel petto del vitello e con dei pali fece un’armatura per tenerlo in piedi, come se fosse vivo. Il giovane salì in alto sulla ceiba ed aspettò lì. Sopra, mentre la notte si lasciava cadere dagli alberi al suolo, ricordò le parole di suo padre: "La stessa morte che ha dato l’assassino, l'ammazzerà".

 

"Già si era fatta notte nel tempo di sotto quando arrivò il leone. L’animale si avvicinò e, con un salto, attaccò il vitello e lo squartò. Quando leccò il cuore, il leone vacillò davanti al fatto che il sangue fosse secco, ma gli specchi rotti gli ferirono la lingua e la fecero sanguinare. Così il leone pensò che il sangue della sua bocca fosse quello del cuore del vitello e, eccitato, morse il cuore intero. I chiodi lo fecero sanguinare ancor più, ma il leone continuò a pensare che il sangue che aveva nella bocca era quello del vitello. Masticando e masticando, il leone feriva sempre più se stesso e più sanguinava, più masticava.

 

"Il leone rimase così fino a morire dissanguato.

 

"Il giovane ritornò con gli artigli del leone come collana e la mostrò ai vecchi più vecchi della comunità

 

"Loro sorrisero e gli dissero: ‘Non sono gli artigli quelli che devi conservare come trofeo di vittoria, ma lo specchio’.

 

Così racconta il vecchio Antonio che si uccide il leone.

 

Ma, oltre allo specchietto, il vecchio Antonio porta sempre il suo vecchio fucile a scoppio.

 

"E’ nel caso che il leone non conosca la storia", mi dice sorridendo e schiacciando un occhio. Dall’altro lato, il mare aggiunge: "nel caso sia il leone o l’Orive".

 

E parlando di ex maoisti e di ex radicali di ex sinistra, oggi fiammanti consiglieri dei criminali di destra (che hanno iniziato parlando come pappagalli ed adesso, per nascondersi, imitano gli struzzi), il vecchio Antonio aveva la sua versione sulla faccenda del rivoluzionario e delle masse simili al pesce nell’acqua, oltre alla strategia di antiguerriglia di "togliere l’acqua al pesce" che oggi consigliano gli spaventati consiglieri governativi:

 

 

 

Il pesce nell’acqua

 

Racconta il vecchio Antonio una storia che gli hanno raccontato i vecchi più vecchi della sua comunità. Racconta la storia che c’era una volta un pesce molto bello che viveva nel fiume. Raccontano che il leone vide il pesce e gli venne voglia di mangiarlo. Il leone andò al fiume ma vide che non poteva nuotare nel fiume ed attaccare il pesce. Allora il leone chiese consiglio all’opossum. E questo gli disse: "E’ molto semplice, il pesce non può vivere senz’acqua. L’unica cosa che devi fare è bere l’acqua del fiume e così il pesce resterà senza potersi muovere ed allora potrai attaccarlo e mangiarlo". Il leone si mostrò soddisfatto del consiglio dell’opossum e lo ricompensò con un posto nel suo regno.

 

Il leone andò alla riva del fiume ed iniziò a bere il liquido.

 

Morì scoppiando di acqua.

 

L’opossum rimase disoccupato.

 

Tan tan.

 

Nuovo avviso importante, ma non più tanto urgente avvertimento: l’interruzione del cavalluccio di mare è finita, ma non così il mal di mare. La sua persistenza si deve sempre a ciò che si dimostra e di cui si parla in...

 

VII. - La settima maschera ed il settimo silenzio

 

"E' chiaro che nel campo dell’azione politica, (...) trionfa solo chi mette la vela dove soffia il vento; chi mai pretende che soffi l’aria dove mette la vela".

Juan de Mairena Antonio Machado

 

1998. Messico. Mentre il supremo governo va verso la guerra e tenta disperatamente di unire i venti di sopra, grugniti di bestia e sortilegi per spingere le pensanti velature della nave della morte, questi indigeni messicani, che hanno unito il nome di Emiliano Zapata alla propria storia, in silenzio preparano la giustizia e la dignità che dovrà arrivare nonostante le loro morti (o forse per mezzo di esse).

 

In silenzio, questi indigeni guardano i cieli e la terra per indovinare i venti di sotto che corrono per i campi del Messico e del mondo, per le polverose strade dei villaggi e dei paesi, per il disordinato insieme dei quartieri popolari, per le sedi di sindacati onesti, per gli uffici di partiti politici impegnati, per i teatri-cinema-auditorium-sale-di-spettacolo-gallerie-d’arte, per i laboratori ed i centri di ricerca scientifica, per i cubicoli, le aule ed i corridoi universitari, per riunioni ed assemblee di organizzazioni politiche e sociali, per chiese di poveri, per i comitati internazionali di solidarietà, per le organizzazioni non governative nazionali e straniere, per le autostrade, per le strade, per i sentieri, per le piste, navigando lungo i fiumi, nelle lagune e nei mari di questo paese oggi prodigo di umidità, e di questo mondo svegliando, certamente è già tardi, però svegliando.

 

In silenzio guardano e si guardano questi indigeni.

 

In silenzio sentono verso dove soffiano i venti dei mondi di sotto.

 

In silenzio sanno questi indigeni.

 

In silenzio finiscono questa nuova ed assurda arca di Noè e, sapendo che il vento soffia per la democrazia, la libertà e la giustizia, innalzano ben alta la doppia vela della speranza, motore e luce di questa imbarcazione, la barca di quelli di sempre, la nave della vita.

 

Con arte e scienza hanno costruito l’arca ed hanno scelto migliaia dei loro per la navigazione.

Gli altri aspetteranno in porto quello che succederà.

 

Se arrivano la guerra e la distruzione, resisteranno come hanno imparato a fare alla dura scuola dei secoli, cioè con dignità.

 

Se arrivano la democrazia, la libertà e la giustizia, sapranno distribuirla come hanno imparato a farlo nella loro storia.

 

Messico, metà del 1998

 

Dopo un lungo silenzio questi indigeni parlano di una barca ed invitano tutti a salirvi a bordo.

 

Dopo tanto silenzio, questi indigeni parlano di una nave, di un’arca di Noè, di una torre di Babele navigante, di una sfida assurda ed irriverente.

 

Se ci sono dubbi su chi la governa e la guida, la polena di prua porta un passamontagna! Sì, un passamontagna, la maschera che scopre, il silenzio che parla. Un "Per tutti, tutto, niente per noi" veste la bandiera della stella rossa a cinque punte su sfondo nero che brilla sull’albero maestro. In lettere dorate, a babordo, tribordo e poppa il "Votán Zapata" dà nome all’origine e alla destinazione di questa imbarcazione, così potentemente fragile, così rumorosamente zitta, così visibilmente nascosta.

 

"Tutti a bordo!", si sente che grida-ordina-invita la voce del capitano. L’unico biglietto necessario è l’onestà. Diverse migliaia di rematori aspettano, pronti per partire? No, manca...

 

Con questa strana e ripetuta tendenza che hanno a complicarsi la vita, questi uomini e donne di maschere e silenzi hanno costruito la loro nave... in mezzo ad una montagna!

 

"E adesso?", chiedo loro.

 

Com’era da aspettarsi, la risposta è un silenzio. Ma dietro le loro maschere c’è un sorriso quando mi consegnano un messaggio ed una bottiglia.

 

Io faccio quello che generalmente faccio in questi casi: metto il messaggio nella bottiglia, la chiudo bene con un cicles o con qualcosa che mi regala il mare, mi metto con fermezza a lato della ceiba e, con tutta la mia forza, lancio molto lontano la bottiglia con il messaggio. Un fiocco di nuvola la raccoglie e, navigando, la porta, chissà-dove-la-porta. Là va la bottiglia. Chi la trova potrà, rompendola, rompere il silenzio e trovare qualche risposta e molte domande. Potrà leggere anche la...

 

V. - Dichiarazione della Selva Lacandona?

 

Bene, è tutto.

 

Saluti e state pronti. Preparate ombrelli, impermeabili e salvagenti! Chi rifiuterà d'accettare adesso che la parola può convocare umidità?

 

Dalle montagne del sudest messicano

 

Subcomandante Insurgente Marcos

 

A nome dei 300

 

Messico, luglio 1998