guerriero
INCONTRO DEI POPOLI INDIGENI
D'AMERICA

Vicam, Sonora - Mexico. 11/14 Ottobre 2007


Dalla terra che chiamano Canada
11 ottobre 2007, TmCrew

Guerrieri MikmaqHanno cominciato con l'accecante luce del primo pomeriggio, osservando poi alcuni minuti di silenzio di fronte a un fluido tramonto, e hanno terminato con la frescura giunta insieme all'oscurità. I nativi delle terre del Nord hanno infranto con violente martellate, battute da fervidi interventi, l'immagine di un Canada pacifico e tollerante. Sguardi fieri, molti giovani e fra questi, molte ragazze, che hanno riportarto l'esperienza di varie Nazioni guerriere che resistono in tutto quel territorio che la geografia coloniale chiama "Canada". Storie raccontate in inglese, perchè le lingue originarie sono state soppiantate con quella ufficiale dell'invasore, alternando all'oratoria tipica di questi incontri, esperienze personalissime, lacrime commosse, battute sarcastiche, dubbi atroci sul cammino da intraprendere e sulla divisione interna tra i popoli originari.

Si apre dunque così la prima parte degli interventi previsti per questa giornata dal tema: parole e storie dei popoli, ubicazione e origine, lotta storica e situazione attuale. L'esposizione ha tardato molto, necessitando della traduzione in spagnolo.

Prendono la parola due bellicosi uomini della nazione Mikmaq, della zona orientale del Canada. Raccontano di una lunga storia di guerre interne, alimentate dal regime coloniale, che hanno ridotto la loro popolazione a 24.000 persone. Hanno perso, come quasi tutte le nazioni indios del Nord, la lingua madre e solo ora, dopo un lungo sonno, si stanno risvegliando le coscienze dei nativi. In questa lotta, dicono, non sono mancati scontri con la polizia e anche così i giovani reincontrano lo spirito guerriero dei loro antenati. Questa generazione apre una nuova fase nella lotta.

Guerriero MohawakTra bandiere rosse ricamate con la testa di un guerriero con la cresta al centro di un sole giallo, riportano la loro esperienze, con le parole di una compagna, il popolo Mohawk, stanziato tra il Canada e lo stato USA di New York. Raccontano di una lotta storica contro le grandi corporazioni di questi Paesi colonialisti e di un'interminabile processo giuridico per il possesso della terra che nessuno (nè il congresso, nè la corte) gli riconosce. Solo recentemente, dopo che hanno intrapreso una serie di azioni dirette, tra cui l'occupazione di terre in sei stati (recuperando 1800 ettari di territorio), lo Stato li ha riconosciuti come soggetto politico e sociale. Ma la risposta prevalente, da parte delle istituzioni, è la repressione, attraverso la criminalizzazione del movimento e l'arresto dei suoi attivisti: "Ci chiamano terroristi nella nostra propria terra. Per assurdo, dato che le nostre azioni dirette creano loro perdite economiche, ci citano in giudizio per rinsancire i danni. Noi che dobbiamo qualcosa a loro! Questa situazione fa ridere..."
Mostrano una cintura, vecchia, a bande verticali. Simboleggia la pacifica convivenza dei popoli, a cui si sottomettevano tutti i visitatori, bianchi o indigeni che fossero, che entravano nelle loro terre. E' dal 1600 che portano questo ricamo, accolto e poi tradito da francesi, inglesi e, infine, statunitensi.

Le Cinque Nazioni del Fiume Grande parlano attraverso la voce di una giovane ragazza emozionata. Racconta della guerra fratricida che insaguina la sua tribù, di 10.000 persone, dall'arrivo dell'uomo bianc nell'era della rivoluzione americana, che ha diviso la comunità in cristiani, osservanti di una setta evangelica, tradizionalisti e semplici rassegnati che vorrebbero essere nient'altro che "gringos". Ancora oggi queste profonde divisioni lacerano il suo popolo, rallentando e annegando il processo di organizzazione e resistenza. Ricorda però una fiammata di dignità, quando la parte della tribù che lotta per la sopravvivenza degli usi e costumi ha occupato, nel 2006, un terreno nell'Ontario. Il 20 aprile di quell'anno le forze di polizia canadiensi sgomberano il sito e arrestano 8 attivisti; si sparge la voce e iniziano a giungere giovani da ogniddove per scontrarsi con la polizia, ritenendo l'azione di quest'ultima una vera intrusione alle vicende interne del popolo indio. Migliaia di giovani respingono centinaia di poliziotti, recuperando la terra. Comunque questo evento non ha cancellato i problemi di rivalsa interna, di delazione, di disorganizzazione, incrementati dal malgoverno che non pensa affatto di voler rinunciare alle numerose città che ormai sono sorte nel territorio che gli indigeni rivendicano come proprio.

Prosegue un'altra donna possente, sguardo fiero e altero, accompagnata da alcuni guerrieri della Nazione Anishnawbe. "Vengo da luogo dove gli alberi stanno piangendo perché li tagliano e ringrazio la terra, l'aria, i fiumi, il fuoco, i monti, il sottosuolo e tutti gli elementi per avermi concesso di arrivare qui, di fronte a voi". Porta con se una coperta ricamata, che simboleggia la promessa che fece alla madre, in punto di morte, di portare il messaggio di difesa della Madre Terra in lungo e largo per tutti i popoli nativi.

La voce si spezza commossa, un applauso la incita.

Rivendica il diritto all'esistenza anche per gli alberi e per i minerali, il cui saccheggio, dice, non è mai stato autorizzato dal suo popolo, violando le corporazioni il loro patrimonio sacro. "Non siamo illegali, perché la legge che ci giudica è straniera, mentre la nostra la legge è quella naturale. Semplicemente ogni nazione ha le sue regole e la sua spiritualità". Il tono informale dell'intervento, che ironicamente e più volte interagisce con il pubblico, cede il passo ad una riflessione profetica: "Gli ultimi animali che ho visto prima di questo lungo viaggio, sono state delle aquile che volteggiavano in cielo; è un segnale, dobbiamo insorgere!". Chiude invitando a onorare le madri e le figlie, vere custodi della tradizione, coloro che si prendono cura, con la loro saggezza, della Madre Terra.

La compagna passa la parola ad uomo massiccio, occhiali da sole e maglietta con scritto "Indigenous Resistance". Il suo nome è Orso di Zucchero:
"Non sapevo che avrei dovuto parlare da un palco, sono emozionato. Quindi sarò breve. Mi considerò un sopravvissuto all'occupazione della mia terra, all'inquinamento delle nostre comunità perpetrato dai colonizzatori, con la droga, l'alcol, l'inglese", racconta della vicenda di sua madre "sequestrata all'età di 8 anni e portata nelle scuole residenziali governative" e poi abbandonata a se stessa, con un misera pensione, disabile per le torture ricevute dagli educatori cristiani e dalla polizia. Come raccontasse una parabola, dice: "Sono arrivato qui di notte e alcuni compagni stavano montando questo tendone che vi protegge dal sole. Era buio e non si vedeva nulla. Ho acceso i fari del mio pick-up per fare luce e tutti sono accorsi a dare una mano, vedendo che c'era un gran da fare. Così, con lo sforzo d'ognuno, abbiamo alzato i pali all'unisono, distruggendo le barriere della lingua, dell'età, delle etnie. E' stato fantastico e profetico vedere questo sforzo collettivo e armonico di decine di persone: SIAMO FORTI, COMPAGNI, E POSSIAMO FARE VERAMENTE TANTO!"

Delegate del popolo SecwepemcUn anziano signore, faccia scavata da una mappa di rughe, prende la parola con la sicurezza di un vecchio capo indiano. E' uno dei saggi anziani della Nazione Secwepemc e dopo aver ricordato che il suo fiero popolo non ha MAI firmato un trattato col governo invasore, fa un appello perché non si dimentichi il lato spirituale della lotta. Si rivolge soprattutto ai ragazzi e presenta quelli che l'accompagnano sul palco, la maggioranza donne, raccontandoci che ben il 70% della popolazione della sua tribù è composto da giovani, i quali sempre più stanno prendendo coscienza di essere l'ultima generazione chiamata a risolvere questo secolare conflitto con l'uomo bianco. Poi racconta di una battaglia nel '95, dove in piena cerimonia religiosa il supposto proprietario del latifondo aveva deciso di farla finita a modo suo con gli indios, "io mi sono abbastanza irato e, a quel punto, gli ho detto cosa pensavo di lui e ho preso il mio giocattolino: un AK47". La sparatoria è durata due mesi, con tanto di entrata di tank nella riserva e non ricordo quante migliaia di pallotole scambiate.

Dello stesso popolo, Secwepemc, parlano alcune ragazze, una con la figlia in braccio. Parlano delle scuole residenziali in cui sono stati cresciuti i loro genitori. Sono dei campi di concentramento, attivi per quasi tutto il '900, in cui i bambini strappati alle comunità venivano educati, forzatamente civilizzati dai sacerdoti e maestri del Dio bianco. Lo scopo di queste scuole era sradicare i fanciulli dalla propria terra, famiglia e tradizioni e incanalarli al sistema occidentale. La maggioranza di questi bambini e bambine sono stati violentati dai preti che li "accudivano". Il frutto di questa scuola del terrore si vede oggi: molti adulti hanno paura di uscire dalla riserva e andare a cacciare nei monti e boschi vicini, anche perché quando lo fanno, vengono arrestati dalla polizia forestale.

Dicono di appartenere al "movimento giovanile nativo" della "Società dei Guerrieri", però questo è solo l'ultimo nome, perché questo movimento in realtà è sempre esistito da quando i giovani hanno cominciato a dare la propria vita per difendere la propria terra, vestita di boschi, ghiacciai e aria pura, dall'invasore. Che scelgano la via pacifica, ci dicono, o la via armata, sempre si trovano di fronte la polizia antiterrorista. L'ultima campagna che stanno intraprendendo è il boicottaggio delle Olimpiadi Invernali del 2010 in Canada e si augurano di riuscire quello che nessuno è mai riuscito a fare: fermare l'ipocrita macchina del business mascherata da evento sportivo. Invitano a visitare il sito no2010.org e soprattutto a partecipare alla costruzione di questa azione anticapitalista.

Prosegue una giovane indigena urbanizzata della Nazione Gitxsan, che vive a Vancouver. Le perdizioni della città distraggono i giovani con feticci artificiali, mentre i loro padri e i loro nonni muoiono di overdose o alcolizzati. C'è però un progetto, una rivista chiamata Filo Rosso, che raccoglie le vicende dei giovani nativi, le loro poesie, i loro racconti, affinchè tutti i ragazzi possano riscoprire e riconoscere in una memoria, in una storia comune. Il periodico è più che una semplice rivista, è un'arma di resistenza culturale di decolonizzazione mentale, ampiamente diffuso tra Canada e USA. Il sito è www.redwiremag.com.

Un'altra ragazza impone una riflessione di genere sulla questione indigena; racconta che prima dell'arrivo dell'uomo bianco molte delle nazioni indigene del Nord avevano un sistema tendenzialmente matriarcale e nelle decisioni comunitarie le donne ponevano la parola decisiva. I colonizzatori incominciarono a rivolgersi esclusivamente agli uomini, ignorando, per costume occidentale, le donne. Questo atteggiamento, perpetuato per cinque secoli, ha cambiato decisamente i rapporti di potere e i ruoli di genere nelle comunità. In questo contesto culturale si colloca la spietata campagna di sterminio del patriarcato che giustifica l'abberrante e quotidiana violenza che le donne subiscono, nelle case, nelle strade. C'è una strada in Canada, detta "la via delle lacrime" dove sono state assassinate circa 200 donne, la maggioranza minori di 25 anni e non c'è un colpevole. Ossia, colpevole è lo stato e il sistema patriarcale che minimizza mentre ricerca scientificamente la repressione dell'intelligenza indigena femminile. In Canada ci sono 1000 donne indigene "scomparse". Tutto ciò è triste, dice, però, ricorda, dove c'è oppressione, c'è resistenza. Invita a non confidare in nessun governo ma concentrare gli sforzi nella costruzione dell'autodifesa.

Attivista Red WireChiude la tribù Esthalù, un territorio di 500 km di costa tra Vancovuoer e l'Alaska. Raccontano la storia di un orgoglioso popolo guerriero, con un'alta coesione comunitaria che gli invasori non riuscirono a sconfiggere sul campo di battaglia. Questa tribù si installò in enormi case dove convivevano fino a 400 persone. Lo sterminio fu perpetrato con armi biologiche: epidemie di vaiolo e morbillo, immesse intenzionalmente, attraverso i regali dei mercanti mandati dall'esercito; i sopravvissuti furono internati nelle scuole residenziali. Oggi, però, i giovani rappresentano la rinascita e, con un racconto di una profezia su un'aquila e un condor, sono convinti di reincarnare le forze ancestrali di una generazione di guerrieri, resuscitata e rigenerata con l'occupazione di Wounded Knee del 1973, tappa di rinascita spirituale e politca del Movimento dello spirito del Nord.

Oltre a rendere noto che nella loro terra, in Canada, circa 150 fiumi sono minacciati dalla privatizzazione promossa dallo Stato della California, interessato a quelle fonti idriche, i compagni ci fanno sapere che circa 180 compagnie petrolifere, energetiche e estrattive hanno sede nella city di Vancouver. Invitano quindi a coordinare azioni, perchè il nemico, dicono, ha le sue sedi e i suoi punti deboli. Nella Colombia Britannica, il nome coloniale delle loro terre, c'è un forte movimento indigeno, che compie costantemente blocchi stradali, cortei, occupazioni, azioni dirette con l'obbiettivo a medio termine di "convertire le prossime Olimpiadi in un disastro".

Le ultime parole di un guerriero Esthalù, sono un inno alla resistenza: "Quando pensiamo di non farcela, per gli arresti, i morti, per il fatto che ci sentiamo soli contro un nemico invincibile, dobbiamo ripercorrere con la memoria la storia dei grandi imperi e vedremo che non ne esiste uno che duri in eterno. Questo, quello degli yankee, già sta accusando duri colpi impantanandosi in una guerra che gli iracheni non gli lasciano vincere. Infine, trionferemo, perché dalla nostra parte abbiamo la Natura e le forze della Madre Terra, quelle forze veramente invincibili."

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Gli Yaqui, la tribù ospitante

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(in spagnolo)

Sito dell'EZLN
(in spagnolo)

 

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