 
Forse la rivolta armata dell'Esercito Nazionale di Liberazione Zapatista nello stato messicano di Chiapas è solo una delle tante proteste dei dannati della terra che hanno accompagnato i 500 anni di storia della loro resistenza? O forse è solo un'altra ripetizione, condannata in partenza, dei falliti tentativi leninisti di inquadrare i contadini nel partito organizzandoli per la distruzione dello stato? Oppure ci sono cose in questa insurrezione che avranno effetti profondi e che possono fin da ora insegnarci qualcosa su come si può lottare in questo momento storico? Io penso che le azioni degli Indiani Maya nel Chiapas e il modo in cui esse hanno circolato attraverso il Messico, fino al Nord-America e intorno al mondo, abbiano qualcosa di vitale da insegnarci.
La tessitura elettronica della lotta
La cosa più sorprendente nella sequenza  degli eventi  messi in  moto il  1
gennaio 1994 è stata la velocità con cui le  notizie hanno  circolato e  la
rapidità con cui si sono mobilitate le forze di supporto.
In primo luogo, sin dal primo giorno della rivolta armata,  l'EZLN è  stato
capace   di  pubblicizzare   efficacemente  le   sue  azioni   trasmettendo
direttamente  via  fax i  propri comunicati  e le  proprie dichiarazioni  a
un'ampia   varietà   di   media   dell'informazione.   In  secondo   luogo,
l'informazione che circolava attraverso i mass  media sulle  sue imprese  e
sulle  sue  richieste (informazione  oltremodo efficace,  perchè le  azioni
erano totalmente inattese e di proporzioni tali  da fare  notizia) è  stata
rinforzata e arricchita da una  diffusione spontanea  e rapida  di tutti  i
comunicati mediante reti di comunicazione  via computer  che connettono  un
gran numero di persone interessate sia in Messico che all'estero.
Questa informazione che arrivava come un baleno  all'interno dei  convegni,
all'interno  delle  reti  quali  PeaceNet,  (ad  esempio,   CarNet.MexNews,
soc.culture.mexican),  InterNet (per esempio Mexico-l, Centam-l,  Native-l)
e  UseNet fu allora raccolta, ordinata,compilata e talvolta sintetizzata  e
ridiffusa dalle parti della rete che erano particolarmente interessate.  Ad
esempio  la Latin  American Data  Base, dell'Università  statale del  Nuovo
Messico  cominciò  a  trasmettere un  compendio regolare  di Chiapas  News.
L'“Istituto per  l'Agricoltura e  la Politica  di Mercato”  cominciò a  far
uscire  Chiapas  Digest.  Il gruppo  di discussione  sullo sviluppo  rurale
messicano  della  rete  di  Antropologia  applicata,  cominciò a  compilare
notizie  e  analisi  e  a  renderle disponibili  mediante un   gopher  site
facilmente  accessibile:  Chiapas-Zapatista  News.   L'Istituto  di   Studi
latino-americani dell'Università del Texas ha duplicato quei files nel  suo
Lanic  gopher  site.  L'informazione  dell'esistenza  e  delle modalità  di
accesso  a  queste  fonti  sono  state  passate  da quelli  che avevano  le
conoscenze  adatte  (gli  specialisti  messicani)  a  quelli  che  volevano
conoscerle (chiunque fosse interessato alle lotte). Non appena i  documenti
dell'EZLN, le notizie, i rapporti andavano in circolazione, producevano  la
moltiplicazione delle analisi  sullo sviluppo  della situazione  e sul  suo
contesto.  ed  erano   immediatamente  accompagnati   da  discussioni,   da
informazioni  aggiuntive  da  parte di  coloro che  avevano una  conoscenza
specifica del Chiapas (per esempio accademici che avevano fatto ricerche in
quell'area, difensori dei diritti umani  che avevano  esperienza della  sua
lunga storia di abusi) e rapidamente si moltiplicavano le analisi. 
Tutta  questa  informazione  elettronica  andavano  ad  alimentare  i   più
tradizionali mezzi di comunicazione delle lotte di classe, quali  giornali,
riviste e radio militanti.
Il retroterra anti-Nafta.
La rapidità di questa diffusione  non si  deve solo  alla capacità  tecnica
delle reti, ma soprattutto alla  loro reattività  e al  grado di  militanza
politica. E’ l'esperienza precedente della lotta contro il NAFTA che spiega
questa rapida circolazione di notizie e di analisi sulle lotte nel Chiapas.
Negli  ultimi  anni  l'opposizione  al  NAFTA ha  preso la  forma di  ampie
coalizioni di  gruppi  di base. Quasi in ogni paese centinaia di gruppi che
si opponevano al nuovo patto commerciale si  sono unificati,  costituendosi
in una vasta coalizione, la Mexican Action Network on Free Trade.
L'unificazione fu facilitata in parte  dalle discussioni  e dalle  scadenze
costruite insieme, e in parte  dall'aver condiviso  informazione e  analisi
sul significato  e sulle  implicazioni dell'accordo.  La comunicazione  via
computer è progressivamente  divenuta uno  strumento politico  fondamentale
per una  rapida compartecipazione  di gruppi  e individui.  Il processo  di
nascita di grandi coalizioni è avvenuto così rapidamente quale  non si  era
mai dato in occidente.
Nel  suo  insieme  la campagna  anti-NAFTA   è stata  chiamata talvolta  La
non-Santa Alleanza, perchè accanto alle reti proletarie  del movimento  che
costituiva  la  massa  dell'opposizione,  alcuni  conservatori andarono  ad
aggiungere  la  loro  voce  di  condanna del  NAFTA, tra  cui la  dirigenza
dell'AFL-CIO, e politici come Pat Buchanan e Ross Perot.
Queste manovre politiche per cooptare  o recuperare  un movimento  autonomo
sono tipiche  della politica  americana (sia  in USA,  che in  Canada e  in
Messico), ma sono fallite, sicché il carattere e l'organizzazione di
movimento  nel  suo  complesso  sopravvive.   Benché  il   movimento
anti-NAFTA non sia riuscito a bloccare la ratifica dell'accordo, gli sforzi
per monitorare l'impatto del NAFTA, rendono  più facile  la crescita  delle
lotte per la sua abolizione.
Una nuova forma di organizzazione
Al  di  là  dello  scopo  particolare  di  questo accordo,  il processo  di
costruzione di un'alleanza ha creato nel nord  America una  nuova forma  di
organizzazione -una molteplicità di gruppi  autonomi tra  loro connessi  in
maniera rizomatica- che connette tutte quelle lotte che in precedenza erano
avvenute in maniera separata.
La reattività di questa forma  organizzativa alla  dichiarazione di  guerra
dell'EZLN  deriva  proprio  dalla  sua  composizione.  Fin  da  subito   la
costruzione di una coalizione per opporsi al NAFTA ha coinvolto non solo  i
diretti interessati (gli operai USA che perdevano  i loro  posti di  lavoro
che  i  pianificatori  riallocavano  in  Messico,  i  Messicani  che  erano
minacciati dall'invasione di capitali USA),  ma anche  un'ampia varietà  di
altri soggetti che vedevano in questa riorganizzazione capitalistica  delle
relazioni mercantili una minaccia indiretta. Si trattava,  ad esempio,  dei
militanti ecologici, di gruppi di donne, delle organizzazioni per la difesa
dei  diritti  umani  e  civili e  soprattutto di  organizzazioni di  gruppi
indigeni collegate attraverso tutto il continente.
Durante  gli  anni  di  lotta contro  le posizioni  del NAFTA,  circolavano
documenti,  studi  e discussioni  allargate sulle  interconnessioni tra  le
istanze  di  tutti  questi  gruppi.  La  lotta  anti-NAFTA   è  stata   sia
catalizzatiore che veicolo per superare la separazione  e l'isolamento  che
in precedenza avevano indebolito i gruppi che ne sono stati protagonisti.
Così, quando l'EZLN occupò Cristobal e  le altre  municipalità del  Chiapas
non ci fu solo la rapida reazione di tutti quelli che avevano  direttamente
a che fare con le lotte dei popoli indigeni,  ma reagirono  anche tutte  le
connessioni  organizzative  della  rete  che  erano  state  precedentemente
attivate per opporsi al Nafta.
I computers che ogni giorno avevano battuto comunicazioni e dibattiti di un
ampio assortimento di gruppi e alleanze anti-Nafta, erano già  pronti   per
coloro che  in seguito  si sarebbero  mobilitati in  appoggio all'EZLN:  la
prima  informazione  è  entrata  nella  posta   elettronica  regolare   del
Monitoraggio sul Nafta, in   Trade-News oppure  in   Trade strategy,sia  su
PeaceNet  che  su  InterNet.  Anche se  i portavoce  dell'EZLN non  avevano
condannato  esplicitamente  il NAFTA,  né avevano  regolato i  tempi
della loro offensiva in modo che coincidessero col primo  giorno della  sua
operatività in Messico, le connessioni tra  questi eventi  si operarono  in
tutta la rete anti-Nafta.
Dall'azione comunicativa a quella fisica
La preesistenza di una tale rete di connessioni aiuta a spiegare perchè  la
circolazione incredibilmente rapida delle notizie è stata seguita non  solo
da analisi e da dichiarazioni di sostegno, ma anche da un'ampia varietà  di
azioni. Nei primi giorni di gennaio fino al mese di febbraio vi sono  state
le  consuete  manifestazioni  di  appoggio da  parte di  quei gruppi  della
sinistra che mantengono viva la tradizione  di solidarietà  internazionale,
ma la cosa sorprendente e significativa è stata la mobilitazione rapida  di
altri gruppi  che non  solo sono  scesi in  strada -per  esempio le  enormi
manifestazioni in Messico e quelle minori  in tutti  gli Stati  Uniti e  il
Canada (di solito di fronte all'ambasciata e ai consolati  messicani)- ma  
hanno subito inviato rappresentanti in Chiapas per arginare la  repressione
del governo col controllo ravvicinato sulle sue azioni, documentando i suoi
crimini  e  denunciandoli  pubblicamente.  Non ci  sono dubbi  che le  loro
iniziative -e la rapida susseguente circolazione  delle loro  dichiarazioni
su ciò che hanno  visto- hanno  contribuito a  ottundere la  controffensiva
militare  federale, esercitando  una pressione  (insieme a  tutte le  altre
forme di protesta  in Messico  e all'estero)  per costringere  lo stato  ad
abbassare il profilo della repressione militare, accettare la mediazione  e
intraprendere negoziati con un nemico  armato che,  secondo ogni  evidenza,
avrebbe  preferito  distruggere (se  avesse potuto,  il che  non è  affatto
scontato).
Movimento indigeno autonomo
 Particolarmente importante è stata l'opera dei  gruppi che  si occupano  di
diritti umani, sia religiosi (per esempio i vescovi cattolici del  Chiapas,
il Comitato canadese inter-chiese per i  diritti umani  in America  Latina)
sia  secolari  (Amnesty International,  Human Right  Watch, Rete  Nazionale
Messicana  delle  Organizzazioni  per  i Diritti  Civili e  Umani) -la  cui
capacità d'intervento è aumentata in questi  anni- ma  anche e  soprattutto
del movimento dei popoli indigeni che da un pò  di tempo  si organizza  non
più solo localmente, ma sempre più su scala internazionale.
Particolarmente importante è stata l'opera dei  gruppi che  si occupano  di
diritti umani, sia religiosi (per esempio i vescovi cattolici del  Chiapas,
il Comitato canadese inter-chiese per i  diritti umani  in America  Latina)
sia  secolari  (Amnesty International,  Human Right  Watch, Rete  Nazionale
Messicana  delle  Organizzazioni  per  i Diritti  Civili e  Umani) -la  cui
capacità d'intervento è aumentata in questi  anni- ma  anche e  soprattutto
del movimento dei popoli indigeni che da un pò  di tempo  si organizza  non
più solo localmente, ma sempre più su scala internazionale.
All'interno del Messico in questi ultimi decenni gruppi e comunità  indiane
e contadine hanno sviluppato reti di cooperazione per lottare  per le  cose
di cui hanno bisogno: cose come scuole, acqua potabile, restituzione  delle
terre,  libertà  dalla  repressione  statale  (tortura   della  polizia   e
dell'esercito, imprigionamente e assassini ecc.). Stante la piena autonomia
delle  comunità  che  vi  partecipano -talvolta  basate sulla  lingua e  la
cultura etnica  tradizionale- queste  reti si  sono formate,  come la  rete
elettronica di cui abbiamo parlato, in modo orizzontale, non gerarchico.
In realtà il termine spesso usato dai partecipanti a queste “reti” -il  cui
termine Net evoca l'essere preso- è  hammock  (amaca), il nome di un  letto
sospeso fatto di fili intrecciati a maglie larghe che si aggiusta a seconda
delle necessità del  corpo di  chi lo  usa. Queste  reti, sviluppatesi  per
collegare  comunità contadine  e indigene,  non solo  collegano i  villaggi
nelle campagne, ma raggiungono anche le città dove i quartieri creati dagli
immigrati rurali urbanizzati mantengono le loro connessioni con i luoghi di
origine rurali.
Molti gruppi indigeni con lingua e cultura indiana chiaramente definita non
si sono solo organizzati  come tali  per autodifesa,  ma si  sono messi  in
contatto  tra  di  loro per  formare alleanze  regionali e  internazionali.
Questo processo è in corso in modo accelerato da parecchi anni non soltanto
in Messico, ma nella maggior parte delle Americhe e oltre.
Spronati a compiere nuovi sforzi dall'esempio del movimento  per i  diritti
civili afroamericano in  nord-America alla  metà degli  anni sessanta  (per
esempio l' American Indian Mouvement) e costretti all'azione dagli assalti,
incoraggiati  dallo stato,  contro le  loro terre   in  America centrale  e
meridionale (per esempio l'enclosure  dell'Amazzonia) -  i popoli  indigeni
stanno superando le divisioni spaziali e politiche che li  hanno isolati  e
indeboliti, attraverso l'alleanza e l'aiuto reciproco.
Nel 1990 fu organizzato a Quito,  Ecuador, un  primo incontro  continentale
dei popoli indigeni. Delegati di oltre duecento nazioni indigene vennero da
tutto  l'emisfero  occidentale  e  diedero  il  via  a   un  movimento   di
collaborazione  per  ottenere  l'unità  continentale.  Per  sostenere  tale
processo in una successiva riunione a Panama nel  1991 si  diede vita  alla
CONIC ( Commissione di  Coordinamento continentale  delle Organizzazioni  e
Nazioni  indigene).  Simbolo  centrale  e  metafora  di  tale iniziativa  è
l'immagine  maya  dell'aquila  e  del condor  con i  colli intrecciati.  La
tradizione  vuole  che  l'aquila rappresenti  i popoli  nordamericani e  il
condor quelli del continante meridionale. L'unità ricercata  non è  l'unità
del partito politico o del sindacato -congelata e perpetuata attraverso  un
corpo di controllo centrale- ma piuttosto un'unità di comunicazione e aiuto
reciproco tra nazioni e popoli autonomi.
Un secondo incontro continentale è stato oganizzato nell'ottobre del 1993 a
Temoaya,  Messico.  Uno  dei  gruppi  ospiti del  convegno era  il   Frente
indipendiente de pueblos indios (FIPI) e  uno dei  membri del  FIPI era  il
COLPULMALI di San Cristobal nel Chiapas, una delle  città dov'è  cominciata
l'offensiva dell'EZLN. COLPULMALI stà per Comitato  di Coordinamento  delle
Organizzazioni del Popolo Maya in Lotta per la sua Liberazione.  COLPULMALI
sembra composto di 11 organizzazioni maya provenienti dalle tre regioni del
Chiapas che hanno visto gli scontri più violenti dopo il I gennaio.
Fronteggiato  dalla violenza  della controffensiva  militare messicana,  il
FIPI ha chiesto al CONIC di inviare osservatori indiani della loro rete  in
Chiapas per  collaborare a  controllare la  violenza statale.  Il CONIC  ha
risposto immediatamente, organizzando delegazioni internazionali che  hanno
perlustrato le zone dei combattimenti. Quando le delegazioni sono giunte in
Chiapas sono stati ricevute dai funzionari  locali del   Consiglio  Statale
delle Organizzazioni Indigene e Contadine -composto  da 280  organizzazioni
indigene e contadine dello stato. Questo genere di  pubblicità e  pressione
internazionale il 25 gennaio ha costretto il presidente messicano Salinas a
incontrarsi con 42 rappresentanti del Consiglio, un incontro che  bypassava
i  canali  politici  ufficiali  di  mediazione  e  legittimava (con  grande
dispiacere dello Stato) l'organizzazione politica  autonoma degli  indiani.
L'EZLN ha respinto non solo le agenzie  governative, ma  ha anche  respinto
esplicitamente ogni mediazione dei rappresentanti  dei partiti  politici.In
un comunicato del 13 gennaio l'EZLN aveva dichiarato che  i mediatori  “non
devono appartenere ad alcun partito politico”.”Non vogliamo  che la  nostra
lotta  sia  usata  dai  vari  partiti  per  ottenere  benefici  elettorali,
né vogliamo che il sentimento che sorregge la nostra lotta sia  male
interpretato”.
Le posizioni dell'EZLN e più in generale quelle degli  indiani del  Chiapas
sono state  estremamente rafforzate  nella loro  lotta attuale  dall'azione
organizzata delle  reti internazionali.  E’ la  forza che  ha costretto  il
governo al tavolo delle trattative.
Le radici dell'organizzazione: autovalorizzazione
Queste nuove forme organizzative non sono sorte dal nulla,  ma sono  emerse
sul terreno materiale della attività autonoma  dei popoli  indigeni. In  un
periodo  in  cui  le  affermazioni di  identità nazionale  ed etnica  hanno
acquistato  risonanze  drammaticamente negative  in Europa  -a causa  della
brutalità omicida perpetuata nell'ex Yugoslavia  e in  aree dell'ex  Unione
Sovietica- la formazione di nuove organizzazioni regionali e internazionali
di popoli indigeni  in America  che collaborano  per l'appoggio  reciproco,
crea uno stridente contrasto.
A livello  strettamente ideologico  dell'identità nazionale  ed etnica,  le
situazioni   dell'Europa   centrale   e   dell'America  hanno   somiglianze
superficiali   dal   punto   di   vista   dell'affermazione   del   diritto
all'autodeterminazione entro spazi geograficamente definiti. I Bosniaci,  i
Serbi, i Croati, gli Azeri, i Georgiani ecc., tutti asseriscono il  diritto
alla propria terra, lingua e  cultura, proprio  come i  gruppi indigeni  in
America.
Ma a un livello più profondo -quello  della sostanza  dei rapporti  sociali
incorporata in quelle culture, lingue e rapporto  con la  terra- sembra  ci
siano differenze fondamentali. A prescindere dalle differenze, i desideri e
gli scopi dei contendenti dell'Europa centrale sembrano essere inscindibili
(all'interno   dell'attuale   configurazione   politica)  dalle   strutture
ereditate  dell'accumulazione  capitalistica,  intese  come  strutture   di
comando  sociale  organizzate attraverso  la subordinazione  della vita  al
lavoro infinito.  I politicanti  postcomunisti che  hanno a  tutti i  costi
trasformato le differenze  etniche e  tradizionali in  antagonismo, odio  e
violenza non mostrano alcun segno di un qualsiasi progetto sociale che  non
sia l'allargamento della loro quota di  comando sociale.  Che tale  comando
debba oggi riprendere la forma di massacro, umiliazione, stupro sistematico
e distruzione di comunità, mentre domani può prendere la forma di lavoro di
fabbrica, lavoro d'ufficio e ideologia dissennata, è del tutto coerente con
l'esperienza degli ultimi cento anni di  capitalismo. A  tutt'oggi non  c'è
alcuna prova di un riorientamento  fondamentale dell'ordine  socioeconomico
dell'Europa centrale, al di là di una riorganizzazione politica e di un uso
allargato dei meccanismi di mercato per ottenere accumulazione.  Certamente
c'è chi si pone domande fondamentali tra i popoli  centro-europei; ci  sono
individui e gruppi che lottano con  visioni più  profonde contro  l'attuale
olocausto. Sfortunatamente il loro potere è così limitato che la loro  voce
è  quasi  inudibile  in  una  regione dominata,  dai suoni  della guerra  e
dell'odio.
Tra le nazioni e i popoli indiani delle Americhe, invece, l'affermazione di
identità  nazionale,  di  unicità  culturale  e di  autonomia lingistica  e
politica, è radicata  non solo  in un'ampia  critica delle  varie forme  di
cultura occidentale e di organizzazione capitalista imposte loro attraverso
la  conquista,  il  colonialismo  e il  genocidio, ma  anche nella  pratica
affermativa di un'ampia varietà  di comportamenti  rinnovati e  reinventati
che  comprendono  sia  il  campo  delle  relazioni sociali  sia quello  del
rapporto tra comunità umana e il resto della natura.
Le lotte degli indiani del Chiapas  non sono  dirette solo  contro il  loro
sfruttamento,  contro  la  mancanza  di   rispetto  con   cui  sono   stati
tradizionalmente trattati, contro la brutalità  della repressione  mediante
guardie private, polizia ed esercito messicano, contro il furto delle  loro
terre e delle loro risorse, ma sono  dirette ad  espandere lo  spazio e  il
tempo  e  le  risorse  disponibili per  l'eleborazione dei  propri modi  di
essere, la loro cultura, religione ecc. Essi non stanno lottando per  avere
un pezzo  più grande  della torta,  ma per  reale autonomia  da un  sistema
sociale. Quel sistema sociale che, essi lo sanno molto bene,  li ha  sempre
schiavizzati tentando in tutti i modi di distruggere il loro modo di  vita.
Si tratta dunque della ricerca  di una  autonomia positiva  entro la  quale
poter autovalorizzarsi, cioè inventare e sviluppare il loro modo di essere.
Va  sottolineato  che  questo  processo  non  è  così  lineare  e privo  di
contraddizioni,  come potremo  vedere in  seguito esaminando  la carta  dei
diritti delle donne indigene.
Tale  autovalorizzazione  è  stata spesso  rappresentata dagli  osservatori
esterni, e talvolta anche da quelli direttamente coinvolti,  in termini  di
conservazione della tradizione, dei modi e delle pratiche tradizionali.  Lo
scopo di questa rappresentazione (e talvolta autorappresentazione) è di far
apparire  i  popoli  indigeni  come   fondamentalmente  reazionari,   dalla
mentalità arretrata e statica,  sopravvivenze conservatrici  dei tempi  del
precapitalismo. Invece, i processi attuali della  vita sociale  all'interno
delle comunità indigene sono molto più complessi e dinamici  di quanto  sia
comunemente  riconosciuto.  Dai  marxisti  ortodossi che  hanno visto  solo
l'“idiozia” della  vita rurale  e discusso  su come  trasformare indiani  e
contadini  in  buoni  proletari,  fino  agli  scienziati  politici  e  agli
economisti   del   secondo   dopoguerra   che  hanno   visto  soltanto   la
“irrazionalità”  e  discusso  come modernizzare  le aree  rurali e  rendere
l'agricoltura  più  efficiente,  non  è  un'esagerazione  dire  che  gli   
intellettuali urbani appartenenti ad ogni sfumatura dello spettro  politico
hanno male interpretato -involontariamente, oppure perchè  serviva al  loro
scopo- la vita e i desideri dei contadini e dei popoli indigeni.
Tuttavia, in questi ultimi vent'anni circa, i contadini e gli indiani  sono
riusciti  a  farsi  sentire  al  di  sopra  delle  risatine  di ideologi  e
pianificatori.
Ciò è  accaduto in  gran parte  a causa  della loro  attività autonoma,  di
quell'organizzazione autonoma che abbiamo già descritta, ma in parte anche 
a causa dei mutamenti fondamentali nella composizione di classe complessiva
che ha reso molte persone molto più disponibili ad ascoltare.  Non solo  le
lotte di ogni tipo di “minoranze” hanno portato a una maggiore  interazione
e cooperazione tra di loro, ma  la critica qualitativa  del capitalismo  ha
portato ogni genere  di persone  a cercare  fonti alternative  di senso  da
attribuire  ai  loro  processi di  autorigenerazione e  autovalorizzazione.
D'altro lato, i popoli indigeni stessi si sono organizzati su  temi di  più
ampio ascolto, formando gruppi come  Indigenous Environmental Network (IEN)
-uno di quei gruppi che  ha protestato  contro la  repressione in  Chiapas.
D'altro lato un  assortimento di  individui e  gruppi apparentemente  senza
fine che vanno dai  romantici  new age  agli   ecologisti praticanti  hanno
tratto ispirazione da idee e  pratiche indiane  per dare  nuova forma  alla
loro vita. Da nessun'altra parte ciò è stato  più ovvio  che nel  movimento
ecologico,  dove  molti  hanno esplorato  gli atteggiamenti  e le  pratiche
indigene per cercare ispirazione nella ristrutturazione del rapporto  umano
con la natura. E allora non dovrebbe essere una sorpresa per  molti che  al
centro del conflitto in Chiapas oggi vi sia la terra, proprio come i  tempi
del rivoluzionario messicano Emiliano Zapata, da cui l'EZLN prende il nome.
Infatti, gli indiani del Chiapas furono per  lo più  esclusi dalle  riforme
agrarie  cominciate  nel 1934  con la  presidenza di  Lazaro Cardenas,  non
solo,ma negli anni successivi gli agrari locali  hanno usato  ripetutamente
metodi legali e illegali per strappare sempre  più terra  agli indiani.  Il
processo  di  accumulazione  originaria  è  diventato  permanente  e  il   
procedimento  delle enclosures  è diventato  una tortura  infinita per  gli
indiani del Chiapas.
Inoltre il legame esplicito tra la dichiarazione di guerra  dell'EZLN e  il
Nafta derivava  in parte  dal contributo  di quest'ultimo  alla   enclosure
delle terre indiane. Usando il Nafta  e uno  dei famigerati  programmi di  
adeguemento  strutturale  del  FMI  come  scusa,  il  governo messicano  ha
recentemente  cambiato  l'articolo  27  della  costituzione  del  1917  che
proteggeva le terre comuni dall'enclosure, e in questo modo ha reso  legale
la  loro vendita  e concentrazione  nelle mani  dell'agrobusiness locale  e
multinazionale.(vedi anche l'articolo di Gomez sull'attacco all'ejido)
Già  la  BANRURAL,  la  Banca  governativa  per  lo  sviluppo  rurale,  sta
effettuando  massicce  pratiche  per estiguere  il diritto  a mantenere  le
ipoteche  dei  contadini  indebitati.  La  vendita  delle  terre  ipotecate
all'agrobusiness straniero aiuterà a  creare depositi  in valuta  straniera
per continuare a pagare il debito estero messicano.
Questo è ciò che  gli indiani  hanno visto  e questo  è ciò  che l'EZLN  ha
mostrato al mondo.
  Alla  fine  di  gennaio,  ispirati  dai successi  dell'EZLN, migliaia  di
contadini hanno bloccato l'entrata a una  dozzina di  banche di  Tapachula,
una città chiapaneca vicino al confine col Guatemala. I loro obiettivi?  La
cancellazione dei debiti e il blocco dell'esperimento delle ipoteche.
Questa  storia,  che  prosegue  a  tutt'oggi,  dell'esproprio  delle  terre
indigene e contadine (e sta accelerando l'espulsione  dalle campagne  verso
città  già  orribilmente sovraffollate  e inquinate)  è il  motivo per  cui
l'EZLN ha etichettato il NAFTA come “sentenza di morte” per la  popolazione
indigena.  Una  sentenza di  morte non  solo perchè  delle persone  saranno
uccise (molti saranno assassinati e moriranno di fame, mentre combattono  o
si ritirano), ma perchè interi modi di vita vengono soppressi.
Questa è la storia del  capitalismo che  gli indiani  americani soffrono  e
contro cui reagiscono da 500 anni. La valorizzazione del capitale ha sempre
significato  la  svalorizzazione  e  la distruzione  dei modi  di vita  non
capitalistici, sia di quelli che l'hanno preceduto sia di  quelli che  sono
sorti cercando di oltrepassarlo.
Ormai quasi tutti riconoscono che le vaste estinzioni provocate dalle furia
del capitalismo hanno riguardato non solo le specie animali e vegetali,  ma
anche migliaia di culture umane.Gli  indiani del  Chiapas e  quelli che  li
appoggiano in tutto l'emisfero stanno lottando per conservare una diversità
umana che è valida tanto per noi quanto per loro.
Il rifiuto dello sviluppo
E’ la concretezza dei diversi progetti di autovalorizzazione  che fonda  la
lotta degli indiani per l'autonomia dalla trama ideologica  e politica  del
dominio  in  Messico, ma  anche dai  più estesi  processi capitalistici  di
accumulazione come imposizione di lavoro, che, nel Sud, va sotto il nome di
sviluppo.
Noi al  nord ci  imbattiamo in  questo termine  di rado,  e generalmente  a
riguardo di piani atti a ristrutturare i rapporti tra le comunità povere  e
l'economia in generale, quando ad esempio parliamo di sviluppo comunitario,
o di sviluppo urbano. Ma nel sud lo “sviluppo” è stato non solo l'ideologia
del dominio capitalista e delle promesse socialiste, ma anche una scelta di
strategia  a  partire  dalla  disfatta del  colonialismo vero  e proprio  e
conclamato.
Sin dall'inizio dell'offensiva dell'EZLN, per parlare della situazione  del
Chiapas, veniva usata la metafora delle “due nazioni” da entrambe le  parti
e da una larga varietà di scrittori indipendenti. Si tratta di un  concetto
che  ha trovato  largo impiego  negli scritti  dello statista  conservatore
inglese Benjamin Disraeli più di cent'anni fa. Naturalemente le due nazioni
sono quel Messico il cui sviluppo potrà essere accelerato dal  NAFTA e  “el
otro Mexico”, arretrato e lasciato indietro.
L'ultima  soluzione  definitiva  proposta  è, come  sempre, lo  “sviluppo”.
Nessuna sorpresa che il governo messicano, a meno di un mese  dall'apertura
dell'offensiva  dell'EZLN e  dalla susseguente  sconfitta del  contrattacco
militare, abbia annunciato di aver creato una “Commissione Nazionale per lo
Sviluppo  integrale  e  la  Giustizia  sociale  per il  Popolo Indigeno”  e
promesso un maggior  aiuto allo  sviluppo nell'area,  per espandere  quegli
investimenti  già  fatti  col  precedente progetto  di sviluppo  denominato
Solidaridad. Il  27 gennaio  fu anche  annunciato che  questi tentativi  di
sviluppo regionale (ed altri in simili stati  “arretrati”) sarebbero  stati
sostenuti da prestiti di circa 400 milioni di dollari dalla Banca  Mondiale
-prestiti   che   sarebbero   andati   a   incrementare   l'enorme   debito
internazionale che è stato il centro della lotta di classe  in Messico  fin
dai primi anni Ottanta.
Le risposte dell'EZLN a  queste proposte  hanno articolato  l'atteggiamento
consolidato  di  molti contadini  e indiani  messicani -denunciando  questi
piani di sviluppo come un altro passo verso la loro assimilazione culturale
e il loro annichilimento economico. Viene sottolineato che non ci sono  mai
state due nazioni; i Chiapanechi hanno già sofferto 500 anni di imposizione
capitalistica  al lavoro  -essi sono  semplicemente stati  tenuti al  fondo
della gerarchia salario/reddito.
Significativamente nella sua dichiarazione  di guerra  iniziale, l'EZLN  ha
scritto “ Usiamo il nero e il rosso nelle nostre uniformi come simbolo  dei
nostri operai in sciopero “. [non è di poco conto il rilievo che il nero  e
il rosso erano i colori della bandiera degli anarco-sindacalisti mandati  a
combattere/reprimere    la    rivolta    contadina     di    Zapata     che
continuava....nel...NdT.] (Non sorprende allora,che il negoziatore federale
Camacho Solis abbia auspicato non solo la fine delle ostilità, ma anche  un
“ ritorno al lavoro “!)
Gli  indiani  sanno  anche  che  un ulteriore   sviluppo  non significa  la
restituzione  della  loro  terra  o  della  loro  autonomia. Significa  una
continuazione della loro espulsione, dove  essi sono  ridotti a  ruolo di  
salariati  poveri  o  un  ruolo  ben noto  agli indiani  del Nord  America:
attrazione  dell'industria turistica  -un “progetto  di sviluppo”  favorito
nelle  aree  con popoli  “primitvi”. Il  governo, ha  scritto un  portavoce
dell'EZLN, vede gli indiani “come niente di più  di oggetti  antropologici,
curiosità turistiche o parte di un Jurassic Park”.
 Programmi di sviluppo del governo? Il popolo del Chiapas li conosce  bene:
“Il programma per migliorare le condizioni di  povertà, questa  macchiolina
nella socialdemocrazia, che lo stato messicano sbandiera e che con  Salinas
de Gortari porta  il nome  di PRONASOL  (un cosiddetto  “fondo di  sviluppo
sociale”, vedi a questo proposito l'articolo di  Gomez) è  uno scherzo  che
costa lacrime e sangue a quelli che vivono sotto la pioggia e il sole”.
In   una   dichiarazione   del   31  dicembre,   il  Comitato   clandestino
rivoluzionario indigeno-Comando Generale (CCRI-CG) dell'EZLN affermava  che
“il  governo  federale  mente  quando  parla  di   noi...Non  c'è   maggior
distruzione nelle comunità della spregevole morte che i programmi economici
federali ci offrono”.
Ma il NAFTA  aprirà i  mercati nordamericani  alle esportazioni  messicane,
secondo le promesse di Clinton e Salinas, e il Messico si svilupperà più in
fretta. Anche questo l'EZLN lo capisce fin troppo bene. Il  Chiapas ha  già
un'economia di esportazione; è sempre stato  così: “Il  sudest continua  ad
esportare  materie  prime,  proprio  come  fa  da  500 anni,  e continua  a
esportare il principale prodotto del capitalismo: morte e miseria”. E’ solo
retorica? L'EZLN conosce  i fatti  in modo  dolorosamente dettagliato:  “La
ricchezza naturale dello stato non se ne va solo attraverso  le strade.  Il
Chiapas  perde  sangue  attraverso  molte  vene:  attraverso  oleodotti   e
gasdotti,  linee  elettriche,  vagoni  e  treni, conti  correnti, camion  e
camioncini,  barche  e  aerei,  attraverso  sentieri  clandestini,  gole  e
viottoli nella  foresta. Questa  terra continua  a pagare  un tributo  agli
imperialisti: petrolio, energia elettrica, bestiame, denaro, caffè, banane,
miele, mais, cacao, tabacco, zucchero, soia, meloni,  sorgo, mamey,  mango,
tamarindo, avocado e il sangue del Chiapas scorre a causa delle migliaia di
denti affondati nella gola del Messico sudorientale”.
Pensano  davvero  Clinton  e  Salinas  che  essi  possano vendere  sviluppo
orientato  all'esportazione  agli  indiani  che  sono   già  anche   troppo
penosamente abituati al drenaggio della ricchezza della loro terra?
Il NAFTA apre anche il Messico alle esportazioni statunitensi. Dal punto di
vista indiano la più  minacciosa è  quella del  mais, l'alimentazione  base
della popolazione indiana e anche  importante fonte  di reddito  monetario.
Anche se il loro rifiuto delle importazioni alimentari a  basso prezzo  non
ha ricevuto la stessa copertura dei media di quello dei coltivatori di riso
giapponesi, della “guerra del  riso” del  Sudest asiatico  o dei  contadini
francesi (contro il GATT), la storia è la stessa: il riconoscimento che  un
flusso di alimentari a buon mercato prodotti con metodi  ad alta  intensità
di capitale (compresi i  prodotti chimici)  negli Stati  Uniti abbasserà  i
prezzi e li caccerà dalle loro terre. Già essi stanno soffrendo a causa dei
bassi prezzi del caffè, altra fonte di reddito mometario, dovuti al  ritiro
del sostegno finanziario del governo, così  il loro  antagonismo non  nasce
dal ragionamento astratto, ma da amara esperienza. (L'impatto economico dei
bassi prezzi del caffè  è stato  aumentato dalla  distruzione del  raccolto
attuale  causata  dalla controffensiva  militare). Mentre  il governo  pare
abbia promesso circa 11 milioni di dollari di aiuti, la  BANRURAL ha  detto
anche che non cambierà i suoi programmi di spegnimento delle ipoteche per i
contadini indebitati. Gli  indiani sanno  anche che  lo sviluppo  significa
distruzione ecologica. Il seguente passo di un documento dell'EZLN  ricorda
tristemente i primi scritti economici di Carlo  Marx sulle  nuove leggi  in
Germania che avevano trasformato  in crimine  il diritti  di legnatico  dei
contadini:
“Essi  portano  via  il  petrolio  e  il  gas  e  lasciano  il marchio  del
cambiamento  capitalistico:  distruzione   ecologica,  briciole   agricole,
iperinflazione,  alcolismo,  prostituzione,  povertà.  La   bestia  non   è
soddisfatta  ed  estende  i suoi  tentacoli nella  foresta lacandona:  otto
giacimenti di petrolio sono in via di esplorazione... gli  alberi cadono  e
la dinamite esplode sulla terra in cui i contadini non posono tagliare  gli
alberi per coltivare. Ogni albero tagliato costa loro una multa equivalente
a dieci salari minimi e una pena detentiva. I poveri  non possono  tagliare
gli alberi, mentre la  bestia petrolifera,  sempre più  in mano  straniera,
può.   I   contadini   li  tagliano   per  sopravvivere,   la  bestia   per
saccheggiare... Nonostante il  trand di  coscienza ecologica,  l'estrazione
del legno continua nelle foreste del Chiapas. Tra il 19821 e  il 1989  sono
stati estratti dal Chiapas 2.44,77 di legname pregiato, conifere e  legname
tropicale... Nel 1988 le esportazioni di legname hanno portato a un  ricavo
di 23 miliardi e 900 milioni di pesos, il  6.OOO %  di più  del 1980...  Il
capitalismo è debitore di tutto ciò che porta via “.
 
Il programma dell'EZLN vuole restituire la terra ai suoi popoli, abolire  i
debiti dei  contadini e  chiedere il  ripagamento del  debito contratto  da
quelli  che  hanno sfruttato  il popolo  e la  sua terra.  Gli indiani  del
Chiapas dimenticherebbero lo “sviluppo” e  comincerebbero la  ricostruzione
del loro  mondo. Non  lo farebbero  in un  solo modo,  attraverso un  piano
tracciato da un Comitato Centrale, lo farebbero in molti  modi, secondo  le
diverse idee, elaborato e coordinato da sforzi cooperativi.
Le richieste autonome delle donne all'interno del movimento indiano.
Questo rifiuto dello sviluppo è cresciuto fino a includere  il rifiuto  non
soltanto dei programmi di sviluppo dall'alto, sponsorizzati dal governo, ma
anche il rifiuto del rafforzamento di vecchie ingiustizie all'interno della
società  e  della  cultura  chiapaneca.  Insieme  alla   lotta  contro   la
concentrazione  della  terra,  lo sfruttamento  del lavoro  salariato e  la
repressione  politica,  è  anche   cresciuta  una   critica  del   razzismo
(discriminazione dei  ladinos  meticci nei  confronti degli  indios) e  dei
ruoli sessuali e dello status della donna al fondo alle gerarchie  sociali.
Il carattere patriarcale della società messicana è ben  noto; quello  delle
comunità indiane meno riconosciuto, ma spesso non meno reale. La lotta  per
la “sopravvivenza” della cultura indiana ha implicato anche la lotta per la
sua trasformazione -dall'interno. In questo  caso, come  al solito,  quelle
che hanno sofferto di più, le donne, si sono trovate in prima linea per  il
cambiamento.
Nella società indiana tradizionale, quando la buona terra  era loro,  prima
che gli indiani fossero spinti all'interno  delle povere  terre di  foresta
spesso lontane dalle buone fonti d'acqua,  la vita  non era  così dura.  Le
loro pratiche agricole erano spesso ad alta  intensità agricola  più che  a
intensità  di lavoro  e gli  indiani erano  in grado  di ottenere  raccolti
abbondanti e diversificati. Ma con il furto della terra e una sopravvivenza
sempre più difficile, basata su risorse sempre più scarse, la vita  diventò
sempre  più  dura,  specialmente  per  le  donne. Alcuni  dei loro  compiti
tradizionali, come  la preparazione  del cibo  e le  pulizie, hanno  sempre
richiesto molto lavoro, ma la situazione è andata peggiorando. Per esempio,
le donne indiane sono quelle che devono alzarsi ai primi chiarori dell'alba
per  macinare  il  mais  per  la  pagnotta  messicana:  la  tortilla.  Sono
generalemente le donne indiane  che devono  andare al  torrente a  prendere
acqua per cucinare,  bere, fare  il bagno  e lavare.  Sono generalmente  le
donne  indiane  che  raccolgono  la  legna per  il fuoco  (questo adesso  è
illegale)e  la  portano a  casa per  cucinare. Sono  generalmente le  donne
indiane che cucinano, si prendono cura dei figli e dei malati. Ma il lavoro
duro rende forti le donne -se non le uccide- e queste  donne hanno  sfidato
il loro ruolo tradizionale.
La sfida ha trovato appoggio  nell'EZLN e  accettazione da  parte dei  suoi
leader. Non solo le donne  sono state  incoraggiate a  unirsi all'EZLN,  ma
secondo tutti i resoconti, sono trattate come  eguali, al  punto che  molte
donne sono ufficiali. Ci si aspetta che uomini e donne portino il peso  del
lavoro  e  della  lotta  in modo  ugule. Quando  le donne  indiane si  sono
organizzate in dozzine di comunità per produrre un codice dei diritti delle
donne, la leadership dell'ERZLN composta da  leaders maya  -il CCRI/CG-  ha
adottato il codice all'unanimità. La “legge  delle donne  “ comprendeva  il
diritto  di tutte  le donne  “a prescindere  dalla razza,  credo, colore  o
affiliazione politica,”, “a partecipare alla lotta in ogni modo determinato
dalla loro volontà e capacità”, il diritto a “lavorare e ricevere un giusto
salario”, il diritto a “decidere il numero dei figli che  vogliono avere  e
crescere”, il diritto “a partecipare ai problemi della comunità e ad  avere
un  incarico se  sono liberamente  e democraticamente  elette”, il  diritto
(insieme  ai  bambini)  “all'attenzione   primaria  alla   loro  salute   e
nutrizione”, il diritto “a scegliere il partner e a non essere obbligate  a
sposarsi”, il diritto “ad essere libere dalla violenza sia in famiglia  che
all'esterno. Lo stupro e il tentato stupro saranno severamente puniti”,  il
diritto a “occupare posizioni di responsabilità nell'organizzazione  (EZLN)
e ad avere ranghi  militari nelle  forze armate  rivoluzionarie”, e  infine
tutti  i  diritti  e  gli  obblighi  propri  delle  leggi  e  delle  regole
rivoluzionarie”.
Secondo un resoconto, quando uno dei membri maschili del comitato si lasciò
sfuggire una battuta “per fortuna che mia moglie non capisce lo  spagnolo”,
un ufficiale dell'EZLN lo riprese: “Ti sei fottuto da solo perché lo
tradurremo in tutte le lingue” (maya).
Chiaramente  l'approvazione  di  questa carta  dei diritti  riflette sia  i
problemi che le lotte delle donne all'interno delle diverse culture indiane
del Chiapas. Ciò che è insolito ed eccitante a proposito di questi sviluppi
è che queste lotte non sono marginalizzate o subordinate agli interessi  di
classe, ma sono accettate come parte integrale del progetto rivoluzionario.
Conclusioni
Ho cominciato questa  breve discussione  con la  domanda se  la rivolta  in
Chiapas sia solo un'altra rivolta locale o qualcosa  di più.  Io penso  che
sia  molto  di  più.  Una volta  che abbiamo  compreso la  sua origine,  le
motivazioni e i suoi metodi, penso che  possiamo imparare  molto. Essa  non
offre una formula da imitare. Le sue forme organizzative nuove non sono  un
sostituto delle vecchie formule -leniniste  o socialdemocratiche.  Fornisce
qualcosa di diverso: un esempio  stimolante di  come si  possa cercare  una
soluzione agibile al problema post-socialista  dell'organizzazione e  della
lotta rivoluzionaria.  Le lotte  degli indiani  del Chiapas,  come pure  il
movimento  anti-NAFTA  che  ha  posto  le  basi per  la loro  circolazione,
dimostrano come l'organizzazione possa procedere localmente,  regionalmente
e internazionalmente attraverso una diversità di forme  che possono  essere
efficaci  precisamente  nella  misura  in  cui esse   tessono  una rete  di
cooperazione per attuare i progetti  materiali concreti  (spesso del  tutto
diversi)  dei  partecipanti.  Noi  sappiamo  da  un  pò  di  tempo che  una
particolare  organizzazione si  può sostituire  con grande  pericolo per  i
processi organizzativi . E’ una lezione che abbiamo imparato  nel modo  più
duro nella lotta per e poi contro i sindacati e i partiti socialdemocratici
e rivoluzionari.
Ciò che vediamo  oggi è  semplicemente l'emergenza   di  questo tessuto  di
cooperazione  tra  i  più diversi  tipi di  persone in  grado di  collegare
settori della classe operaia attraverso tutta la gerarchia  salariale e  di
reddito  internazionale.  Quel  tessuto  non è  apparso all'improvviso  dal
cielo: è stato intessuto, appunto, e nella sua tessitura molti fili si sono
spezzati e sono stati riannodati, oppure nuovi  nodi sono  stati fatti  per
sostituire quelli che non potevano tenere. Non è facile costruire un'amaca,
ma è possibile.
Per molti versi la rivolta del Chiapas è una storia vecchia di 500 anni, ma
è anche una storia nuovissima ed eccitante. L'offensiva dell'EZLN ha  avuto
luogo all'interno e con l'appoggio di un movimento internazionale di popoli
indigeni. Quel movimento stesso ha stabilito molti  collegamenti con  altri
tipi di persone, altri settori di classe operaia, dagli operai di  fabbrica
che  temono  di perdere  il lavoro,  ai colletti  bianchi che  usano i  più
sofisticati   mezzi   tecnologici   di   comunicazione   e   organizzazione
disponibili. Da quando la nascita del capitalismo ha imposto  lo status  di
classe  operaia  sulla  maggior  parte  dei  popoli del  mondo, essi  hanno
lottato. In quelle lotte  isolamento ha significato debolezza e disfatta,  
collegamento  ha  significato forza.  Il collegamento  viene dal  reciproco
riconoscimento  e   dalla  comprensione   che  le   lotte  possono   essere
complementari  e di  reciproco rinforzo.  Finchè i  lavoratori degli  Stati
Uniti e del Canada vedevano i Messicani come dei  perfetti estranei,  parti
dell'ignoto terzo  mondo, il  capitale poteva  giocare gli  uni contro  gli
altri. Ma le lotte in tutto il continente hanno costretto a  un grado  tale
di integrazione che questo tipo di cecità sta diventando sempre più  facile
da  superare.  Parte  del  lavoro  del  movimento  anti-NAFTA ha  implicato
l'accertamento  dei  pericoli  che  esso  comportava  e  la discussione  di
approcci alternativi alla luce delle  diverse situazioni  e bisogni.  Parte
del lavoro implicava la circolazione dei risultati di quella  ricerca e  di
quelle consultazioni a un pubblico più ampio. Il risultato è stato l'inizio
di una trasformazione  della coscienza  e della  comprensione della  classe
operaia nord-americana e un conseguente aumento della capacità di cooperare
nella lotta.
Oggi la rivolta del Chiapas ha come risultato una  mobilitazione a  livello
continentale. Ma non è l'unica mobilitazione di questo genere. Le fabbriche
messicane  che  una  volta  potevano  reprimere   impunemente  gli   operai
militanti,  ora  sono soggette  a osservazione  e sanzione  da parte  degli
operai statunitensi e canadesi che sempre più intervengono  per frenare  la
repressione, proprio come i militanti indigeni e gli attivisti dei  diritti
umani sono intervenuti per aiutare l'EZLN. Le compagnie multinazionali  che
potevano pagare i funzionari messicani e rovescire i rifiuti tossici  nelle
comunità lungo il confine sono oggi soggette a una  aumentata attenzione  e
sanzione da parte di operai e ecologisti. Quando l'EZLN  richiede, come  ha
fatto, che gli operai chiapanechi siano pagati a salari uguali a quelli che
lavorano a nord della frontiera, questo è un obiettivo sentito, compreso  e
appoggiato da un crescente  numero di  operai settentrionali  i cui  salari
stanno scendendo a causa della “concorrenza”  del sud.  Quando le  comunità
indiane del Chiapas lottano per la loro terra,  questa lotta  è sempre  più
vista da  chi è  all'esterno non  come reazionaria,  ma come  l'equivalente
delle lotte dei lavoratori salariati per più denaro, meno lavoro e maggiori
opportunità di sviluppare alternative al capitalismo.
Oggi l'EZLN ha fatto  scoppiare l'equivalente  sociale di  un terremoto  ed
esso sta rumoreggiando per tutta la società messicana. Ogni  giorno c'è  la
testimonianza di persone che passano dallo stupore  e dalla  preoccupazione
all'azione. Contadini e indiani completamente indipendenti dall'EZLN  hanno
accolto il suo grido di battaglia e occupano i municipi, bloccano banche  e
richiedono le loro terre e i loro diritti. Studenti e operai sono  spronati
non solo a “appoggiare i campesinos”, ma a lanciare i loro scioperi  contro
il dominio e lo sfruttamento per tutta la fabbrica sociale. Quanto  lontano
andranno  queste  ondate  di  assestamento  e  quanto  cambierà  nel  mondo
dipenderà non solo dall'EZLN o dagli indiani del Chiapas, ma dal resto,  da
tutti noi.