"Il suono del silenzio e gli zapatisti"

di Cecilia Rodriguez.(*)

"Il 1 Gennaio 1994 accadde che il governo venne a sapere che noi esistevamo

e che vivevamo".

Compagno Felipe, Base d'Appoggio dell'EZLN. Almuñecar, Spagna.

Conferenza Stampa, 2° Incontro Intercontinentale per l'Umanità e contro il Neoliberismo

Alcuni giorni prima dell’inizio del Secondo Incontro Intercontinrntale per l’Umanità e contro il Neoliberismo circolavano alcune voci. L’EZLN non sarebbe arrivato. L’EZLN avrebbe mandato una delegazione di dodici membri. Un"generale" zapatista stava arrivando. Il 22 luglio il Subcomandante Marcos aveva stilato un comunicato che sanciva che l’EZLN voleva essere presente all’Incontro. Nessuno sapeva

come interpretarlo. Esausti dopo settimane di notti in bianco e per l’enorme compito di organizzare una settimana di continue discussioni politiche, gli organizzatori dell’Incontro speravano che fosse vero ma non osavano pensarci. In fin dei conti sarebbe stata un’impresa enorme. Avrebbe voluto dire che dal profondo

delle montagne del Messico due indigeni erano gia’ in viaggio per il mondo. I due venivano direttamente dalle comunità che il governo messicano aveva cancellato per autoproclamarsi democrazia emergente.

Quando in quella confusa notte di Madrid arrivarono Felipe e Dalia nel mezzo di una arena da corrida,vennero accolti con incredulità. Alcuni tra il pubblico spalancarono gli occhi e li indicarono. Altri raggruppati in capannelli si misero a mormorare e a scambiarsi opinioni. Altri ancora girararono i volti coronati di sorrisi verso il palco illuminato; i loro occhi erano colmi di lacrime. L’impossibile era avvenuto. Un pezzo del cuore dell’EZLN, parte di quelle comunità che avevano costruito e mantenuto il segreto di un’Esercito che avrebbe sorpreso il mondo intero era giunto in Spagna. Gli Indigeni, l’oggetto del genocidio

e della colonizzazione erano ritornati, 504 anni più tardi, nella terra dei loro conquistatori. I due delegati tojolabal, Felipe e Dalia, hanno viaggiato lontano in molti modi. Si sono presi gioco della brutalità di cinque secoli. Hanno attraversato frontiere presidiate da guardie armate, fili spinati e leggi antimigratorie. Si sono burlati del rifiuto governativo al loro diritto di esistere e alle loro richieste, hanno sfidato quanti già speculavano sulla loro scomparsa. Gli indigeni del Chiapas sono arrivati con un messaggio di speranza.

Le loro voci hanno risuonato nell’arena, in un auditorio ricettivo. La loro presenza, comunque, ha subìto lo stesso destino dell’Incontro stesso: è stato oggetto del silenzio e della sordità.

"Non sapete com’è stato frustrante" ci dice l’ufficio stampa di Almuñecar. "Non potete immaginare quanto abbiamo perseguitato i media e guardate..." e indica un bollettino sul muro con cinque o sei ritagli di giornale, "questo è tutto quello che è uscito...E pensare che abbiamo qui presenti 3000 persone da tutto il mondo...ed è come se non esistessimo". "L’Incontro è stato un meeting di ecologisti" diceva uno dei ritagli. Felipe, che è un membro delle basi d’appogio dell’EZLN era chiamato guerrigliero in un altro ritaglio.

Le cinque sedi dell’Incontro erano sparpagliate per tutta l’ampiezza della Spagna. I delegati hanno viaggiato costantemente per visitare ogni assemblea plenaria e lasciando dietro di sé un messaggio di unità e sulla necessità di lottare. Per i delegati zapatisti l’Incontro è stato un estenuante programma di viaggio, di strade ventose e rumorose stazioni di servizio, di pasti a base di panini perché il loro arrivo non coincideva mai con il programma di viaggio. In ogni sede c’era un mare di volti che aspettavano soprattutto di ascoltare le loro parole. Solo sporadicamente sono potuti entrare in contatto con la realtà condivisa dai partecipanti all’Incontro. Per lo più erano inpossibilitati ad impegnarsi nell’intenso e ricco dibattito politico che riempiva ogni sede, oppure alle singolari esperienze culturali che le sedi offrivano. La loro visita in Spagna è stata un esempio dell'ormai familiare slogan zapatista "Per tutti tutto, niente per noi". Hanno trovato le antiche strade di Barcellona e Madrid, le placide baie del Mediterraneo. Hanno trovato i volti bruciati dal sole di contadini come loro che hanno occupato le terre e dichiarato "l'autonomia" dei loro paesini. Hanno trovato l’energia degli abitanti delle città che hanno occupato scuole e case e creato appartamenti abitabili. Hanno trovato i movimenti dei senza terra, gli affamati, la gioventù del mondo che si muove come un esercito in ogni angolo della terra. Hanno scambiato parole e sorrisi con la gente indigena dell’Ecuador, del Peru, del Brasile. Hanno trovato gente che è senza volto, che non possiede nomi importanti, le cui lotte e forme di organizzazione sono invisibili all’ideologia dominante ed ai suoi media. In breve, i delegati Zapatisti hanno trovato sé stessi in altri linguaggi, metodi, culture e terre. Attraverso i rossi paliacates (il tipico fazzoletto con cui si coprono il volto), i delegati zapatisti hanno condiviso i tradizionali baci sulle guancie degli spagnoli. Gli organizzatori li hanno gentilmente scortati attraverso la folla, aggirando molteplici crisi e controversie e combattendo contro la propria ansietà. L’organizzazione dell’Incontro ha comportato uno sforzo enorme. Una grande mole di sacrificio era il costo che gli organizzatori hanno dovuto pagare per creare questo spazio. I coraggiosi uomini e le coraggiose donne che hanno assunto questo compito sorridono ora quando sentono: "Per tutti tutto, niente per noi".

Nelle semplici parole del discorso inaugurale, Felipe ha condiviso la loro risposta alla guerra di bassa intensità di cui sono vittime. "Vi voglio dire che la nostra resistenza non è facile. Dobbiamo affrontare

problemi difficili , ma ci siamo organizzati e dobbiamo conquistare la pazienza e la speranza nei nostri cuori. Così fratelli e sorelle in lotta per l’armonia nel nostro mondo, noi diciamo che è necessario soffrire la calura, la stanchezza, così come resiste il contadino perché ha la speranza del suo lavoro nel campo. Noi, le basi d’appoggio dell’EZLN non disperiamo e neanche ci accontentiamo...noi non ce ne stiamo fermi mentre resistiamo... mentre resistiamo ci organizziamo".

Felipe e Dalia viaggiano tranquilli in lungo e in largo per le lontane estensioni della Spagna; i loro spiriti tranquilli per la forza delle proprie convinzioni. "Vediamo che le lotte della donna sono molto lunghe e molto diverse in ogni luogo. Noi le donne delle comunità Zapatiste vediamo le lotte della donna in altri paesi, ma vediamo anche che a volte lottano per cose che noi non comprendiamo. Vogliamo dirvi che rispettiamo il vostro modo di pensare...forse qualcuno di voi pensa che la nostra lotta è molto piccola e che dovremmo lottare per qualcosa di più... noi diciamo che la nostra lotta, come quella di tante donne, è appena incominciata."

La saggezza delle comunità indigene scorre attraverso le labbra di Felipe e Dalia durante le sparpagliate conversazioni che danno sapore agli estenuanti viaggi tra le sedi.

"Molta gente pensa che questa lotta sia migliore di un’altra, un compito più importante di un altro, che bisogna essere sempre primi. Ma la lotta si muove sempre in avanti. E’ molto costoso, genera grande sofferenza. Ci sono tanti tipi di compiti. Tutti sono importanti. Tutti sono necessari. Alcune persone vogliono dimostrare qualcosa e attaccano i loro stessi fratelli. La lotta è anche umiltà, è così semplice; mentre il potente si vanta e si gonfia il petto, noi sappiamo bene quale sia il vero potere, noi andiamo avanti quieti e ci organizziamo".

Nel secco e caldo forno qual’è la pietrosa terra di El Indiano, qualcosa di incredibile si cuoce e splende nel fuoco della resistenza. Tremila stranieri calpestano la terra. Alcuni sono venuti per curiosità o romanticismo, o per un dettagliato ordine del giorno. In mezzo a loro tuttavia ce ne sono due che camminano con la stessa calma determinazione nata dalla necessità di cambiare le cose o di vivere nella miseria.

L’Incontro si è concluso. Senza dubbio i suoi strascichi spiacevoli includeranno le solite cose, le inevitabili divisioni politiche, le solite storie d'orrore dei problemi logistici. Al di là del baccano, su tutto quanto resta una questione fondamentale; la guerra attuata contro i poveri, la guerra che include e che non è limitata ai soli zapatisti. Se davvero questa guerra è messa in atto non può continuare ad essere considerata un’astrazione. E’ innanzi tutto, una guerra che è presente in tutti gli angoli della terra. E’ una guerra che nella scia della sua devastazione lascia spazi politici ed economici, perché abbandona intere comunità umane. Se l’Incontro ha realizzato qualcosa è l’aver mostrato che gli esseri umani si stanno prendendo questi spazi, li stanno riempiendo con stimolanti proposte di autorganizzazione. Resta da vedere come e quando queste proposte di autorganizzazione possano alimentarsi mutuamente, come il silenzio creato da un sistema impeganto a schiacciare tutte le fome di resistenza nell’oblio possa essere spezzato. Al di là di tutte le critiche che già esistono e che verranno fatte, la sfida è di incontrare proposte di unità. Dato il vasto e ricco mosaico di approcci

politici, l’unità non deve essere interpretata come omogeneità. Al contrario, diversamente da qualsiasi proposta politica del passato, l’unità deve servire a riconoscere ed includere più approcci politici.

Questa sfida non è stata risolta dall’Incontro. E’ più che probabile che questo prenderà più tempo, più incontri e dibattiti e lotte per poter formulare proposte. La "lotta" come la definiscono Felipe e Dalia, deve, alla fine di questo millennio, diventare veramente globale nelle sue caratteristiche. La pratica organizzativa deve includere esperienze di prima mano, con il concetto di autonomia e di autogoverno. C’è anche la necessità di reti a livello locale, nazionale e globale. La resistenza deve andare oltre i vecchi metodi di attivismo in manifestazioni e marce. Deve includere indipendenza economica, generare di più culturalmente e socialmente, oltre all’utilizzo di più metodi di lotta.

Gli zapatisti non hanno mai chiesto che l’umanità si inchinasse al loro esempio. Loro resistono. Loro resistono alla militarizzazione, alla persecuzione e allo spossamento. Loro ascoltano. Loro accompagnano. Loro

applaudono il caos e lo splendore del Secondo Incontro. Loro agiscono come la saggezza di quindici anni di accumulazione di forza organizzativa, e con l’umiltà di una pratica politica che si è nutrita del sangue e del

sacrificio più di quanto noi mai sapremo. Gli Zapatisti hanno parlato all’Incontro. Ma anche l’umanità lo ha fatto. Ha detto che al di là di ogni cinismo e disperazione, la costruzione di un nuovo cammino sta avanzando a tutta forza. Le parole di Felipe"pazienza e speranza nei nostri cuori" noi abbiamo bisogno solo di imparare a vederle e di nutrirci di loro.

(*) Rappresentante negli USA dell'EZLN

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