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Dall’Unità d’Italia alla venuta del fascismo


Per circa un ventennio dopo l’Unità non cambiò molto nella realtà socio-economica del paese. La situazione si movimentò verso la fine del XIX secolo e nel primo decennio del XX. Tentativi autoritari e prassi di governi fortemente repressivi segnarono la fine del XIX secolo, quale unica risposta della borghesia al montare delle lotte sociali, scaturite anche dalla crisi del 1888-94, lotte che culminarono nella rivolta del pane del 1897 con il governo pronto a sparare con i cannoni sui dimostranti inermi.
A questa fase seguì la cosidetta "età giolittiana" termine con cui si attribuisce ai governi di quell’epoca indirizzi di politica improntati in qualche modo in senso liberale. Nel 1889 era stato emanato il codice penale Zanardelli, entrato in vigore nel ‘90 e che sostituisce il codice sardo del 1859: viene abolita la pena di morte -sostituita con l’ergastolo- ma restano severissime le pene per i reati contro la proprietà. Nel 1891 viene approvato il nuovo regolamento generale per gli istituti carcerari.

Si vanno diffondendo frattanto una serie di concezioni giuridiche rifacentesi al "positivismo metodologico" ed alcuni intellettuali borghesi danno vita alla "scuola positiva" che, in contrapposizione al razionalismo illuminista ossia alla "scuola classica", afferma la necessità dell’indagine sperimentale e quindi del metodo induttivo.
Questi intellettuali (Lombroso, Ferri, Garofalo, ecc) considerano il reato come "fatto umano individuale" causalmente determinato. La misura della pena risponde quindi al principio della "pericolosità sociale", non più alla gravità del reato; è prioritario il criterio della difesa sociale: laddove quindi venisse meno l’elemento di pericolosità la pena stessa potrebbe essere derogabile. Viene introdotto un elemento di flessibilità, non più legato alla "clemenza" dell’autorità, ma all’oggettiva e contingente condizione psichica e sociale del giudicato. E’ l’ammissione della condizione di recupero sociale come condizione di diritto.
Ma la scuola positiva non riesce ad affermarsi sul piano operativo nemmeno durante l’epoca giolittiana. Fu lo stesso Giolitti difatti che, preoccupato di menomare l’autorità del suo governo, si oppose alla richiesta di Filippo Turati che il 18 marzo 1904 dalla Camera dei deputati, denunciando la drammatica situazione in cui versavano le carceri italiane, propose una commisione di inchiesta; i governi "giolittiani" anche nel settore della giustizia si attestarono su una linea conservatrice.

Le forti mobilitazioni sociali suc-cessive alla prima guerra mondiale, mobilitazione che coinvolse anche le campagne, creò uno stato di allarme tra le classi dominanti; queste ,agitando lo spettro della rivoluzione bolscevica attraverso i media del tempo con toni fortemente demagogici, riuscirono a mo-bilitare i settori della piccola borghesia -rovinata dalla guerra- che vedeva i suoi privilegi residui minacciati dalle richieste popolari. Così si spianò la strada al fascismo.

Nei primi anni il fascismo puntò tutto sull’obiettivo di far inserire la borghesia nazionale nel positivo ciclo economico che attraversava l’economia internazionale. Per far ciò dovette imporre una linea di bassi salari e di compressione dei consumi per le classi popolari; politica che, nei primi anni ‘30, portò l’Italia ad una vera e propria catastrofe economica, come avvenne in altri paesi occidentali, ma ancora più drammatica.

Dunque la repressione per il fascismo era un’esigenza di politica economica-sociale, oltre ad essere un suo specifico retroterra culturale. L’azione di intimidazione e di disorganizzazione nei confronti del proletariato urbano e rurale superò di gran lunga ciò che era consentito dalla pur durissima “repressione legale” dei paesi a regime formalmente democratico.

Queste caratteristiche di repressione di massa non consentì con facilità al fascismo l’attuazione di una repressione selettiva, anche a livello carcerario, necessaria a far decollare i progetti presentati nel 1921 che si rifacevano alla "scuola positiva" e basati sull’individualizzazione del trattamento carcerario. In questo progetto comparivano però alcuni istituti innovatori: la sospensione della pena, la liberazione condizionale (in parte presente nel codice Zanardelli ma limitatamente a finalità disciplinari e così riportata poi nel codice Rocco) e il perdono giudiziale.

In questi anni, tra le due guerre, in Europa vede la luce la cosidetta "terza scuola", prodotta dall’integrazione tra l’idea dell’autodeterminazione (scuola classica) e quella del condizionamento da parte di fattori non-volontari delle azioni umane (scuola positiva). Nasce un sistema basato sul dualismo tra responsabilità individuale (libero arbitrio) =pena retributiva; e pericolosità sociale (prevalenza di fattori socio-ambientali) =misura di sicurezza.
Questa"terza scuola" si affermò in Europa, in America Latina e in alcuni paesi del Medio Oriente (Libano e Siria), mentre in Italia l’influenza del regime fece spostare l’accento tutto sulla responsabilità individuale a detrimento di valutazioni sulla "giustizia sociale"; non solo, gli accordi del fascismo con la Chiesa cattolica (Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929) rivestirono la pena di caratteristiche moralizzatrici come era secoli addietro, considerando il reo come "peccatore che deve compiere un percorso di espiazione e rimorso".

Lo Stato incarna il bene comune, lo Stato è al centro della vita del cittadino, il delinquente è un nemico del popolo, quindi dello Stato e viceversa poichè offende la dignità dello Stato e si contrappone ai sentimenti popolari e alle pubbliche virtù. La pena dunque deve avere una funzione afflittivo-punitiva e deve essere esemplare. Il carcere di conseguenza sarà inflessibile e distruttivo nei confronti degli "incorregibili", flessibile e attenuato per gli altri:
"Occorre stabilire norme di vita carceraria che siano bensì idonee ad emendare il candannato, ma non tolgano alla pena il carattere afflittivo ed intimidativo ... E perchè la pratica resti ferma ed ossequiente al pensiero del legislatore, ho riconosciuto la necessità non solo di dettare i precetti positivi, ma di formulare altresì una disposizione, che implica il divieto di ogni giuoco, festa o altra forma di divertimento che a quell’austerità [del carcere] possa recare offesa..." (Relazione di presentazione al nuovo regolamento per gli Istituti di Prevenzione e Pena).

Nel 1926 viene approvata la nuova legge di Pubblica Sicurezza (si introduce il confino di polizia). Nel 1930 è approvato il codice Rocco. Nel 1931 è approvato il Regolamento carcerario che rimarrà in vigore fino alla riforma del 1975. Nel 1934 vengono approvate altre leggi (n.1404 e n.1579) che regolamentano il funzionamento del Tribunale dei minorenni e delle Case di rieducazione per minorenni e che istituiscono i Centri di Osservazione con lo scopo di " fare l’esame scientifico del minorenne, stabilirne la vera personalità (sic!), e segnalare i mezzi più idonei per assicurare il recupero alla vita sociale". Nel 1930 venne anche approvato il codice di procedura penale dove, nel famigerato art.16, si garantiva l’impunità agli agenti di pubblica sicurezza "per fatti compiuti in servizio e relativo all’uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica". Una licenza di uccidere che ricomparirà, con l’accordo di quasi tutte le forze politiche negli anni ‘70.
Un altro elemento caratteristico dell’ideologia che ispira il codice Rocco è quello che pone a carico dell’accusato l’onere di dimostrare la propria innocenza e non all’accusatore dar prova dell’accusa, stravolgendo anche le basi del diritto romano: alla faccia di tutti gli stupidi simboli e riti che tentavano di stabilire un legame proprio con la romanità.
Il Regolamento carcerario del 1931 suddivideva le carceri in TRE gruppi:

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Il regime disciplinare si basa sul lavoro, sull’istruzione e sulla religione. Molta enfasi è dedicata al lavoro come strumento di rieducazione, in un’epoca in cui in tutti gli altri paesi d’Europa il lavoro aveva da tempo cessato di avere una funzione reale.
Il carcere diventa sempre di più la rappresentazione della società fascista nelle sue connotazioni basilari. Lo stesso Mussolini intervenendo nel dibattito parlamentare sulla presentazione del nuovo Regolamento penitenziario ci tenne a dire la sua mettendo in guardia coloro che studiano le carceri dal "vedere questa umanità sotto un aspetto forse eccessivamente simpatico ... Credo che sia prematuro abolire la parola pena e credo che non sia nelle intenzioni di alcuno convertire le carceri in collegi ricreativi piacevoli, dove non sarebbe tanto ingrato il soggiorno". E’ questa l’essenza dell’ideologia fascista della punizione espressa dal duce del fascismo che però oggi -poveri noi!- ritroviamo tranquillamente espressa, e senza vergogna, dalla gran parte delle forze politiche che si autodefiniscono, bontà loro, democratiche! Che brutta fine ha fatto ‘sto paese!!!

Per dare un’idea delle condizioni materiali vale la pena di entrare un po’ nel dettaglio:
secondo questo Regolamento costituiva infrazione reclamare collettivamente, tenere comportamento irrispettoso, giocare, cantare, riposarsi in branda durante il giorno, non andare alla messa, possedere anche solo un ago per cucire, possedere carte da gioco, possedere una matita: era consentito scrivere due lettere alla settimana ai familiari stretti, per far ciò veniva consegnata una matita e un foglio di carta e terminata la lettera veniva riconsegnato il tutto. Non era permesso leggere giornali politici e i quotidiani e settimanali consentiti venivano abbondantemente censurati tagliando gli articoli ritenuti non-idonei. Quando il personale carcerario entrava in cella bisognava farsi trovare sull’attenti accanto alla branda ben ordinata.
Le punizioni andavano dalla semplice ammonizione alla cella d’isolamento nelle quali molti hanno lasciato la loro vita o la propria salute mentale e fisica.
L’entità delle punizioni era attribuito in maniera del tutto discrezionale dal personale di custodia o dalla direzione, il fine era quello di attuare un "condizionamento comportamentale" che spesso causava turbe psichiche.
Il detenuto, nel suo percorso carcerario, è sempre seguito dalla "cartella biografica"personale, una vera e propria schedatura nella quale si annotano i precedenti personali e familiari del tipo: alcoolismo, sifilide, pazzia, suicidio, prostituzione, condizioni economiche e idee politiche.


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