TRANS E CARCERE
Intervista a Porpora
del Movimento Identità Transessuale (MIT)


L'intervista è stata realizzata nel Luglio 2000 in occasione del worldpride seguito da tmcrew, Radiondarossa, Candida TV

Ci puoi spiegare cosa é il MIT e quali attività svolge?

Il MIT é un'associazione che si occupa della difesa dei diritti e della dignità delle persone transessuali, sia transessuali uomini sia transessuali donne; ha sede a Bologna in un centro messo a disposizione dalla vecchia amministrazione comunale e offre una serie di servizi.
L'attività principale é il consultorio che segue le persone transessuali nel loro iter di adattamento psico-fisico e per quanto riguarda tutti i problemi legati alla salute. Nel consultorio operano psicologi, endocrinologi e un'assistente sociale. Ultimamente il consultorio é stato trasportato anche in carcere.
Un altro servizio del MIT é quello denominato "Prostituzione Sicura" che é temporaneamente sospeso perché il comune di Bologna con la sua nuova impostazione politica ha deciso di interromperlo. Questo servizio era rivolto a tutte le donne immigrate, prive di permesso di soggiorno, che si prostituiscono in strada (sfruttate). A queste donne é negato l'accesso ai servizi presenti sul territorio e "Prostituzione Sicura" era un servizio di facilitazione per l'accesso ai servizi socio-sanitari. Il Comune ha momentaneamente sospeso questo servizio, ma noi continuiamo a svolgerlo con i nostri mezzi. Po c'é lo Sportello dei Diritti, che si appoggia al sindacato, la CGIL, ed é uno sportello che si occupa della difesa dei diritti sul lavoro (licenziamenti, assistenza legale, ...).
Infine c'é uno dei servizi più importanti che é l'intervento in carcere. Svolgiamo questo servizio dal 1996 nel carcere bolognese della Dozza. Ogni settimana quattro operatori del MIT si recano in carcere. Il servizio offre assistenza psicologica e medica alle trans in carcere.
Io uso l'espressione "le" trans in carcere perché in genere si tratta di trans MtF (cioé che da uomo diventano donna). Loro infatti sono quelle che, avendo tutta una serie di difficoltà e problemi nella vita sociale, risultano più esposte al rischio galera.

Quali sono le condizioni di detenzione delle trans all'interno del carcere maschile della Dozza?

In un'istituzione totale come il carcere i problemi legati a un'esperienza come il transessualismo emergono prepotentemente. Nel carcere di Bologna la situazione non é stata sempre la stessa. In questi anni di servizio svolto all'interno abbiamo incontrato condizioni diverse tra loro. Nel 1996, quando abbiamo iniziato, le trans detenute erano otto, adesso invece sono tre. In base al numero di persone cui si rivolge il servizio, cambiano le caratteristiche del servizio stesso. Con un lavoro certosino siamo riusciti a intessere una rete di rapporti con le trans detenute, la direzione del carcere e le altre associazioni che intervengono (ad esempio la LILA o altre associazioni di volontariato).
Al nostro arrivo le trans avevano una parte loro riservata, celle tenute separate dal resto del carcere per "ovvi" motivi. Quando poi sono diminuite fino a diventare tre trans recluse, grazie ad accordi con la direzione, sono riuscite a ottenere di stare insieme ai loro fidanzati, che avevano conosciuto in carcere. Questa richiesta é stata accettata dalla direzione per un certo periodo di tempo, venendo a creare una situazione anomala rispetto a quella delle altre carceri. Infine recentemente si é tornati al regime di isolamento di prima, anzi pure più rigido. Forse per via del clima innescatosi dopo i fatti di Sassari le trans sono tornate a essere separate dagli altri detenuti e anche la comunicazione con noi é stata resa più difficile.

Il tuo racconto é sorprendente, perché guardando alle condizioni di detenzione delle trans nelle varie carceri italiane sembra impensabile che alla Dozza sia esistita quest'esperienza di cui parlavi.

Ci rendiamo conto che la situazione bolognese é stata un'anomalia. Sarà stato per il numero di trans o per una sorta di dialogo che abbiamo avviato con la direzione del carcere, la quale ci ha chiesto addirittura di offrire il servizio anche agli altri carcerati, forse per supplire alle mancanze istituzionali. Per quanto ci é stato possibile abbiamo fatto anche questo, che poi consisteva in comunicazioni con l'esterno, lettere, pacchi, ...Ora la situazione é tornata come prima: ognuno al suo posto e anche noi operatori al nostro posto, solo con le trans.
Generalmente le trans sono detenute all'interno di reparti speciali ricavati all'interno delle carceri maschili, più raramente dentro quelle femminili (se hanno subito interventi chirurgici). Il transessualismo non viene affatto riconosciuto dalla direzione del carcere e questo può portare o all'isolamento in reparti speciali maschili oppure alla totale mancanza di considerazione dell'identità sessuale delle trans recluse.

L'istituzione si rivolge sempre al maschile nei confronti delle trans detenute?

Certamente e non solo per quanto riguarda il carcere. Questo é un punto fondamentale su cui invito a riflettere seriamente. La persona trans é colei che ha messo in moto un meccanismo di adattamento del proprio fisico alla percezione che ha di sé, il suo aspetto é molto femminile (non voglio usare le percentuali del 60% o 70%, comunque parliamo di una persona dall'aspetto molto femminile).
Quando questa persona si confronta con l'istituzione, dall'ospedale al carcere, si viene a trovare in una situazione veramente brutta e imbarazzante che vi lascio immaginare.
Nel carcere l'esperienza può diventare traumatica; di casi allucinanti ce ne sono svariati e non mi va neanche di raccontarli. Nell'attività che svolgiamo ci occupiamo della salute e dell'assistenza psicologica perché é di questo che ha bisogno una trans detenuta. La salute psichica é di per sé un problema dentro il carcere, per una trans può essere un problema ancora più serio. Il mancato riconoscimento della propria identità può portare a situazioni di vivibilità molto pesanti: tagliarsi o tentare il suicidio per una trans detenuta sono esperienze "normali".

Un tempo nelle carceri capitava di incontrare solo trans italiane. Adesso la situazione é radicalmente cambiata e c'é una prevalenza di trans sudamericane.

Io personalmente sono stata in carcere a Regina Coeli, tanti anni fa, nel periodo in cui dentro c'erano soltanto trans italiane, perché ancora non c'era stata l'immigrazione massiccia dal Sudamerica. Le trans italiane appartenevano a una categoria fortemente penalizzata ed emarginata. Fino al 1985 quasi tutte le trans avevano l'articolo 1; oltraggio e articolo 85 si sprecavano. Molte mie amiche erano in libertà vigilata per il semplice fatto di essere trans.
La situazione adesso é cambiata: la realtà che prima vivevano le trans italiane, adesso la vivono le trans sudamericane. Una persona che non ha il permesso di soggiorno, non é in regola, é fortemente discriminata e penalizzata. E' molto più facile per lei venirsi a trovare in una situazione che la porti a delinquere e quindi in carcere, sembra proprio matematico, non c'é da stupirsi.
Addirittura le varianti esistono tra le sudamericane stesse, tra brasiliane, ecuadoregne, colombiane. C'é sempre qualcuno più a sud di te, é la logica del capitalismo che viene amplificata dal carcere. Nell'istituzione totale le contraddizioni vengono fuori in maniera molto più forte, sono molto visibili.

Hai un'idea della consistenza numerica delle trans detenute in Italia?

E' difficile dire con esattezza quante trans sono detenute, sempre per il discorso che il transessualismo non viene riconosciuto. In quelle carceri dove non esistono operatori tipo il MIT mancano le informazioni. Ti posso dire con esattezza che a Bologna ci sono tre trans, oppure posso recuperare il dato di Rebibbia, perché ho la possibilità di chiederlo a operatori che conosco, ma in molte carceri le trans non vengono neanche riconosciute come tali, sono identificate come detenuti maschi. Cifre ufficiali non ne esistono, ma si parla di circa 300 presenze medie, ma potrebbero essere molte di più (meno di 300 non credo proprio).

Esistono in Italia o all'estero esperienze di intervento in carcere simili a quella del MIT?

Un tentativo di intervento mirato alle trans é stato avviato a Roma, ma non so come stia procedendo ultimamente. Per il resto in Italia il MIT é l'unica esperienza di questo tipo, abbiamo anche cercato di creare una rete di coordinamento italiana, ma non siamo riuscite a trovare altre situazioni. C'é invece un progetto europeo con sede a Parigi e proprio insieme a un gruppo che già da tempo interviene in carcere a Parigi stiamo tentando di creare un coordinamento a livello europeo tra le realtà di intervento in carcere a favore delle trans: noi in Italia, il gruppo di Parigi e alcuni gruppi spagnoli delle Asturie e dell'Andalusia.

Quali difficoltà incontrate nel vostro intervento in carcere?

Le difficoltà sono fondamentalmente di natura burocratica: permessi, supervisioni, iter da seguire. Ogni volta che cambia la direzione devi ricominciare tutto daccapo. Nel 1999 abbiamo avuto difficoltà proprio nei rapporti con le trans che tutto a un tratto non ci volevano più ricevere. Poi venimmo a sapere che c'era un tipo di Alleanza Nazionale che visitava il carcere facendo promesse che aveva messo zizzania tra noi e le trans. Poi per fortuna i rapporti si sono ristabiliti.
Siamo riusciti a far ottenere la semilibertà a una trans brasiliana grazie a una borsa-lavoro presso la nostra sede che le consentiva di recarsi a lavorare da noi di giorno, mentre la sera rientrava in carcere. Per noi é stata una grossa conquista. Questa persona era assolutamente sola e disorientata come molte che si trovano in terra straniera, sentendosi una nullità e finendo poi in carcere si sentono sprofondare in un abisso. Lei, quando ha incontrato noi che le offrivamo le cure per la sieropositività che altrimenti non le venivano garantite e si sono creati i presupposti per poter ottenere la semilibertà, é rifiorita. Poi purtroppo finito il periodo di borsa-lavoro e carcerazione é stata espulsa e rispedita in Brasile.
Abbiamo cercato in tutti i modi di farla restare, ma non c'é stato nulla da fare. Siamo invece riusciti a far avere il permesso di soggiorno ad altre persone: una trans albanese, una rumena.

A Bologna gli operatori esterni incontrano difficoltà a condurre attività miste tra trans e detenuti uomini?

Nel carcere della Dozza é possibile condurre attività in comune. Alle psicologhe che operano nel nostro consultorio ed entrano in carcere é stato addirittura chiesto dalla direzione di incontrare anche gli altri detenuti. A Bologna il MIT con i servizi che offre dentro e fuori il carcere é diventato il trait d'union tra varie situazioni. Grazie alla disponibilità che abbiamo di medici, psicologi, endocrinologi quando andiamo a chiedere qualcosa la direzione del carcere ci pensa due volte prima di tirarsi indietro. A Bologna poi c'é una vera e propria cultura del volontariato, associazioni, gruppi, persone che da ancor prima di noi intervengono in carcere ed esercitano una funzione di controllo dall'esterno su ciò che avviene dentro il carcere.

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