SI MODIFICA IL TESSUTO DELL’EXTRALEGALITA


La seconda metà degli anni ‘60 vede di nuovo un aumento della criminalità ed anche ad un cambiamento del "tipo" di reato e del "reo". Quest’ultimo appartiene sempre più spesso a fasce di immigrati interni (dal sud e dall’est al nord-ovest dell’Italia) ed a sacche di popolazione per cui la disoccupazione diverrà, da quel momento in poi, una costante grazie alle scelte di politica economica scellerate dei governanti.
Una spiegazione possibile è che l’aumento della ricchezza sociale, che in un primo tempo aveva fatto diminuire la quantità di reati, non divenendo accessibile a strati di popolazione, induce alcuni soggetti, tra la massa degli esclusi dalla ricchezza, a cercare di raggiungerla per via extralegale.
Si sviluppa un fenomeno nuovo nel mondo dell’extralegalità: giovani proletari con lavori precari o mal pagati e supersfruttati, si organizzano tra loro per realizzare furti o rapine come "secondo lavoro"; spesso utilizzando le loro capacità tecniche e professionali. Si delinea una nuova aggregazione extralegale: la creazione di organizzazioni criminali vaste e con una divisione del lavoro al proprio interno: la banda.
Dentro vi è chi ha solo il ruolo di affittare un appartamento, chi procura le auto, chi procura notizie sul "colpo" da fare, chi procura i passaporti o altri documenti, chi le armi, fino al medico che cura eventuali feriti, e poi il commercialista che consiglia gli investimenti per il denaro, ecc.; una struttura che coopera, ciascuno con le proprie specificità, a reperire reddito per via extralegale.
Aumentano anche i delitti contro la persona e compaiono le armi da fuoco.

IL "BALLETTO" DELLA RIFORMA

Tornando al tortuoso percorso della legge di riforma carceraria, nel 1960 viene presentato un primo disegno di legge sull’ordinamento penitenziario (Gonella) che cerca di adeguare il sistema penitenziario italiano ai principi stabiliti dalle Regole minime dell’ONU (1955) e introduce il criterio dell’individualizzazione del trattamento rieducativo basato sull’osservazione della personalità.
Vengono progettate figure nuove che dovranno prendere posto nel carcere quali: gli educatori, i Centri del servizio sociale, e si introduce il regime di "semilibertà", ma le titubanze sono pari agli emendamenti e, in questo clima di instabilità sociale, la classe politica italiana manifesta timori eccessivi nel mettere mano ad una seria riforma del sistema carcerario.
Numerosi progetti di legge vengono presentati, ma tutti decadono ad ogni fine legislatura. La situazione occupazionale e la distribuzione della ricchezza sfavorisce sempre più le classi meno abbienti; inoltre le mobilitazioni sociali e politiche della fine degli anni ‘60 e inizio ‘70 varcano le alte mura del carcere e tra i detenuti esplode una stagione di lotte e rivolte che durerà per tutto il decennio e oltre.

Fu proprio il montare di queste rivolte che "obbligherà" il sistema politico a varare la legge di riforma (27 luglio 1975 n.354) che però non manterrà più nulla dei caratteri innovatori caratterizzanti il dibattito sul "nuovo carcere" degli anni ‘60. Lo stesso progetto Gonella che pure non brillava per "aperture" verrà peggiorato nel passaggio dal Senato alla Camera, poichè nel frattempo le "paure" della borghesia erano diventate "incubi". Tutto il dibattito e le problematiche sui "diritti civili", contro le "istituzioni totali", per il recupero delle fasce emarginate, ecc., che pure aveva visto impegnati i migliori intelletti dell’a rea democratica e progressista, perde molti pezzi per strada -lungo gli anni ‘70 man mano che il conflitto sociale si inasprisce.

COSA ACCADEVA INTANTO NELL’UNIVERSO CARCERARIO ?

Le autorità carcerarie si attenevano ancora alle norme in vigore in epoca fascista; non solo, anche la mentalita della custodia e di molti funzionari era sostanzialmente quella fascista. Nella comunità prigioniera d’altro lato vigeva una logica che rispecchiava quella dell'ambiente extralegale di provenienza, ma di qualche anno prima, ossia non ancora scosso da quel rinnovamento che negli anni 60 cambiò completamente il modo d'essere e di organizzarsi del proletariato extralegale, o almeno di una parte di esso sopratutto nelle grandi città: in particolare l’uso della violenza e delle armi da fuoco; la ridefinizione delle forme di organizzazione dove, accanto alla grossa banda, prendono piede raggruppamenti di giovani rapinatori meno gerarchizzate, più autonome e meno legate e intrallazzate con le strutture del potere ‘legale’, una sorta di ribellismo sociale.
Esisteva quindi tra i detenuti una gerarchia, diversa per zone geografiche o per settori di attività extralegale, che di fatto garantiva una certa pacificazione nelle carceri: era sufficiente che la direzione del carcere o le guardie facessero alcuni piaceri ai boss e capetti perchè questi garantissero l'assenza della conflittualità e l’ordine.

Per rompere questa situazione stagnante, che solo qualche azione individuale riusciva a scalfire ma che non permetteva assolutamente lo sviluppo di forme collettive organizzate di protesta, a meno che fossero dirette dagli stessi boss (ma in questo caso l'obiettivo era qualche fatto personale dei boss oppure erano proteste concordate con la direzione) è stata necessaria una lotta all'interno dei detenuti.

E’ stata una vera e propria lotta all'interno della comunità prigioniera per rompere il sistema gerarchico precedente che produceva immobilismo. Si può fare il confronto, molto alla lontana, con quanto era avvenuto qualche anno prima all'interno della fabbrica tra vecchi sistemi di rappresentanza operaia (le 'commissioni interne' che esprimevano un sistema molto 'delegato' di concepire il sindacato) da una parte e le nuove istanze operaie dall’altra; queste ultime chiedevano non solo la 'partecipazione diretta' alle scelte, ma anche di poter esprimere antagonismo verso la direzione di fabbrica e verso l'organiz-zazione capitalistica del lavoro e quindi intensificare e inasprire la conflittualità; queste istanze esprimevano l’esigenza di forme di rappresentanza del tipo del "delegato di reparto" e dell’"assemblea permanente". Analogo processo avveniva nelle scuole e nelle università dove erano state abbattute le vecchie forme di rappresentanza studentesca.

Così si assiste ad una lotta interna al mondo detenuto dovuta:

a) al cambiamento di mentalità dei giovani extralegali metropolitani insofferenti verso quei sistemi e quella gerarchia a carattere mafioso;

b) ma anche ad un fatto nuovo: molti compagni (studenti del movimento del 68 o operai delle lotte del 69 o anche giovani proletari) cominciavano a frequentare il carcere grazie agli arresti sempre più numerosi in occasione di manifestazioni, di occupazioni o altre lotte.

Questi compagni hanno avuto un ruolo molto importante nel processo di costruzione dell'organizzazione dei proletari prigionieri e nella loro presa di coscienza.
E’ esemplare il caso di Luca Mantini, un compagno fiorentino di Lotta Continua, entrato in carcere dopo una manifestazione, fu uno dei primi a rompere la separazione che fino ad allora vigeva tra detenuti politici e detenuti comuni; Luca ha avuto la capacità e la sensibilità di vedere in alcuni giovani extralegali fiorentini (in genere rapinatori) i nuovi soggetti della trasformazione avvenuta nel mondo extralegale che stava producendo dei ribelli al posto dei malavitosi; così abbandonò la cella che condivideva con altri compagni e chiese di essere ospitato in una cella dove erano i più vivaci giovani extralegali: la miscela fu esplosiva e con quei compagni di cella Luca fondò il collettivo George Jackson e in seguito quei giovani extralegali diverranno dirigenti dei NAP (Nuclei Armati Proletari). Luca Mantini verrà ucciso il 29 ottobre 1974 durante un esproprio a una banca di Piazza Alberti a Firenze insieme ad un altro compagno Giuseppe Romeo "Sergio".

Lo scontro interno al proletariato prigioniero è stata una lotta ricca di episodi diversi e numerosi, spesso individuali, ma in alcuni di questi episodi si possono leggere le prime forme di organizzazione dei proletari prigionieri che poi organizzeranno e guideranno le lotte in tutto il circuito carcerario.
Ad esempio in carceri come quello delle 'Murate' di Firenze, delle 'Nuove' di Torino, di Volterra ecc, alcuni giovani proletari extralegali insieme a qualche compagno organizzavano azioni di questo genere:
"era abitudine dei boss in carcere riunirsi nelle ore del tardo pomeriggio, prima di cena, nelle 'sale di socialità’ per giocare a carte (vietate per gli altri ma a loro 'permesse') o per 'chiacchierare' spesso decidendo i destini degli altri detenuti; in questi momenti erano circondati dalla loro "corte" e dai petulanti che cercavano di entrare nelle grazie del capo.
Che cosa fecero i 'compagni' ? (ossia questo meraviglioso miscuglio tra compagni esterni e giovani ribelli extralegali) Provocavano un corto circuito nella rete elettrica della sezione ed approfittando del momento di buio, entravano in questa sala e pestavano i boss e i loro vice e poi si ritiravano in fretta nelle celle prima che intervenissero le guardie; nel fare queste azioni mettevano un fazzoletto sulla faccia onde evitare, anche nella penombra di venir riconosciuti, ma anche per 'rifare' come facevano alla Fiat i 'fazzoletti rossi' di cui i giovani extralegali sentivano raccontare le gesta dai compagni e se ne entusiasmavano.

Questa rottura e trasformazione avvenuta all’interno del mondo extralegale e prigioniero fu dovuta anche a tutto quello che succedeva nel paese e nel resto del mondo occidentale e anche oltre. Censura o non censura, questo vento scavalcava abbondantemente le vecchie mura del carcere italiano ancora chiuso nei sistemi e ordinamenti fascisti che avevano plasmato gli edifici, i regolamenti e con essi anche la cultura del personale penitenziario. Le esperienze più vivaci entusiasmarono gli animi: decisiva fu la conoscenza delle gesta delle "Pantere nere", di Malcom X e di Jackson, ma anche i contributi di Fanon, Giap, Guevara, ecc.

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