La Decrescita, un nuovo romanticismo rivoluzionario

Tratto da: Libèration, 02.03.2007


 

Jean Claude Besson-Girard, direttore della rivista "Entropia", spiega perché la nozione di "decrescita" è urtante per l'immaginario occidentale, basato sul mito del progresso. Intesa come idealismo, può rivivificare la nozione di utopia offuscata dalle mostruosità dello scorso secolo.

 

Lei è direttore di "Entropia", prima rivista di studi teorici e politici sulla decrescita. Ci può spiegare cosa sia la decrescita ?

La decrescita è prima di tutto una espressione provocatoria. Si oppone direttamente al dogma quasi religioso della crescita. Ma per cominciare a capire il senso di questa provocazione, bisogna subito precisare che la decrescita non è una idea economica ma è parte di una rappresentazione del mondo dove l'economia non avrebbe più la predominanza assoluta. Si tratta di passare da una società di sviluppo ad una società di anti-sviluppo. Perché ? Perché pensiamo che il mito di uno sviluppo senza limiti su un pianeta le cui risorse sono limitate sia responsabile delle cinque crisi maggiori nelle quali s'imbatte l'umanità. La crisi energetica, collegata all'esaurimento e al rincaro delle risorse fossili, ed al consumismo esponenziale; la crisi climatica, che va di pari passo con la riduzione della biodiversità e la privatizzazione di tutto ciò che vive e delle risorse naturali; la crisi sociale, inerente al modo capitalistico di produzione e crescita, esacerbate dalla globalizzazione liberista generatrice di esclusione al Nord e più ancora al Sud; la crisi culturale dei punti di riferimento e dei valori, le cui conseguenze psicologiche e sociali sono visibili in ogni campo; ed infine la crisi demografica, che incontrandosi con le quattro precedenti, contribuisce ad aggiungere un complicato parametro a ciò che ormai costituisce una crisi antropologica senza precedenti.

Tutto questo ricorda terribilmente l'anno 01 proposto da Gébé negli anni 70… Da allora che cosa è cambiato ?

SingerE' vero, la contestazione della crescita non è cosa nuova, ma il contesto nel quale riemerge è totalmente nuovo, inedito e particolarmente inquietante. Questa contestazione esiste dall'inizio degli anni 70. E stata portata a livello internazionale in occasione del summit di Stoccolma nel 1972, durante la prima conferenza sull'ambiente umano. Già allora si trattava di conciliare l'impatto delle attività socioeconomiche umane con l'ambiente. Sul piano nazionale, il nodo della contestazione era cristallizzato intorno alla lotta contro il nucleare. La "Bande à Fournier", che scriveva nel giornale "Gueule Ouverte", aveva proposto : "Fermiamoci e pensiamoci sopra". Ma in un paio d'anni, tutto fu dimenticato. Dopo di che, la prima crisi petrolifera nel 1973, e le prime ondate preoccupanti di disoccupazione seppellirono definitivamente l'iniziativa. Però oggi, si può riprendere ciò che era stato proposto nel 70, ma con più forza. Gli "obiettori di crescita" riflettono, ma per ora il loro peso sociale e politico è insignificante riguardo all'opinione pubblica e di chi decide.

Non dimentichiamoci che quasi nessuno aveva sentito parlare di questo "ovni politico" quattro anni fa. Ed è stato il bimensile "La decrescita" pubblicato dall'associazione "Casseurs de pub", ad operare lo sfondamento mediatico che conosciamo.

Ma la decrescita si oppone visceralmente allo sviluppo sostenibile ? E perché ?

La società di crescita non è sostenibile, e lo sviluppo sostenibile non è che un gadget. Non sono gli aggettivi "durabile", o "sostenibile", che sono da incolpare, ma la nozione stessa di sviluppo. Ed è evidentemente su questo punto che la nozione di decrescita è estremamente urtante perché sottintende un "di là dallo sviluppo", idea quasi improponibile che rimette in questione tutto l'immaginario occidentale, basato su una fede cieca nel mito del progresso da oltre due secoli.

Non ci sarebbe modo di usare un termine meno urtante, come decelerazione, equilibrio, armonia… La voce decrescita ha un lato negativo, del tipo "ritorno alla candela"… Non pensa che la parola abbia qualcosa di respingente ?

Respingente per chi ? Certamente non per tutti. I più giovani, in particolare, hanno capito perfettamente che "più" non significava sistematicamente "meglio". L'accumulazione degli effetti negativi della crescita tende a ribaltare il giudizio precedente. Per quanto riguarda ciò che certuni chiamano una "decelerazione" della crescita, noi consideriamo che questa proposta - restando nella logica e l'immaginario della crescita - non è all'altezza poiché è proprio questo immaginario che va combattuto. Pensiamo anche che ci voleva una espressione shock come "decrescita" per scuotere l'opinione dal torpore che la immobilizza. E quindi la conserviamo.

L'idea di decrescita non sarebbe un idea per paesi ricchi e sviluppati ? Come spiegare la decrescita a cinesi, indiani e etiopi ?

E preferibile, secondo me, parlare di paesi arricchiti e di paesi impoveriti. Permettendo di trattare di processi storici invece che di fatalità. Inoltre, non conviene confondere povertà e miseria. Sarebbe completamente osceno parlare di decrescita a chi muore di fame, come in Etiopia e Darfour. Ma è nostro dovere spiegare loro perché si trovano in questa disumana situazione. E si ricade naturalmente nelle contraddizioni ed ingiustizie originate dal modello dominante. Quanto a cinesi e indiani, è prevedibile che il sovraccarico delle loro economie incontri una soglia di insostenibilità di cui le popolazioni dovranno scegliere se esserne vittime o disfarsene. E il nostro dovere aiutarli a scegliere la seconda alternativa.

Le catastrofi a ripetizione che si annunciano non sono il migliore elemento per indicare la necessità di una decrescita ?

Mi perdonino le vittime di queste incresciose catastrofi, ma incontestabilmente l'uragano Katrina l'anno scorso e la canicola del 2003 hanno contribuito molto di più a far porre domande sul modello dominante, che non i libri scritti da quelli che da tempo preannunciavano l'insostenibilità di questo modello. Ci si pensa, poi ci si dimentica. Ma per entrare nel periodo della decrescita, necessaria una dissidenza collettiva in grado di pesare sulle decisioni politiche di chi ci governa.

Come entrare volontariamente in decrescita ?

Ci sono parecchie tappe e parecchi livelli. Per prima c'è la presa di coscienza della nostra comune situazione. Abbiamo un pianeta solo. Il recente rapporto Stern, che stima di oltre 5.000 miliardi di dollari gli effetti del riscaldamento climatico, ed il film di Al Gore "Una scomoda verità" possono incontestabilmente contribuire a farci aprire gli occhi. La seconda tappa è quella di passare all'azione, impegnarsi. Il primo stadio è individuale e consiste essenzialmente a ridurre il nostro impatto ecologico personale. Cioè il nostro attingere alle risorse naturali. Quel livello è necessario, ma non sufficiente. Il secondo livello è politico, nel senso più largo, dalla ricerca del bene comune integrando ogni dimensione del progetto di una società in decrescita. E ben evidente che sia preferibile ottenere risultati in modo volontario e democratico piuttosto che ricorrendo alla costrizione.

Come organizzare politiche pubbliche in questa direzione ? Quale "tendenza di pensiero" utilizzare ?

Localmente, su un terreno concreto, numerosi "obiettori di coscienza" sono all'opera per fare progredire l'idea. Per prendere un esempio solo, noi abbiamo contribuito con altri, al fatto che il nostro governo abbia rinunciato al raddoppio dell'autostrada A7 nella valle del Rodano. E un piccolo passo, simbolico ma reale verso il "meno", quindi verso la decrescita. In materia di agricoltura, bisognerebbe rompere con le filiere verticali di produzione e consumo, quindi combattere la grande distribuzione, organizzare la produzione ed il consumo alimentare su piccola scala territoriale. In altri termini, bisogna ri-localizzare l'economia. Questo nuovo orientamento porta alla riduzione drastica delle spese di trasporto, e alla rivalutazione dell'agricoltura contadina, più attenta alla qualità dei terreni che allo sfruttamento del territorio.

In parecchie regioni si torna allo spirito delle prime cooperative agricole degli anni 30. In materia fondiaria, bisogna tassare significativamente la speculazione. Numerose iniziative vanno in questa direzione. Nel ramo dell'informazione, si chiede una penalizzazione particolare delle spese di pubblicita'. Mentre, in materia di economia generale, se non s'integrano i costi esterni delle merci industriali, ad esempio i costi ambientali e sociali, si ha una visione falsata di cosa in realtà è la ricchezza.

La decrescita é nell'aria… Intimamente si ha coscienza che così non si può andare avanti, con l'esaurimento delle risorse naturali, degli ecosistemi dai quali dipendiamo. Ma come pensare collettivamente quest'idea ? Da sempre, le nostra società sono dirette verso il più, il progresso. Come sbrogliare questa matassa ?

Mi piace la metafora… Quando si disfà un lavoro a maglia, non è per buttare la lana, ma per farne qualcosa di diverso e di più bello… Ma il passaggio dal dolce "sferruzzare", ad una intelligenza collettiva che ci incita a cambiare il nostro quieto vivere per adattarsi a nuove circostanze, non è cosa da poco. E una questione di forza delle idee e di scelte politiche. Però non è esatto pensare che la nostra società, da sempre, sia andata verso il più, il progresso. Il concetto di crescita e sviluppo è molto recente. Modifichiamolo, ma sicuramente dovremo per forza ripensare seriamente certi nostri modi di vivere e il nostro comfort eccessivo. E qui parlo per chi ha troppo, e non per chi non ha nulla. Nel passato, eravamo più coscienti delle nozioni di limite e di gradualità, particolarmente nel nostro rapporto con la natura. E inesatto pensare che l'idea di decrescita nega la nozione di progresso. Essa condanna il mito del progresso, che è ben diverso. Abbiamo ancora tanti progressi di coscienza da realizzare concretamente.

Su "Entropia", lei propugna personalmente un romanticismo rivoluzionario. La decrescita sarebbe l'utopia del XXI° secolo ?

La decrescita certamente non è un nuovo dogma ideologico, servito pronto all'uso ad una umanità disorientata dagli insuccessi del socialismo e del capitalismo. Ha per base una interpretazione diversa del mondo. Io penso che si collega allo storico "romanticismo rivoluzionario", una particolare sensibilità che riunisce pensatori come Michelet, Fourier, Marx, Engels, Ernst Bloch, Georges Bataille, Walter Benjamin, Henri Lefebvre, l'espressionismo, il surrealismo ed il situazionismo. E possibile riassumerla così : il sorpasso della banalizzazione utilitaria nell'uso del mondo è possibile soltanto tramite una nuova cultura capace di reintegrare l'immaginazione poetica nelle attività e gli orientamenti umani. Questa elevazione l'unica in grado di suscitare un autentico senso comune. Il romanticismo insorge contro la meccanizzazione, la "reificazione", la razionalizzazione astratta e la quantificazione dei rapporti sociali. Intesa come idealismo obiettivo, la giovanissima idea di decrescita può ridare vita alla nozione di utopia fortemente stravolta dalle mostruosità dello scorso secolo. Intanto, non bisogna illudersi, la strada è difficile, che non vuol dire triste perché la decrescit c'invita ad un uso del tempo e dello spazio latore di una etica della condivisione, della giustizia e della fratellanza.