Le donne nella prima Intifada
di
Malu Halasa
da www.oneworld.org/peacequest/stories/women.html
Manisfestazione
sponteanee
L'Intifada ha portato nelle strade donne di tutte le età,
classi, professioni e convinzioni politiche, nelle città,
nei villegi e nei campi profughi della West Bank e di Gaza.
Le vecchie generazioni di donne palestinesi, con i loro foulards
bianchi e con i loro lunghi vestiti ricamati, tradizionalmente attive
nelle proteste contro la confisca delle terre fin dai primi anni
del secolo, hanno dato l'esempio.
L'8 dicembre del 1987, all'inizio delle maisfestazioni spontanee
che hanno caratterizzato la rivolta, due anziane contadine di Jabalya,
il più grande campo profughi della striscia di Gaza, hanno
attaccato i sodati con un tubo ed un bastone.
Avevano assistito all'arresto di un ragazzo della loro famiglia
per aver tirato delle pietre e hanno deciso che era abbastanza.
Era un misto di frustrazione e rabbia quello che dilagava nella
West Bank e Gaza. In alcuni posti le donne capeggiavano le manifestazioni
e nel quinto giorno dell'Intifada, donne che protestavano nelle
strade di un paese presero nota dell'assenza degli uomini e gridarono:
"Dove siete, uomini di Ramallah?"
Diverse donne rompevano pietre in pezzi più piccoli, li mettevono
in ceste e le lasciavano
in luoghi adatti; un gruppo di donne che portavano la spesa hanno
attaccato una pattuglia israeliana; le donne costruivano barricate,
organizzavano seat-in, giravano per i campi profughi avvertendo
i residenti dell'arrivo dei soldati o dei coloni. Organizzavano
scuole nei vari luoghi dove si trovavano quando non si poteva uscire
a causa degli ordini militari di chiusura, coltivavano i campi,
organizzavano i soccorsi di emergenza e, quando i campi erano posti
sotto coprifuoco, pensavano ai bisogni primari, cibo e carburante.
Le regioni
della rabbia
Avevano
molte ragioni per essere arrabiate. Erano state testimoni di morte,
tortura, arresti di massa, pestaggi, espulsioni, detenzioni - in
molti casi non c'erano accuse né processo - gli arresti di
interi villaggi, la demolizione di case, la chiusure di scuole ed
università e l'impossibilità di viaggiare, sfratti
di intere famiglie e punizioni collettive. Loro e il resto dei due
milioni e mezzo di palestinesi dei territori occupati vivevano sotto
una pesante e brutale occupazione militare.
Il quotidiano Al Fajr di Gerusalemme aveva pubblicato, un
anno prima dello scoppio dell'Intifada, una statistica condotta
tra famiglie palestinesi chiedendo se al loro interno qualcuno aveva
esperimentato gli aspetti militari dell'occupazione: il 47% aveva
subito arresti politici, il 50.7% pestaggi, abusi fisici o minacce,
il 22.8% confische di proprietà, il 17.6% la demolizione
o la chiusura della propria casa, il 15.7% la deportazione, il 37.6%
multe da corte militare e il 6.3% nessuna delle misure suddette.
I 2290 ordini militari, emessi dalle autorità israeliane
dal 1967, avevano effettivamente portato a controllare ogni aspetto
della vita palestinese, dalla salute e l'acqua, alla censura dei
media e delle arti.
Se i palestinesi avevano già prodotto dirottatrici e attentatori
suicidi cone Leila Khaled, Dalal Migrabi e una delle mie cugine,
Therese Halaseh, durante l'Intifada hanno rivolto la loro attenzione
alla crisi crescente all'interno della loro comunità: come
sostenere le famiglie allargate con gli uomini detenuti nelle prigioni
israeliane? Durante il secondo anno di Intifada il loro numero superava
i 50.000.
Tra scioperi e boicottaggio del lavoro, le donne, che costituivano
il 15% della forza lavoro nei territori occupati, si trovarono davanti
a nuove e pressanti responsabilità. Non solo per il fatto
di essere loro la fonte di sussistenza della famiglia e chi gestiva
i figli e la casa, ma per organizzare la difesa legale che portava
e trascorrere lunghe ore nei tribunali e nelle prigioni israeliane.
Le donne e i soldati israeliani
Un quinto dei feriti durante i primi tre mesi di Intifada erano
donne e ragazze. I soldati avevano ordini militari precisi di non
sparare ai maifestanti sotto i 14 anni ma usavano manganelli che
non discriminavano in base ad età o sesso.
All'interno dell'esercito israeliano si sviluppò un dibattito:
mentre alcuni ufficali affermavano che solo una soluzione politica
avrebbe risolto l'Intifada, altri insistevano per l'uso di una forza
sempre maggiore.
Con i titoli "non sono manifestanti; le pietre sono armi pericolose
in forme di attacco molto violente, mentre la risposta deve essere
limitata", il 24 marzo 1989 il Jerusalem Post riportava
un commento del Capo di Stato Maggiore israeliano Dan Shomron sulle
donne e i bambini che tiravano pietre e bottiglie alle truppe israeliane
nei territori occupati: "E' una campagna violenta, molto violenta
con armi che sono pericolose quasi quanto fucili o bombe".
Prima dell'Intifada la polizia militare sparava ai leaders delle
manisfestazioni ma era molto difficile riconoscerli durante le manifestazioni
di massa. Tradizionalmente l'esercito evitava di uccidere civili
perché ogni palestinese morto andava a rafforzzare il sostegno
per allora fuorilegge OLP. Durante le manifestazioni studentesche
in occasione di solito di anniversari politici e commemorazioni
di caduti, i soldati israeliani usavano il sorvolo dei loro elicotteri
per impressionare la gente e le giovani manisfestanti uscivano di
scena.
Abusi sessuali e tentativi di strupro
Una volta diventata opinione comune che i soldati non avrebbero
sparato, le donne dei villaggi e dei campi diventarono oppositrici
così formidabili che i soldati, frustrati, cominciarano a
farle segno di vari tipi di molestie sessuali.
Al-Haq, l'Organizzazione palestinese con base a Ramallah,
affiliata ai Giuristi Internazionali di Ginevra, ha raccolto molte
testimonianze dallle donne palestinesi su incidenti che andavano
da abusi verbali ad atti asceni da parte dei soldati, come sbottonarsi
i pantaloni o brandire i loro organi sessuali davanti alle donne
o spogliarle. Ancora più gravi le accuse di tentativi di
stupro di donne nelle loro case di tortura di prigioniere palestinesi.
Il fine di questi attacchi era disonorare le donne e stigmatizzarle
all'interno del contesto della società araba tradizionale.
In alcuni casi le donne erano così offese da ingiuriare e
dileggiare esse stesse i soldati e le storie di questi scontri,
alcune delle quali esegerate, cominciavano velocemente e circolare
nella West Bank e Gaza.
Donne uccise e ferite
Nonostante l'ordine
di non sparare, molte donne sono state uccise o ferite da pallottole
di gomma e munizione da guerra sia durante manifestazioni, mentre
portavano bandiere palestinesi e gridavano slogan nazionalisti in
occasione dell'8 marzo, o per errore, negli scontri tra soldati
e giovani dell'Intifada.
A quasi due anni dall'inizio dell'Intifada, nel novembre del 1989,
l'Unione Generale delle Donne Palestinesi, un'organizzazione internazionale
bandita da West Bank e Gaza, pubblicò i dati che seguono:
Più
di 2.300 palestinesi erano stati feriti e oltre 800 uccisi. Dei
morti, il 15% erano donne, di cui il 20% madri di bambini sotto
i 16 anni. Almeno 30 neonati morti a causa dei gas gettati dentro
le loro case. Molte madri erano arrestate ed imprigionate con
il divieto di avere con sé i figli, anche si ancora in
allattamento.
Fino al Giugno di 1989 (i primi 18 mesi), erano 66-70 le donne
uccise: 26 morte a causa di proiettili, 6 a causa di gravi pestaggi
e 4 a causa del gas. I rapporti evidenziano anche un incremento
nel numero e nella gravità delle ferite da pallottole di
gomma e anche degli aborti dovuti ai gas.
Le politiche
di genere delle giovani donne in piazze
Le giovani donne che venivano arrestate prima dell'Intifada
erano mal considerate dalle famiglie o dalle comunità. Quando
molte più giovane si trovarono nelle strade - c'è
stato il caso di un gruppo di ragazze che ha tirato pietre ai propri
genitori che tentavano di dissuaderle ad andare alle manifestazioni
- la percezione dei palestinesi è cambiata.
Una ragazza tra i 14 e 22 anni, la cui identità non è
stata svelata per ragioni di sicurezza, ha spiegato il conservatorismo
innato della sua comunità in un pamphlet edito dall'Union
of Palestinian Working Women's Committee:
"Quando
andavamo alle manifestazioni o partecipavamo agli scontri all'inizio
dell'Intifada, incontravamo gruppi di ragazzi. Non gli parlavamo
per via del costume sociale con cui siamo state cresciute e anche
per dimostrare alla gente che noi eravamo lì per scontrarci
coi soldati, non per incontrare ragazzi. Ma poi, parliamo con
loro tutti i giorni, faciamo piani insieme, costruiamo barricate,
bruciamo copertoni e portiamo le pietre ai ragazzi. Così
la fiducia tra noi cresce e sentiamo che ci rispettano, ma pensano
che noi siamo più deboli e a volte sentiamo cose del tipo
"hai le unghie lunghe, dammi quelle pietre che le tiro io".
Ma abbiamo discusso questi commenti ridicoli con loro".
Cambiare
politica
Sin da quando le donne sono scese in piazza per protestare contro
il mandato britannico in Palestina, la questione di genere è
stata subordinata alla causa nazionalista. L'antropologa Julie Peteet
ha notato che la rappresentazione delle donne nella lettura politica
della rivolta del 1936 contro i britannici - come madre di caduti,
donne in abito tradizionale che salvano un ragazzo - era l'immagine
prevalente anche nei pamphlet dell'Intifada. Alla base della
lotta palestinese c'è stata la forte determinazione a proteggere
e aver cura della famiglia, nonostante la perdita della sua base
economica agricola, la terra.
Come risposta, nei primi anni del secolo si sono formate le società
benefiche femminili che preparavano le donne
a guadagnarsi da vivere attraverso le loro capacità tradizionali
di cucito e ricamo. Queste società fornivano anche aiuto
alle famiglie in difficoltà e a un livello di base sono state
un'opportunità per le donne ancora isolate e relegate per
socializzare. L'economia ha giocato un grande ruolo: le donne della
classe media e donne urbanizzate andavano ad aiutare le contadine
e le donne povere mentre la politica non lo faceva. Dopo il giugno
del 1967, queste società si trovarono anche a scontrarsi
con le politiche oppressive israeliane come improvvise chiusure,
limitazione della libertà di movimento dei membri delle società
stesse e, a più vasto raggio, il divieto di raccogliere finanziamenti
dall'estero. La Società di Riabilitazione per la Famiglia
In'ash al-usra, fondata nel 1925, fu chiusa per due anni
da un ordine militare nel 1988. Le autorità misero sotto
accusa la sua presidente Samiha Khalil dopo un raid dei soldati
nel centro che sequestrarono video sul folklore e schede di adozione
di bambini palestinesi.
I Comitati di Lavoro delle Donne
Tre mesi di Intifada e "ha avuto luogo un cambiamento qualitativo
nella partecipazione delle donne nella vita politica e pubblica"
afferma Rita Giacaman, femminista e funzionario per la salute pubblica.
Ma la partecipazione di massa delle donne, l'organizzazione e la
cooperazione, non fu improvvisata: era il risultato della costruzione
di una rete politica e di un processo di coscenza durato un decennio,
iniziato nel 1978 con i comitati di lavoro di donne. Joost Hiltermann
ha descritto questo processo in "Behind the Intifada",
uno studio sui sindacati e sui comitati delle donne palestinesi.
A Ramallah ed El-Bireh una giovane generazione di attiviste cominciava
ad affrontare la questione delle donne lavoratrici con un'organizzazione
di base che attraversava anche le frontiere della politica e dell'economia.
Il Women's Work Committee (WWC) è stato all'inizio
un'ampia coalizione tra le donne delle università e quelle
dei villaggi e dei campi profughi. Allineata alla politica progressista
e marxista del Fronte Democratico il WWC si scisse nel 1981 per
formare l'Union of Palestinian Working Women's Committee
(UPWWC) che divenne l'espressione femminile del Fronte Popolare.
Nel 1982 le donne di Al-Fatah formarono il Women's Committee
for Social Work (WCSW) e nel 1989 il WWC cambiò nome
in Federation of Palestinian Women's Action Committees. I
comitati delle donne erano parte di una tendenza più generale
e anche le organizzazioni sindacali e le associazioni volontarie
dei lavoratori erano affiliate ai diversi fronti politici e così
un gran numero di palestinesi era organizzato politicamente.
Anche se i comitati a volte si univano, quando la leadership maschile
e feudale non lo faceva, come nel caso dei 18º Consiglio Nazionale
Palestinese ad Algeri, c'erano tensioni politiche reali. Durante
la celebrazione della Giornata Internazionale della donna l'8 marzo
del 1987 al teatro Al-Hakawati a Gerusalemme Est, i membri
dei comitati sedevano separati ognuno col suo gruppo e applaudivano
solo gli interventi delle proprie oratrici.
A quando il controllo delle nascite?
I comitati hanno fornito un forum estremamente necessario per la
discussione di diversi problemi ma solo nel contesto delle politiche
nazionaliste. All'incontro dell'UPWWC la domanda più frequente
era "quando potremmo avere il controlo delle nascite?".
Le donne cominciavano a mettere in discussione la validità
di avere quanti più figli possibile per la lotta.
Mentre i comitati organizzavano le donne nei primi anni '80, conseguivano
una forza enorme per portare avanti le attività dell'Intifada.
Le donne sia per conto loro sia come membri di comitati popolari
e gruppi locali, si univano alle manifestazioni e ai sit-in indetti
dal Comando Unificato dell'Intifada e duranti il primo anno la media
settimanale delle manifestazioni di donne nella West Bank e Gaza
era di 115.
In pratica i comitati delle donne hanno preparato la strada per
l'aumento dell'attivismo dei loro membri. Gli orari di apertura
di asili e scuole gestite dai comitati furono allungati così
le donne potevano lasciare i bambini e andare alle manifestazioni.
I comitati hanno anche distribuito migliaia di kit di pronto soccorso
e le donne sono state preparate con lezioni di soccorso medico alle
vittime di pestaggi e dei gas. Hiltermann scrive: "I membri
dei Comitati andavano ovunque ci fosse stato un raid dell'esercito
per prendersi cura dei feriti e delle cose danneggiate, portando
servizi di emergenza dove era necessario. Portavano anche la loro
solidarietà visitando le famiglie dei caduti e dei detenuti,
dando assistenza materiale quando serviva".
Il boicottaggio delle merci israeliane e la crescita dell'economonia
locale palestinese
Il Comando Unificato dell'Intifada aveva anche fatto carico
le donne dell' "economia di guerra". Con più della
metà dei lavoratori dell'agricoltura di sesso femminile è
stato naturale per le donne essere all'avanguardia nel boicottaggio
delle merci e dei servizi israeliani nei territori occupati. Anche
il preside della Facoltà di Arto dell'università di
Bir Zeit, Hanan Ashrawi, è stata fotografata mentre coltivava
ortaggi nel suo giardino.
Prima dell'Intifada le donne erano state organizzate in gran numero
dai comitati e le cooperative a Rafah producevano za'atar
e ortaggi secchi. Il Khan Younis Daiary Project allevava
pecore per produrre yogurt e formaggi. Nelle cooperative di Sa'ir
e Betillo si producevano sottaceti e olive con il logo "La
nostra produzione è il nostro orgoglio". C'era una cooperativa
di pollame a Hizma, una fabbrica di succhi e alimenti conservati
a Beit Hanoun, una di biscotti ad Abbasan e di limonate a Kufr Malik.
Nelle cooperative lavoravano donne formate in nutrizionismo, igiene
e contabilità. Gli orari di lavoro erano flessibili e le
donne traevono benificio da una struttura egualitaria. Mentre è
stato scritto molto sull'impatto del movimento cooperativo - la
sociologa Eileen Kuttab ha dichiarato che "in Palestina le
pietre sono importanti come le cooperative nella lotta per l'autodeterminazione"
- i risultati sono stati limitati per l'impossibilità di
produrre gli alimenti principali su cui contano i palestinesi, il
grano e il riso.
L'invisibilità delle donne
Nonostante il loro contributo, le donne diventarono meno visibili
politicamente di quanto fossero prima dell'Intifada. Una volta che
la loro organizzazione principale fu sostituita nella direzione
del Comando Unificato, organismo gestito principalmente da Al-Fatah
(un fronte che storicamente ha scoraggiato la partecipazione
delle donne alla politica), le donne hanno giocato un ruolo minore.
Sia Hiltermann che Philippa Strum hanno analizzato il linguaggio
dei comunicati del Comando Unificato che aprivano con il saluto
"fratelli commercianti e negozianti", "fratelli lavoratori",
ecc...Quando le donne erano menzionate era nel contesto di "donne
e anziani". Questo mostra chiaramente che la leadership del
Comando Unificato era maschile. Islah Jad, nella sua ricerca culturale
sui primi comunicati mostra che le donne non erano qualificate genericamente
come genere ma gli erano dati soprannomi affettuosi come ad esempio
"Al shinara", i passeri, dopo un'azione particolarmente
eroica, come salvare un giovane uomo. Le donne erano ancora, per
la maggior parte, invisibili, al di sotto dello status dei giovani
mascherati.
Tensioni domestiche
Queste tensioni si rispecchiavano all'interno delle pareti domestiche.
La sociologa Nahla Abdo ha scoperto un poema di una femministe cubana
nelle case delle attiviste palestinesi.
"Il primo dialogo con le nostre compagne che non lavano
i loro calzini" è stato pubblicato nel libro "Ana...anta
wal-thowra" (io...te e la rivoluzione: poetesse nel terzo
mondo) edito e tradotto dal dr. Ilham abu-Ghazaleh, professore di
linguistica all'università di Bir Zeit.
Il poema era un pianto del cuore, o meglio, la collera di una donna
in marcia, dal giorno in cui tornava a casa a stirare, cucinare
e badare ai bambini. "Tu fai la rivoluzione?/ Perché
no?/ Il tuo cibo è pronto/ la tua camicia inamidata/ il tuo
letto è rifatto/ le tue scarpe sono lucidate/ i tuoi figli
stanno bene..."
Il partecipante maschio ad una conferenza di donne nel 1990, osservava
che la crescita "del potere maschile dei ragazzi" aveva
incoraggiato i membri maschi più giovani delle famiglie a
dare ordini alle donne più anziane e questo potere a volte
andava fuori controllo. Secondo il Dipartimento di Informazioni
israeliano 408 palestinesi erano stati uccisi da altri palestinesi
tre anni dopo l'Intifada, comprese 43 donne che erano considerate
collaborazioniste non per le loro attività politiche ma per
la loro "condotta immorale", come prostitute e drogate.
Un ritorno indietro per le donne
Nel suo terzo anno, un insieme di circostanze hanno dato luogo
ad un ruolo minore delle donne nell'Intifada. Gli israeliani hanno
applicato pressioni sui comitati d'azione delle donne e di fatto
gli asili, i gruppi di base, i comitati popolari furono chiusi.
All'interno della società palestinese ci fu una sterzata
conservatrice che riportò le donne dalle strade ad una posizione
ancora più di inferiorità nelle famiglie.
Il primo segno che la posizione politica e sociale delle donne era
stata erosa è stata l'insistenza per l'uso dell'hijab
nella striscia di Gaza. Come nota la sociologa Rema Hammami, durante
gli anni '80 non c'erano grandi difficoltà per le donne che
non volevano coprirsi la testa e "solo durate l'intifada la
pressione sociale si trasformò in un'attiva campagna per
imporre l'Hijab a tutte le donne".
Le attiviste non obiettavano solo al fatto di sentirsi dire come
dovevano vestirsi ma che i più insistenti erano i ragazzi
che, in qualche caso, non avevano mai tirato una pietra. Hamas,
come settore del crescente movimento islamico inizialmente sostenuto
da Israele per controbilanciare la leadership nazionalista di base
della rivolta, cominciò a disegnare graffiti nella striscia
di Gaza con slogans che sollecitavano le donne a "conformarsi
all'abbigliamento tradizionale". A ciò seguirono attacchi
a donne e scolare da parte di giovani che gli tiravano pietre, uove
e pomodori e, più raramente, acido.
Il ruolo delle donne musulmane
Il documento di Hamas "Il ruolo delle donne musulmane"
spiegava così: "Nella resistenza il ruolo della donna
musulmana è uguale a quello dell'uomo. E' fattrisce di uomini
ed ha un grande ruolo nel crescere e educare le generazioni".
Questo era molto lontano dalla domanda di contraccezione.
Il Comando Unificato aspettò un anno prima di pubblicare
la prima risposta all'intimidazione delle donne. L'appendice al
comunicato nr.43 afferma: "Nessuno ha il diritto di disturbare
donne e ragazzi nelle strade sulla base del loro modo di abbigliarsi
e sul non utilizzo dell'hijab" e che "la leadership
Nazionale Unificata avrebbe perseguito questi fanatici fermando
tali azioni immature ed antipatriottiche, specialmente dove si riscontri
che questi soggetti siano coinvolti in attività sospette".
Il risultato fu che questi attacchi diminuirono ma già nel
1990, secondo Hammami, iniziò nella striscia di Gaza una
campagna per obbligare le donne ad indossare il jilbaab,
abito che copre tutto il corpo, e il comitato di produzione di Rafah
cessò la sua attività.
Le attuali politiche di genere
Le politiche di genere dell'Intifada ebbero conseguenze drastiche
ancora dopo che fu tirara l'ultima pietra nel 1994. La pressione
sulle ragazze per farle rimanere a casa significò che non
andarono più a scuola e che i padri e fratelli facevano sposare
le figlie e le sorelle anche a tredici, quattordici anni, contro
la loro volontà.
L'abbassamento del prezzo della dote da 4000 dinari giordani, in
alcuni villaggi, fino al minimo che qualunque famiglia potesse pagare,
ha fatto crescere i divorzi e i matrimoni poligamici. Anche se questo
in quel periodo veniva visto come un passo positivo per cui le ragazze
non venivano più vendute con il matrimonio, come delle proprietà.
Le molestie alle attiviste portarono a fare speculazioni sul fatto
che l'Autorità Palestinese avesse fatto un accordo con gli
islamici. Questo perché chiudeva un occhio rispetto alla
coercizione cui erano sottoposte le donne e all'erosione dei loro
diritti mentre gli islamici non creavano troppi problemi all'Autorità.
Negli anni '60, le donne di Gaza indossavano costumi da bagno e
andavano al mare, ora erano coperte, anche nell'acqua. L'hijab
rimaneva un problema che divideva le famiglie laiche dell'OLP dai
loro parenti di Hamas.La complessità e i paradossi della
vita delle donne a Gaza sono spiegate molto bene dalle donne stesse
nel documentario di Antonia Caccia del 1996, "Storie di onore
e di vergogna", che fu proiettato nei campi profughi.
Eguaglianza per le donne
Dopo il primo anno di eccezionale attivismo delle donne nell'Intifada,
la storica dichiarazione dello Stato Indipendente di Palestina fatta
dal Consiglio Nazionale Palestinese nel novembre del 1988, si riferisce
ancora alle donne come "coloro che creano le generazioni".
"E' molto sintomatico della schizofrenia sulle donne nella
nostra società. La stessa costituzione e il sistema legale
dovrà tradurre in pratica i principi di uguaglianza",
dice Hanan Ashrawi alla scrittrice ed attivista umanitaria Kitty
Warnock.
Sotto gli accordi di Oslo, i diritti delle donne sono stati ignorati.
Se qualcosa è cambiato è la velocità con cui
le donne si organizzano, un'eredità diretta dai comitati
di azione delle donne. Il Women's Affairs Technical Committee
(WATC), un ombrello di organizzazioni politiche femminili, ha portato
avanti con successo una campagna per assicurare le donne il diritto
a richiedere il passaporto senza l'intervento di un tutore maschile.
Ha anche preparato una lista di 52 richieste per i diritti delle
donne, presentata al nuovo consigliio legislativo.
Nonstante questo, come riporta il quotidiano arabo Al-Nahar il
31 luglio 1995, fu adottata dall'ANP una decisione che vietava alle
donne di imparare a guidare se non accompagnate da un tutore, cioè
un parente maschio.
In anni recenti un festival democratico delle donne è stato
portato in tutta la West Bank e Gaza per incoraggiarne la partecipazione
politica, un passo in più nel lungo processo per far sentire
la loro voce.
Donne dal mondo
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