BAMBINI PALESTINESI DETENUTI DA ISRAELE

Intervista su Noi Donne

- Lei si sta occupando dei diritti negati dei bambini palestinesi. Quale è la situazione oggi?

La situazione è tragica. Le condizioni di vita della popolazione intera , in modo particolare la condizione dei minori sono insopportabili. Intanto bisogna dire che il  53% dei Palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza ha meno di 18 anni. I ragazzi non hanno mai conosciuto la serenità o un infanzia normale  a causa dell'occupazione militare israeliana . Dalla fine di Settembre del  2000, dallo scoppio della seconda Intifada  i ragazzi uccisi  dai soldati israeliani sono stati più di 300, la maggior parte mentre uscivano da scuola o passavano per la strada o erano al mercato, altri mentre tiravano sassi, qualcuno tirava rudimentali molotov.

Migliaia sono i ragazzi e le ragazze ferite, centinaia e centinaia con handicap permanenti, come il dolce Daud  12 anni e Hania di 15, del campo profughi di Kalandia, tutti e due hanno perso un occhio, colpiti da una pallottola di gomma con cuore d’acciaio ; erano appena usciti da scuola, i soldati sparavano all’impazzata contro un nugolo di ragazzi che tiravano pietre. Anch’io, insieme ad altre parlamentari europee,  mi sono trovata a Kalandia mentre i soldati sparavano all’impazzata, sono stati colpiti dei passanti. Le pietre che tiravano i ragazzi non arrivavano neppure ai soldati, eppure loro sparavano, mirando freddamente. I bambini feriti sono stati prevalentemente colpiti alla testa, agli occhi, all’addome. Una denuncia precisa sui comportamenti dei soldati è stata fornita da una giornalista israeliana, Amira Hass, la quale ha intervistato un  ufficiale dell’esercito che diceva che gli ordini ricevuti erano di sparare ai bambini superiori ai 12 anni.

Centinaia di scuole sono state chiuse o se ne è impedito il funzionamento, alcune di esse sono state convertite in campi militari. Il tragitto per recarsi a scuola, quando questa non è all’interno del prio villaggio,  diventa di giorno in giorno più difficile a causa dell'aumento del prezzo dei mezzi di trasporto, infatti  con la chiusura delle strade dei villaggi, controllati in genere da mezzi militari, le auto  non possono passare. Si può passare , quando i soldati non ne fanno divieto,  a piedi.  In  questo modo bisogna prendere un mezzo per arrivare da casa alla strada di uscita dal paese, attraversare a piedi e poi prendere un altro mezzo di trasporto, se poi si trova  un altro check point devi rifare la stessa operazione.  Il costo del  trasporto diventa cosi il doppio o il triplo più caro. Tutto ciò in una situazione in cui il 60% della popolazione non può più lavorare sempre a causa del blocco militare e molto spesso dal coprifuoco.

Ma al di là delle difficoltà, bisogna tenere in considerazione la paura, moltissime sono le famiglie che non permettono più ai ragazzi di uscire di casa per timore che possano essere aggrediti dai soldati o capitare in qualche scontro. A Khan Yunis, dove i bombardamenti e le distruzioni di case sono quotidiane, mentre passavo per strada e i bambini uscivano da scuola li vedevo camminare rasente i muri, e poi mettersi improvvisamente a correre al suono di clackson  di auto e  tapparsi le orecchie con gli occhi spaventati.

Insomma la popolazione palestinese e cosi’ i ragazzi,  sono praticamenti prigionieri nelle loro case o villaggi. All’ospedale di Gaza un ragazzo di  tredici anni, ferito ad una gamba, mi chiedeva di portarlo in Italia, ma poi molto più mestamente mi ha detto “mi basterebbe andare a Hebron, il mio amico Nizar è andato a trovare i suoi parenti e non gli hanno più dato il permesso di tornare qui ed io anche quando uscirò dall’ospedale non potrò andare a trovarlo. Ma perché noi dobbiamo vivere così? Ti sembra giusto?”

Majidi, invece, anche lui tredicenne  non capisce più suo padre, un dirigente palestinese che da sempre ha cercato relazioni con gli israeliani del movimento pacifista. Mentre suo padre parlava al telefono con un israeliano, lui ha detto ad alta voce “papà, smettila di parlare con loro, oggi hanno ammazzato Fares”.

Eyad Sarraj direttore di un centro psicologico per l’infanzia di Gaza, sostiene che le condizioni di violenza anche in famiglia si sono accentuate moltissimo. Le malattie nervose, la depressione, l’aggressività sono  ormai ad un livello

esplosivo per la società palestinese e i ragazzi ne pagano le conseguenze più gravi. Ma cresce anche la violenza tra i ragazzi stessi.  Insieme a questo cresce la malnutrizione, sempre di più genitori disperati che non possono acquistare neppure il pane. Ogni volta che vado in Palestina, ma in realtà ogni giorno mi chiedo fino a quando? Fino a quando non potrà esservi pace in quella terra e i giovani potranno finalmente muoversi liberamente per la strada e andare a scuola o al lavoro, non vedere più le proprie case demolite, gli ulivi sradicati, la terra confiscata, i padri umiliati.  Fino a quando (per fortuna non ancora molti)   giovani palestinesi per reazione ai soprusi e all’ingiustizia si trasformeranno  in kamikaze, distruggendo la propria e quella di giovani vite israeliane ? E fino a quando giovani israeliani  in nome della sicurezza del proprio paese si trasformano in soldati che colpiscono ciecamente e ai check point impediscono persino a donne che stanno partorendo di andare all’ospedale, e con freddezza bloccano le ambulanze con persone moribonde? Domanda forse retorica ma che ci mette di fronte alle nostre responsabilità di singole cittadine e delle nostre istituzioni dal governo italiano, all’unione europea, alle Nazioni Unite per agire per una pace giusta nel riconoscimento del diritto dei due popoli ad uno stato.

- Ha denunciato inoltre le condizioni di vita dei bambini palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ce le può illustrare?

Gli atti di tortura cominciano dal momento dell'arresto. Il bambino preso viene bendato e messo su un veicolo, dove comincia l'interrogatorio. Qualche volta i bambini vengono insultati e picchiati. Si stima che nel 2000 circa 350 bambini, dai 10 ai 18 anni, sono stati arrestati, la maggioranza per aver tirato pietre contro dei soldati o per questioni di ordine pubblico o semplicemente perchè si trovavano fuori delle zone autonome palestinesi  senza permesso. In contrasto con l'articolo 37 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, relativo al divieto di tortura o di altri trattamenti e punizioni crudeli, inumani e degradanti, quasi tutti i bambini palestinesi arrestati subiscono violenze fisiche e psicologiche che vanno dalla privazione del sonno all'isolamento. Bisogna poi pensare che sempre il sistema di blocchi stradali rende materialmente difficile per gli avvocati far loro visita e preparare, di conseguenza, un'adeguata difesa, senza dire dell’impedimento alle famiglie di visitare i ragazzi.

Un ragazzo di quindici anni, Mohammed, e suo fratello Bilal, di un anno maggiore, sono stati arrestati a casa loro alle due di notte. Decine di poliziotti erano andati a cercarli, col viso coperto e nascosti tutt'intorno alla casa. Mohammed, dopo essere stato minacciato e picchiato per quattro ore, ha finito per ammettere di essere effettivamente colpevole... colpevole di aver lanciato delle pietre contro i cani dei coloni ebrei insediati dall'altra parte della strada. E' stato per questo condannato a sette mesi di prigione. Suo fratello, Bilal, in seguito all'interrogatorio, è stato ricoverato in ospedale per le contusioni interne riportate ed è stato condannato a un anno di prigione per avere lanciato sassi contro le case dei coloni.

In un altro caso, un sedicenne di un villaggio vicino a Betlemme è stato arrestato un lunedì mattina mentre andava a scuola ed è stato poi picchiato selvaggiamente e portato nel posto militare. E’ risultato poi che lo avevano scambiato per un altro che stavano ricercando i soldati, non hanno nemmeno chiamato la madre per avvertirla che avevano arrestato suo figlio.

Mansour, un altro ragazzo di sedici anni che vive in Cisgiordania, è stato arrestato il 25 ottobre 2000 all'una di notte. Dei soldati incappucciati sono entrati nella casa dove viveva con la sua famiglia, l'hanno preso e portato in una jeep. Durante il tragitto l'hanno picchiato sui piedi e per tutto il corpo, l'hanno colpito alla testa con un casco, facendolo svenire due volte. Alla fine sono arrivati al campo militare di Gush Etzion. Mansour era in pigiama e, nonostante il freddo, i soldati l'hanno bagnato con dell'acqua fredda, poi con dell'acqua calda e l'hanno quindi lasciato un'ora con gli occhi bendati, senza il diritto di parlare. Dopo gli hanno messo la testa nella tavola del wc ed hanno tirato l'acqua per quattro volte. Solo a questo punto i soldati gli hanno parlato per dirgli che l'avevano arrestato perchè aveva tirato delle pietre. Mansour ha negato e così è stato messo in una cella di 1 metro per 1 metro e mezzo, alta 1 metro e mezzo, senza finestre. E' rimasto lì dentro per sette giorni, uscendo mezz'ora al giorno. Trasferito in un altro carcere ha aspettato due mesi per un processo. Ma sono centinaia i casi di soprusi e violenze.

Basta fermarsi un’ora ai check point o nelle strade di Gerusalemme est per vedere i comportamenti violenti dei soldati contro giovani palestinesi.

Sono stata ad assistere nel Tribunale di Gerusalemme ad un processo contro sei minori palestinesi, li difendeva Lea Tsemel, una straordinaria avvocatessa israeliana che da più di trenta anni difende i palestinesi . E’ stato atroce, i ragazzini erano spaventati, incatenati alle mani e ai piedi. Alcuni di loro erano stati messi insieme a delinquenti comuni.

- Che senso ha da parte del governo israeliano mettere in carcere dei bambini?

L'incarcerazione dei bambini palestinesi è legalizzata dall'ordine militare 132, usato molto durante la prima intifadah, cancellato dopo il  93 con la firma dell’accordo di Oslo e rimesso in applicazione dal 1999.  L’ordine militare afferma che i giovani oltre  i 12  anni possono essere perseguiti, arrestati e condannati da un tribunale militare. Sono previste anche forti multe per i genitori o i parenti degli arrestati.

Colpire i giovani per l’autorità israeliana è colpire chi si ribella all’occupazione militare. E’ dai giovani che viene molto di più l’insofferenza alla ingiustizia quotidiana.  La situazione si accorda con la politica israeliana di repressione della volontà di liberazione della popolazione palestinese, ma soprattutto, poter colpire i bambini, significa poter colpire la metà della popolazione dei territori occupati. Arrestare, torturare, trattare in maniera inumana e degradante i bambini di un popolo è un mezzo per "piegare" il popolo stesso, togliergli il diritto alla visione di un futuro. Impedire o rendere assai difficile l'istruzione dei giovani vuol dire cancellare le speranze di crescita e di sviluppo. In realtà una politica cieca e disumana oltre che totalmente illegale e che può creare solo disastri per l’uno e l’altro popolo.

Cosa può fare il mondo occidentale per fermare questa ulteriore violenza?

In primo luogo ripristinare il diritto, vi è un paese con uno stato ed un esercito che occupa militarmente il territorio dal 1967 di un altro popolo.  Si riconosca lo Stato palestinese con Gerusalemme capitale condivisa per due popoli e due stati, si trovi una giusta soluzione per i profughi. Si fermi Sharon e la sua politica di guerra, unico modo per fermare gli attacchi terroristi di alcuni gruppi palestinesi. Lo dicono anche i soldati israeliani che in modo crescente si stanno rifiutando di prestare servizio nei territori occupati, “perché non vogliono opprimere e uccidere un popolo”:

Lo dicono le donne israeliane riunite nella Coalizione donne per la pace che nei loro slogan dicono “l’occupazione ci uccide tutti, basta con l’occupazione militare.

Per quanto riguarda il problema specifico della violenza e dell'incarcerazione di bambini bisognerebbe fare delle forti pressioni politiche su Israele perchè venga rispettata l'integrità fisica e psicologica dei bambini detenuti, in conformità con il diritto nazionale ed internazionale, ma, soprattutto perchè venga abrogato il decreto militare n. 132, che trasgredisce sia la giurisprudenza della Corte Suprema d'Israele, sia le convenzioni internazionali ratificate da questo Stato ed in particolare quella relativa ai diritti dell'infanzia.

Il mondo occidentale dovrebbe intervenire subito è già troppo in ritardo. Nonostante alcuni segnali politici incoraggianti da parte dell'Unione Europea negli ultimi mesi - tra cui la valutazione dei danni causati dai bombardamenti israeliani sulle infrastrutture palestinesi finanziate dall'UE e dai suoi Paesi membri e l'ultima risoluzione sul Medio Oriente adottata nella sessione di febbraio del Parlamento Europeo - queste sono situazioni di una gravità tale che non si può pensare di aspettare i tempi della nostra diplomazia sempre lontana dalla capacità di prevenire le situazioni di conflitto. Gli  Stati Uniti hanno  totalmente abbandonato  la via del diritto e dell’applicazione delle risoluzioni delle Nazioni  Unite, l’unica strada che conoscono  è quella  della forza e dei suoi interessi nazionali. Israele è la più grande potenza nucleare nel Medio-Oriente e fedele alleata degli Stati Uniti.

E' per questo che credo nel valore della "diplomazia dal basso" e nella missioni civili in Palestina e Israele per la protezione della popolazione civile e per lo sviluppo di relazione tra palestinesi e israeliani.. Dobbiamo agire e mobilitarci per fare in modo che l’Europa agisca coerentemente  con i valori che dice di avere a fondamento: il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. In questo caso il mondo occidentale dovrebbe uscire dall'impasse e, come primo passo, accogliere la richiesta fatta dall’autorità e dalle associazioni palestinesi e da centinaia di israeliani per l’ invio di una forza internazionale di protezione della popolazione civile e imporre a Sharon di ritirarsi dai territori nuovamente occupati e tornare al tavolo dei negoziati.

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