La sinistra italiana e' europeista.
 
Mai come oggi lo si puo' affermare con certezza. Mai come oggi, la 
cosiddetta utopia dell'Europa unita - di cui furono alfieri Spinelli ed 
altri esponenti storici del liberalsocialismo - viene ripresa in modo 
affatto strumentale, svuotata della sua carica ideale (reale o presunta) e 
messa immediatamente al servizio della creazione di un autentica retorica. 
La retorica del nuovo polo politico - economico emergente nello scenario 
internazionale.
D'atra parte, gia' durante la guerra del Kossovo un quotidiano come 
"La Repubblica" aveva modo di esaltare il modo europeo di portare avanti il 
conflitto, piu' civile ed in grado di combinare bombe e diplomazia di quello 
americano.
Con la scadenza di Nizza, poi, si e' potuto appurare quanto la prospettiva 
e la retorica europeiste coinvolgano tutte le forze della sinistra, incluse
 quelle che dovrebbero farsi portatrici di progettualita' e modelli 
culturali alternativi.
I diversi toni ed accenti con i quali nelle diverse anime della sinistra, 
si descrive la costruzione europea non debbono trarre in inganno. Essi sono
 tra loro complementari, funzionali ad un percorso - quello del 
rafforzamento dell'Europa unita - che non ha ancora delineato in modo 
definitivo il proprio asse di riferimento politico, sociale e culturale. 
Prima che determinate tappe (come l'allargamento ad est) si siano consumate,
 l'oscillazione tra visioni diverse non e' da intendersi solo quale 
manifestazione di incertezza, ma anche come sperimentazione sul campo prima
 di intraprendere una strada una volta per tutte.
Per meglio intendersi si puo' fare riferimento al dibattito interno del gia' 
citato "La Repubblica", quotidiano a vocazione marcatamente europeista. In 
esso si ha una serrata dialettica tra due orientamenti differenti sul piano
 sociale; il primo propugna una decisa spinta al liberismo, necessaria a 
collocarsi nelle nuove frontiere della produzione, il secondo si preoccupa 
degli eccessivi egoismi padronali e vuole mantenere, in qualche modo, quel 
livello di coesione sociale che per decenni e' stato garantito dal Welfare. 
Non e' di poco conto il fatto che l'esponente di punta di questa seconda 
tendenza, Giorgio Bocca, citi autori come Latouche e Marazzi, paladini di 
una certa "sinistra critica" e propositori di un nuovo legame sociale, che 
tenga conto delle trasformazioni ma favorisca la nascita di ambiti lontani 
dalla logica di mercato. Nel quotidiano ufficiale della sinistra di governo, 
quindi gli ultraliberisti convivono con chi lancia un ponte verso le 
componenti moderate del cosiddetto "popolo di Seattle", nel nome del 
mantenimento di un consenso di massa alla costruzione europea.
Del resto, sono in molti ad invocare la fine del tecnicismo, per parlare di
 Europa di popolo. Si pensi ad Andrea Manzella, uno degli estensori della
 Carta dei diritti. Egli ha invitato ad andare oltre i temi proposti dalla
 "dichiarazione sul futuro dell'unione" sottoscritta a Nizza, poiché "nel 
2000 europeo che comincia, tra Stoccolma e Bruxelles, la politica delle 
politiche  dovrebbe essere insomma piu' appassionante di questa politica 
delle istituzioni".
Manzella, in sostanza, invita a farsi carico di problemi dalla piu' 
immediata valenza politica, "come l'equilibrio tra dimensione 
settentrionale e dimensione mediterranea, ora che la presidenza svedese 
chiedera' ovviamente di accelerare la valorizzazione della prima". O ancora,
 "come l'allargamento alla regione balcanica, in Italia precocemente 
individuato come l'unica soluzione di pace, mentre ancora le bombe 
intelligenti cadevano sul Belgrado".(Andrea Manzella, "Perché non si parla 
mai dell'Europa che vince", "La Repubblica, 5 gennaio 2001).
Relativizzare alcune tematiche strettamente istituzionali, vuol dire 
puntare in modo piu' netto sulla definizione di un Europa soggetto politico.
 Di piu', e' un'altra via al dialogo con le anime piu' radicali del 
frastagliato arcipelago della sinistra.
Infatti, una volta effettuato lo sforzo di tradurre in lingua corrente o 
almeno politica il blaterare dei tecnocrati, risulta piu' facile parlare 
alle masse, coinvolgerle nella corsa dell'Europa verso nuovi traguardi, 
risulta piu' facile, dunque, dare al processo della costruzione europea, una 
parvenza di democrazia.
Proprio su questo ha insistito il convegno svoltosi nel dicembre 2000, su 
"Sfera pubblica e costituzione europea", organizzato dalla fondazione Lelio 
e Lisli Basso. In esso si e' sottolineata la necessita' di fare "riferimento 
alle masse, di solidificare la costruzione europea attraverso calorosi 
bagni di folla. Si pensi all'intervento dello svizzero Philippe Schmitter, 
per il quale "una volta ammesse l'incertezza e l'imprevedibilita' 
intrinseche agli sforzi di costituzionalizzare l'unione europea, la 
risposta non puo' che essere : rivolgersi ai cittadini d'Europa nella loro 
collettiva saggezza e tentare di verificarne le aspettative ed ipotesi". 
Non e' un appello populista al popolo europeo (peraltro inesistente) che si 
presume unito, consapevole e capace di produrre la propria costituzione 
attraverso un qualche processo di massiccia deliberazione. E' solo la 
prudenziale osservazione che, soprattutto quando gli esperti non sanno 
evidentemente cio' che vogliono i loro clienti, oppure non sanno che cosa 
fare per soddisfare i loro desideri, il buon senso politico sconsiglia 
vivamente di mettere - per cosi' dire - il carro davanti ai buoi. 
(P. Schmittere "Un referendum per dare un popolo all'Europa" La Stampa 16 
dicembre 2000).
E' evidente la finalita' di certe affermazioni, nelle quali l'insistenza 
sulla partecipazione dei cittadini e' legata all'esigenza di rendere meno 
fragile la costruzione europea. Ma tanto basta per ottenere l'entusiasmo 
del quotidiano comunista "Il manifesto", dove interviene Giacomo Marramao, 
attuale presidente della fondazione Basso. Lo studioso si produce in una 
pacata riflessione sulla carta dei diritti. Essa "e' una base migliorabile 
per la cittadinanza europea", certo e' "anche il prodotto di equilibri ed 
equilibrismi", ma "ha un buon preambolo, si richiama ai valori giusti - 
dignita', liberta', uguaglianza, solidarieta' - incardina la cittadinanza 
sulla persona".
E se paragonata alla nostra costituzione, "ha qualcosa in piu' e qualcosa in 
meno. Qualcosa in piu' : i diritti di quarta generazione, sul corpo, le 
questioni bioetiche, la privacy. Qualcosa in meno : il diritto di lavorare,
 davvero pallido - ha ragione chi lo contesta vibratamente - a fronte del 
diritto al lavoro".
La si puo' definire, quindi come una carta perfettibile. Avete fatto bene - 
sembra dire Marramao - a criticare alcuni aspetti, ma ora sta a tutti noi 
modificarla, perché sia la base di una futura costituzione , un tassello 
verso l'Europa che tutti vogliamo.
Quella che "dovra' collocarsi in una  posizione di sfida fra il colosso 
americano, di cui oggi vediamo chiaramente l'impasse costituzionale ed il 
colosso asiatico, che deve ancora emergere in tutto il suo peso economico, 
culturale e simbolico" (Ida Dominijanni, "L'Europa dopo  il leviatano", 
intervista a Giacomo Marramao).
Come a dire che il ponte e' completamente lanciato. L'hanno preparato Bocca,
 con le sue rimostranze verso gli eccessi del liberismo e Manzella, con il 
suo richiamo alla prevalenza del politico sul tecnico - istituzionale. 
L'ha reso realta' effettiva la vecchia e gloriosa fondazione Basso che, 
dalle colonne di un "quotidiano estremista", auspica il costituirsi di un 
vero e proprio polo imperialista, diverso dagli Usa perché piu' morbido 
nelle politiche sociali.
I padroni del vapore, ora, non da vincere che le poche resistenze a 
sinistra, anche perché lo scetticismo autentico e' patrimonio della destra, 
negli ambienti alternativi domina l'ansia.
Si pensi a quanto sostiene Isidoro Mortellaro : "la certosina cura con cui,
 fin dalla sua progettazione, si e' perseguito l'obiettivo di una carta dei 
diritti fondamentali dell'UE - deprivata, soprattutto in campo sociale e 
politico di poteri reali - si riflette nell'assenza di un profilo 
accettabile di riforma istituzionale. Le scelte compiute sulla sorte della 
carta ne danno clamorosamente conferma : stralciata dal complesso della 
conferenza e dei trattati, essa non e' stata - per volonta' dell'Inghilterra 
e Danimarca - nemmeno solennemente proclamata, solo silenziosamente firmata
 da Prodi, Ve'drine e Fontaine" (Il manifesto, gennaio 2001).
C'e' dell'impazienza in queste parole. L'impazienza di chi scalpita perché 
vuole tutto e subito. Ma se Mortellaro vuole qui ed ora un Europa potenza 
che mantenga un minimo di anima sociale, il Prc non gli e' cosi' distante, 
sebbene i toni usati contro eurobanchieri ed euroburocrati risultino essere 
piu' accesi. Lo sforzo di recuperare il Prc al sostegno della costruzione 
europea e' un atto da tempo e lo stesso Manzella, riconoscendo al partito di
 Bertinotti una cultura europeista, ha invitato questa forza politica ad 
attenuare la propria vis polemica.
D'altra parte, scarsa portata eversiva possono avere dichiarazioni come 
quelle di Luigi Vinci  che invita a  tenersi "stretta la materia delle 
costituzioni dei vari stati, che la recano, perché nate all'indomani della 
lotta contro il nazifascismo e dai compromessi sociali del dopoguerra", 
contrapponendola ad "una cosa in cui si dichiara un diritto surreale a 
lavorare che puo' perfino rivolgersi contro i picchetti davanti alla 
fabbrica" ("Per una vera costituzione europea. Intervista al presidente dei
 deputati europei del Prc, Luigi Vinci" Liberazione).
Bertinotti e co., ritenendo timide le critiche che Mortellaro ed alcuni 
redattori del "Il manifesto" spingano all'organizzazione di una 
costituzione di un Europa fondata sul lavoro; trattasi di una proposta 
inattuabile.
L'incedere della costruzione europea, con il progressivo passaggio di 
funzioni dagli stati al centro, a tutto puo' portare fuorché ad un welfare 
continentale. Determinate politiche sociali si legavano ad un intervento 
statale forte e non sono riproponibili a livello sovranazionale. Gli 
organismi europei, al momento come in prospettiva, non possono definirsi 
come "super-stato", tale da frenare non solo le lotte operaie, ma anche le 
spinte piu' egoistiche del capitale.
Al massimo possono promuovere singole misure sociali tali da intaccare 
l'impianto librista delle politiche vincenti.
Vinci e Bertinotti dovrebbero esserne coscienti. Cosi' come dovrebbero 
rendersi conto di come la proposta del Prc  per l'Europa spinga la lotta 
verso obiettivi sbagliati, verso un improponibile welfare europeo che i 
padroni del vapore possono tradurre nella redistribuzione graduale del 
bottino ottenuto nell'arena mondiale, attraverso una politica 
imperialistica che molti auspicano da tempo.
SE la posizione del Prc puo' non stupire, legandosi alla matrice politica e 
culturale tutt'altro che rivoluzionaria di quel partito, sorprende 
l'atteggiamento di molte forze dell'autoorganizzazione sociale e del 
sindacalismo di base. Unirsi, come hanno fatto a Nizza, alla rivendicazione
 di un Europa sociale contro  quella dei tecnocrati, non puo' che risultare 
controproducente.
Si deve contestare la costruzione europea in modo radicale, sin dalle sue 
fondamenta. Criticare le spinte imperialistiche nella piena comprensione 
del fatto che esse possono convalidarsi, di volta in volta, con diverse 
gradazioni del liberismo.
Per far questo occorre riconquistare la propria autonomia culturale e di 
analisi dalla sinistra istituzionale, sottoporre ad una critica serrata 
quei quotidiani e quei partiti cui non si puo' rimproverare solo la 
moderazione nella critica del liberismo, potendovisi riconoscere forze 
oggettivamente coinvolte nella costruzione di questa Europa.
Solo cosi' le forze sociali antagoniste europee potranno definire, in 
prospettiva, un intesa con quei soggetti sfruttati  di vari parti del mondo
 che dal definirsi di piu' poli politico - economici hanno solo da perdere.