I bambini delle rose

I bambini delle rose contro il muro del silenzio : sulla rotta della nave dei "nuovi piccoli schiavi" che dall'Est, dal Sud, dal Nord e dall'Ovest del mondo sono legati alle catene del profitto e dello sfruttamento.

Si calcola che a Lome', in Togo, un quarto dei bambini tra i 10 ed i 14 anni viene affidato ad estranei, mentre in Ghana il 20% dei bambini con meno di dieci anni non vive con i propri genitori, ed il 65% delle famiglie di Cotonou e di Porto Nuovo, accoglie, per farli lavorare, uno o piu' ragazzini. In queste due citta' l'85% dei bambini che vivono fuori casa sono femmine : la quasi totalita' di queste bambine non e' mai stata a scuola ed e' pertanto "destinata" a rimanere analfabeta. Tutti gli studi sui bambini servitori in Africa occidentale rilevano la frequenza dei maltrattamenti che si traducono in percosse, insulti, rimproveri, ferite, punizioni fisiche e stupri, i cui autori sono proprio i datori di lavoro, i tutori o i loro conviventi.
Ed ancora, uno studio dell'UNICEF denuncia alcune pratiche, come quella attuata in Ghana, dove ragazzine e giovani donne chiamate "trocosi", vengono mandate dalle loro famiglie a servizio presso preti nei loro santuari religiosi perche' in questo modo si metterebbero a tacere la rabbia degli dei per i peccati che avrebbero commesso alcuni membri della loro famiglia. Tra i vari "compiti", in generale di natura domestica ed agricola, alle "trocosi", viene anche richiesto di "cedere" ai favori sessuali dei sacerdoti. Questa inaccettabile pratica coinvolgerebbe parecchie migliaia di ragazzine di vari paesi della zona. Complessivamente le condizioni nelle quali i bambini e le bambine prestano servizio domestico sono durissime. Il lavoro dei piccoli e delle piccole schiave dura molte ore, fino ad un massimo di 14 per ogni giorno lavorativo.
Nei confronti di questi bambini e di queste bambine le societa' africane hanno opposto un muro di silenzio. Gli operatori dell'UNICEF affermano che "i genitori che sistemano i loro figli fuori casa e molto spesso lontano, non hanno consapevolezza di cosa sia il mercato del lavoro domestico nella citta'".
E', Jean Dricot, coordinatore dei programmi dell'UNICEF in Benin a spiegare che "tradizionalmente le famiglie sistemavano i loro figli e figlie presso parenti piu' fortunati con l'idea di offrire loro migliori condizioni di vita. Non hanno compreso (e forse non lo sanno!) che questo sistema e' stato completamente sconvolto nel tempo e che oggi esso da' origine ad un traffico di bambini e di bambine all'interno del quale essi vengono sfruttati e molto spesso finiscono per essere del tutto allontanati dalle famiglie di origine.
Ma in Benin qualcosa si sta muovendo : i media cominciano a denunciare i trafficanti di bambine e bambini. E' il caso del quotidiano "Les Echos du jour", che nell'edizione del 4 marzo 1999, ha riportato la notizia dell'intercettazione, da parte della polizia di Djougou, di 14 minatori di eta' compresa tra i 10 ed i 14 anni scoperti mentre a mezzanotte transitavano verso la Nigeria accompagnati da un trafficante. Gli stessi ragazzi hanno detto di andare "in un paese pieno di motorini, radio e cinema" (sic!)
Ma la situazione di endemica indigenza che e' alla radice di questi fenomeni di compra - vendita di bambine e bambini e' tuttora molto forte. Ma quanto costa un bambino o una bambina beninese? Le somme sono in realta' irrisorie e ai genitori vanno 150 franchi, mentre il mediatore raddoppia la cifra quando vende i piccoli e le piccole schiave ad un trafficante.
Questa ignobile pratica e' anche favorita oltre che dalla poverta', da fattori culturali e dalle consuetudini, ma oltre a cio' assume importanza la mancanza di un'adeguata legislazione in materia, infatti il codice penale del Benin non prevede alcuna sanzione per reprimere il traffico e la tratta dei bambini - bambine avallando cosi' la non esistenza di questa situazione.
Da questo stato di cose ci si puo' rendere conto di come, fino a poco tempo fa, la scuola fosse giudicata un lusso per tutti, ma ancora di piu' per le donne. E dove esistono esperimenti di attuazione di progetti di scolarizzazione ("Educom" come si definiscono quelli resi operativi nello stesso Benin dall'UNICEF), le maestre sono scelte tra le poche donne che sanno leggere e scrivere e che hanno uno stipendio minimo pagato dalla stessa comunita'.
Il primo obiettivo e' quello di ridurre del 10% la disparita' esistente tra i tassi di scolarizzazione dei ragazzi e delle ragazze, aumentando contemporaneamente, in tutte le zone interessate, il tasso complessivo di iscrizione nelle scuole primarie del 10%. Per assicurare un istruzione di qualita' si cerca la collaborazione delle autorita' locali per potenziare le strutture finalizzate all'istruzione e alla formazione degli educatori. Nel progetto ha gran parte la sensibilizzazione dei genitori : l'esperienza precedente ha dimostrato infatti che il coinvolgimento di tutta la comunita', costituisce l'elemento essenziale per la sua riuscita.

Questa breve premessa generale, per introdurre questo articolo sullo sfruttamento (lavorativo e sessuale) dei bambini e delle bambine in Africa, in Asia, in America Latina o in Italia meridionale, cosi' come e' stato scoperto poche settimane fa a Caltagirone (Sicilia), fenomeno questo, che assume quindi dimensioni mondiali e che e' la diretta conseguenza dell'economia capitalista globalizzata che, abbattendo tutte le frontiere, si e' estesa in tutto il mondo.
Prima di addentrarci nel racconto di quelle esperienze di denuncia e dei diversi progetti che da piu' parti (UNICEF, CARITAS, ONG), vengono attuate in questi paesi poveri del Sud del mondo che, proprio grazie alla globalizzazione, sono anche sottoposti ai piani di aggiustamento strutturale imposti dalla Banca Mondiale e dal FMI, e di individuare invece il vero ruolo degli organismi internazionali, ricordiamo che in molti paesi africani (come il Benin, l'antica "costa degli schiavi") si sono riscontrati effetti destabilizzanti degli equilibri interni di queste economie agricole e legate alla pastorizia, che si sono concretizzati nell'aumento della poverta', soprattutto delle donne.
Ma i meccanismi economici che rendono "poveri" questi paesi, in molti casi ricchi invece di materie prime, fondamentali per le industrie dell'Europa e degli Usa, come carbone, petrolio, diamanti, acqua e non ultima, forza lavoro, in prevalenza di donne e minori, a basso costo e privata di ogni garanzia sindacale e previdenziale.
Questi meccanismi, dunque, sono gli stessi che producono poverta', mancanza di istruzione, immigrazione clandestina e, dovunque e' possibile, la realizzazione della lucrosa attivita' del turismo sessuale (attivita' che e' considerata la terza fonte di ricchezza illegale dopo il narcotraffico ed il contrabbando di armi) e della riduzione in schiavitu' di centinaia di migliaia di bambine e bambini africani, ma anche indiani, pakistani, latino-americani, russi ed albanesi. Secondo la Commissione dei diritti umani, i bambini e le bambine sessualmente sfruttati/te sono ogni anno compresi tra uno e due milioni.
In tutto questo quadro, la logica ferrea che guida i piani di aggiustamento strutturale introdotti dalla Banca mondiale e' suffragata dalla consapevolezza che "il mercato finanziario mondiale rende ancora piu' gravi le sproporzioni tra chi guadagna e chi perde" e la stessa BM conclude affermando che "i poveri del mondo vanno aiutati attraverso spese per l'istruzione e le infrastrutture sociali e materiali". Ma chi saranno i beneficiari di questi aiuti? Come saranno distribuite le infrastrutture e, soprattutto i fondi per costruirle? E quali organizzazioni internazionali saranno incaricate di far questo? La risposta a queste domande e' fornita dalla stessa Banca Mondiale che propone la sua ricetta: l'aiuto concesso deve avere come contropartita la privatizzazione, l'apertura delle frontiere dei paesi piu' poveri a favore di quelli piu' ricchi e la flessibilizzazione del mercato di lavoro.
In questa situazione si trovano molti paesi dell'Africa subsahariana, ma non solo, che oggi si trova sottoposta ad un nuovo sfruttamento di marca neocoloniale.
In particolare questo e' evidente per il Benin, che, ottenuta l'indipendenza dalla Francia nel 1960 e, dopo essere stato sotto un regime di impronta marxista - leninista, instaurato nel 1974 da Mathieu Karekou, nei primi anni 80 venne colpito da una forte contingenza economica che spinse lo stesso Karekou a favorire il ritorno dei capitali occidentali e ad accettare le misure di aggiustamento imposte dal F.M.I. Ma tutti i paesi che hanno accettato, o subito, l'introduzione dei piani di aggiustamento strutturale, si sono trovati poi strangolati dal debito estero e costretti all'apertura delle proprie frontiere al capitale transnazionale, con un tasso di disoccupazione sempre crescente e con condizioni di vita mediamente peggiorate.
Anche perche' tutti i progetti della Banca Mondiale mirano essenzialmente allo sviluppo delle attivita' private ed a mettere in vendita molti comparti dello stato come il settore energetico, i servizi pubblici, le industrie ed la riduzione delle spese del welfare state. In nazioni come l'India, ad esempio, sono da molti anni in atto gli interventi della Banca mondiale che hanno prodotto molte distorsioni, aumentando cosi' a dismisura le sperequazioni tra ricchi e poveri (in maggioranza donne) ed alleggerendo in buona misura le tutele sanitarie e salariali dei piu' deboli. La stessa situazione si e' verificata in altri paesi dell'Africa, nel Pakistan, in Bangla Desh, in Peru', in Argentina, in Brasile ed in Messico, i cui tessuti socio - economici ed ambientali di queste nazioni, sono stati distrutti, in molti casi in modo irrimediabile, producendo tra l'altro, fenomeni di emarginazione sociale come i "ragazzi di strada" (a San Paolo, in Brasile).
Ma anche altri paesi africani sono stati "ristrutturati" attraverso gli aggiustamenti della BM, ad esempio la Costa d'Avorio, dove gli interventi sono stati massicci ed il reddito pro capite per abitante dagli anni '80 ad oggi e' calato del 50%; mentre nel Ghana le foreste sono state ridotte a circa il 25% della superficie originaria, laddove tra il 1980 ed il 1987 la sua produzione di legname grezzo e' raddoppiata, come risulta dai dati raccolti nel 1993 da una ONG di Washington, che ritiene che intorno al 2000 nel Ghana non ci saranno piu' foreste e che, di conseguenza, il paese diventera' importatore di legname, ma il danno ecologico subito dal paese e dall'Africa sara' irreparabile. Eloquenti in tal senso sono anche le condizioni socio - economiche di stati come il Mozambico e lo Zimbabwe. Ma, oggi in Africa si sta giocando una partita importante e sembra che da piu' parti (chiesa cattolica, ONG, UNICEF e CARITAS) finalmente ci si e' resi conto delle molte contraddizioni e della vastita' di alcuni fenomeni ormai endemici : AIDS che sta uccidendo intere popolazioni, soprattutto i bambini e le bambine, gia' orfani dei loro genitori e di una circostanza indebitamente trascurata : la schiavitu' di molti bambini e bambine, che e' venuta alla luce con la scoperta in Benin di una "nave fantasma" piena di bambini e bambine destinati a lavori domestici, ma anche e, sicuramente, ad altre professioni piu' redditizie : prostituzione, le piantagioni, oppure le miniere dell'Africa occidentale. E finalmente (ma ipocritamente!) si sta parlando anche del forte debito che questi stati hanno contratto con i paesi ricchi, cioe' con l'Europa e gli Stati Uniti e di una sua (im)probabile riduzione.
Tuttavia questa stessa situazione si verifica, ininterrottamente dal Senegal alla Nigeria, dove decine di migliaia di bambini vengono ceduti quotidianamente da genitori troppo poveri che li vendono a famiglie agiate, che li sfruttano e li rivendono ad altri trafficanti di bambini, che li manderanno a fare i servitori in altre case private (soprattutto le bambine) o in esercizi pubblici, dove essi sono destinati a diventare vittime di ulteriori soprusi e sfruttamenti di ogni tipo. Il fenomeno della "tratta dei minori" non e' certo una novita' di oggi, ma e' sempre esistito, soprattutto in Benin, che non a caso e' stato chiamato "la costa degli schiavi", dove, gia' intorno alla meta' del XVI° secolo l'inglese J. Hawkins catturo' il primo carico di schiavi neri che vennero venduti ad Haiti : cominciava cosi' la tratta degli schiavi verso il nuovo continente, che divenne la principale attivita' economica della regione a favore di inglesi ed olandesi. Ma la schiavitu', conosciuta fin dai tempi degli antichi greci, prende maggiore vigore proprio con la scoperta dell'America. Da quel momento la tratta dei negri, che dall'Africa verranno portati in catene nel Nuovo Mondo, e' un esodo di 20 milioni di persone. Nel continente nero questo fenomeno precede l'avvento dei bianchi, poiche' gia' venivano fatti schiavi i prigionieri di guerra, ma saranno gli Occidentali ad "inventare" il commercio degli esseri umani. Dal Ghana e dal Senegal gli schiavi giungevano in Brasile, Colombia, Cuba, Caraibi e nell'America del Sud legati alle piantagioni del cotone. L'abolizione della schiavitu' fu decisa dalle potenze europee al Congresso di Vienna (1815), ma resto' lettera morta, mentre gia' dal 1808 la schiavitu' venne condannata negli Usa, ma si dovra' attendere la guerra civile tra Nordisti e Sudisti (dal 1861 al 1865) per abolirla del tutto (almeno sulla carta). Ma se nel Ghana la schiavitu' viene abolita un secolo fa, oggi sappiamo che la tratta degli esseri umani continua alla luce del sole e resta impunita. Tuttavia, nonostante essa sia, fin dal 1926, perseguita penalmente dalla Convenzione di Ginevra, a tutt'oggi la sua eliminazione e' tutt'altro che raggiunta e ce lo ricordano, ogni giorno, i milioni di bambine e bambini sfruttati dalle grandi marche e firme (Adidas, Benetton, Nike ecc.). Ed e' proprio in riferimento allo sfruttamento intensivo e globale del lavoro minorile che diviene interessante osservare ed analizzare alcune, tra le tante situazioni sparse un po' dovunque dal Pakistan al Bangla Desh, dal Nicaragua ed Honduras e perche' no? Anche in Tanzania, Brasile Messico e….sorpresa!, anche nella "civilissima" Italia, dove proprio lo scorso giugno, a Caltagirone, e' stata scoperta un autorimessa all'interno della quale lavoravano, ovviamente in nero, quattro ragazzi dall'eta' compresa tra i 12 ed i 14 anni, i quali ricevevano un compenso di cinquemila lire al giorno per sei ore di lavoro, durante le quali riuscivano a confezionare 1.700 pezzi di filettature di gocciolatoi per un impresa di Caltagirone famosa per i mosaici; e si calcola che in Italia i baby-operai siano circa 350 mila (tra italiani ed immigrati) e che i tassi piu' alti sono concentrati nel Sud. Naturalmente questa notizia ha fatto poco rumore ed e' stata subito dimenticata, ma non si possono invece dimenticare, ma anzi denunciare con sempre maggiore forza, le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere molte bambine e bambini nei paesi del Terzo Mondo, i quali vengono impiegati nel lavaggio macchine (ad esempio in Tanzania), nella raccolta dei rifiuti a cui partecipano molti bambini brasiliani, la cui sola alternativa e' la strada; mentre, in Pakistan e in Honduras l'impiego principale dei piccoli lavoratori e lavoratrici, che va dalle sei alle diciotto ore giornaliere, e' principalmente utilizzato per confezionare palloni, le cui marche sono molto spesso quelle delle multinazionali dello sport. Altri lavori nei quali i bambini sono impiegati sono spaccare le pietre, che spesso viene preferito al lavoro in miniera, svolti dai bambini soprattutto in Peru'..
Ma in tutto questo cosa c'entrano e che ruolo hanno le industrie multinazionali? Si potrebbe pensare che sia solo la poverta' e la mancanza di istruzione a spingere questi bambini e queste bambine a lavorare cosi' duramente. Invece la sola ed unica ragione per cui viene sfruttato il loro lavoro e' il basso costo di quest'ultimo e il largo margine di profitto realizzato da tutte le industrie che investono i loro capitali in questi paesi e che, essendo sempre alla ricerca di nuovi mercati spostano da un parte all'altra del mondo, i propri macchinari e fabbriche per produrre sempre di piu' ed investire laddove la manodopera e' meno costosa e meno cosciente della propria condizione di sfruttamento. E l'estensione del libero mercato e delle sue leggi non si cura delle ideologie, ne' delle bellezze naturali ed artistiche, ne e' un esempio la Cina "comunista", che entrera' prossimamente nel WTO e che ha venduto la concessione ad alcune multinazionali nipponiche ed americane per la costruzione di un ponte sul fiume Giallo, edificazione che deturpera', in modo irreparabile, l'ambiente poiche' chi vincera' la gara potra' apporre un cartellone pubblicitario del suo marchio. E' questa la "Rivoluzione Culturale" di cui parlava Mao Tze Tung? E, proprio in riferimento alla Cina, non sara' invece ad allettare i nostrani imprenditori (vedi le case di moda) ed i colossi nippo- statunitensi ed europei, la moltitudine di cinesi che sono soprattutto, una moltitudine di consumatori? Cosi' come la possibilita' di sfruttare il lavoro di migliaia di piccoli cinesi e di bambine, tra quelle che riusciranno a restare in vita?