GIORGIO BOCCA, HENRY KISSINGER: FILOSOFIE A CONFRONTO SULL’ARCANO BUSH.

La politica estera americana e' sotto i riflettori come non mai. Il passaggio dal democratico Clinton al repubblicano Bush jr ha suscitato sin dall’inizio timore o comunque il senso di una svolta. Se pensiamo a come si e' parlato del nuovo presidente degli States negli ultimi mesi, rimaniamo sbalorditi dall’incredibile quantitativo di definizioni usate per indicarne il tratto caratteriale e politico saliente. Definizioni, peraltro, spesso contrastanti, almeno all’apparenza. Bush jr risulta essere -infatti- a un tempo isolazionista ed imperialista. La sua politica e' criticata, quindi, per il rifiuto di intervenire (ha “minacciato” di andarsene dai Balcani) e per il suo contrario.
Cosa significa cio'?
Crediamo sia utile rispondere al quesito movendo da una analisi dei diversi approcci che opinion-makers o strateghi hanno manifestato nei confronti del fenomeno Bush.
Il primo approccio che prendiamo in considerazione e' quello dichiaratamente antiamericano. Avendo a disposizione un ventaglio di possibilità molto ampio -da Sandro Curzi (“Liberazione”) a Beppe Del Colle (“Famiglia Cristiana”)- abbiamo optato di nuovo per Giorgio Bocca. Chi ha letto "“Junius Brutus” n 1, lo ha gia' visto indicato come “ponte” verso il cosiddetto “popolo di Seattle”, in un gruppo editoriale (“La Repubblica”-“L’Espresso”) in cui si gioca una autentica partita dialettica tra liberisti spinti e sostenitori di un freno al dispiegarsi degli “animal spirits” del capitalismo selvaggio. Ora, l’impressione che avevamo avuto a suo tempo ha trovato nuove conferme. Se firme autorevoli della stampa di Debenedetti si fanno portatrici di una linea immediatamente concorrenziale al centrodestra sul terreno dell’attacco al Welfare, Bocca continua nella sua crociata contro i “padroni del vapore”, radicalizzandone i termini. Non possono non colpire le assonanze tra i suoi articoli e i volantini della Rete Lilliput e delle Tute bianche. Anch’egli parla di un ordine imperiale, riferendo l’aggressivita' e l’atteggiamento espansionistico ai soli States. Nei suoi ultimi scritti, d’altra parte, coesistono menzogna e verita', miscelate con l’abilita' di un giornalista non privo di senso della storia. Mente, Bocca, quando attacca gli americani per il rifiuto di sottoscrivere gli accordi di Kyoto. Mente in modo spudorato, poiche' se e' vero che l’amministrazione Bush non vuole perdere il sostegno dei petrolieri texani (che dell’ambiente se ne infischiano allegramente), e' anche vero che le misure previste dal Protocollo del 1997, delineato nella citta' giapponese, tutto sono fuorche' il segno di una rinnovata sensibilita' ecologista da parte dei governi. Esse coincidono con l’invito rivolto ai paesi industrializzati a ridurre le emissioni dei gas che producono l’effetto serra in maniera variabile, tra il 5 e l’8% a seconda dei casi. E cio' entro il 2012! Non si tratta certo di spinte volte alla ridefinizione di un modello di sviluppo sbagliato! Se una denuncia verso Bush va fatta, essa deve andare nella direzione dell’attacco a chi, in preda all’arroganza (ed ai suoi interessi immediati) non concede nulla nemmeno ai palliativi, finendola pero' di illudersi sulla sensibilità di un’Europa che gioca la carta dell’ambientalismo in funzione antiyankee e dando una serie di contentini alle forze ecologiste presenti nelle varie compagini governative.
Vi e' invece un discorso rispetto al quale l’ex militante di Giustizia e Liberta' bara di meno ed e' quello relativo alle origini della “prepotenza” degli States. “Quali sono le ragioni di questo neo-imperialismo americano a cui si accordano, anche se recalcitranti, i paesi europei?”, si chiede Bocca. La sua risposta risulta essere questa: gli USA hanno “paura della decadenza”, sono preoccupati “per quei confini sempre piu' lontani e sempre meno difendibili. Si tratta della constatazione che il sistema economico su cui si basa il dominio degli Stati Uniti e dei suoi alleati non e' in grado di mettere in equilibrio il mondo” (G. Bocca, “Bush filosofo del condor”, L’Espresso, 31 maggio 2001).
Bene, in queste righe si esprime in parte l’autentico timore che pervade la politica estera USA, quello di perdere il controllo della situazione a livello mondiale. Non se ne spiegano pero' le ragioni piu' profonde, tra le quali rientra senz’altro il profilarsi di un nuovo soggetto politico forte: il polo imperialistico europeo. Ma non poteva certo essere un giornalista che cerca di ribadire la necessita' di una politica riformista a fare questo passaggio analitico. Ad esso dovrebbe pensare la controinformazione. Che quando si libera da un rozzo e grossolano antiamericanismo (per di piu' espresso in una prosa meno vibrante di quella di Bocca), riesce a centrare l’obiettivo. Per quello che attiene agli esempi positivi di controinformazione e di lettura critica della realtà, non possiamo non fare riferimento ad un editoriale di Radio Citta' Aperta del 14 giugno 2001. In esso si sostiene, commentando Goteborg ed altri vertici tra USA ed UE, che “la prima impressione che si ricava da questi incontri, e' che la vera posta in gioco non siano tanto i protocolli di Kyoto sull’ambiente quanto il rilancio delle spese militari attraverso lo scudo antimissile e il mantenimento del ruolo della NATO come strumento di controllo degli Stati Uniti sugli affari europei”. Gli States, che vedono vacillare il proprio predominio, quindi, usano tutte le armi possibili per mantenerlo, cercando di ricondurre all’ovile un’Europa che -attraverso il costituendo esercito europeo- minaccia di fare da se' il lavoro sporco. Di piu', tra USA e UE vi e' una notevole divaricazione di interessi su aree strategiche come i Balcani, come dimostra l’atteggiamento relativo ai secessionisti albanesi che “minacciano ormai la capitale della Macedonia potendo contare sulla complicità della NATO e degli Stati Uniti”. E se “la Francia ha affermato che la NATO dovrebbe intervenire per bloccare le bande dell’UCK”, l’orientamento di Washington non muta. Gli americani sono consapevoli del valore strategico dei diversi corridoi dei Balcani e di quello macedone in particolare, percio' si oppongono di fatto ad una stabilizzazione dell’area nel segno della Pax europea.
Ancora dall’editoriale della emittente alternativa romana risulta che “sullo scudo antimissile, gli Stati Uniti stanno cercando degli accordi bilaterali con Russia e Cina che emarginino l’Unione Europea”. E’ una ulteriore conferma del tentativo di mantenere una egemonia in decadenza, peraltro destinato a scarsi risultati (Cina e Russia si stanno accordando tra di loro sul piano militare e la seconda vede di buon occhio un rapporto stretto con l’UE o almeno con parte di essa).
Certo negli States vi sono voci diverse, anche tra quelli che possono essere annoverati storicamente tra i consiglieri del principe. Si pensi a Zbigniew Brzezinski, che tiene conto della evoluzione della situazione e cerca di porsi in una ottica di collaborazione rispetto alla nuova potenza europea. Egli registra, infatti, che “a misura che l’Unione Europea per un verso si consolida e per un altro si allarga, la NATO sta in effetti diventando un’alleanza tra l’America e l’Europa” (Z. Brzezinski, “La NATO non è un quiz”, La Stampa, 25 maggio 2001). Insomma, bisogna adattarsi alla nuova realta' per non perdere il controllo della situazione. Il che non esclude l’uso dell’Alleanza militare nella chiave della pressione verso l’UE, ma porta ad una attuazione di questa linea in termini piu' morbidi di quelli effettivamente sperimentati da Bush. Brzezinski risponde alla graduale perdita di egemonia proponendo un rapporto sempre piu' stretto con il partner continentale. Così arriva a sostenere che “qualunque Stato considerato idoneo ad essere ammesso nell’UE deve essere autenticamente ritenuto idoneo anche all’ingresso nella NATO” (Brzezinski, cit.). Recuperiamo il terreno che stiamo perdendo, sembra dire il grande stratega, che ora viene particolarmente apprezzato dagli europei ma che durante la guerra del Kossovo era indicato come un falco, portatore di un discorso troppo permeato di etica e poco incline alla realpolitik ed alla logica della diplomazia. Che mistero e' mai questo? Brzezinski, che ha in parte ispirato il precedente presidente Clinton, era criticato per il suo eccessivo interventismo ed ora viene ben visto perche' vuole cooperare con gli europei. C’e' una logica in tutto cio'? Evidentemente si', e puo' essere delineata a partire dal confronto con la linea di politica estera portata avanti da Kissinger, che qualcuno ritiene essere il vero consigliere di Bush.
D’altra parte gia' nel 1999, proprio riflettendo sulla aggressione alla Serbia, l’editorialista de “La Repubblica” Bernardo Valli si era prodotto in un confronto tra le filosofie di questi due grandi strateghi militari. Una parte delle sue considerazioni, se liberate dalle mistificazioni ideologiche tipiche del giornalismo, possono essere usate. Anzi, acquistano una maggiore validita' dal momento in cui, forzando un pochino, si puo' dire di essere passati da una linea Brzezinski ad una impostazione kissingeriana.
Per meglio capire questo discorso procediamo all’analisi di un articolo dello stesso Kissinger, relativo al ruolo degli States nell’America Latina, articolo comparso in Italia sul quotidiano La Stampa, sotto il titolo “Americhe, dovete copiare l’Europa” (22 maggio 2001). Nello scritto in questione K. Muove da un esame del Vertice delle Americhe tenutosi a Quebec City nel mese di Aprile, nel quale gli Usa hanno proposto un’area di libero scambio panamericana (Ftaa), naturalmente da loro egemonizzata. Nel corso del vertice, a detta di K, tre sono stati gli ostacoli all’accelerazione dei negoziati per procedere in quella direzione: la forte protesta di massa, l’atteggiamento del Messico e l’ostilita' del Brasile. Per quello che attiene al Messico, esso non vuole perdere i “vantaggi” connessi ad un rapporto privilegiato con gli USA, mentre per cio' che riguarda il Brasile il discorso e' più complesso. Esso si propone come potenza regionale e ha cercato di far si' che lo stesso Mercosur (accordo per un mercato comune tra Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay) si trasformasse “in un rivale piu' che in un partner del Nafta, come invece prevede il Ftaa”.
E cio' in un momento in cui l’Europa non sta a guardare. Come ricorda K., nel 1997, nel corso di un viaggio in America Latina, Jacques Chirac ebbe a dire che il futuro di quella parte del continente non poteva risolversi nel rapporto con il Nord (cioè con il Nafta), dovendo trovare un ponte con la Unione Europea. Inutile dire che stiamo parlando di uno scenario nel quale l’uso della categoria di “contesa multipolare”, elaborata a suo tempo dal teorico di Lotta Comunista Arrigo Cervetto, è tutt’altro che improprio. E a chiarircelo è proprio lo stesso K nella chiusura dell’articolo sin qui esaminato. “Se queste tendenze si imporranno, il Mercosur si posizionera' come entita' distinta nei confronti dell’Europa ma in rivalita' istituzionale con il Nafta e gli Stati Uniti. E questa e' una sfida alla posizione storica degli Stati Uniti nell’emisfero e alla sua aspirazione a un ordine mondiale basato su una comunita' crescente di democrazie nelle Americhe”, asserisce minaccioso l’ex segretario di Stato americano.
Il quale, appunto, raccoglie la sfida. In un senso realistico come Brzezinski ma con una maggiore sensibilita' all’interesse anche immediato del proprio paese. Anche Kissinger tiene conto di alcune cose e tra i suggerimenti che ha dato alla Casa Bianca ve ne e' uno -rimasto inascoltato- relativo alla necessita' di essere prudenti nell’espansione della NATO ad est, per non turbare la Russia. Ma una spinta di questo tipo non ha nulla a che vedere con un atteggiamento di cooperazione per il bene comune tra potenze, atto a sedare le crisi regionali ed a mantenere ordine nel mondo. E’ una pura questione di tattica. Come lo era l’iniziale rifiuto dell’intervento antiserbo nel 1999, stupidamente fatto proprio dai pacifisti di ogni dove. In quel caso Kissinger mostrava di non condividere una politica a suo dire inefficace contro il potere dell’ex fido Milosevic ma non solo…Nella fase piu' alta dell’aggressione alla Serbia, Kissinger aveva incitato all’attacco di terra. Attacco -qui sta il punto- che sarebbe stato totalmente gestito dagli States, diversamente da quello che si e' concretamente verificato nel conflitto. Infatti, prima vi sono stati i bombardamenti, poi e' venuta la trattativa, gestita dall’UE ( non bisogna dimenticare che proprio Francia e Germania ad un certo punto hanno fatto interrompere gli attacchi aerei). Cioe', come diceva in quel frangente L’Assemblea Romana per l’Autonomia di Classe, agli Usa e' andata la gestione delle operazioni militari, all’UE la parte diplomatica con annessa, lucrosa ricostruzione. Ora, con l’attacco di terra le cose sarebbero state molto diverse e l’UE sarebbe stata costretta ad un ruolo marginale anche dopo da parte di chi militarmente avrebbe occupato tutti i corridoi strategici dell’area.
Questa e' la filosofia del condor di cui parlava Giorgio Bocca prima: l’interesse degli States sopra a tutto, anche sopra la possibilita' di mantenere la pax a livello mondiale nella piena concordia tra Washington e Strasburgo. Questo e' l’isolazionismo, questa e' la politica imperialistica. Insomma, la contraddizione di partenza e' risolta, la prosa esplicita di K. ce lo dice chiaramente.