L'Italia o la politica estera che non c'e'.

La politica estera italiana e' al centro dell'attenzione, da quando vi e' un esecutivo di centrodestra. Se ne occupano i media stranieri, che osservano con interesse l'evoluzione di questo paese; se ne curano i media nostrani, ai fini della battaglia pro o contro il governo; se ne interessano, infine, gli antagonisti e tutti coloro che guardano criticamente all'esistente. Il fenomeno inedito e' che tutti, al di la' dei punti di vista adottati, finiscono per convergere su una sola lettura: la svolta filo-americana dell'Italia. Come redazione di "Junius Brutus", gia' sul numero 2 della rivista abbiamo avuto modo di puntualizzare la nostra lettura della questione. L'Italia, a nostro avviso, e' sempre stata portatrice di una significativa oscillazione tra una piena subordinazione agli States (legata anche alla massiccia presenza di basi americane nel nostro territorio) e una autonoma linea d'azione nell'area Mediterranea e nel Medio Oriente. Lo si e' verificato anche nel 1999, durante la guerra contro la Serbia. Nella prima fase del conflitto,infatti, il ministro degli esteri Dini ebbe modo di esprimere il suo dissenso rispetto ad alcune operazioni belliche, suscitando la disapprovazione degli alleati. Nella fase conclusiva della guerra, pero', l'Italia non fu al fianco di Francia e Germania che chiesero la fine dei bombardamenti, frenando la spinta americana al proseguimento del conflitto. Ora, sotto il governo del Berlusca la contraddittorieta' di allora si ripete, magari con una tendenza alla prevalenza della spinta filo-USA, ma senza che questa risolva per intero la politica estera del paese. Se ci si pensa bene, Ruggiero, il navigato ministro degli esteri gia' al WTO, e' l'unico esponente del governo cui vadano le simpatie della stampa di opposizione. Di piu', egli e' considerato il garante della continuita' della politica estera italiana, nel segno dell'attenzione alla costruzione europea e della cura dei tradizionali interessi dei grandi gruppi economici del paese. Ed in effetti, Ruggiero finora sembra essersi mosso in questa direzione. Nei suoi primi mesi di lavoro il ministro ha realizzato una alleanza con Parigi, nonostante le perplessita' francesi sulle dichiarazioni di Berlusconi favorevoli allo scudo spaziale di Bush. Una alleanza che dispiega la sua azione verso il medio oriente, area ritenuta strategica da FIAT ed ENI. Come scriveva "L'unita'" del 25 agosto 2001 ("L'Europa media pensando agli affari"): "Mai come in queste settimane la diplomazia europea si e' dimostrata attiva sullo scenario mediorientale. Un attivismo frenetico tanto piu' eclatante (al di la' dei risultati che potra' sortire) se rapportato alla latitanza della diplomazia americana". In pratica, il tradizionale ruolo italiano nello scenario internazionale e' stato svolto anche nell'interesse dell'Unione Europea, in un momento -quello precedente all'11 settembre 2001- in cui la latitanza americana dal Medio Oriente favoriva lo spostamento di commesse (per costruire infrastrutture come strade e porti ma anche impianti per la raffinazione di petrolio) verso l'Unione Europea. Certo, l'interesse comune europeo, non esclude momenti di rivalita' tra gli Stati (aziende tedesche hanno soffiato a quelle italiane la realizzazione dell'aeroporto di Gaza), ma il nesso tra europeismo e nuova versione della tradizionale linea di politica estera italiana risulta chiaro. E non puo' essere mistificato come e' accaduto su "Il Giornale" del 24 settembre 2001, quando il quotidiano di centrodestra ha titolato "Powell incontra Ruggiero: all'Italia il compito di mediare tra USA e Iran", peraltro in relazione ad un articolo dove, molto piu' sommessamente, si scriveva che "da apripista del riavvicinamento all'Iran, l'Italia potra' svolgere un ruolo di consulenza e forse di mediazione tra Washington e Teheran". No, l'agire di Ruggiero ha finora corrisposto ad una precisa linea d'azione che non ha rispecchiato la tendenza a servire fedelmente gli Usa. Proprio l'11 settembre usciva, infatti, su "La Repubblica"una intervista a Ruggiero ("Il governo deve essere unito, l'Europa e' la nostra stella polare") in cui il ministro chiariva il suo orientamento di fondo sulla politica estera, minimizzando le serie divergenze con altri esponenti del governo. Egli parlava dell'Ue come di una costruzione in cui "ci sara' la necessita' di un plotone di testa. Tutti dovranno avere potenzialmente gli stessi diritti e gli stessi doveri ma partendo dalla realta' del loro livello di sviluppo e della loro integrazione nell'Unione". E sull'Italia diceva: "Io voglio che l'Italia, e spero che siano tutti a volerlo, sia nel plotone di testa sin dall'inizio cosi' come sempre e' avvenuto". Ora, queste righe si leggevano proprio poche ore prima dell'attacco al "Cuore dell'Occidente" portato a termine -a quanto si dice- da Osama Bin Laden. Che senso hanno assunto in un quadro internazionale diverso, segnato -ad esempio- da un rinnovato protagonismo yankee in Medio Oriente? In realta', esse sarebbero piu' che mai attuali. Una Unione Europea forte puo' giocare un ruolo importante nel conflitto, dal momento che gli States hanno difficolta' a confrontarsi con un buon numero di paesi arabi. Ma, nel momento in cui prevale il militare e l'attivita' diplomatica ne diventa il semplice corollario, il dominio Usa torna a dispiegarsi in tutta la sua pienezza e l'Europa ne risente. E, sul piano italiano, le oscillazioni di politica estera assumono una valenza maggiore del solito. Il filo-americanismo spinto di certe affermazioni del Cavaliere rischia di neutralizzare il lavoro che Ruggiero sta compiendo per l'Europa Unita. Prendiamo a riferimento le odiose dichiarazioni sulla superiorita' occidentale. Esse costituiscono senz'altro un errore, la prova del dilettantismo politico di questo esecutivo. Ma coincidono anche con l'orientamento dei falchi di Washington, quelli che vorrebbero estendere il conflitto sin da subito. L'americanismo di Berlusconi, nella sua grossolanita', si e' spinto oltre quel Colin Powell che -tramite il rapporto diretto con Blair- recepisce le istanze europee e cerca di rendere piu' sfumate le dichiarazioni Usa per prevenire dissensi tra gli alleati e per non rompere del tutto con alcuni Stati arabi. L'altalena tra l'agire di Ruggiero e quello di Berlusconi puo' avere un duro impatto sulla politica italiana. Le effusioni verso gli States nel momento in cui questi cercano di imbrigliare la stessa costruzione europea rischiano di far saltare l'apporto italiano al procedere dei lavori UE. Ma -nello stesso tempo- non sono la garanzia di una definitiva svolta dell'Italia verso gli Usa. "Se l'Italia vuole avere voce" scrive Franco Venturini sul "Corriere della Sera" del 15 ottobre 2001 a proposito dell'agognata visita di Berlusconi a Bush, deve dare prova di un maggior protagonismo nel conflitto in corso, prendere l'iniziativa e disegnarsi un ruolo da subito. Un ruolo per conto proprio in un conflitto che, per Venturini, da' nuovo spazio agli Stati-nazione (e quindi, a quanto sembra, non all'Unione Europea). Ma l'Italia e' in grado di assolvere questo ruolo, di intraprendere in modo netto una direzione che la vede come potenza che scavalca l'UE e si rapporta direttamente agli States? Probabilmente no. Probabilmente la linea Ruggiero frenera' l'impeto da ultras yankee del Berlusca. E cosi' due spinte di politica estera che -in tempi normali- potrebbero coesistere ed essere complementari, in tempi di guerra quasi si annullano a vicenda.