Valutazioni di genere ed economiche complessive sul ruolo della donna nella realtà lavorativa africana, con particolare attenzione al Senegal.

Breve introduzione al tema.

Affrontare in generale del ruolo del lavoro delle donne nell'ambito dell'economia africana, fa sorgere - data la scarsa reperibilità di dati complessivi su questo argomento - un preciso dubbio, legato all'impressione che le donne non contribuiscano alla generale formazione del prodotto interno lordo e alla crescita economica del Continente. Ma così non è. In realtà sappiamo che tra i vari settori dove sono impiegate rientrano la coltivazione dei campi, il pascolo degli animali, la pestatura dei prodotti agricoli, corvée per la legna e l'acqua, l'assistenza di malati, vecchi e bambini all'interno del nucleo familiare. Normalmente di queste donne non si riesce effettivamente a conteggiare né il tempo reale di lavoro e né la quantità effettivamente prodotta : perché molto di questo tempo é speso dalle stesse per arrivare alla fonte dell'acqua o ai campi coltivati. A tutta questa fatica si aggiunge quella quotidiana della cura dei figli e del marito, calcolabili tra le 12 e le 15 ore, che non vengono considerate come lavoro produttivo, perché ritenute mansioni "naturali" delle donne.
Invece, questo "lavoro di cura" dev'essere inserito nell'analisi dei meccanismi attraverso cui funziona il capitalismo patriarcale su scala globale, e dev'essere, conseguentemente, inserito nella più generale attività di riproduzione sociale universalmente considerata "propria" delle donne.
Partendo da questo dato ed aggiungendo a tutte le possibili analisi sul rapporto e sull’estensione dell’economia capitalistica globalizzata, il fatto che siano le donne le maggiori, ma svantaggiate protagoniste di questa crescita proprio nei paesi del Sud del mondo, ci rendiamo conto di come i maggiori costi delle ricorrenti crisi economiche del capitale internazionale vengono ad essere pagati proprio dalle donne stesse.
E' muovendo da questa consapevolezza che cercheremo di affrontare alcuni argomenti cardine in questo articolo, come il ruolo svolto dalle donne all'interno dell'economia capitalistica o meglio ancora, il rapporto tra le donne ed il mercato, la ridistribuzione alle donne della ricchezza che, affermiamo subito, esse stesse contribuiscono a produrre e ripartire. In particolare sarà evidenziato, il caso di alcuni villaggi del Senegal e l'ottica a partire dalla quale osserveremo questa realtà prenderà come spunto il punto di vista femminista-marxista, nelle sue connotazioni più generali.. Attualmente rileviamo come in alcune aree del continente africano l'economia stia apparentemente vivendo un momento di vigorosa espansione, non solo per le aperture di alcuni paesi al libero mercato ed in conseguenza dell'accettazione da parte di altri dei piani di aggiustamento strutturale imposti da Banca Mondiale e Fondo Monetario, ma anche grazie al più antico dei mercati : quello della guerra, che ha trovato nelle diverse realtà nazionali africane un terreno fertile, aggravato dall’estrema povertà economica a cui si contrappone l’immensa ricchezza della sua natura e del suo sottosuolo, che si concretizza in ampie distese d’acqua e giacimenti petroliferi, ma anche di diamanti ed altri metalli preziosi che spesso ricoprono anche intere nazioni, come dimostrano i diamanti della Sierra Leone ed il petrolio per il Sudan.
Lo sfruttamento delle risorse umane e naturali viene effettuato in modo rapace dai grandi network statunitensi o europei che non esitano ad utilizzare tutti i mezzi necessari (anche i più cinici) per arricchirsi sulla pelle dei nuovi colonizzati. Esiste comunque all'interno di questa logica dello sfruttamento una differenziazione di genere, dove i soggetti che vengono maggiormente colpiti sono le donne ed i minori; mentre per gli uomini, laddove non ci sono guerre civili che spingono al loro reclutamento negli eserciti regolari o nelle truppe mercenarie, si offre come soluzione l'immigrazione verso l'Europa, o verso gli altri paesi africani più ricchi - come dimostrano le migrazioni interne che portano molti uomini a spostarsi dallo Zimbawe, dal Lesotho e dal Mozambico ed a dirigersi verso il Sudafrica -.
In questo contesto, le donne, colpite drasticamente dalle dinamiche sociali segnate dalla miseria che attraversano tutta l'Africa, sembrano esser più agevolate. E' verso di esse che si rivolgono le possibili soluzioni di sostegno e di aiuto concreto, per sollevarle dalla indigenza o per sostenerle nel lavoro e, per questo, sono sempre più spesso impiegati alcuni strumenti economico - finanziari, quali il microcredito e la microfinanza. L'importante è comunque mettere in evidenza che forma assumono queste due formule di finanziamento dirette alle donne e quale ruolo ricoprono nella formulazione ed applicazione di questi piani e finanziamenti sia la Banca Mondiale che le diverse ONG ed Agenzie Internazionali. Anche questo infatti è un nodo importante nel rapporto fra donna ed economia, poiché sempre più spesso nelle diverse aree comprese nel Sud del mondo si indirizzano i finanziamenti proprio verso le cooperative formate dalle donne, non solo africane, ma anche di altri paesi, similmente svantaggiati, come l’India oppure il Bangladesh. E spesso questi micro progetti vengono pianificati e strutturati ascoltando le dirette interessate, che vengono così coinvolte non solo passivamente, ma anche attivamente, proprio perché in questo modo i piani stessi hanno maggiore facilità di riuscire.
Tuttavia il ruolo delle donne e la loro diretta partecipazione a tutti i livelli di strutturazione del piano è anche funzionale all’allargamento del commercio africano, che originariamente si fondava su un sistema economico di scambio, nell'ambito del libero mercato, in cui i profitti vengono reinvestiti e spesso non dalle donne, ma dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario stessi. E, a riprova di questa situazione, nell'ultimo decennio del Novecento, sono sempre stati più numerosi i programmi attivati dagli organismi non governativi che prevedono l’erogazione di crediti di ammontare ridotto ai “più poveri”, con particolare attenzione alla componente femminile. Di fronte al crescente entusiasmo per questi finanziamenti, spesso considerati una “panacea per tutti i mali”, sorgono diversi interrogativi: perché le donne sono al centro di questi progetti? Perché il microcredito rivolto alle donne ha sempre più successo? Queste sono solo alcune tra le tante domande che ci poniamo e che cercheremo di chiarire in questo stesso articolo.

Alcuni elementi per una critica di genere all'economia capitalista.

Naturalmente, una presentazione della condizione della donna nei paesi in via di sviluppo non può non tenere conto di alcuni fattori oggettivi, fra cui rientrano la cultura, la differente geografia, storia, religione. Pur con i limiti inevitabili che presenta ogni discorso di carattere generale, una panoramica sulla situazione quotidiana delle donne residenti nei diversi paesi del Sud del mondo, in particolare l'Africa, risulta uno strumento utilissimo per comprendere un aspetto così importante come la disparità di genere, caratteristica che risulta comune a tutti i paesi in via di sviluppo. Nel tratteggiare questo quadro emerge con forza che la povertà ha un volto femminile : su 1,3 miliardi di poveri, il 70% è costituito da donne. Un fenomeno costantemente in crescita, a dispetto dei "miracoli africani" o di altri paesi in via di sviluppo sponsorizzati dal Fondo Monetario Internazionale. Si pensi al fatto che la percentuale femminile nelle aree rurali che vive in assoluta povertà è aumentato del 50% nel periodo 1970 - 1990. Secondo la Banca Mondiale, questi poveri vivono con meno di un dollaro al giorno e conseguentemente hanno serie difficoltà ad assumere una alimentazione completa. Gli stessi dati sono emersi anche da una ricerca Onu pubblicata nel 2000.
E’ superfluo affermare che la povertà non può essere solo indicata dalla "variabile economica", ma deve essere considerata anche come una condizione più generale di impossibilità di scegliere e di godere di opportunità migliori e basilari per l’intero sviluppo umano. Queste limitazioni vanno a toccare tutti i piani della vita della donna e dell’uomo, ma anche dei bambini/ne : quello sanitario, quello abitativo, quello educativo. Carenze a cui seguono l’analfabetismo, la disuguaglianza di fronte alla legge e all’accesso ai servizi, l'incapacità di esercitare i propri diritti individuali e politici (quando questi non siano già formalmente negati), assenza di rispetto per la propria dignità e totale stato di ansia ed insicurezza di fronte ai cambiamenti. In altre parole ASSENZA DI FUTURO.
La povertà, secondo la UNDP (United Nations Development Programme), è, di fatto, la negazione dell’opportunità di vivere una vita discreta, intesa come la possibilità di un esistenza lunga, salutare e creativa, con accesso ad uno standard di vita accettabile, alla dignità e al rispetto per se stessi e da parte degli altri. Quindi in base a questa ampia definizione il binomio povertà - donna è ancora di più inscindibile. In primo luogo perché le donne hanno nei paesi in via di viluppo un sempre limitato accesso all’istruzione, soprattutto nei paesi Africani, dove appunto si sono concentrati gli sforzi delle Ong, dell’Unicef e delle varie missioni cattoliche nel costruire scuole e renderle gratuite e creare dei programmi ad hoc proprio per le bambine, come è accaduto nel Benin.
A questa limitazione ne seguono altre : l’inadeguatezza sanitaria, una condizione salariale che consente a malapena di sopravvivere, difficoltà o impossibilità di accedere alle terre coltivate e coltivabili, ed in qualche caso anche agli stessi finanziamenti per i progetti creati dal microcredito. Infatti, per essi le banche in cambio richiedono, come garanzia, il possedimento di alcuni beni immobili (casa, terreni, animali), che spesso le donne non hanno poiché proprietà degli uomini. La “femminilizzazione” della povertà è quindi il risultato di un intreccio di fattori, tra i quali le discriminazioni giuridiche, culturali e familiari che coincidono per la donna in uno scarso se non nullo potere decisionale, che le condanna anche a subire ogni sorta di violenze fisiche e morali, fattori ai cui vanno aggiunte le leggi del mercato del lavoro e dell’economia che rendono le donne sempre più precarie e sotto pagate.
Sull’attuale condizione femminile hanno anche agito ed influito negativamente alcune scelte politiche attuate nella seconda metà del XX secolo, che non hanno tenuto conto, nella loro applicazione generalizzata, delle esigenze delle popolazioni locali che ne usufruivano e che non hanno al contempo tutelato chi non riusciva ad usufruire dei vantaggi. Le diverse strategie di “import substitution” ed “export promotion”, il sempre crescente debito estero e la conseguente applicazione dei programmi di aggiustamento strutturali sono correlati alle imposizioni della Banca Mondiale e al violento irrompere delle leggi neo-liberiste di mercato.
A tutto questo hanno anche concorso alcune miopi strategie attuate dalle organizzazioni e cooperative internazionali, che hanno di fatto peggiorato la condizione di vita e la posizione di queste stesse donne nella società dei paesi del cosiddetto Sud del mondo. L'eccessiva fiducia nella generale ricaduta dei benefici della ricchezza su tutta la popolazione, ha spinto i politici e gli investitori ad ignorare i problemi e le richieste di chi invece restava ai margini di questa ricchezza. E' quanto è accaduto nel Senegal, dove la legge sulle comunità rurali ha determinato come conseguenza il fatto che le donne non rientrando nelle nomine a Consigliere rurale della Concessione amministrativa (delegato che assume anche la funzione di rappresentante delle Cooperative) si trovano di fatto escluse anche dai poteri decisionali che le riguardano direttamente. La prima fase della cooperazione internazionale, quella che si è sviluppata nel decennio 1950 - 1960, è stata caratterizzata dalla definizione di sviluppo in termini di crescita economica e di reddito.
Seguendo questo schema le varie Agenzie di sviluppo e di investimento, non hanno certo tenuto conto delle reali esigenze delle donne, ma si sono rivolti alla totalità della comunità, il che ha significato l'automatica esclusione di molte donne da questi progetti. Ed é stato solo negli anni Settanta che si sono intravisti i risultati negativi di queste politiche economiche varate nel decennio precedente, dato che sono risultati evidenti i disavanzi del PIL ed il fatto che la crescita di quest'ultimo, non necessariamente voleva dire il contemporaneo sviluppo di tutta la popolazione. In questi stessi anni, l'economista femminista Ester Boserup, attraverso "Il lavoro delle donne" metteva in luce, l'analisi del ruolo produttivo della donna all'interno delle singole economie nazionali, che con il graduale passaggio da una produzione familiare di beni e servizi ad una produzione specializzata, la divisione dei lavori tra i sessi era cambiata. L'introduzione delle moderne tecnologie, monopolizzate dagli uomini, aveva sempre più marginalizzato le donne nel settore agricolo, riducendone così lo status e la libertà.
Secondo le tesi sostenute dalla Boserup quindi, l'introduzione delle nuove tecnologie e l'espansione dei prodotti destinati alla vendita avevano portato benefici agli uomini e, allo stesso tempo, accresciuto il carico di lavoro delle donne, sia di quelli domestici che tutti gli altri. Nel complesso, la sua teoria è stata capace di mettere in discussione l'affermazione secondo cui la crescita economica avrebbe portato all'estensione del benessere a tutti i cittadini indistintamente e che quindi i diritti e lo status delle donne sarebbero automaticamente migliorati.
Dopo la pubblicazione del suo lavoro, avvenuto nel 1970, si sono moltiplicate le occasioni per riflettere sulle condizioni socio-economiche delle donne nei paesi in via di sviluppo e dello spazio che le varie organizzazioni internazionali andavano occupando. Già nel 1972 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite decideva di proclamare il 1975 "Anno internazionale delle donne", ed alla Conferenza mondiale tenutasi a Città del Messico, venne adottato un piano mondiale per assicurare l'integrazione delle donne nello sviluppo e contemporaneamente proclamato il decennio delle Nazioni Unite per le donne (1976-1985) : questo progetto formulato dall'Onu è FALLITO.
Nell'arco degli anni Settanta furono diverse le Convenzioni internazionali che si dedicarono alle donne e ai loro diritti. Allo stesso periodo sono anche collegabili gli ambiti di discussione tra le varie Organizzazioni non governative ed i gruppi internazionali interessati a sostenere l'indipendenza economica delle donne. Ciò avvenne proprio grazie allo studio di diversi piani di sviluppo che non trascurassero più le donne, ma anzi a loro diretti in modo da evitare che gli uomini di arrivassero ad accaparrarsi i nuovi posti di potere creati proprio da questi piani di sviluppo, accrescendo ed istituzionalizzando il loro predominio sulle donne. La situazione di svantaggio legata all"essere donna" è stata valutata secondo due criteri : dall'inizio degli anni Settanta alla fine degli Ottanta è prevalso l'approccio WID - "Donne nello sviluppo" -, mentre verso la fine degli anni Ottanta è emerso il GID - "Genere e Sviluppo", o "Genere nello sviluppo". Nel primo approccio, il WID, le donne sono considerate un problema da risolvere, vittime passive che necessitano di attenzioni particolari, dunque, beneficiarie degli aiuti economici. Di conseguenza, gli investimenti furono diretti verso il miglioramento della loro condizione : progressi nello stato di salute, nell'istruzione e nella alimentazione.
Il presupposto dal quale si partiva era l'isolamento dei singoli problemi affrontati attraverso progetti parziali, ignorando l'interezza del quadro economico e sociale che era alla base di questa ineguaglianza che colpiva soprattutto le donne. Tuttavia anche quando gli interventi sono stati rivolti al settore produttivo, le beneficiarie avevano continuato ad avere difficoltà di accesso e di controllo diretto delle risorse. Di conseguenza, tutti gli interventi si sono concentrati sul miglioramento delle loro condizioni economiche e sociali, sull'accrescimento del livello di alfabetizzazione, nutrizione e produzione di reddito. Al contrario, vennero trascurati altri aspetti importanti come la sistematica svalutazione del lavoro svolto dalle stesse donne ed il contesto socio - politico, principale causa delle differenze di genere.
Coesisteva anche la difficoltà di accedere alle terre, anche a causa del sistema ereditario i cui beneficiari sono solo in linea maschile, agli input produttivi del credito, proprio per le limitate competenze tecniche delle donne; inoltre l'aumento delle ore lavorative ha portato all'accrescersi delle attività quotidiane svolte all'interno della famiglia. Per tutti questi motivi le imprese femminili avevano uno scarso rendimento, il cui guadagno era appena sufficiente per vivere, e non veniva reinvestito per ingrandire l'azienda. Questi singoli progetti erano limitati per un medio o breve periodo, quindi non influivano sui problemi generali del contesto sociale in cui erano inserite le donne.
Il 1970 è una data considerata uno spartiacque nel processo di cambiamento della sensibilità rispetto al fattore di genere all'interno della cooperazione e dello sviluppo. Nel valutare questi cambiamenti, il Rapporto dell'UNDP n.6, riporta dati incoraggianti relativi alla sanità. Tra i dati è compreso nei decenni 1970 - 1990, l'aumento della speranza di vita per le donne che si è accresciuta di nove anni (il 20% in più); e sempre nel 1990 più della metà delle donne coniugate in età fertile, o i loro partner, utilizzavano i moderni sistemi di contraccezione, mentre nel decennio precedente, il 1980, questi erano solo un quarto. Questo dato mette in evidenza la riduzione dei tassi di fertilità che vede passare da 4,7 figli per donna fra il 1975 ed il 1990 e 3 figli fra il 1990 ed il 1995. Le altre conquiste si sono ottenute nell'ambito dell'istruzione e della formazione : se il livello di alfabetizzazione delle donne era pari al 54% rispetto a quello degli uomini nel 1970, nei venti anni successivi esso è cresciuto fino a raggiungere il 74% nel 1990; e sempre in questo stesso periodo anche l'iscrizione femminile nella scuola primaria e secondaria rispetto a quella maschile è aumentata, passando dal 67% all'86%; questi miglioramenti sono stati rilevati anche per le iscrizioni all'istruzione superiore e terziaria (università, scuole di specializzazione e professionali superiori).
Ma dallo stesso Rapporto emerge che le disparità di genere sono comunque lontane dall'essere superate, essendo queste disuguaglianze le più radicate e presenti all'interno delle singole nazioni e fra le nazioni stesse. I dati della sola istruzione, per esempio, evidenziano che le donne rappresentano la parte più ampia della popolazione analfabeta, attestandosi nell'ordine del 60% in più rispetto agli uomini ed il rapporto fra le iscrizioni femminili e quelle maschili al primo livello scolastico è del 13% più basso del rapporto maschile. Da ricordare che i più rilevanti progressi sono stati raggiunti nel decennio 1980 - 1990 ed hanno riguardato gli investimenti nella sanità e nell'istruzione, mentre la situazione più preoccupante si riscontra nel divario riguardante le opportunità politiche ed economiche. Questi dati sono più comprensibili se prendiamo ad esempio in esame il caso del Benin, dove le bambine sono mandate più frequentemente a badare agli animali al pascolo, piuttosto che a scuola; stessa situazione si ritrova in Somalia, Etiopia, Eritrea.
Negli anni Novanta si è imposto il concetto di genere che ha sostituito la precedente idea di sesso. Il termine "gender" si riferisce ad attributi, ruoli, attività, responsabilità e bisogni connessi all'essere maschio o femmina in una determinata società, ed in un momento storico, mentre il sesso è legato all'universale differenza biologica tra uomo e donna. Il genere è anche una delle variabili che spiegano la distribuzione di privilegi, prestigio, potere e risorse sociali. Questa identità viene appresa durante il processo di socializzazione di un membro di una comunità ed influisce in modo decisivo su come tutte le persone siano percepite e sulle aspettative nei loro confronti. Tutte le relazioni umane possono essere definite RELAZIONI DI GENERE. Esse si riflettono, principalmente, sulla divisione sessuale del lavoro, intesa come una distribuzione di impegni e responsabilità basata sul sesso esistente in tutte le società.
La tradizionale divisione del lavoro vede la donna impiegata per i servizi che vengono svolti in casa e nella sfera riproduttiva. Del resto, questa differenza non si fonda solo sulla diversità biologica, come dimostrato ampiamente in altre società, dove questa differenza è stata utilizzata per affidare alle donne altri compiti. Esse si sono, infatti, occupate anche dell'educazione della prole, della preparazione della cucina e della conservazione dei cibi, attività che rientrano nella categoria più generale di "riproduzione sociale". Questa funzione riproduttiva è ignorata nell'analisi economica che invece vede solo il dato che riguarda la produzione dei beni e servizi da scambiare sul mercato per ottenere un guadagno. Il compito affidato alle donne nella sfera riproduttiva rappresenta, però, una precondizione essenziale allo sviluppo economico. Questa interdipendenza risulta evidente nelle situazioni di crisi che colpiscono il sistema sociale e produttivo, che hanno delle ricadute sul livello macroeconomico dirette soprattutto verso il piano della crescita quantitativa, poiché vanno ad intaccare l'efficienza della forza lavoro presente e futura.
Le due sfere dunque - riproduttiva e produttiva -, delineano due momenti specifici ma fortemente complementari e costituiscono i cardini della sussistenza e dello sviluppo di qualsiasi sistema sociale ed economico Così come hanno messo in evidenza diversi teorici e teoriche marxiste, da Lenin, passando per Clara Zetkin ed Aleksandra Kollontaj, a partire dalla classica elaborazione di Engels (1884) ma anche dalle elaborazioni liberali di Harriet Taylor e John Stuart Mill (1869). Rispetto a questa correlazione produzione/riproduzione, l'analisi femminista e/o marxista di alcune ricercatrici contemporanee, Delphy, Leonard, Jonasdottir, Bell Hooks Filosa, Vantaggiato e Borderías, ha messo in evidenza come il concetto di produzione, tipico della fabbrica, abbia sostituito quello di ri-produzione legato al fattore biologico del corpo femminile, in quanto come aveva già evidenziato Engels, la separazione delle attività umane in produzione e riproduzione non è affatto naturale, ma è costruita dal modo di produzione capitalista ed è ad esso necessaria.
La nuova divisione internazionale del lavoro rende non ulteriormente procrastinabile l'analisi sul ruolo che le donne occupano all'interno di questa nuova forma di lavoro. Per questo, <"collocare" le donne nei processi che caratterizzano la globalizzazione non è, ovviamente un operazione fine a se stessa>, come afferma anche Sara Ongaro in "Donne e globalizzazione" (2001, p.4), . Dunque, porre le donne al centro dello sviluppo, cercando di riequilibrare la situazione attuale, assume un grande valore in sé. Inoltre, proprio per il fondamentale ruolo che le donne ricoprono nei paesi emergenti, investire nelle loro capacità è il modo più sicuro per contribuire alla crescita economica ed allo sviluppo di tutti e tutte. E su questo punto si trovano tutti d'accordo : Paesi in via di sviluppo, Agenzie internazionali, Organizzazioni non governative, Aidos, Banca Mondiale e Fondo monetario, ma anche le stesse donne coinvolte attivamente nei progetti.
Questa concordanza nello scegliere le donne come soggetti principali delle forme di microfinanziamento è dovuto, per la stessa ammissione delle Banche di credito (la "Green Bank" ad esempio), al fatto che le donne tendono a progettare nei lunghi periodi, e se chiedono un prestito lo restituiscono per chiederne altri da investire di nuovo. Mente gli uomini spendono tutto e subito senza investire concretamente il denaro ottenuto. Per questo il prestito femminile è anche una garanzia di guadagno ed aumento di profitti per la Banca che li ha concessi, che si avverano due volte : nella restituzione entro il tempo stabilito e nella richiesta di ulteriori finanziamenti o capitalizzazioni delle Cooperative femminili. Questa operazione "giustifica" anche le ipotesi di alcuni economisti furbi che hanno puntato molto sulle attività di cura e ri-produzione delle donne africane, facendole rientrare nel cosiddetto "settore informale", vedendolo esclusivamente come generica economia, invece noi sappiamo che tutte le mansioni di cura rientrano in uno specifico capitolo dell'economia generalizzata che in Africa fa si che le donne gestiscano direttamente, data l'assenza di politiche sociali pianificate, le cure ai figli, mariti ed anziani suddividendo il proprio compito, molto spesso, con le altre mogli o donne della famiglia allargata : succede in Africa, ma anche in Perù o nel Bangladesh.

Il ruolo produttivo della donna in alcuni villaggi del Senegal.

Nella realtà senegalese, quotidianamente la donna assume su di sé tutta una serie di compiti che vanno dai consueti lavori domestici, incentrati soprattutto sulla preparazione del cibo, al lavoro domestico che comprende anche il rifornimento dell'acqua e la pestatura dei cereali necessari a tutta la famiglia. Essendo in vigore il matrimonio poligamico, le varie mogli, organizzate fra loro, si alternano alla cucina e alle altre mansioni per trovare così un po' di tempo libero; infatti le ore lavorative per chi vive nelle zone rurali possono arrivare fino a18. La pestatura del miglio o del riso è fatta a mano, perché spesso il marito trova uno spreco di tempo l'andare al mulino perché parte del miglio potrebbe andare perduto. Ma anche la raccolta della legna e la corvée per l'acqua comporta fatica, in quanto la donna senegalese deve percorrere diversi chilometri a piedi o con il carretto. Questi lavori sono appesantiti sia dall'ambiente naturale che dalla collocazione di alcuni villaggi, in particolare quelli di Ndiafé Ndiafé, Sokone o Mama Keur Lamina, situati in una zona abbastanza impervia. Anche in questo caso la possibilità di utilizzare macchinari per la macina dipende dal "consenso" del marito, in quanto è lui a pagare.
In particolare la corvée per la legna non sempre vede la partecipazione dl marito perché questo rifornimento è considerato degradante : è il caso del villaggio di Ndiafé Ndiafé, fondato dall'etnia Serer. La provvista d'acqua è sostanzialmente più faticosa di tutti gli altri lavori e viene fatta da più donne insieme per alleviare lo sforzo di estrarla con i secchi dai pozzi a carrucola.
L'economia di questi villaggi senegalesi è prettamente agraria, si basa sulla raccolta e sulla lavorazione di diversi prodotti : miglio, riso ed arachidi. Con l'introduzione dei moderni macchinari anche l'ambiente rurale si sta trasformando, permettendo alle donne di partecipare non solo alla raccolta ma soprattutto alla diretta gestione di questo settore. Il costante sviluppo della realtà di questi villaggi è strettamente collegato alle zone urbanizzate, dove le donne sono impiegate in scambi di oggetti manufatti e vendita delle arachidi percependo una remunerazione economica e non altri prodotti alimentari o di uso comune. Con l'introduzione di alcuni macchinari all'interno delle faccende domestiche, le donne nel loro tempo libero sono costrette, per pareggiare le spese, a dedicarsi ad attività di trasformazione dei prodotti (arachidi, miglio, lavorazione dei cesti) che vengono venduti nei piccoli mercati itineranti. Molte di queste senegalesi si occupano di orticoltura, i cui prodotti vengono venduti anche nelle zone urbane. In città invece i prodotti più remunerativi sono le bevande alcoliche ed il commercio dei legumi.
L'agricoltura di questi villaggi si è modificata con l'introduzione dei carri a trazione animale, che però sono di proprietà degli uomini, ciò nonostante questi metodi moderni di coltivazione della terra, se escludono le donne da un inquadramento teorico, le obbligano a svolgere delle attività supplementari nella stagione secca (cioè, in assenza delle piogge). Le donne costruiscono così degli orti personali che curano, vendendone i prodotti e cercando di sfruttarlo al massimo, utilizzando i moderni fertilizzanti e le sementi selezionate. La necessità di servirsi di determinati macchinari agricoli, spinge le donne ad aderire alle Cooperative ed a ricevere un inquadramento formativo più tecnico. La necessità di collegarsi sempre di più all'economia monetaristica, spinge le senegalesi di questi villaggi a preferire le colture più commercializzabili, spezzando così l'equilibrio preesistente. Questa situazione ha modificato anche il ruolo della donna, che partecipava attivamente all'economia di sussistenza, lavorando nei campi di proprietà dei familiari, facendosi anche interamente carico di coltivare e conservare diverse piante particolari.
Il passaggio dall'agricoltura per uso alimentare a quella meccanizzata ha comportato, per la donna, la possibilità di vedersi assegnata una parcella di terreno da coltivare dal marito, ma per utilizzare i macchinari necessari per la semina o il dissotterramento delle arachidi, essa dipende interamente dai familiari. Questa situazione fa sì che esse non prendano iniziative autonome e si attengano alle decisioni degli uomini, essendo anche sottoposte ad una serie di vincoli sociali ed amministrativi che non concedono loro né la libertà di movimento e né la possibilità di ereditare i beni familiari. In Senegal, quando le donne ereditano le risaie della madre, devono lasciarle ai fratelli o agli zii, quando si sposano. Questo comporta per loro l'impossibilità di decidere pienamente su come impiegare i propri terreni. Sono escluse dalla diretta partecipazione alla contrattazione e vendita dei prodotti inviati alle Cooperative : anche questo spetta all'uomo. Nonostante questa situazione, alcune donne, alla fine degli anni Settanta, si sono organizzate ed hanno coltivato insieme i campi di arachidi, devolvendo il ricavato alla loro Associazione femminile. Le altre attività in cui viene impiegata la donna senegalese riguardano la produzione, la trasformazione e commercializzazione dei beni, sia del settore primario che secondario.
Tutte queste attività sono diversificate e variano dalla campagna alla città o in funzione del luogo geografico dove esse vengono svolte. Tra le varie occupazioni tradizionali rientra la raccolta selvatica che comprende alcuni tipi di alberi da frutto, che crescono in zone impervie, ma che sono coltivate - in via sperimentale - come l'accagiù, a Sokone. Mentre le altre mansioni (a carattere integrativo) sono costituite dai vari processi di trasformazione, vendita di latte cagliato e del couscous di miglio; a cui si aggiungono altre piccole occupazioni nella stagione secca.
In particolare nel villaggio Ndiafé Ndiafé si preparano e si vendono bigné, si macina la farina di miglio e di arachidi, si prepara il tabacco in polvere, commercializzato al dettaglio. Altre combinazioni sonno curate da alcune etnie come la vendita del latte fresco e cagliato, propria delle mogli dei pastori Peul; essiccazione del pesce, raccolta e preparazione delle conchiglie per la vendita sono invece compiti riservati alle spose dei pescatori niominka. Alcuni servizi che si prestavano gratuitamente o in cambio di altri ricevuti, come il taglio dei capelli o il lavaggio della biancheria, oggi costituiscono una piccola fonte di reddito, poiché ad essi si corrisponde un compenso in denaro (la moneta è il franco FCFA).
Molte donne sia in campagna che nei centri urbani sono impiegate nel terziario, nonostante le ampie possibilità di perdita e rischio di questo settore. Per la popolazione rurale la vendita al dettaglio è un ripiego e le merci vendute non sono molto diversificate. Ogni commercio varia da una venditrice all'altra e può essere stagionale, anche a seconda dei prodotti venduti; solo le noci, lo zucchero ed il petrolio sono smerciati per tutto l'anno. Questo settore prospera nel villaggio di Niafé Ndiafé sia per l'assenza dei negozi che per la vicinanza al centro urbano di Sokone.
In città invece i luoghi dove le merci sono venduti, oltre ai negozi e mercati, a domicilio e presso le scuole, i dispensari e le stazioni dei taxi. Alcune attività commerciali si stanno velocemente affiancando a quelle tradizionali, come la vendita del vino di palma gestita dalla popolazione della Casamance. Anche l'allevamento del bestiame costituisce una sorta di "rendita bancaria", anche gli animali allevati sono differenti per l'uomo e per la donna. Quest'ultima si occupa di ovini, caprini e polli; qualche volte con la dote può disporre di bovini. Questi stessi animali possono essere venduti o acquistati in diverse transazioni. Asini e buoi sono rari perché molto costosi.
Concludendo questo articolo aggiungiamo che quanto detto sull'analisi di genere del ruolo produttivo della donna non è affatto esaustivo, anzi necessita di un ulteriore approfondimento proprio per l'importanza della questione e per la velocità di trasformazione dei rapporti di mercato e delle contraddizioni interne al capitale che rende evidente anche le possibilità, per le donne, di essere protagoniste e non solo passive ricettrici di aiuti umanitari e sanitari.