Africa fuori dalla storia?

E' più facile spezzare l'atomo che il pregiudizio. Così si esprimeva Albert Einstein. E non gli si può dare torto, anche quando più che con i pregiudizi veri e propri si abbia a che fare con i luoghi comuni. Si pensi a quelli che riguardano l'Africa. Si dice che essa si colloca ormai al di fuori dalla storia, non essendo interessata dai benefici della globalizzazione capitalistica.
Di più: si sostiene che l'occidente si disinteressi del destino di un continente alla deriva, dilaniato dalle guerre e dalla diffusione dell'Aids.
Ma è proprio così?
A nostro avviso, nessun paese, nessun continente può dirsi fuori, in questo momento storico, dal mercato mondiale. Certo, vi può giocare un ruolo preminente o meno, ma questo è un altro problema! Ed è pure strano che la questione del disinteresse verso l'Africa si ponga proprio adesso, nel momento in cui l'occidente -se proprio vogliamo chiamare così il consesso dei paesi e dei poli capitalistici più forti- intensifica il suo impegno in quel continente sia sul piano economico che su quelli politici e militari.
I soldati francesi non sono forse intervenuti in Costa d'Avorio, dapprima sostenendo di ingerire nelle vicende di quel paese solo per difendervi i propri connazionali, poi arrivando addirittura a "suggerire" nuovi esecutivi, in grado si superare la crisi?
E gli States non guardano forse ai paesi africani produttori di petrolio per risolvere i propri problemi energetici, dal momento che questi paesi -non appartenendo all'Opec- non possono costituire una forza che contratta i prezzi dell'oro nero? E' ovvio, i casi che stiamo citando a tutto rimandano fuorchè ad un protagonismo africano nello scenario mondiale. Ma ad esso -sul breve termine- non crede nemmeno quel Gheddafi che tanto si sta impegnando per dar vita ad una Unione Africana costruita a partire dal modello europeo.
Il punto, però, è un altro. Dando l'idea di un'Africa isolata dal consesso delle nazioni, se ne fanno risalire i mali non più alle pesanti eredità del colonialismo ed agli effetti devastanti dell'attuale imperialismo, bensì alla assenza dei paesi a capitalismo avanzato. E naturalmente al "ritardo" nello sviluppo capitalistico. In sostanza si incita ad intervenire di più in un continente ricco di manodopera come di materie prime. Per risolverne i problemi, si dice, anche se è una ipotesi che trova la sua smentita non appena si getti uno sguardo anche superficiale sulla realtà africana e su come si muove, in essa, il cosiddetto occidente. Per fare un esempio: la Shell, la compagnia petrolifera anglo-olandese che sfrutta le risorse della Nigeria, è forse estranea alle tragiche vicende politiche che segnano da anni il vissuto di quel paese?
La realtà è che la retorica sull'Occidente che deve intervenire ha precise finalità. Serve a giustificare una più esplicita politica imperialistica. Il tutto in uno scenario effettivamente segnato da un conflitto -sempre meno latente- tra poli economici. Non dimentichiamo che sulla nostra stampa si arriva a leggere che se gli States, presi da altri scenari, se ne infischiano dell'Africa, di essa dobbiamo occuparci noi europei. Come a dire che siamo noi a dover anticipare tutti e non solo per accaparrarci le risorse di quel continente, ma anche per fare in modo che i nostri capitali in eccedenza trovino lì il modo di essere investiti prima di quelli americani. E' per questo che si ritorna, nella retorica sull'Africa, molto indietro, tirando fuori un discorso dal sapore schiettamente colonialista.
L'Africa ha bisogno di noi, le abbiamo arrecato qualche danno in passato con gli eccessi del nostro colonialismo, ma senza di noi è votata al suicidio, in balia dei conflitti tra etnie e di quei tentativi golpisti quotidiani che finiscono per riguardare tutti i suoi Stati…Non sentiamo usare questi argomenti di continuo? Certo, tali discorsi possono esser portati avanti anche in virtù di difficoltà reali, generate dalle effettive conseguenze dei fallimenti della decolonizzazione. Incide insomma il fatto che raramente i processi di liberazione dalle potenze europee hanno avuto un esito felice.
Ma l'indagine critica di queste esperienze non può portare al tentativo di far "girare indietro la ruota della storia". Non può far riemergere, come se nulla fosse, teorizzazioni che la critica dell'economia politica di derivazione marxiana aveva già consegnato al robivecchi come esempi dell'infimo livello raggiunto da una scienza all'immediato servizio del capitale.
Ci riferiamo, qui, alle teorie di Rostow. Quelle relative agli stadi di sviluppo del capitalismo, ad una idea lineare dello stesso. Partendo da simili elaborazioni, si può giungere alla conclusione che l'Africa si collochi ad uno stadio precedente al nostro e che debba ripercorrere le tappe che noi abbiamo felicemente superato. Bene, tali teorizzazioni sono state già smontate dalla scuola marxista americana della "Monthly Review", la quale ha ricordato come il "sottosviluppo" di alcuni paesi sia la condizione dello "sviluppo" di altri e non l'effetto di un presunto ritardo nell'avanzare del capitalismo nelle aree cosiddette arretrate.
Ma quel che è stato fatto uscire dalla porta principale a seguito della vittoria teorica di un gruppo di economisti legati ad una prospettiva anticapitalista, viene ora fatto rientrare dalla finestra. Così, come si accennava prima, l'Africa, nei discorsi svolti sui nostri media, risulta collocarsi addirittura al di fuori del mercato mondiale. La sua povertà, quindi, sarebbe causata da questa esternità e non dalla posizione subordinata che essa occupa nel mercato mondiale stesso. Di più, la condizione di miseria in cui versa quel continente non dipenderebbe dal fatto che il capitalismo vi è sempre intervenuto sfruttandone le risorse al servizio delle multinazionali dei paesi "sviluppati". Nè dagli effetti di quella divisione internazionale del lavoro che assegna a certe aree dei compiti produttivi (nel campo industriale ma soprattutto in quello agricolo), che non corrispondono alle necessità locali, ai bisogni delle comunità. Secondo lorsignori, in sostanza, il problema è un altro, il problema è che il capitalismo in Africa non sarebbe mai arrivato. Lo dicono quotidianamente. Non hanno, come Rostow nei primi anni '60, il coraggio di teorizzarci sopra, ma lo dicono. E noi? Noi non controbattiamo. Facciamo campagne sul debito, sui mali della cosiddetta globalizzazione ma non aggrediamo i nodi di fondo. Non demistifichiamo, non spezziamo nè il pregiudizio nè il luogo comune.
E' troppo ambizioso dire che a partire da "Junius Brutus" numero 5 si svilupperà la controffensiva rispetto alle falsificazioni operate dai media sulla realtà africana. Ma qualche elemento di riflessione lo vorremmo suggerire. Non foss'altro che per discuterne.
Anche perchè, paradossalmente, di quest'Africa di cui si presume l'esser "fuori dalla storia" ne parlano tutti. Tranne, ma guarda un po', chi si batte o pretende di battersi per superare l'esistente, tranne il movimento.