Gheddafi: quando l'uomo venuto dal deserto vuole l'unità africana.

Diavolo d'un Gheddafi, dopo anni passati nell'ombra ritorna a far sentire la sua voce. Il suo attuale progetto, poi, appare molto chiaro: egli ha intenzione di conquistare un ruolo forte nello scenario internazionale. Per farlo, l'ex nemico numero uno dell'occidente sta adottando una strategia inedita, ponendo al centro dei suoi interessi non più il mondo arabo, bensì quel continente africano ch'egli vorrebbe unito.
Di recente, infatti, la Libia ha addirittura affermato di voler fuoriuscire da una Lega Araba in cui esercita un peso sempre minore. Tale esternazione si colloca in un contesto particolare per la politica estera libica. Un contesto segnato, appunto, dallo sforzo di dare effettualità alla Unione Africana e di crearsi una nuova immagine. In effetti, la Libia non è più percepita esclusivamente come luogo del dispotismo, come paese retto da un tiranno che non si nega nessuna efferatezza nei confronti dei suoi oppositori. In molti, infatti, nelle diplomazie anche dei paesi a capitalismo avanzato accreditano Gheddafi come leader moderato, con un passato non esente da macchie ma in grado di riscattarsi attraverso una politica realistica, di costruzione di buoni rapporti con le grandi potenze e di promozione di uno sforzo per rilanciare l'Africa.
Tant'è che nel mese di gennaio del 2003 si è consumato, in fondo con una eco mediatica inferiore alle aspettative, un evento sorprendente, impensabile fino a pochi anni fa. La Libia è diventata presidente della Commissione ONU sui diritti umani, su spinta dei paesi africani, ma senza troppe obiezioni. Invero, l'accadimento in questione non solo non ha ricevuto la dovuta attenzione, ma ha destato assai poco scandalo. In Italia, poche sono state le voci critiche e tra queste va segnalata quella di Gianni Riotta, che sul "Corriere della Sera" del 20 gennaio 2003 -lo stesso giorno in cui si è verificata la consacrazione della Libia quale paladina dei diritti umani- ha pubblicato un articolo fortemente polemico (Il ruolo dell'ONU, la sua credibilità).
Ha scritto Riotta: "L'ONU è garante dell'equilibrio, ma se la sua idea di tolleranza globale finisce ostaggio della ferocia repressiva di Gheddafi, sarà una sconfitta per chi langue senza diritti umani. L'Unione Europea farebbe bene a rinunciare ad una frigida realpolitik per impugnare, senza ipocrisie, la sua antica tradizione di libertà": L'Unione Europea, nell'ottica del noto giornalista, doveva quindi assumere sulla questione una posizione prossima a quella sostenuta dagli States, secondo la linea per cui continuerebbe ad essere necessaria una cooperazione alla pari, e sulla base degli stessi principi, tra USA ed Europa. Una linea che il "Corriere della Sera" cerca peraltro di conciliare con una critica anche molto dura nei confronti della dottrina della "guerra preventiva".
Ma il proposito di sviluppare una posizione concorde con il colosso americano almeno sulla questione Gheddafi, si è scontrato con la realtà dei fatti, con il credito guadagnato dal Colonnello sulla scena mondiale negli ultimi anni. D'altra parte, se si pensa al contesto italiano, la consacrazione della attuale politica del colonnello Gheddafi viene da lontano e coinvolge anche settori interni al movimento no global (o new global che dir si voglia), nonché storici affermati. Di chi stiamo parlando?
Della rivista dei missionari comboniani "Nigrizia" e di uno studioso dagli indiscutibili meriti come Angelo Del Boca. Della prima si può sottolineare il legame forte con la rete Lilliput, che del resto ha nella figura carismatica di Alex Zanotelli un sicuro punto di riferimento. Del secondo si può sottolineare il principale motivo di grandezza: l'aver ricordato, in tempi di generosa revisione della vicenda del colonialismo italiano, che esso ha avuto effetti devastanti sui paesi che ne sono stati colpiti.
In tal senso, si pensi alla critica puntuale che Del Boca ha rivolto a quel Montanelli che, fino a poco tempo prima della morte, ha negato l'uso di gas tossici da parte delle forze armate italiane durante la guerra d'Etiopia. Indubbiamente, l'argomentare di Del Boca rispetto a quell'episodio storico è risultato assai persuasivo, portando il nostro ad una importante vittoria nei confronti di un intellettuale celebrato ma tutto sommato mediocre come l'Indro nazionale. Tuttavia, i meriti di un passato anche recente, sia pure di non poco conto, non possono illuminare tutta la produzione successiva di uno storico, non possono rendere convincente ciò che Del Boca scrive da qualche anno a questa parte su Gheddafi.
Si pensi ad un articolo ("L'uomo venuto dal deserto") pubblicato su "Nigrizia" dell'aprile del 1998. In esso Del Boca mette in discussione l'immagine del leader libico fino ad allora dominante. Così scrive Del Boca: "Gheddafi merita questo ritratto impietoso? Sono tutte vere le accuse che l'Occidente e, in modo particolare, il governo degli Stati Uniti gli rivolgono? Va detto, anzitutto, che la demonizzazione di Gheddafi, costruita in gran parte dalla Central Intelligence Agency, come ha documentato ampiamente Bob Woodward, è un'operazione squisitamente politica, tesa non soltanto a screditare il leader libico, ma anche a renderlo inquieto, insicuro, vulnerabile".
Per smentire certe ricostruzioni dell'attività del leader libico (ritenuto mandante di sanguinosi attentati) Del Boca ricorda che: "(...) negli ultimi anni, insieme ad altre autocritiche, Gheddafi ha riconosciuto di aver commesso qualche errore di valutazione". E la buona fede del Colonnello venuto dal deserto sarebbe testimoniata da queste parole: "'Abbiamo appoggiato alcuni di questi gruppi (terroristici) senza esaminare meticolosamente i loro obiettivi e il loro ruolo. Ma quando abbiamo scoperto che questi gruppi causavano più male che bene alla causa araba, allora abbiamo sospeso del tutto il nostro appoggio. Lasciate che vi dica francamente che dirottare aerei e uccidere civili sono crimini che non hanno nulla a che vedere con la nostra lotta'".
Certo lo storico non dimentica le pagine nere della attività del Colonnello, da quando -nel 1969- giunse al potere. Anzi, Del Boca ritorna sulla guerra con il Ciad (durata 21 anni) e sul contrasto con il "moderato" Egitto, senza omettere l'intervento scellerato nei paesi vicini (si pensi al tentativo di far crollare il regime di Bourghiba in Tunisia nel gennaio dell'80).
Ma queste ombre -che del resto non potrebbero spingere a giudicare Gheddafi peggiore di alcuni dittatori dai buoni rapporti con gli USA- non possono, ad avviso di Del Boca, far venir meno il dato positivo legato al nuovo ruolo che la Libia cerca di assolvere. Soprattutto, non possono far dimenticare che Gheddafi ha ridato la dignità al suo popolo. "In realtà la Libia di oggi" sottolinea ancora Del Boca "non è più la libia che Gheddafi aveva ereditato da re Idris. Ai tempi della monarchia la Libia non godeva che di una sovranità limitata, era sfruttata e derubata dalle compagnie petrolifere, era umiliata dalla presenza di numerose basi militari americane e britanniche. Con l'arrivo di Gheddafi al potere lo scenario libico cambia totalmente".
Fin qui l'articolo in questione, che peraltro necessita di esser meglio contestualizzato. A tal fine occorre ricordare due cose: la prima è che nel numero di "Nigrizia" ove esso compariva vi era un intero dossier sulla Libia, nonchè un editoriale dove la redazione accreditava la svolta di Tripoli; la seconda è che - nello stesso anno - Del Boca sfornava un volume su Gheddafi. Ma ciò che ci preme di sottolineare, è che certe posizioni testimoniano del fatto che in Italia la spinta a rivalutare il colonnello ha avuto più forza che altrove. Ciò non dovrebbe stupire: gli affari con la Libia l'Italia li ha sempre fatti "ma non con la sdoganatura di D'Alema, primo presidente del Consiglio italiano ed europeo a recarsi a Tripoli nel 1999 dopo la fine dell'embargo, hanno ripreso fiato, anzi gas. L'ENI ha firmato infatti un contratto per la realizzazione del gasdotto Libia-Sicilia, oggi in fase di ultimazione; aumenterà così la fornitura di gas (oggi pari al 25%)". Di conseguenza "L'Italia è certa di restare, per il momento, il primo partner commerciale della Libia"(Luciano Ardesi, "Sorrisi e chiacchiere", "Nigrizia", dicembre 2002). Ma anche da noi, come nel resto del mondo capitalistico avanzato, non mancano le riserve su Gheddafi. E provengono anche da una cospicua fetta dell'universo missionario, attraversata da spinte diverse da quelle che contraddistinguono i Comboniani di "Nigrizia".
"Mondo e missione", ad esempio, ricorda il ruolo della Libia nella crisi attuale della Costa d'Avorio, richiamato del resto da gran parte della stampa internazionale ed effettivamente sottaciuto da "Nigrizia". E lo fa attraverso una testimonianza raccolta dal corrispondente Rodolfo Casadei: "Il mondo deve sapere -ci tiene a dire Andrè, un riparatore di pneumatici- che Gheddafi sta destabilizzando la Costa d'Avorio con l'aiuto dei suoi amici Campaorè (...) e Ouattara (l'ex primo ministro ivoriano rivale di tutti i successori di Houphouet Boigny, escluso dalle competizioni elettorali perchè burkinabè di nascita).I giovani che vanno a combattere ricevono 5000 franchi cfa (...) al giorno, quando la paga di un operaio è di mille. Da dove, se non dalla Libia, arrivano tutti questi soldi?" (Rodolfo Casadei, "Miracolo ad Abidjan, una favola finita male", "Mondo e Missione", novembre 2002).
Quindi "Mondo e Missione" punta l'indice contro Gheddafi (ed anche contro Campaorè, leader del Burkina Faso, cioè di un paese che ha stretti rapporti con Tripoli). Ciò in un articolo in cui si rivendica la gestione della Costa d'Avorio effettuata da quell'Huphuet-Boigny che non recise mai i legami con la potenza ex colonizzatrice, la Francia. E questo apprezzamento per il "padre" della Costa d'Avorio amico dell'occidente, è un primo elemento per collocare la presa di posizione anti Gheddafi, al di là del fatto che essa prenda a pretesto il concreto atteggiamento della Libia rispetto alla situazione ivoriana. Un altro elemento da considerare, per valutare la linea anti-Gheddafi di"Mondo e Missione", è il fatto che Rodolfo Casadei, autore dell'articolo citato, risulti firmatario anche di pezzi su "Tempi", settimanale de "Il Giornale". E proprio su "Tempi", Casadei esplode nel più duro atto d'accusa nei confronti di Gheddafi che ci sia capitato di leggere negli ultimi anni.
Casadei ricorda che: "(...) come ieri, come sempre, il colonnello rivoluzionario vuole diventare -per amore o per forza, con le buone o con le cattive- il condottiero di una moltitudine di popoli. E siccome gli arabi da trent'anni lo snobbano, ha deciso di diventare il signore degli Stati Uniti d'Africa" (R. Casadei, "Riecco Gheddafi l'Africano", "Tempi" numero 44, 2002).
In sostanza, semplifica Casadei, Gheddafi si batterebbe per l'Unità africana al solo fine di guidarla, di diventare presidente di una eventuale Unione più o meno sul modello europeo. E per suffragare questa sua tesi rozza ma non infondata, Casadei cita le molteplici malefatte di Gheddafi in Africa, effettivamente non meno rilevanti di quelle compiute dal colonnello quando voleva promuovere una maggiore unità tra gli Stati arabi. Si pensi non solo al fatto che la Libia rifornisce di armi i ribelli in Costa d'Avorio, ma anche al sostegno che Tripoli ha in passato fornito a quell'armata di tagliagole che è il RUF, il fronte coinvolto nella guerra per i diamanti che ha funestato per anni la Sierra Leone.
Ma nel demonizzare Gheddafi Casadei torna anche indietro: "(...) le figuracce africane peggiori Gheddafi le ha raccolte in Uganda nel 1979, dove inviò le truppe a difendere l'agonia del regime di Idi Amin, e in Ciad, dove nel 1994 dovette evacuare la striscia di Aouzou al confine, occupata per vent'anni dalle sue forze. Ma quelli erano i tempi della guerra fredda, quando l'Africa nera era presidiata da francesi, sovietici e americani, e il disegno gheddafiano non aveva alcuna possibilità di realizzarsi. (...) con l'Africa abbandonata a se stessa il colonnello spera una nuova primavera. L'Unione Africana che nel luglio scorso ha sostituito la vecchia Organizzazione per l'Unità Africana (Oua) è soprattutto un parto della sua mente: fu lui a proporla al vertice Oua della Sirte del settembre '99. Nella sua visione, dovrebbe riunire tutti e 53 gli Stati del continente sotto un unico presidente".
Bene, con Casadei abbiamo visto da vicino l'altra faccia della medaglia, il lato oscuro del colonnello libico, rifattosi il look alla scuola del "moderatismo politico". Rimane da capire il perchè di opinioni tanto divergenti in merito alla sua figura ed all'effettivo ruolo della Libia in Africa. E qui si pone con forza la necessità di una precisazione. Nonostante le profonde diversità nell'impianto teorico e culturale, le notevolissime divergenze nella lettura degli accadimenti internazionali che ci allontanano da "Nigrizia", non consideriamo la rivista dei Comboniani alla stregua di "Mondo e Missione". Non stiamo parlando, cioè, di uno scontro simile a quello che in Italia portano avanti centrodestra e centrosinistra per accreditarsi ognuno quale referente politico per la Confindustria.
Le pagine di "Nigrizia" sono sempre state attraversate da un profondo impeto anticolonialista, quelle di "Mondo e Missione" l'imperialismo ed il colonialismo li giustificano o ne negano l'esistenza. La prima rivista è portatrice di un'illusione, la seconda di un consapevole discorso a sostegno di una intensificazione dell'intervento delle potenze capitalistiche in Africa. Per intenderci meglio, svisceriamo anzitutto la seconda posizione. Essa si pone in netta antitesi con quanto sosteniamo in questo numero di "Junius Brutus", tanto da poter esser considerata il nostro primo obiettivo polemico.
Lo confermano gli articoli di Casadei citati -anche quando pubblicati su altri organi di stampa. Essi sono portatori di un discorso che non è solo alieno da simpatie verso il movimento noglobal (o new global), ma ritiene l'attuale situazione mondiale, con la crescente internazionalizzazione dei capitali che la contraddistingue, come foriera di effetti positivi per l'Africa e per i "paesi in via di sviluppo" in generale Di più, rispetto al continente africano "Mondo e missione" evidenzia non l'eccesso di presenza, non la prepotenza degli imperialismi francese e americano, bensì la presunta timidezza del loro intervento.
"Mondo e Missione" invita l'occidente a fare di più, quindi, quali che siano gli effetti sociali di una eventuale recrudescenza imperialistica. D'altra parte, a mitigare le drammatiche conseguenze dell'agire delle multinazionali e delle potenze capitalistiche ci penserebbero le missioni sparse in tutta l'Africa E' in questa ottica, dunque, che si collocano le critiche poc'anzi riportate nei confronti del colonnello Gheddafi. Se quest'ultimo acquisisse ulteriore potere in Africa, infatti, potrebbe arrivare a porre un argine al libero agire dei principali poli politico-economici.
Un argine, certo, non legato ad una prospettiva antimperialista ma agli interessi di un leader continentale che allo sfruttamento della manodopera e delle risorse africane pone un prezzo. Un prezzo magari neanche alto, dati i rapporti di forza, ma pur sempre un prezzo, che Francia, Usa e altri paesi preferirebbero non pagare. Questa, quindi, è la sostanza del violento attacco alla Libia che viene portato avanti dal settore dell'universo missionario che ha in Piero Gheddo la sua figura di riferimento e in "Mondo e missione" il suo principale organo di stampa. Ma anche di fronte ad una posizione così infame, non possiamo fare a meno di criticare i missionari di "Nigrizia" ed uno storico di valore come Angelo Del Boca.
Perchè è nostro compito non accreditare nessuna illusione. E' vero, "Nigrizia" non è portatrice di quella visione per cui le missioni debbono solo alleviare le pene inflitte dal capitalismo e le testimonianze di Zanotelli dall'inferno di Korogocho (in Kenya) costituiscono una delle più vibranti denunce contro il modo di produzione che domina nel pianeta. Ma l'opzione filo-Gheddafi non la condividiamo. Essa, maturata quando l'ipotesi della Unione Africana non era ancora all'ordine del giorno, muoveva da una precisa speranza: quella della affermazione in Africa di leader equilibrati e non servili rispetto ai paesi "a capitalismo avanzato". Poi, quando si è fatto strada il discorso sulla Unione Africana, con tutte le speranze di un riscatto per il continente che esso portava con sè, le illusioni -sebbene l'atteggiamento di "Nigrizia" al riguardo non sia mai stato acritico- sono aumentate.
L'unità dei paesi africani è l'unica via per impedire che l'Africa rimanga il luogo privilegiato per le razzie delle multinazionali. Ed il fatto che leader come Gheddafi -dopo aver cambiato registro nella politica internazionale- se ne facciano alfieri è positivo. Così la pensano i Comboniani ed altri. E magari un fondo di verità in queste posizioni c'è, soprattutto rispetto agli effetti di una possibile unità degli africani.
Ma le corresponsabilità della Libia in tragedie come quelle della Sierra Leone e della Costa d'Avorio gettano un'ombra sul ruolo che Gheddafi intende avere in Africa. Il lupo perde il pelo ma non il vizio: le prassi di sempre la Libia non le ha abbandonate, semmai si presenta diversamente sulla scena internazionale. Il suo obiettivo è di diventare forza egemone in Africa con ogni mezzo necessario, anche destabilizzando paesi o intere aree. Diventare, insomma, una potenza che eserciti un proprio autonomo imperialismo e che possa, sin da subito, porsi su un piano di parità rispetto a Francia e Usa.
Quanto sia attuabile questo progetto è difficile dirlo al momento, ma è certo che le masse di molti paesi africani già stanno pagando il tentativo libico di realizzarlo.