Hakuna Matata (Non c'è problema ragazzi!)

Il titolo di questo articolo è volutamente ironico, ed intende rispondere ad alcune affermazioni sul fatto che sarebbe bene portare non solo il McDonald -l'avvelenatore- nel Continente Nero, ma anche gli alimenti transgenici. Queste dichiarazioni sono infatti comparse qualche mese fa sul "Riformista", giornale della destra DS, destando un certo disgusto e rabbia per l'arroganza razzista manifestata dall'editorialista che sosteneva come il "McDonald fosse sinonimo di pulizia, salute alimentare e civiltà". Era vicino il Vertice sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, ed improvvisamente venivano riportate dai soliti mass - media le notizie sulla difficile situazione alimentare in tutta l'Africa, con particolare riferimento ad alcuni Stati. Quindi, per risolvere questi problemi reali rappresentati dalle carestie e dalla siccità che avanza, gli articolisti di vari quotidiani ritenevano che l'unica soluzione attuabile potesse provenire dagli aiuti alimentari forniti dagli Usa o dalle multinazionali che già avvelenano altre parti del mondo con gli alimenti geneticamente modificati. Sulla stessa linea de "Il Riformista", si poneva, infatti, anche un ampio articolo sulla fame in Africa riportato da "Tempi", settimanale de "Il Giornale", che se la prendeva con i "No Global" e con i Gesuiti, particolarmente contrari alla introduzione - per "causa umanitaria"- degli Ogm nello Zambia (Rodolfo Casadei, Ottobre 2002). Il problema alimentare e lo spettro della fame sono da sempre presenti in Africa ed in questo momento riguardano soprattutto Paesi quali l'Etiopia, l'Eritrea, l'Angola, Il Mozambico, il Malawi, il Sudan, lo Zambia, la Sierra Leone, il Congo e lo Zimbawe, cioè decine di milioni di persone che convivono con la attuale carestia e/o con guerre in corso da molti anni. Guerre fratricide, peraltro alimentate dalle multinazionali delle armi o da quelle petrolifere europee e statunitensi (queste ultime, certo, agiscono in modo poco "appariscente" ma assai incisivo). I due problemi appena ricordati, cioè la guerra e la carestia, non sono forse i soli drammi che attanagliano l'Africa, ma analizzarli da vicino aiuta a capire meglio il vissuto attuale di un continente. Si prenda ad esempio il conflitto in corso in Sudan, che ha spinto -dopo diverse peripezie- la multinazionale svedese, "Lundin Petroleum" ad abbandonare il paese. Nel maggio 2000, infatti, la compagnia in questione è stata costretta a lasciare il pozzo di Thar Jath, in perforazione presso la zona del Nilo, per un attacco dei guerriglieri del "SPLA"; vi è poi ritornata nel marzo del 2001, per poi abbandonarlo per un tempo imprecisato, nel gennaio 2002.
Ora, se c'è chi lascia libero il campo c'è anche chi si muove nell'ottica opposta. Stiamo parlando degli Stati Uniti, del loro ritrovato interesse per l'Africa -già altrove segnalato in questo numero di "Junius Brutus" -. Infatti, gli States, che a suo tempo avevano incluso l'islamico regime sudanese tra gli "Stati-canaglia", hanno deciso di derubricarlo da tale infausto elenco e di mediare tra le fazioni in lotta. C'entra forse qualcosa il petrolio?
Quel che si può dire è che l'intervento occidentale in Africa non solo non è mai disinteressato (questo d'altronde non osano asserirlo nemmeno i pennivendoli de "Il Riformista"), ma non porta nessun miglioramento alle condizioni di vita delle genti del continente più martoriato. Mai come oggi preso dalla morsa della fame.
I numeri parlano da soli : gli Africani che attualmente hanno bisogno di aiuti alimentari sono 6 milioni in Zimbawe, 3,2 milioni in Malawi, 2,3 in Zambia, 515 mila in Mozambico ed oltre 400 mila nel Lesotho, mentre altri 231 mila sono nello Swaziland. Il raccolto del 2001 - 2002 è stato inferiore alla media degli ultimi dieci anni, calcolata sui 22 milioni di tonnellate, raccolti diminuiti a causa della siccità. Attualmente sulla questione della mancanza di alimenti, in Africa si stanno scontrando due diversi soggetti : il PAM (Programma Alimentare Mondiale) diretto da James Morris, che già dal marzo 2002 aveva deciso di distribuire 69 milioni di dollari per acquistare alimenti geneticamente modificati per porre rimedio alla carestia che ha colpito l'Africa meridionale ed alcuni Presidenti dei paesi colpiti. La decisione appena citata ha visto iniziare il braccio di ferro tra il PAM, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ed alcuni Presidenti tra cui quello dello Zaire, Levy Mwanawasa, che rigetta fermamente l'introduzione di grano e miglio geneticamente modificati, appoggiato in questa sua lotta anche dai Gesuiti e dagli ambientalisti. Altri paesi, come Mozambico, Malawi e Zimbawe, invece hanno deciso di accettare, con precisi limiti, gli aiuti alimentari statunitensi. Infatti, gli Stati Uniti devono macinare i semi di grano, miglio e mais, al fine di evitare contaminazioni delle piantagioni coltivate tradizionalmente, aumentando così i costi di produzione. Su queste basi, Morris, attuale direttore del Pam è riuscito a raggiungere un accordo con Mugabe presidente dello Zimbabwe, il primo che aveva invece rifiutato l'aiuto delle Nazioni Unite e del Pam. Il mais non geneticamente modificato però dovrà essere munito da un certificato "gm-free", dovrà essere macinato; in questo modo, secondo Mugabe, evidentemente meno "eversivo" di come viene dipinto sulla stampa nostrana, verranno difesi i cereali prodotti nel paese ed esportati all'estero. (Liberazione, sett.2002)
Tuttavia, le critiche espresse non servono, evidentemente ad aprire le menti dei "cantori delle meraviglie del geneticamente modificato", che non risultano scossi nemmeno dalle parole di Mwanawasa, che replica ai suoi detrattori "…semplicemente perché la mia gente ha fame, non è giustificato somministrare loro veleno, dare cibo che è intrinsecamente pericoloso per la loro salute". La sua richiesta è stata quella che il PAM ritiri le 26 mila tonnellate di mais americano già presenti in Zambia, comprese le settemila destinate 6ai campi profughi che ospitano, 130 mila persone scappate dal Congo e dall'Angola in guerra. Lo Zambia, paese tra i più poveri del Pianeta, sta attualmente anche intraprendendo un opera di ricostruzione dei servizi sociali, del settore sanitario ed educativo, anche grazie al programma di remissione del debito estero, iniziato nel 2001.
La distribuzione dei semi geneticamente modificati, è ormai una realtà con cui si stanno scontrando altri singoli paesi, per esempio il Mali, già sottoposto a dieci anni di programma di aggiustamento strutturale imposto dalla Banca Mondiale, come ci ricorda anche Aminata Traoré, parlando del suo paese, che versa, oggi, nella medesima situazione dello Zambia. Il cui presidente non è il solo oppositore degli organismi geneticamente modificati, che vengono utilizzati anche come strumento per il cambiamento radicale ed incompatibile con i dettami religiosi della cultura tradizionale africana, ma non solo di questa, evidentemente, perché come già ricordava Vandana Shiva, anche l'India, notoriamente vegetariana, è sottoposta ad una radicale forzatura alimentare, per l'introduzione della carni macellate delle vacche le cui carni sono trattate con gli estrogeni, animali questi considerati dagli Induisti sacri. La ferma decisione del governo dello Zambia è sorretta anche dai pareri della Commissione formata da alcuni scienziati che il governo stesso aveva incaricato per studiare le effettive caratteristiche degli Ogm. Alla presa di posizione di Lusaka, il commento arrivato dagli uffici dell'UsAid (ente statale di Washington per la cooperazione) è stato che "……rifiutare gli aiuti offerti è un atto criminale e che gli Ogm non hanno alcun effetto negativo sulla salute".
Lo scandalo del mais, inoltre colpisce anche il Malawi, dove, secondo gli operatori umanitari internazionali, si è scatenata la peggiore catastrofe che abbia mai colpito l'intera regione. Tuttavia dal rapporto dell'Anti-Corruption Bureau n.627/2001 si viene a sapere che le scorte di mais (167 mila tonnellate), immagazzinate per i periodi di carestia o di emergenza, contenute nelle 24 torri dei silos, sono state rivendute da quelle stesse agenzie parastatali che dovevano, invece, occuparsi della gestione e distribuzione delle scorte. Tra i vari intermediari ad alto livello, è facilmente individuabile Leonard Mangulama, già ministro dell'agricoltura, oggi responsabile del settore che si occupa della lotta alla povertà. (Internazionale, dicembre 2002). Questo piccolo esempio, mette in luce la gestione scellerata della politica agraria di un paese la cui popolazione è per l'85% dedita all'agricoltura. Ma è anche l'indicazione di una modalità direttamente collegata all'Africa post - coloniale dove le élite di governo non sono in grado di provvedere al sostentamento della popolazione, perché pensano ad arricchirsi sulla pelle di quest'ultima.
Già dal 1994 il dittatore Kamuzu Banda, che ha guidato il Malawi per un trentennio, aveva distribuito ai contadini le sementi gratis, ma li aveva mantenuti nelle stesse condizioni di povertà, facendo sì che il deficit alimentare crescesse. Alla fine degli anni Novanta, con la caduta del dittatore, il Malawi scopre l'economia di mercato e le immancabili direttive della B.M., ma sono giunti anche gli esperti dell'Unione Europea e con essi sono state applicate quelle leggi del capitalismo che da un giorno all'altro hanno stravolto l'economia del Paese. Gli aiuti della Banca Mondiale che distribuiva gratuitamente i semi ed i fertilizzanti hanno portato la produzione a crescere tra il 1999 ed il 2000 e alla diminuzione del prezzo del mais. Ma da questa stessa data il Governo ha iniziato a vendere le scorte ed i coltivatori hanno smesso di guadagnare ed il mais è tornato al di sotto dei valori medi. La cosa più importante che salta agli occhi è che la carestia in Malawi è direttamente collegata alla mancanza di pianificazione agraria e all'incompetenza economica che ha favorito le manovre dei cartelli commerciali volte a corrompere i governanti. In questa catastrofe il Presidente Muluzi, nel febbraio 2002 ha proclamato lo stato di emergenza in tutto il Paese, e all'immediata risposta delle Agenzie umanitarie e delle multinazionali americane che in tal modo si possono disfare delle eccedenze, ha fatto eco Bart Misinne, importante consulente agrario della Commissione europea in Malawi, che si è espresso in maniera critica verso gli aiuti alimentari importati dagli States, in particolare fagioli e mais.
Ma cerchiamo di andare oltre e di gettare uno sguardo sull'assieme dei problemi che, oltre alla massiccia introduzione degli ogm, colpiscono questo continente. Cerchiamo di farlo analizzando il modo in cui si muovono ed agiscono i principali organismi finanziari sovranazionali. Le decisioni prese dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale impongono tagli che si indirizzano verso il settore della spesa pubblica (che comprende sanità ed istruzione, oltre ai servizi sociali generali), ed attraversando velocemente tutti i paesi del Continente, per esempio troviamo che, nella Repubblica Centroafricana gli insegnanti non venendo pagati, lasciano le scuole e tornano a lavorare nei campi. Ma scopriamo anche che in molti paesi dell'Africa, la sanità è a pagamento.
Possiamo aggiungere il Mozambico, che dopo dieci anni di guerra, attualmente è sottoposto alla "ristrutturazione" economica del F.M.I. La cosiddetta "Pax italiana" raggiunta con la firma dell'accordo stipulato a Roma nel 1992, con il quale il Renamo mise fine alla guerriglia contro il governo guidato dal Frelimo, Fronte di Liberazione Nazionale, che guidò la lotta al colonialismo portoghese e guida il Paese fin dalla liberazione, avvenuta nel 1975. Al tavolo romano sedevano i governanti, e -appunto- gli uomini della Renamo (resistenza nazionale mozambicana), don Matteo Zuppi, il vescovo Jaime de Conclave ed Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio. Nel 1994 si svolsero le elezioni e venne conclusa la guerra. Secondo Don Zuppi, anch'egli esponente della Comunità di Sant'Egidio, da quel momento si sarebbe aperto, per il Paese, un periodo di prosperità, culminato nel 1998, con la vittoria democratica della Renamo. Tuttavia, lo stesso Zuppi è costretto ad ammette che il Mozambico è, da una parte ostentato come un paese modello dal F.M.I. e, dall'altra, attraversato da una radicale e profonda miseria, aggravata dalle ultime alluvioni. A tutto questo si può aggiungere l'abbassamento delle aspettative di vita e l'Aids in aumento.
Ma il problema centrale resta dunque dove e come vengono tagliate le spese : dato che nessuna prova è stato rintracciata circa la diminuzione delle spese militari. Che non sia un caso? Infatti, le guerre non si fermano, anzi laddove si firma un trattato di pace (Sierra Leone, Eritrea e Somalia, Angola, per ora….), ne scoppia un'altra in Costa d'Avorio o sui riaccende quella congolese o nel Sudan. Senza trascurare le "guerre endemiche" dimenticate: Uganda - Ruanda, Burundi, Zaire, Algeria. E in questo contesto quale ruolo rivestono gli Europei e gli States, l'Italia? Fondamentalmente, i paesi a capitalismo avanzato deprivano di risorse l'economia africana, come dimostra l'esempio della pesca che in Senegal. Non è un caso se i suoi abitanti non riescono più a trovare molte fra le diverse specie ittiche che appartengono alla loro tradizione alimentare: perché le pescose coste africane dell'Ovest sono sfruttate dalle multinazionali giapponesi, europee e russe, molto competitive tra loro e di tale forza da porre i senegalesi in condizione di non trovare più pesce a buon mercato nei mercati di Dakar. A questo problema si affiancano la diminuzione dei millimetri di pioggia e il perdurare delle stagioni secche, della siccità ed il conseguente aumento della desertificazione, situazione che si verifica anche grazie ad alcune decisioni prese nel corso degli anni Ottanta e Novanta dalla Banca mondiale, attraverso i suoi istituti di emissione regionali di sviluppo in Africa, che non solo imponevano i piani di aggiustamento strutturale, ma obbligavano questi stessi paesi ad accettare contratti per abbattere le foreste - è il caso del Ghana, che ha visto ridursi le proprie ricchezze forestali a circa il 25% tra il 1980 ed il 1987, del Mozambico e dello Zimbabwe che è stato anche soggetto al piano di risanamento strutturale fra il 1990 ed il 1991-. La desertificazione, aumentata anche grazie all'indiscriminato abbattimento degli alberi, oltre alla zona del Sahel, comprende anche Botswana, Burkina Faso, Ciad, Etiopia, Eritrea, Kenya, Mauritania e Mozambico.
L'altra grande questione è quella delle risorse idriche generali collocate in tutto il Continente e non solo della regione dei Grandi Laghi. Infatti, la siccità ed il perdurare della stagione secca, come la progressiva riduzione del patrimonio boschivo, mettono in serio pericolo la persistenza sia dei laghi che dei fiumi di cui è invece ricca l'Africa, nonché della popolazione che vive nei villaggi limitrofi ai corsi d'acqua e rende anche più facile lo spopolamento della fauna e la sparizione di molte piante selvatiche. La riduzione dell'acqua - soprattutto potabile - che ne consegue porta le multinazionali a privatizzare le risorse idriche, costruendo dighe che deturpano l'ambiente e costringono gli abitanti a comprare ad alto costo l'acqua. E' il caso del Burkina Faso, dove per usufruire di acqua i ragazzi devono fare molte ore di fila per riempire, a pagamento, s'intende, i bidoni che poi rivendono alle singole famiglie, che se utilizzano l'acqua per cucinare, non la possono riutilizzare per lavare la biancheria o se stessi. Lo stesso si riscontra nel Malawi, il cui omonimo lago è poco sfruttato per l'irrigazione dei campi adiacenti e che favorirebbero la coltivazione di altri prodotti - pomodori, mais, manioca - e quindi a trovare altre materie alimentari indipendenti e meno care.
Già, l'acqua, che si prospetta, tra l'altro, come uno dei possibili argomenti per una nuova disputa tra i paesi poveri e quelli ricchi. Il problema non è solo quello di bere, ma anche quello di riuscire ad utilizzare le risorse marine e fluviali. E non bastano i già ricordati ottocentomila pescatori del Senegal, ad essi si aggiungono i recenti accordi che l'U.E. ha raggiunto con l'Angola, che hanno anche un impatto negativo sull'ambiente, sull'economia e sulla società in generale. Il paese, già dilaniato da 25 anni di guerra, con questi accordi, vedrà ridursi la quantità di pesce di cui vivono i pescatori artigianali, che con essa sfamano le proprie famiglie; la prima conseguenza sarà quella di aumentare il deficit alimentare generale della popolazione. Oltre a questo aspetto, vengono anche bloccati finanziamenti erogati dalla stessa Unione Europea alle Agenzie umanitarie che sviluppano proprio i micro progetti di pesca (circa dieci milioni di euro). Questo solo per evidenziare come oltre agli States, anche la l'Unione Europea è fortemente interessata allo sfruttamento economico dei paesi africani.
Va poi detto che allo sfruttamento delle risorse idriche da parte occidentale si affianca l'altrettanto urgente questione dei laghi e dei fiumi che si prosciugano, o si riducono di dimensione come accade, tra gli altri, al lago Ciad, situato tra i confini con il Ciad, la Nigeria, il Camerun ed il Niger, che con i suoi numerosi emissari costituisce il maggiore impianto idrico naturale africano. Gli altri grandi laghi, il Vittoria, il Tanganica e il Niassa stanno progressivamente diminuendo il loro bacino idrico. Ma la situazione del lago Ciad risulta essere la più grave, perché in 40 anni, ha perso il 90% della sua estensione totale. Non sono solo i piccoli e grandi villaggi che sorgono e vivono della pesca (villaggio di Abéché,), a soffrirne, dato che vivono dei pesci che vengono venduti, consumati freschi o essiccati (dalle 140 mila tonnellate dal 1960 alle attuali 45 mila tonnellate). Ma anche le varie mandrie che si abbeverano sulle sue sponde e tutti gli altri animali che vivono in prossimità delle sue acque e spiagge, come i coccodrilli e 60 specie di anfibi, le 270 varietà di uccelli, le circa 130 varietà di pesci; mentre adiacenti alle sponde orientali, vivono gli ippopotami. Per questo il suo progressivo prosciugamento produce effetti negativi anche sull'ambiente naturale.
A fronte di quanto succede in Ciad si accompagnano le ricorrenti siccità, ad esempio quelle verificatasi in Eritrea, dove la mancanza d'acqua rende ancora più difficoltoso il già pesante lavoro quotidiano, comportando problemi per l'accesso ai pozzi d'acqua, l'irrigazione dei campi coltivati e l'abbeveramento delle mandrie. Il problema è comunque comune a molti altri paesi. Oltre all'Eritrea possono esser menzionati anche altri paesi, i quali via via vengono ad essere interessati da un inarrestabile processo di desertificazione: quelli compresi nel Sahel, il Botswana, il Burkina Faso, il Ciad, l'Etiopia, il Kenya, il Mozambico; senza contare le piogge torrenziali che, solo negli ultimi due anni, hanno devastato lo stesso Mozambico, il Malawi e lo Zimbabwe.
In sostanza, vi è un vicendevole rafforzarsi degli agenti naturali e delle politiche di rapina dei paesi a capitalismo avanzato con il fine di stremare l'Africa. Ma l'elemento che predomina in tal senso è di gran lunga il secondo. Ed in tutta questa copiosa messe per arricchirsi, non potevano certo mancare corruzione e scandali! E' il caso del Lesotho, dove è partita la gara per aggiudicarsi la commessa per la costruzione di un imponente diga.
E, in ultimo, ma non per ultimo in Africa lo spettro delle epidemie - virus dell'ebola, che tra l'altro proprio nel mese di febbraio 2003 ha visto la morte passata sotto silenzio di 2.500 persone; altre malattie correlate alla mancanza di cibo e, l'aids -. Qui il discorso si fa complicato anche perché rispetto alla forza dirompente di queste malattie, ormai croniche, incide anche la questione dei farmaci che sarebbero in grado di curare o, in parte, fermare il contagio. E di conseguenza sono anche chiare le responsabilità dell'Unione Europea, così come quelle delle multinazionali e dei colossi farmaceutici statunitensi. L'aids è presente su tutto il territorio africano, l'unica situazione variabile è quella delle cifre dei malati - donne, bambini, bambine ed uomini - che sono stati contagiati e le motivazioni per cui hanno contratto il virus.
In tutte le famiglie è presente un malato o un morto per l'Hiv e questa situazione comporta anche un doppio lavoro per chi si occupa di curare e seguire i malati, spesso bambini sieropositivi rimasti già orfani dei genitori. E' drammatico constatare come molte nazioni africane presentino un'alta percentuale di giovani e bambini deceduti ed un tasso di anziani elevato. La diffusione del virus ha in questo continente ha superato ogni più triste previsione formulata nello scorso decennio. In tre anni dall'inizio del XXI secolo, il virus dell'HIV ha eclissato, proporzionalmente al resto del mondo dove l'Aids è presente, il triste record della peste nera, epidemia del Medioevo, tra le più devastanti pestilenze della storia dell'Umanità. Nella sola regione subsahariana il virus immunodeficitario mette a rischio la stessa soprav-vivenza dell'intero continente. I malati di Aids sono trenta milioni (secondo quanto riporta la rivista "Internazionale", luglio 2002).
E' completamente assente sia un controllo sulla reale diffusione del virus, soprattutto tra la popolazione giovanile, che risulta essere quella maggiormente esposta e a rischio di contrarre il virus, sia una seria e decisa politica di prevenzione della diffusione, convogliando forze ed investimenti nella prevenzione ed informazione socio - sanitaria capillare, rivolta soprattutto alle famiglie e alle giovani coppie. In molte zone diminuisce anche l'aspettativa di vita degli abitanti per esempio, sempre restando nell'Africa subsahariana, essa è scesa dai 62 ai 47 anni, questo vuol dire che quasi il 50% dei giovani che attualmente sono compresi nella fascia adolescenziale moriranno prima di raggiungere i 50 anni d'età.
Questa situazione ha forti ripercussioni su altri settori quali l'educazione, l'agricoltura e la sanità. Ora la scomparsa di una percentuale così alta di adulti e giovani provoca una diminuzione delle braccia in grado di lavorare la terra o comunque di sostentare il resto del nucleo familiare e, nonostante alcuni passi in avanti ottenuti con alcune campagne informative e di vaccinazione infantile, non si riescono ad avere effetti duraturi proprio per la cronicità dell'epidemia. Anche le famiglie risentono di questa situazione e interi nuclei scompaiono per il contagio progressivo dei membri, oppure perdono il loro sostegno economico, costringendo il maggiore dei fratelli o delle sorelle a lasciare la scuola e lavorare per mantenere il resto del nucleo. Incidendo in questo modo anche sulla generale e già alta percentuale di minori analfabeti.
Si perdono vite in molti settori produttivi, i campi sono coltivati dalle donne, anch'esse sempre più vecchie, poiché le giovani spesso sono già decedute o impossibilitate a lavorare. Le donne, tra l'altro, in Africa (come altrove, del resto), risultano essere i soggetti maggiormente a rischio proprio per le loro conformazioni fisiche, per le mutilazioni genitali subite, che sono un ulteriore veicolo del virus dell'HIV e per la prostituzione a cui sono costrette nonché per la persistenza di talune pratiche sessuali, fra cui rientrano l'introduzione di alcune sostanze essicanti, in particolare l'urina dei babbuini, che secca le normali secrezioni delle mucose vaginali, facendo così in modo che durante il rapporto sessuale, in assenza di lubrificazione, si producano delle lacerazioni e delle escoriazioni che favoriscono il contagio del virus dall'uomo alla donna. Ma anche il turismo sessuale è un fattore di contagio.
Alcuni studi recenti sul territorio africano hanno evidenziato il fatto che le vedove attualmente rientrano tra i soggetti a rischio, perché questa loro condizione, legata soprattutto ai tradizionali meccanismi di accesso alla proprietà e alla coltivazione dei campi, favorisce, per sopravvivere, la "scelta" della prostituzione. Ma sono anche altri i fattori tradizionali africani che condizionano la vita delle vedove, fra cui l'obbligo di sposare il fratello del marito defunto e l'Aids, in tutta questa situazione, aggrava dunque il già pedante fardello di queste donne, che devono lavorare nei campi e nelle aree rurali, occupandosi del raccolto, dell'irrigazione, e, spesso anche della vendita dei prodotti. Sostituendo così anche gli uomini, falcidiati dall'epidemia. E' un fatto accertato che in molte famiglie sono rimaste solo donne e minori e quindi il lavoro non può più essere ripartito in maniera equilibrata. A rischio di contagio sono anche le mogli dei migranti, che nei loro frequenti viaggi hanno maggiore occasione di avere rapporti sessuali. Tutti questi aspetti fanno aumentare da tre a cinque volte la sua percentuale. Ma le conseguenze della diffusione dell'Aids sono molteplici, si riverberano su diverse sfere, quella produttiva in primo luogo. Alcuni studi si sono soffermati ad analizzare i dati che dal 1995 vengono proiettati al 2020, nei quali si prevede che nei prossimi anni di questo terzo millennio molti paesi africani vedranno diminuire -per sterminio da contagio- la loro attuale percentuale di manodopera femminile, impiegata soprattutto nel settore agricolo.
I paesi osservati sono la Namibia con il 26%, Botswana e Zimbabwe con il 23%, segue il Mozambico, Sudafrica e Kenya con il 20%, Malawi ed Uganda con il 14%, completa la lista la Tanzania con il 13%. Tutto questo non fa che confermare il palese fallimento delle politiche di contrasto all'HIV, soprattutto perché non si è compreso subito di dover porre come argomento prioritario l'aspetto della prevenzione. In sostanza, le due strutture cui è stato demandato dall'ONU il programma di lotta all'Aids, cioè l'Organizzazione Mondiale della Sanità e l'Unaids hanno fallito soprattutto sul terreno dei progetti concreti : contenimento della malattia, diminuzione dei nuovi casi di contagio, calo della mortalità e miglioramento delle condizioni delle persone sieropositive. Ma anche la mancanza di fondi economici è un freno per creare reti di assistenza informativa per le donne, attuare la prevenzione materna ed infantile, fornire i dispositivi per le terapie d'urgenza. Senza contare un altro aspetto, che riteniamo utile sottolineare, a conclusione di questo articolo sui "problemi africani", e che concerne l'uso strumentale dei mass media di tutto quello che accade in Africa, in particolare tutti quegli aspetti che risultano poco chiari o apparentemente incomprensibili.
I problemi del Continente sono troppo geograficamente lontani da noi, o meglio così ci fanno credere i cronisti, fotografi e cameramen. Ed in realtà così sembrare, data la persistenza di molte situazioni politiche critiche, tra le quali quelle di alcuni paesi, da anni trascinati nel vortice di conflitti la cui matrice appare essere quella etnica, spesso intrecciata con motivi religiosi. E' la storia dell'Algeria, del Sudan e della Somalia. Ciò che fa notizia non è la comprensione analitica dei motivi reali per cui scoppia un conflitto che, ad una osservazione superficiale, risulta di matrice etnica ma lo strazio spettacolarizzato dei morti, dei corpi mutilati, delle case in fiamme e delle migliaia di profughi che da un paese vanno verso un altro. E' stato cosi nella vicenda del Ruanda e del Burundi, della Somalia. E' grave come l'informazione mass-mediatica con questi suoi falsi scoop elimini la possibilità di fare una seria e corretta informazione su quanto sta accadendo. In questo senso il caso ruandese è esemplificativo. Nel 1994 il paese attraversa una spaventosa tragedia umanitaria, ma i vari cronisti internazionali, affrontano la questione in modo superficiale. Quando iniziano questi massacri tutti i maggiori cronisti, fotografi e reporter sono a Johannesburg per assistere e documentare le prime elezioni libere del Sudafrica, vinte da Nelson Mandela.
Quando arrivano le prime notizie del massacro tutti si affrettano a tacciarlo come l'ennesima guerra interentica fra neri, contrapposti da un antico odio tribale. Questo equivoco fu in parte anche dovuto all'abitudine dei cronisti di considerare la zona dei Grandi Laghi solo in presenza di gravi conflitti armati e gravi esplosioni di violenza. Anche nel caso del Ruanda le telecamere arrivarono in fretta e documentarono le prime immagini drammatiche di morti e distruzione, ma non scesero dai loro aerei ad accertarsi delle reali e profonde cause di questo odio e di violenza. Ed è stato così anche per il Sudan e l'Algeria, paesi dove da vari anni si combatte una guerra endemica e senza più un motivo apparentemente comprensibile. Nella sempre più confusa situazione africana, le guerre, queste guerre spesso non vengono neanche interpretate. E' così, infatti, che si nascondono i colpevoli e si tacciono i nomi di chi sovvenziona queste guerre.
Ma non dimentichiamo che l'industria dei media deve tenere conto dei suoi interessi e spesso questi ultimi non sono in relazione con la funzione di servizio pubblico di informazione verso il pubblico. E' il dolore - spettacolo, quello che più spesso ci viene propinato, in una sorta di finzione che fa dello scenario africano un luogo sempre più lontano e sempre meno distinto e distinguibile nelle sue reali connotazioni politiche, geografiche ed economiche. La rapidità nel confezionare e trasmettere le immagini di guerra aumenta il rischio che queste informazioni siano sempre più brevi, concise e decontestualizzate e quindi meno importanti rispetto ad altre. I media quindi stanno efficacemente concorrendo alla nostra disinformazione su quanto accade in Africa e di quali siano realmente le motivazioni per cui l'Europa, l'Italia e gli States sono invece presenti in alcuni paesi.
Ma per cercare di modificare questa situazione si deve invece ribadire la responsabilità che gli Occidentali hanno nella gestione e continuazione di queste guerre civili, religiose ed economiche e non basta più affermare, in riferimento all'Africa, HAKUNA MATATA! (Non c'è problema ragazzi!)